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Dammi tre parole #1 – Novembre

Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.

Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.

Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote

GALEA

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Ultimamente si parla tantissimo di generazioni (Millenials, GenZ) e penso che sia molto bello il fatto di potersi riconoscere in un gruppo di appartenenza, senza che questa classificazione comporti alcun tipo di limite alla propria identità, anzi. Un coro di tante voci, seppur diverse, è più risonante di quelle stesse voci prese singolarmente e questo facilita il raggiungimento di uno scopo comune. 

Di primo acchito associo la parola “diritti” al passato, quindi alla strada che è stata fatta per raggiungere determinati traguardi ed è strano, perché la conquista di molti diritti è ancora decisamente in corso. Forse mi viene in mente il passato perché non sarei né lucida né oggettiva parlando di un presente che si sta dispiegando davanti ai miei occhi. Spero che nel 2060 ripenserò a questo presente come a un periodo di lotta utile a delle conquiste finalmente ottenute.

Mi viene in mente Revolution 1 dei Beatles, in particolare il verso “But when you talk about destruction, don’t you know that you can count me out (in)”, come se la posizione di Lennon riguardo ai metodi violenti della rivoluzione fosse ancora incerta e dubbiosa. Il resto del testo invece è piuttosto chiaro, ma quell’in riporta il brano in una dimensione di ambiguità e indecisione in cui è facile rispecchiarsi quando ci si interroga su come una rivoluzione dovrebbe adoperare.

APICE

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

L’ordine in cui le cose mi si presentano già di per sé costituisce un viatico interessante (a mio parere, quanto meno) circa la comprensione della relazione intrinseca che esiste fra gli addendi, e circa l’innefficacia – almeno, in questo caso – della proprietà commutativa, al punto che il risultato cambia eccome a seconda del modo in cui queste parole si combinano fra loro.

Mi spiego: ogni generazione, in qualche modo, nasce nell’orizzonte predeterminato di una serie di diritti ottenuti, e di diritti da conquistare; è il mondo in cui nasciamo e proviamo ad auto-definirci che, in fin dei conti, ci spinge a capire cosa siamo e cosa non siamo, né vogliamo essere: ad ogni generazione, si lega quindi la necessità storica di rivoluzioni che, attraverso vie differenti, discendono dalla contemplazione dei diritti che esistono, ma soprattuto di quelli che ancora non ci sono. Bene, generazionedirittirivoluzione.

Ma è anche vero che pare intellettualmente disonesto considerarci meritevoli di qualcosa che non ci siamo conquistati, ed è anche vero che viviamo nell’era di un post-modernismo (se non di una post-contemporaneità: siamo già nel “futuro”, per alcuni…) che sembra averci dato più risposte semplici e perentorie che domande capaci di solleticare il dubbio, attivando la complessità del pensiero: tanti diritti ci precedono, e forse è proprio questo che ci ha allontanato dal concepire la rivoluzione come un appuntamento inevitabile con la Storia; l’ordine dirittigenerazionerivoluzione è fallace, oggi, perché l’ultimo addendo diventa spessa superfluo, o quanto meno si rivela un fatto di posa e di retorica stantia, e quanto mai generazionale. Ecco, questo è quello che oggi mi pare essere, spesso e volentieri, il rapporto tra le parole designate quanto meno nella contemporaneità. Credo che quello della rivoluzione sia una ginnastica a cui ci si allena attraverso la negazione, ma quella vera, e che tante battaglie a volte finiamo col combatterle solo perché ci piace “giocare alla rivoluzione“: andare fino in fondo, poi, è merito di pochi – forse, di quelli che davvero si sentono “negati” di qualcosa, perché il dolore degli altri è sempre dolore a metà e per quanto tu ti possa impegnare ad empatizzare con le ferite altrui non sarà mai come avercele incise nella carne. Punto.

