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Viaggio negli abissi di Caspio

C’era un periodo, nell’immediata post adolescenza, in cui mi ero fissato con i White Lies (no, caspio non c’entra necessariamente con i White Lies, state calmi): tristezza infinita, sintetizzatori, Dr. Martens che mi toglievo solo se dovevo andare a dormire, sguardo languido mentre mi aggiravo nei corridoi dell’università. Insomma, ascoltare i White Lies a ripetizione mi aveva fatto diventare un ventenne triste con la vita in bianco e nero, pochi mesi più tardi mi sono fissato con i Tame Impala e ho cominciato a portare dei pantaloni a zampa d’elefante. Tutto questo per dire che ciò che ascoltava tendeva ad influenzarmi, e se mi fissavo con un gruppo post-punk finivo per deprimermi. Poi son cresciuto, ho preso la mia prima busta paga, ho cambiato casa e non mai più chiesto un autografo o attaccato un poster in camera di una band musicale. Forse è strano, ma come si ama la musica da adolescenti, di un amore esclusivo e totalizzante, è qualcosa che si perde, e non torna più.

Quando ho ascoltato il nuovo EP di caspio (fugit, fuori per Le Siepi Dischi), sono stato male, come stavo male in quelle serate infinite passate a studiare, bombardandomi il sonno con volumi altissimi. Quello di caspio è un mondo elettronico oscuro, dove scorrono parole che scuotono e mi hanno fatto ricordare com’era, quel periodo in cui un disco poteva rovinarti la giornata. fugit è un concentrato brevissimo dove convivono rotture, assoluti e malinconie. Un brutto quarto d’ora per chi pensava di avere una vita monotona che non potesse essere scombussolata da un play su Spotify.

fugit è un’autobiografia con valenza universale, brani che raccontano momenti diversi, generazioni che passano: un tempo che ha cambiato tutte le carte in tavola, un tempo per le decisioni, un tempo che scandisce il ritmo sonno-veglia, un tempo presente e un tempo futuro. Un tuffo nel passato, non nel passato musicale, nel tuo passato che pensavi di aver sepolto dopo anni di maturità e responsabilità: in fondo siamo e rimaniamo adolescenti che ascoltano i White Lies. I brani contenuti in fugit sono eterogenei, confondono generi, sonorità e stile. Sono stati scritti in tempi – ed ecco il tempo che ritorna – diversi. 

E l’intento dell’autore è esattamente quello di far percepire all’ascoltatore che ogni cosa ha un suo tempo, un suo momento. La copertina dell’EP rappresenta sia la diversità dei brani, sia l’idea di una stratificazione temporale: è, infatti, lo shot di una bacheca pubblicitaria in cui il tempo ha logorato l’immagine di superficie lasciando intravedere tutte quelle sottostanti, diverse tra loro, sovrapposte, che a loro volta ne erano state la copertina. È lo spaziotempo di un luogo qualunque, in cui il tempo è trascorso lasciando le sue tracce, in cui il tempo è fuggito, lasciando dietro di sé il ricordo di qualcosa che ormai non c’è più e lisciando la superficie per fare spazio a qualcosa di nuovo. Qualcosa come fugit.

caspio ci promette che non è la fine, e non mi rimane che aspettarlo.

CM

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Nascosti dietro a petali di papaveri | Recensione di Entrambi, Il Corpo Docenti

Ci sono momenti nella vita in cui la sensazione di sentirsi fuori posto viene accentuata da un gesto, da una parola, da uno sguardo. Ci si sente a disagio o inadeguati in ciò che si sta facendo e si vorrebbe cambiare, differenziarsi dagli altri o mollare tutto e andarsene, convinti che sia la cosa migliore da fare. È una fase che attraversiamo tutti prima o poi, per alcuni rappresenta addirittura lo status di default e non sempre si decide di combatterlo o di uscirne. Spesso ci si rifugia dietro delle maschere, talvolta senza nemmeno esserne consapevoli, mossi dalla voglia di non omologarsi. È da questo tipo di pensieri che prende spunto Entrambi il nuovo singolo de Il Corpo Docenti uscito giovedì 28 ottobre e distribuito da Believe Music Italia. Come anticipa il titolo parte da una situazione di dualità, nonostante ciò che sentiamo raccontare dalla band riguardi più un percorso personale e un rapporto con sé e gli altri, più che la relazione tra due individui specifici. 

Il Corpo Docenti sono BenzoFede e Luca, un bresciano, un livornese e un modenese. Quello che potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta è invece l’origine di una bellissima storia, nata tra i boccali di birra del Maga Furla, ci svelano i ragazzi. Benzo (Lorenzo Manenti) voce e chitarra della band, Fede (Federico Carpita) al basso e Luca (Luca Sernesi) alla batteria. Alle spalle un EP, Scivoli, e un primo disco, Povere Bestie (gennaio 2020) prodotto da Divi de I Ministri; nel presente due uscite freschissime: Sottotitoli ed Entrambi; release seguite dalla stessa direzione artistica.

