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Apice – Precipitare

Precipitare alla fine del giorno, per sapere come si fa a diventare buio

Dopo il disco d’esordio, non si può scegliere titolo più adatto. “Precipitare”. Se scegliere di pubblicare un album è già una rivoluzione interiore, ritornare a palesarsi è ancor di più arduo intento. Dopo mesi di silenzio non c’è mai una scelta che sia oggettivamente più giusta di un’altra. 

A questo punto è meglio chiudere gli occhi, tapparsi il naso, e tuffarsi da questa ripidissima scogliera nell’infinito mare dell’esigenza di esprimersi. E’ così che, sorprendentemente, ma forse nemmeno troppo, tutto sembra più spazioso, limpido. Si respira un’aria più leggera. L’orizzonte non è poi così lontano. 

Tornare in superficie, stropicciarsi gli occhi, tirare un profondo sospiro di sollievo e navigare verso quella linea che divide il cielo dall’acqua senza sfiorarla, un confine intangibile, grande mistero perenne. 

Un istinto primordiale che ci obbliga a comunicare le nostre paure, a confessare le nostre cadute, a mostrare le dolcissime rivincite. Non c’è niente di strano a mostrarsi nudi di fronte ad un pubblico, sempre affamato di drammi esistenziali dove specchiarsi, ritrovarsi e sentirsi, perchè no, un po meno soli.

Come un fiume in corsa

Ritorna Apice, come un fiume in piena, e trascina con la sua musica, tutte le nostre crude incertezze, le lacrime e le delusioni, le paure, gli scheletri nell’armadio, le scelte sbagliate. Le prende con le sue onde, stringendole sotto braccio, per farci sentire meglio, facendosi carico del peso di generazioni decisamente spaesate, in cerca di una direzione, di un luogo assolato, di un giardino fatto di bellissimi colori.

“Spegnersi nell’eco del suono, che torna silenzio, senza farsi rumore.”

La sua penna, potente e raffinata, rafforzata dai mesi di silenzio discografico, torna in questa estate dove la massa sembra aver bisogno solo di tormentoni estivi per scacciare via le paure degli ultimi pandemici spasmi. 

Ed invece no. Abbiamo bisogno dei cantautori. Di qualcuno che si prenda cura delle parole e che sappia utilizzarle, restituendogli i connotati originari, senza l’ansia di dover ricorrere a citazionismi compulsivi o patinati slogan.

Bentornato Apice.