Quello che oggi trovo essere l’ordine più efficace a sparigliare le carte credo sia Rivoluzione, Diritti, Generazione: credo alla forza di rottura di un atto violento (non tanto – o non solo – nelle modalità, ma negli effetti), che possa determinare diritti nuovi da cui possano prendere forza nuove generazioni di pensiero, prima ancora che di persone. Sperando che la nostra, di generazione, non se ne stia a guardare mentre qualcun’altro la sorpassa a sinistra (o peggio ancora, a destra), ma se anche fosse così poco importa: la Storia fa sempre il suo corso, e il precipitare degli eventi è necessario alla definizione di nuovi mondi.

MILELLA

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Con Generazione mi viene in mente Kurt Cobain; da adolescente pensavo fosse un “poeta”, ma crescendo ho scoperto che se ti ammazzi dopo aver “professato” determinate cose, sei solo un ciarlatano. 

Diritti e Rivoluzione invece, sono due facce della stessa medaglia; una medaglia pesante per i tempi che corrono, una medaglia che a quanto pare e a quanto visto in parlamento in questo momento storico, in molti non vogliono indossare.

FLORIDI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Generazione:

This is my generation, baby

Cavolo se sono un fottutissimo nostalgico, non so se capita spesso anche a voi ma io in preda a chissà quale ragione reale spesso pronuncio la seguente frase “sarei voluto nascere negli anni 60/70, ma mi andavano bene anche gli anni 80” ora a dirla tutta, in realtà, per 5 mesi sono un figlio degli anni 80, ma poco conta… m’interrogo spesso sul perché se scavo nel profondo, io, fino in fondò non mi riconosca in questa generazione, le risposte sono talmente tante e talmente articolate che la mia autoanalisi termina con un’emicrania alienante, i soliti dubbi e un gin tonic in più sul conto del mio povero fegato. Comunque siamo una generazione fondamentalmente sola, con riferimenti sempre meno a fuoco e obiettivi che tendiamo a credere facilmente raggiungibili e che per la legge di Murphy puntualmente non si realizzeranno, ma allo stesso tempo siamo testardi e vogliosi di provare a cambiare qualcosa

Diritti:

Raga, mi sembra di essere tornato al primo anno di università, quando forte dell’impegno politico che avevo esercitato negli ultimi due anni di liceo come rappresentate d’istituto mi apprestavo a scegliere Giurisprudenza come facoltà definitiva per la mia vocazione, quella di diventare un PM pronto a stravolgere le regole del gioco, pronto a scendere in campo in favore dei più deboli, mi ero ripromesso che mi sarei incaricato solo di cause giuste, ma ripensandoci bene questo è anticostituzionale, quindi la mia folgorante carriera magistrale è durata più o meno 4 stagioni. Però a quel tempo ho capito una grande verità per me, che scrivere canzoni (cosa che facevo già da qualche anno) poteva farmi abbracciare qualcuno che soffriva come me, poteva far arrivare la mia voce, il mio pensiero ovunque ci fosse qualcuno pronto ad accoglierlo poteva permettermi di dire la mia su armonie semplici o complesse, sapeva mettermi a nudo e sostenere cause alle quali tenevo.

Rivoluzione:

Dici che vuoi una rivoluzione

Bene, sai

Tutti noi vogliamo cambiare il mondo

Mi dici che è evoluzione

Bene, sai

Tutti noi vogliamo cambiare il mondo

Ma quando mi parli di distruzione,

sai che non puoi contare su di me

Non sai che andrà tutto bene?

Dici che hai una soluzione concreta

Bene, sai

A noi tutti piacerebbe vedere il tuo piano

Mi chiedi un contributo

Bene, sai

Stiamo facendo quello che possiamo

Ma se vuoi denaro per gente con pensieri di odio

Tutto ciò che posso dire è: fratello, devi aspettare

Non sai che andrà tutto bene?

Quando penso alla parola rivoluzione le mie sinapsi creano subito uno Swipe Up, anzi no, un link in evidenza, connesso a questa canzone e alla sua potenza espressiva. Mamma mia i Beatles.