“Saremo morti prima di sembrare noi stessi” riassume molto bene il messaggio del brano. La delusione data dal non avere mai piena coscienza di sé mista alla consapevolezza che a condividere questa sensazione siamo entrambi: noi e gli altri. Temi che ci riportano alla testa letterati e filosofi del passato; il pezzo è un viaggio tra le maschere di Pirandello e uno Schopenhauer che trattava dell’insoddisfazione perenne dell’essere umano. Interrogativi che attanagliano spesso le nostre menti e in questo caso sono provocati dalle parole della band. Il Corpo docenti non perde l’attitude underground che caratterizzava i primi lavori, ma si arricchisce di nuove sonorità più pulite, tipicamente new wave, ed evolve in quello che potremmo definire un punk più beverino, che di conseguenza non storce il naso davanti a qualche synth. 

Da menzionare anche la struttura dei cori, posizionati nei punti giusti e in grado di avvolgere l’ascoltatore; è quasi come se fosse la nostra coscienza a parlarci e a consigliarci di lasciare da parte tutto ciò che serve, per essere felici.

Anche la cover del brano incarna la sensazione di solitudine che viene approfondita nel testo. Due individui che nascondono i propri volti dietro ai petali di un papavero, nella speranza di non essere visti dall’altro. Il tratto di Margherita Morotti si fonde alla perfezione sulla penna di Lorenzo Manenti e riassume le sensazioni del brano con un artwork in pieno stile Corpo Docenti. Margherita infatti accompagna la band già dai tempi di Povere Bestie e racconta le vibes dei brani attraverso le sue illustrazioni e grafiche.

Nell’attesa di scoprire cosa ci riserverà la band nei prossimi mesi ci riproponiamo di andare a sentirli dal vivo nelle prossime date:

  • 06 novembre al Circolo Arcipelago di Cremona
  • 19 novembre al Ziggy Club di Torino
  • 02 dicembre a Mare Culturale Urbano a Milano

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La festa di Dischi Sotterranei mi ha salvato la vita

Che poi io non ce la faccio neanche più. A star dietro alle mille uscite settimanali, a capire di cosa parlano tutti, a cercare di riconoscere il volto della copertina di Scuola Indie e tutto il resto. Essere un musicofilo nel 2021 è davvero un casino. Ed è passato qualche anno da quando la realtà di Dischi Sotterranei, che in un periodo dove tutti si stupiscono di quanto sia incredibilmente creativa ARIETE (che poi nulla in contrario, sono stato anche a un suo concerto a Bergamo e mi sono innamorato della ragazza che poi mi ha riportato in stazione e non mi ha più risposto su Instagram), partoriscono un progetto come quello dei Post Nebbia: contro ogni regola, contro tutti, sempre. E quindi eccomi lì, qualche giorno fa, a prendere un treno per Padova per due giorni di musica firmati Dischi Sotterranei, due giorni di cui mi è piaciuto tutto tranne: il fatto che i bagni del cso Pedro erano abbastanza hardcore e mi sono scoperto vecchio e schizzinoso, il fatto che non sia riuscito a mangiare la pizza neanche una volta, il fatto che sia già finita.

MIVERGOGNO!

Entro al centro sociale occupato (ecco la CSO per chi, straniero in terra padovana come me, se l’è chiesto tante volte) con il cappotto tirato su fino alle orecchie, le scarpe di tela rigorosamente estive inzuppate e gli Orange Car Crash che fanno già un casino speciale, di quelli a cui non ero più abituato, di quelli che mi ricordano il 2019 e mi fanno venire la nostalgia di tutto quello che ho perduto in questi due anni, anni in cui sono invecchiato, in cui cominciano a farmi schifo i bagni sporchi, anni che nessuno mi ridarà più indietro. Birre, un freddo boia, le pizze che mi dicono tutti che sono buone (non riuscirò mai a mangiarle perchè ogni volta mi accorgerò di non avere cenato alle 2 inoltrate), libri ovunque, due palchi, gente che poga con la mascherina (essere ribelli rispettando le regole mi commuove e mi affascina), una gioia immensa. Palco piccolo, la follia ordinata di Vipera, palco grande i Vanarin, che sanno di casa e mi mancavano tantissimo.

Palco piccolo il post punk dei Kick, sarebbero piaciuti a quella ragazza che non mi ha più risposto su instagram, palco grande i New Candys già visti a Milano qualche giorno fa, ma qui la gente si abbraccia, si limona felice pensando quanto siamo cazzo fortunati che stiamo vedendo un concerto vero tutti vicini che volendo possiamo anche pogare malissimo, e il pogo malissimo arriva sul palco piccolo con gli Halley DNA che quasi qualcuno ci rimette qualche costola sputata fuori come in un film di Tarantino (sicuramente ritrovata il lunedì, quando qualcuno si sarà messo d’impegno a ripulire il cso Pedro), palco grande a ballare fino a tardi con quei pazzi dei Planet Opal. Non mi sono sentito solo neanche un momento, neanche quando ho chiamato un taxi per tornare a casa di quell’amico di mio padre che mi ha ospitato sul suo divano e tutti continuavano a spingermi da una parte all’altra. Padova ti vuole rapire e portare a ballare, a tutti i costi.