FRANCESCA MORETTI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Oggi fortunatamente queste tre parole si sentono nominare spesso. Stiamo vivendo un periodo in cui è molto più frequente sentir parlare di diritti rispetto a prima, specialmente grazie ai social. Credo che la mia generazione sia molto più avanti rispetto a quelle precedenti, soprattutto quando si tratta di temi come omotransfobia, femminismo, razzismo, ambientalismo. Spesso ci chiamano gioventù bruciata, quando invece bisognerebbe solo lasciarci spazio e lasciarci fare. Magari la rivoluzione è più vicina di quanto sembri.

MARSALI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Non mi reputo un’attivista incallita, vi dico la verità, ma sicuramente sono sempre stata una persona che si è schierata o esposta nelle varie situazioni della vita per “dire la sua”. Credo che la nostra generazione, quella dei social intendo, abbia molti più strumenti rispetto ai giovani di venti anni fa per far sentire la sua voce e per sensibilizzare anche le fasce di età più adulte su dei temi che prima erano dei grandi taboo. Il tempo scorre veloce e io stessa a venticinque anni a volte mi sento indietro rispetto a certe innovazioni di pensiero ma questo non deve farci paura, la nostra piccola grande rivoluzione, anche nei confronti della musica, deve essere l’empatia, il sapersi mettere nei panni dell’altro, il vedere non sempre quelli attorno a noi come dei nemici da buttare giù ma magari come compagni di viaggio storti in questo storto pianeta. I diritti ci spettano è vero, non vanno meritati, ma dobbiamo dimostrare almeno di saperli gestire. 

DAVIDE BOSI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

La musica accompagna da sempre le ‘nuove’ e le ‘vecchie’ generazioni che si susseguono nel tempo. 

Ricordo quelli che più di altri hanno avuto la sensibilità di combattere per i diritti dei più deboli, degli ultimi (Bob Dylan, John Lennon, Joan Baez per citarne alcuni).

Penso alle opportunità che la musica ha di farsi portavoce della lotta per la libertà e uguaglianza fra le generazioni e il loro tempo.

IL GEOMETRA

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Ho idee molto confuse rispetto a tutto ciò che mi circonda ormai. Non ho un’opinione forte su niente. Attualmente, in questo preciso momento storico, non mi appassiona alcuna tematica che non sia legata ai vini naturali, ai ristoranti recensiti della guida Michelin e ai film di Carlo Verdone del periodo compreso tra il 1983 e il 1995. Quindi, effettuate tali premesse, posso affermare senza troppo imbarazzo che la prima cosa che avverto ascoltando queste tre parole è un leggero senso di fastidio.

Provo fastidio per me stesso, per la miseria delle connessioni associative che si sviluppano nella mia mente all’ascolto di questi vocaboli (ti accorgi/di come vola bassa la bassa la mia mente? / è colpa dei pensieri associativi / se non riesco a stare adesso qui…).

E così, la parola “generazione” mi fa pensare a tutti quei termini di più o meno recente coniazione, come “generazione x”“generazione z”“boomer”“millenials”, che si leggono negli articoli di Vice o nei meme, con significati per me sempre volto vaghi e/o post-ironici.

La mia generazione, quella cresciuta negli anni ’90 insomma, dovrebbe essere sulla rampa di lancio della genitorialità, della fascinazione per gli investimenti immobiliari, del progressivo decadimento fisico che si manifesta attraverso la comparsa – sui propri profili social – delle fotografie sfocate di grassissimi pasti domenicali, serviti in approssimative teglie di alluminio, preparati con l’irrinunciabile collaborazione del proprio partner, che di solito coltiva anche un piccolo orto. Entrambi indossano vestaglie. E ascoltano i podcast di Barbero come grande momento di accrescimento culturale condiviso. Io non ho figli, vivo in albergo e mangio bresaola e broccoli bolliti per 5 giorni alla settimana.