Michele Novak, Dischi Sotterranei

Sabato. Mi sveglio alle 2 del pomeriggio, leggo che c’è uno showcase dei Giallorenzo in un bar ma me lo perdo in pieno perchè non riesco a capire come arrivarci a piedi da dove sono io (sono anche un po’ pigro comunque, non prendetemi per scemo). Mi mangio le mani quando poi ritrovo delle storie su instagram di due miei conoscenti che invece erano lì. Finisco di nuovo al Pedro, mi innamoro di MIVERGOGNO! perchè si sente come mi sento io, e di nuovo palco piccolo Baobab!, una voce bellissima e libera di una ragazza che mi tormenterà, immenso Pietro Berselli che ritrovo dopo una data sempre a Bergamo, in tutto lo splendore che merita e un pubblico che conosce a memoria ogni suo brano, il benvenuto a te caro mio. Visconti & The Giallorenzos con quel rock, amore e svastiche, Jesse The Faccio che mancava come l’aria che più che un live ci regala una psicoterapia collettiva e catartica. Palco piccolo con i Laguna Bollente, surreali e con un attaccamento malsano per gli Oro Ciok, Post Nebbia: mia piccola rivelazione dell’anno, ma non di quest’anno, di tutti gli anni a venire, che mi ricorda che si può essere giovani e amare le chitarre, non vedo l’ora di poter dire io quella volta lì, c’ero.

Un DJ set di cui mi ricordo poco perchè finisco a bere con un gruppo di sconosciuti sotto la pioggia. Questi due giorni mi hanno portato ad una dimensione vera, quella dove ci si può toccare, quella dove ci si può scontrare, dove si possono conoscere persone nuove anche se si è sudati da far schifo, dove ci si può ubriacare senza venire giudicati, quella dove si vive di musica e quella dove ci si emoziona davvero. Perchè, e mi spiace dirlo, di come ci si sentisse a con certo di Jesse The Faccio io, dopo tutto questo casino globale, me n’ero dimenticato, e per qualche mese ho persino creduto che i concerti non mi mancassero davvero, non come l’andare a mangiare fuori o al baretto con gli amici. Stupido me, la musica dal vivo mi mancava come l’aria fresca, mi son sentito come quando si trattiene il respiro a lungo, per poi ritrovarsi affannati e respirare di nuovo. Così.

Che a non respirare a lungo, finisce che si muore.

Grazie.

Pietro Berselli

CM

foto di Simone Pezzolati, con pellicole Lomography

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Nicolaj Serjotti presenta il suo nuovo singolo “Toc x3 Freestyle”

Nella provincia di Milano gli artisti emergenti spuntano come funghi. Com’è naturale, per uno di realmente valido ce ne sono forse un centinaio di decisamente passabili. Questi ultimi molto spesso sono l’imitazione di questo o quell’altro big che già domina le classifiche, così da presentarsi in partenza senza un’identità propria. E poi ci sono quelli forti, quelli che ti rimangono in testa perché hanno un loro immaginario efficace e riconoscibile, uno stile originale e coerente (ma non necessariamente sempre uguale a se stesso) e qualcosa da comunicare. Nella loro musica e nel loro personaggio c’è qualcosa che, al netto di sacrosante influenze e contaminazioni, gli appartiene al 100%.

Uno di questi è senza dubbio Nicolaj Serjotti, nome d’arte di Nicolò Ceriotti. Classe ’98, è originario di Busto Garolfo, in quella grigia provincia milanese che fa da sfondo alle sue canzoni e in particolare al disco d’esordio Milano 7, uscito ormai quasi un anno fa per Virgin/La Tempesta.

Una penna elegante, capace di restituire fedelmente i pensieri e gli scenari che abitano la testa di un ragazzo che, nel suo essere comune, è fuori dal comune. Fuori dal comune perché evita la superficialità, ma non disdegna la semplicità. Fuori dal comune perché nei pezzi è il mood stesso che vuole trasmettere ad essere protagonista, non tanto uno specifico personaggio o argomento. Fuori dal comune perché dimostra che non occorre una vita da film per porsi le giuste domande ed avere qualcosa da raccontare.

Nicolaj Serjotti sta tornando e ce lo racconta bene con Toc 3x Freestyle, un singolo uscito di recente che anticipa l’arrivo di un nuovo disco “molto diretto, anche se pieno di stranezze”. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui per saperne di più.

Ciao Nicolò, permettimi di aprire con una domanda di rito: come stai?
Non male? Credo.

A fine novembre il tuo primo disco, Milano 7, spegnerà la sua prima candelina. Che rapporto hai sviluppato con la tua opera prima in questi mesi che ci separano dalla sua uscita? Lo senti ancora tuo al 100%?

Lo riascolto sempre volentieri, ma sicuramente lo sento mio più come un ricordo che come un qualcosa di attuale. Senza Milano 7 non sarebbe successo quello che è successo dopo, e adesso abbiamo chiuso un progetto nuovo che per me rappresenta davvero un passo avanti. Musicalmente, a livello visivo ma anche proprio per quanto riguarda il mio modo di rapportarmi a quello che faccio.

E mentre Milano 7 sta per compiere un anno, torni a far parlare di te con un nuovo singolo, Toc 3x Freestyle. Nel pezzo dici “nelle tasche è da un paio di mesi che ho un disco già pronto”. Dobbiamo aspettarci che presto esca dalle tue tasche e veda la luce?

Assolutamente sì. Facciamo scadere il 2021 e poi lo facciamo uscire, stiamo lavorando agli ultimi dettagli ma è davvero tutto pronto.

Toc 3x Freestyle si distingue anche e soprattutto per le sue sonorità profondamente rap, con barre crude sputate su un beat che picchia come un martello. Questo cambio di sound è qualcosa che caratterizzerà tutto il disco o è riservato solo al singolo che lo introduce?
Diciamo che Toc x3 non anticipa niente, se non che ho deciso che volevo rappare di più. Quindi sì, sarà un disco più strettamente rap, ma declinato in varie sfumature e con tante sonorità. Senza mezzi termini, molto diretto anche se ricco di stranezze.

La copertina del singolo mostra il tuo volto riflesso nello specchio mentre maneggi un rasoio elettrico. Quest’immagine ha a che fare metaforicamente con la volontà di dare un taglio al passato e scrivere una nuova pagina del tuo racconto? O sto solo facendo correre troppo la fantasia?
Da ragazzini praticavamo spesso l’arte del taglio en plein air in qualunque posto. Una volta nella neve con 5 gradi, un’altra in centro città. Quindi un pomeriggio mi è tornato in mente, ho scritto a Christian e abbiamo scattato. In generale direi che più che dare un taglio al passato, stiamo rifinendo sempre di più il processo.

La produzione di Toc 3x Freestyle è di Fight Pausa, tuo ormai fedele compagno di viaggio dal 2018. Sarà tra i protagonisti anche del nuovo disco?
Più che protagonista. Ha curato la produzione di tutti i pezzi e abbiamo sviluppato insieme l’idea sonora del progetto, come direzione e come scelte in itinere.

Prendendo in prestito le parole di Caparezza, il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Sei d’accordo? Senti la pressione di doverti confermare o vivi questa sfida con serenità?
Penso che sia difficile se con il primo disco sei diventato famoso. Io sono ok, sto già pensando al terzo, me la vivo più come un processo di evoluzione artistica e per ora mi sento in miglioramento. Ne riparliamo quando avrò superato il mio prime, lì forse mi preoccuperà fare un disco.

Quando non è indaffarato a fare musica, che musica ascolta Nicolaj Serjotti? Quali artisti lo ispirano e lo influenzano di più in questo periodo?

Tanti. Sintetizzo nei tre dischi che sto ascoltando di più ultimamente: 
Mount EerieNo Flashlight
21 Savage, Metro Boomin – SAVAGE MODE II

Injury Reserve By the Time I Get to Phoenix

Dopo due estati di sedie, distanziamenti e mascherine, la musica dal vivo come eravamo abituati a conoscerla sta finalmente ripartendo. Quanto ti manca il palco? Sei pronto a tornarci?

Vorrei riscoprirlo, perché alla fine il mio primo disco è uscito mentre eravamo in quarantena quindi non ho avuto troppe occasioni di suonarlo live. Però a settembre ho aperto il concerto di Generic Animal al Magnolia ed è stato pazzesco. Non vedo l’ora di riuscire a girare e soprattutto di portare questi nuovi pezzi dal vivo.

Di Pietro Possamai

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Internazionale Post-Punk

Le 5 cose preferite dei Viboras

I Viboras hanno recentemente pubblicato il nuovo disco “Eternal” (Ammonia Records). Un lavoro che sprigiona energia da ogni nota e che piacerà a tutti i fan del punk rock ma anche a chi nella musica ricerca la carica giusta per affrontare la vita. Abbiamo chiesto loro di dirci quali sono le 5 cose che preferiscono.


Rancid

Tutto inizia da loro o meglio tutto inizia ancora da loro. Non hanno inventato il punk ma hanno fatto in modo che il meglio dell’attitudine si combinasse con la modernità e il rispetto per il passato. Per noi restano un punto di partenza sempre attuale, il primo trittico della loro carriera ci ispira ancora oggi, se ascoltate bene tra le tracce di Eternal li troverete sicuramente


Animali

Molti dei nostri pezzi parlano di amicizie sincere e a volte perdute. Molti di questi amici sono i nostri amatissimi animali, esseri che hanno sempre molto da insegnare ai bipedi. Inoltre come band e singoli sosteniamo alcune associazioni senza scopo di lucro che difendono animali in gravi difficoltà e oggetto di violenza spesso per il triste uso che si fa in vari modi dei loro corpi.

Tatuaggi

Ci caratterizzano, in particolar modo i traditional, al punto che da sempre ne facciamo uno stile di vita. Non li abbiamo solo sulla pelle ma anche  nelle nostre canzoni. Fiori, figure sacre, spine, serpenti, cuore e sangue sono tra le nostre figure ricorrenti. Per noi rappresentano tutta la sofferenza ma anche la rivalsa che si può avere nei confronti di una vita che ti ripaga solo se ci credi fino in fondo. Scrutate la copertina di “Bleed Eternal” (vinile che unisce i due ep) disegnata da Irene mentre ascoltate “My Fate” e capirete.