La parola diritti mi fa pensare a moltissime cose fastidiose e inopportune. Potrei scriverle, perché la mia opinione non è affatto influente e anche se esprimessi dei concetti aberranti (ammesso che ne sia in grado), passerei comunque inosservato. Ma preferisco comunque non rischiare. In ogni caso, per molti anni ho ripetuto a memoria la solita filastrocca tale per cui “in un paese in cui non sono garantititi i diritti sociali, i diritti civili diventano dei privilegi”, o qualcosa del genere. È una filastrocca che mi piace ancora. Quando la recitavo, in tutti questi anni, provavo un enorme senso di autocompiacimento. Per fortuna, in tutti questi anni, nessuno mi ha mai chiesto di argomentare con maggiore grado di analisi il mio assunto. Sarebbe stato molto imbarazzante.

La parola Rivoluzione mi fa pensare a un compito in classe di storia avente per tema la Rivoluzione d’Ottobre, svolto in quarto superiore. Presi nove e ne ero molto orgoglioso. Tuttavia, all’epoca, ero uno studente pigro e discontinuo, senza nemmeno il fascino che solitamente si accompagna a questo archetipo di liceale. Immagino fu anche per questo che la docente si sentì in dover di ammonirmi, innanzi a tutta la classe, ricordandomi che “una rondine non fa primavera”. Credo che quell’episodio contribuì molto nella mia attitudine a ridimensionare metodicamente tutto ciò che in vita mia è stato associabile al successo. Quello stesso giorno tornai a casa, staccai il poster di Che Guevara da sopra al letto e ne appesi uno di Bruno Tabacci

SCICCHI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Vedendo scritte queste parole mi viene in mente appunto, di quanto l’Italia abbia bisogno di una rivoluzione, di quante persone ne abbiano bisogno per continuare a vivere e per un futuro migliore. Io nella mia generazione ci credo, abbiamo molto più a cuore i pari diritti rispetto a chi invece sta al governo ora, guardate che fine ha fatto il DDL ZAN, oppure quante poche persone si sono presentate al senato durante il discorso contro la violenza sulle donne, 8 su 630. Noi, vogliamo il cambiamento, vogliamo un paese libero da pregiudizi e paure, vogliamo pari diritti senza distinzioni di sesso, orientamento o colore della pelle, vogliamo la normalità… e vuoi o non vuoi se non sarà ora, tra qualche anno le persone sedute su quelle sedie non ci saranno più e ci saranno persone più competenti (spero) verso i diritti umani.

UTAH 

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Se ci dite “generazione” ci viene in mente l’ansia, ansia di dover dimostrare sempre qualcosa, ansia perché non sappiamo più aspettare. In un mondo in cui ormai tutto è a portata di mano vogliamo tutto e subito.

I diritti sono scale, sono ponti, sono tutto ciò che è utile per passare oltre.

I diritti sono Martelli che spaccano un muro, sono persone che gridano dietro quel muro, sono persone che abbattono un muro.

Rivoluzione è un termine forte, un’arma a doppio taglio. La rivoluzione, quella vera, bisogna avere il coraggio di pensarla ma soprattutto la determinazione di portarla avanti.

Se cerchi la rivoluzione, guardati attorno.

SEBASTIANO PAGLIUCA

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

C’è una splendida canzone di Gaber, uscita nel 2001 che dice: “La mia generazione ha perso”. Ecco, la mia non è mai scesa in campo. E se non è mai scesa in campo allora la nostra è stata davvero una rivoluzione mancata, un occasione perduta per far riconoscere diritti tuttora repressi.

Sarà che non so bene a quale generazione appartengo: sono una sorta di ibrido cresciuto correndo per le strade di un paesino dove cellulari, computer e ogni altro congegno elettrico era visto come sacro e intoccabile per i bambini e ora sono immerso in un mondo in cui non si può e non si vuole vivere se non attraverso uno schermo.

Tra le battaglie per i diritti che la mia generazione ha perduto a tavolino, come esponente di un mondo, quello del lavoro nella musica, così sofferente e scopertosi senza alcuna tutela negli ultimi due anni, penso anche ai diritti d’autore, imbrigliati e mortificati in uffici di burocrati che ti accolgono sulle loro poltroncine come banchieri a cui stai per chiedere un mutuo.