Dal Tramonto all’alba

Un film che ci ha segnato. Un concentrato di tamarraggine in cui ci identifichiamo completamente a partire dalla bifasicità della storia. Un concentrato di Pulp, vampiri e mariachi incazzati. La track portante del film (ricordate l’entrata di Salma Hayek) di Tito & Tarantula completa una storia in cui ci vediamo a pieno. Viboras e Dal tramonto all’alba? Ma certo!

Maculato

Ma quanto ci piace, sta bene ovunque! Calze, tracolle, giacche, chitarre e tutto ciò in cui si può inserire. Ovviamente rigorosamente falsissimo perché come si è già dedotto siamo animalisti convinti. Stranamente non lo abbiamo mai usato per un artwork, probabilmente sta bene ovunque ma non su una cover…o forse si. Si vedrà!

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Il Conte Biagio sta portando avanti un tour segreto, ed è tutto bellissimo

Immaginatevi di vedere il vostro cantautore preferito (che ok, magari non è il Conte Biagio – e non stiamo parlando di bravura, ma solo di statistica – ), e di poterlo avere tutto per voi e pochi altri per una sera, poterci parlare, poter condividere una bottiglia di vino e potersi vivere un concertino come se si fosse ad una cena tra amici, di quelle che ci hanno riempito le settimane durante i periodi di zona rossa, che non rimpiangiamo se non per questo: che bastava una chitarra e qualcuno con un po’ di inventiva per vivere un momento magico. Il Conte Biagio sta portando avanti la propria battaglia: un tour segreto ormai alla sua ottava tappa in piccole location di Milano, l’annuncio sui social il giorno stesso e tutti i dettagli solo per chi riesce a prenotarsi, il risultato è sempre una bevuta con lui, otto-dieci persone intorno, luci soffuse e un concertino chitarra e voce irripetibile.  Un viaggio alternativo per le strade di Milano: live intimi chitarra e voce nei quartieri più belli del capoluogo lombardo. 


 

Il Conte Biagio, all’anagrafe Biagio Conte è un cantautore classe ‘89 originario di Palomonte. Grazie ad un campagna di crowdfunding si è esibito nelle piazze delle più grandi città d’Italia, come musicista di strada da Milano a Catania – 10 città in 10 giorni. Occhiali a specchio è uno dei singoli più significativi per il suo percorso, il videoclip del brano è ambientato a Roma e qui Il Conte Biagio spacca i telefoni ai passanti, e finisce sul noto tabloid britannico “Daily Mirror” che ha voluto caricare un estratto del video sul proprio sito ed intervistare Il Conte.

Uno degli ultimi appuntamenti del Secret Tour è stato accolto all’Art Mall di via Torino a Milano. Un sabato sera, fuori la pioggia, dentro un tavolo con calici di vino, cappotti sulle sedie e un concertino privato, solo una decina scarsa di fortunati, chitarra e voce, e le canzoni del Conte Biagio. Occhiali a specchio per chi combatte sempre con i soci, Università per chi si è trovato per un periodo immerso in avventure ma a sentirsi comunque solo, Depressione per chiudere e scatenare i coretti.

Un concerto che sembra una serata tra amici, anche se in fondo il Secret Tour del Conte Biagio riunisce sconosciuti che rispondono ad una storia su Instagram e in comune hanno solo l’avere una serata libera. Sogniamo che una cosa del genere possa accedere anche con altri progetti, magari più famosi, magari anche solo diversi, per potersi riempire la settimana di seratine di concerti che ci fanno sentire importanti, che ci fanno sentire vicini agli artisti che di solito incontriamo svogliatamente solo su Spotify e ci fanno conoscere altri musicofili solitari. Il nostro consiglio? Seguire Il Conte Biagio per non perdersi le prossime tappe che potrebbero anche allargarsi fuori da Milano.

foto di Simone Pezzolati

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Avete mai sentito parlare di Kudalesimo?

I KU.DA nascono nel 2013, e dopo un po’ di anni su e giù dai palchi, hanno pubblicato lo scorso giugno il loro secondo album “Two Pathetic Soul”. Un lavoro con sfumature diverse che merita una chiacchierata.

Ciao KU.DA, descrivetevi in quattro aggettivi.

Ciao! Di solito la domanda è “descrivetevi con tre aggettivi,” quindi siamo contenti che ce ne sia uno bonus: avventurieri, caparbi, irrazionali e ovviamente “Patetici”

Il vostro ultimo album si intitola, appunto, “Two Pathetic Souls”. Un titolo curioso. Come va inteso l’aggettivo patetico?

Va inteso come da vocabolario: nel gergo popolare ha un’accezione svalutante, ma se pensiamo ad esempio alla celebre opera di Čajkovskij “La Patetica”, si capisce che è stata intitolata così intendendo un’esibizione di dolore e di malessere interiore inguaribile, che porta di conseguenza a un sentimento positivo che è la compassione. Con ciò non vogliamo auto-demolirci o, ancor peggio, fare gli intellettuali, ma prendere coscienza di noi stessi. Ci siamo fatti la domanda “ Stiamo bene? Siamo sereni?” E la risposta è quella che sentite nel disco.

Quest’estate avete aperto un concerto ai New Trolls: vi sentite più proiettati verso il futuro musicale o pensate sia più importante coltivare le radici?

Questa è una bella domanda, perché non ha una risposta giusta e quindi può aprire un bel dialogo! Le radici vanno sempre coltivate per stare in piedi e far sì che il vento che tira non ti abbatta. Abbiamo degli ascolti che influenzano il nostro gusto e il nostro modo di scrivere e credo lo influenzeranno per sempre. Crescendo però stiamo imparando ad ascoltare più noi stessi e quello che è il presente. Il futuro è incerto e imprevedibile, quindi proiettarci verso di esso non è sempre una cosa giusta, è più un ragionamento che dovrebbero fare gli imprenditori o i politici. La musica per noi è qualcosa di legato al presente.

Citando un vostro vecchio lavoro, che cos’è il Kudalesimo?

Il Kudalesimo è una sorta di nostra filosofia e anche una reinterpretazione dell’immaginario bucolico in cui viviamo. Per spiegarlo velocemente è un sogno ad occhi aperti: come quando da bambini il tuo giardino di casa diventava lo scenario di chissà quale fantasia, il castello con lo scivolo era un galeone dei pirati, il bosco in campagna celava chissà quali misteri, questo è Kudalesimo.

La vostra musica è sicuramente di respiro internazionale, ma avete mai pensato di scrivere testi in italiano?

Entrambi scriviamo delle cose in lingua madre, ma sono progetti paralleli e personali, quello che ci accomuna è l’amore per la musica internazionale e per la sperimentazione, quindi potremmo anche inserire l’italiano in dei lavori futuri, ma sempre con l’idea di rivolgerci ad un pubblico non solo italiano.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Come accennavamo il futuro è imprevedibile, ora stiamo sviluppando delle nuove idee con un respiro molto più gioioso e spensierato. Intanto stiamo fissando le date per questo autunno per fare ascoltare dal vivo il nuovo album e parte del primo. Per ora la smania di suonare dal vivo è quella più impellente.

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Intervista a Emma Nolde: approfondimento della sua nuova collaborazione artistica con Generic Animal

Alla vigilia del suo mini-tour in quattro date insieme all’amico Luca Galizia, in arte Generic Animal, abbiamo incontrato Emma Nolde e già vi anticipiamo che è stato super interessante. 

Emma nasce in quelli che Vasco Brondi definirebbe “anni ‘00” a San Miniato, un paese di poco meno di trentamila anime nella provincia di Pisa. Un’artista che mescola il rock, le tinte soul e una scrittura intima, il tutto condito da estrema eleganza e finezza derivanti dai suoi studi al Conservatorio. Il suo album d’esordio Toccaterra uscito a settembre dello scorso anno è piaciuto al pubblico ed ha strabiliato la critica. Pochi giorni fa è uscito il suo nuovo singolo in collaborazione con Generic Animal, dal titolo Un Mazzo di Chiavi, un Ombrello, Lì in Mezzo. I due hanno coronato la loro collaborazione artistica in quattro tappe: dal Bronson (Ravenna) al Locomotiv (Bologna) passando per l’Off (Modena) e il Circolo Kessel (RE). In queste due chiacchiere con Emma gli abbiamo chiesto del passato, del suo tour e del futuro, ma non siamo per gli spoiler.

Ciao! Innanzitutto, come nasce questo nuovo singolo? Ma soprattutto, come è scaturita la collaborazione con Generic Animal?

Ho iniziato a scrivere questo pezzo a casa al pianoforte, sapevo di cosa volessi parlare: avevo da poco perso un rapporto molto importante con un amico stretto, che però in qualche modo sapevo dovesse finire perché non era più sano. Sono una persona che perde sempre le cose, gli oggetti, chi mi sta vicino lo sa, e quindi volevo cercare di descrivere il posto dove si ritrovano accumulate tutte le cose che ho perso. 

Appena mi sono accorta che nel testo avevo iniziato a usare parole molto concrete e materiali mi è venuto in mente Luca (Generic Animal), che ha un modo di scrivere estremamente materiale. 

Usa parole di tutti i giorni inserite in contesti diversi. Già ci eravamo conosciuti, gli ho mandato il pezzo, gli è piaciuto e lo abbiamo finito insieme.

Da studente di marketing e comunicazione d’impresa salta subito agli occhi il titolo: Un Mazzo di Chiavi, un Ombrello, Lì in Mezzo. È un titolo “tecnicamente anticomunicativo”: Da dove arriva? E perché?

È un’idea di Generic Animal, si è ispirato ai titoloni lunghi dei pezzi post rock anni ‘90. Quando me lo ha proposto io invece mi sono immaginata un romanzo, il titolo di un libro di narrativa, e mi sembrava perfetto per una canzone che secondo me racconta una storia ben precisa, che si apre e si chiude. Una sorta non solo di capitolo, ma proprio di storia a parte, che sapevo di non voler inserire nel disco a cui sto lavorando.

Riguardo la scrittura del testo, ognuno ha scritto la sua strofa oppure oppure è stato una sorta di “mashup narrativo”? 

Ognuno ha scritto la sua strofa, il finale lo abbiamo scritto insieme mentre registravamo a Milano le voci di Generic Animal.

Passando al “mini tour” che inizierà il 4 novembre al Kessel di Cavriago, cosa dobbiamo aspettarci? Come dividerete il palco tu e Luca?

Aspettatevi caos (ride), suoneremo l’uno i pezzi dell’altro, ci scambieremo chitarre, ci alterneremo tutto ciò in tre metri di palco nei club, sarà divertente e vivo. 

Già nel 2019 eri nei CBCR di Rockit e il tuo album Toccaterra del 2020 è stato riconosciuto come uno dei miglior album italiani dell’anno appena concluso. Quando hai scoperto la tua passione per la musica? E che influenze musicali hai avuto?

In modo più serio l’ho scoperta a circa 15 anni, a quell’età ascoltavo  

Ed Sheeran e basta (ride), poi ho scoperto Damien RiceLauryn Hill, poi i RadioheadJames BlakeBon Iver, Ben Howard.

Nel film Begin Again con Mark Ruffalo c’è una frase che dice: “Puoi capire tante cose da una persona dalle sue playlist.” Cosa c’è nelle playlist di Emma Nolde?

In questo momento soprattutto Phoebe BridgersLittle SimzAquiloMicheal KiwanukaFleetwood Mac.

Quali sono i tuoi progetti futuri a livello musicale passato questo mini tour?

Finire di registrare il nuovo disco e poi farlo uscire con un immaginario forte e che lo rispetti e rispecchi.

Dove speri di vederti artisticamente a 25 anni? 

Spero di crescere artisticamente, di saper suonare meglio, di essere molto consapevole del mio suono ma di sperimentare sempre tanto. Spero che questa ricerca di parole e di suoni sinceri mi porti a costruire un pubblico che rimanga nel tempo.

Intervista di Davide Vagnarelli  

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Le 5 cose preferite dei Listrea

Esce oggi venerdì 5 novembre 2021 “USTIONE”, il nuovo singolo dei LISTREA. Durante l’estate, la band lombarda, inizia la scrittura di un nuovo nucleo di canzoni, registrate e prodotte completamente in home recording l’inverno stesso e “Ustione” è la prima di queste tracce che faranno parte dell’album d’esordio dei Listrea. Un disturbante mondo che ci riporta nei locali sotterranei e nel cuore della scena musicale underground: un mondo nostalgico che mischia elementi di noise, psichedelia e progressive e che ora, dopo una pandemia globale, ci sembra fantascientifico e sconosciuto. Benvenuti.  

Ustione è il secondo singolo estratto da Formicolio, il nostro album di debutto. È un pezzo nato in saletta, un pomeriggio che, quasi per gioco, ci eravamo scambiati gli strumenti. Quando è arrivato il momento di registrare ciò che avevamo preparato insieme, abbiamo cercato di mescolare le chitarre noise con degli elementi per noi relativamente nuovi: un sintetizzatore e delle percussioni elettroniche programmate, che insieme alla batteria acustica vanno a costituire il cuore e il motore della canzone. Nei ritornelli, la voce di Chiara Amalia, cara amica e 1/2 del duo sweet noise/post-punk KICK, ci è sembrata naturalmente perfetta per l’atmosfera che cercavamo di evocare con le parole del testo in quella sezione.” Listrea

Non abbiamo saputo resistere, e abbiamo chiesto loro quali sono le loro cinque cose preferite.

  • La saletta: “la saletta” non può che essere la nostra prima cosa preferita come gruppo. Geograficamente è una stanza tra le colline della provincia di Brescia, abbastanza difficile da raggiungere. È là che tutte le nostre canzoni hanno origine, da là il nostro suono nasce. Ci piace pensare che, attraverso le porte sottili che ci separano dall’esterno, ciò che proviamo per ore si diffonda attraverso la valle sottostante, magari trasportato in seguito dalle particelle di smog e foschia che avvolgono la pianura padana. Di sera, le luci delle persone che abitano sotto di noi sembrano dipinte da un qualche impressionista, per via della cappa d’inquinamento che riposa sugli agglomerati urbani. È un posto in cui riflettiamo, condividiamo e viviamo molto, oltre l’eccezione biologica del termine. Per ora nessuno si è lamentato del rumore.
  • Carmine: un altro luogo. Questo porta il nome di una persona, ed è così familiare che ci si pensa poco, ma la cosa è buffa a ben vedere. Il Carmine è un quartiere della nostra città pregno di storia e cultura popolare. È cambiato moltissimo nel corso degli anni, e probabilmente continuerà a farlo (sta cambiando per l’ennesima volta in questo momento). Ecco un primo aspetto affascinante di questo luogo, un aspetto che ci permette quasi di tracciare dei parallelismi con il nostro approccio alla musica: non è mai stato statico, perché pensiamo che artisticamente lo stare fermi equivalga alla morte. In Carmine ci andiamo quasi tutti i fine settimana per incontrare amici, anche se raramente ci si va insieme. 
  • Stare fisicamente su un palco: saremo molto concisi: è la cosa più bella dello stare insieme a livello artistico. Ogni volta che saliamo su un palco siamo grati di poterlo fare, e quando scendiamo abbiamo piccoli istanti depressivi che si traghettano in malinconia express per il giorno dopo. Ma il meccanismo magico che viene demistificato agli occhi e allo spirito di tutti e quattro in quei minuti è davvero troppo affascinante e potente per poterne fare a meno. Non vediamo l’ora di poter suonare ancora per qualcuno. 
  • Pastasciutta dopo le prove: cerchiamo di provare il più possibile con rigore e produttività. Suonare insieme, che sia per preparare dei concerti, scrivere un disco o improvvisare ci dona quasi sempre vitalità e gioia. Tutto ciò è però smisuratamente amplificato dalla cena post-prove in saletta. E il rigore si smolla dietro alle birrette che accompagnano la metaforica pasta in compagnia.
  • Ossi di seppia” di Eugenio Montale: ci siamo conosciuti nella seconda metà degli anni di Liceo. Alle prove si parlava spesso di ciò che era accaduto durante la giornata a scuola, e in particolare di quello che si studiava in letteratura. Bafyo, Andre e Edo venivano da un’esperienza precedente in cui si cantava in inglese, ma quando abbiamo conosciuto Føbie come batterista avevamo già deciso da tempo che avremmo cantato in italiano. Stavamo cercando – a dire il vero, brancolando abbastanza nel buio – una nuova identità, e pensavamo che se avessimo trovato qualcosa di abbastanza letterario da poter ispirare i nostri testi avremmo fatto una buona impressione, dimostrando di scrivere in modo interessante. Si studiava Montale, con la smania dei programmi scolastici durante le ultime settimane prima della Maturità. Qualcuno se ne innamorò, e chiacchierando tra un pezzo e l’altro in saletta, scoprivamo che qualcun’altro già lo conosceva. Presto gli Ossi diventarono un terreno comune e calcificante, che andava di pari passo con la stesura delle prime bozze in italiano. Con il tempo abbiamo preferito abbandonare l’impronta d’ispirazione letteraria, ma le parole contenute nella Raccolta saranno sempre legate a quei primi giorni di vita, oltre che parte intrinseca delle personalità che costituiscono Listrea come entità espressiva.
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Indie Internazionale Pop

Le 5 cose preferite dei Labradors

I Labradors hanno recentemente pubblicato il nuovo singolo “Anger Management Plan n°327” (You Can’t Records /To lose la track), brano che segna il ritorno del power trio milanese dopo tre anni di silenzio e che ha conquistato l’inserimento in ben quattro playlist editoriali Spotify, tre delle quali global. Un risultato inaspettato ma che premia la qualità della loro musica. 

Noi li abbiamo incontrati per chiedere quali sono le loro cinque cosa preferite.

Weezer
Weezer è il nome che più spesso viene tirato in ballo quando si parla di Labradors, per una volta non a sproposito. Li seguiamo e amiamo da sempre, anche negli anni bui in cui erano diventati un meme vivente e pubblicavano musica discutibile. Poi a un certo punto si sono anche ripresi. AMPn327 è uno dei nostri pezzi in cui la loro influenza si sente più concretamente, chitarroni e quel retro gusto grunge ma catchy as fuck.

Le inside jokes
A volte i nostri pezzi nascono da piccole stronzate che succedono nella nostra vita quotidiana, cose per cui ci prendiamo per il culo a vicenda fino a diventare gag che durano anni. A parte Filippo, che dei tre è il più equilibrato, sia Pilli che Fabrizio hanno le loro issues per quanto la mala gestione della rabbia per esempio. Leggendarie le volte in cui Fabrizio ha disintegrato un porro sul piano della cucina dopo aver constatato che la sua gatta Doris gli aveva rosicchiato il cavo delle cuffie; o quella volta in cui Pilli ha scagliato un ventilatore contro la finestra in seguito a uno scazzo di coppia. Sì, quello stesso ventilatore sulla copertina di AMPn327.

“Worry” di Jeff Rosenstock
Raramente un album ci ha messo d’accordo totalmente come questo capolavoro. Jeff è un artista eccezionale e più o meno nel periodo in cui uscì “Worry” abbiamo avuto la fortuna di fare due date con lui in Italia (torna Jeff!), grazie ai nostri amici Sarah e Raffaele di Grasparossa Events. La sua influenza si è fatta sentire per tanto tempo dopo quelle date e nella linea vocale di AMPn327 abbiamo voluto omaggiare il suo modo un pò scriteriato di cantare.

“Teenage Sister”
Anche se cambiamo spesso stile nei nostri pezzi, ogni tanto ci piace mantenere una sorta di fil rouge con qualcosa che abbiamo fatto in passato. La reference per il nostro ultimo pezzo per quanto riguarda il sound è stata…un altro nostro pezzo: “Teenage Sister” sull’album “Growing Back” del 2013. Uno dei pezzi più croccanti che abbiamo mai fatto, non suonava come nient’altro su quel disco (che pure era molto croccante)e non è mai più uscito dalla nostra scaletta live.

L’aggettivo “croccante”
Qualcuno recentemente ci ha fatto notare che lo usiamo molto spesso, forse troppo. E’ così. Ci piace tantissimo. Croccante. Con il nostro nuovo singolo, poi, casca proprio a fagiolo.