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REA: RESPIRO È IL PRIMO BRANO DOPO LA PARTECIPAZIONE AD AMICI

Respiro è il nuovo singolo di Rea, la rivelazione del pomeridiano di Amici, e il primo brano pubblicato dopo essere uscita dalla scuola di Maria De Filippi. Su un sound accattivante dominato dalla chitarra elettrica e dai synth si innesta la voce della giovane cantautrice bolognese che mostra un lato più intimo della propria scrittura, senza rinunciare all’orecchiabilità e a una melodia di facile presa. Un testo che racconta del bisogno di aiuto quando si affronta un cambiamento, di sguardi che si incrociano, dell’empatia come elemento fondamentale per acquistare fiducia nei confronti dell’altro. Un brano da dedicare a chi ha le spalle larghe per proteggerci quando siamo in balia degli eventi e non siamo in grado di decidere da soli, da ascoltare con le cuffie al massimo quando si passeggia per le strade deserte nel cuore della notte.  Respiro farà parte di un concept album, la cui uscita è prevista per l’estate.

Abbiamo chiesto a REA di rispondere alle nostre domande:

Ciao Rea, quali sono le cose che più di tutte ti fanno respirare cioè ti mettono in pace con te stessa?
Beh diciamo che sono una persona che non sta mai ferma quindi le uniche cose che mi mettono in pace con me stessa sono i momenti in cui ho raggiungo un obiettivo che mi ero prefissata.

Nel pezzo parli di cambiamenti, nella tua vita quale pensi sia stato il più grande?
Sicuramente Amici è stato un grossissimo cambiamento non tanto per la durata dell’esperienza quanto per la consapevolezza che ho raggiunto stando là dentro.Prima di entrare avevo tantissimi dubbi sul mio futuro. Non che questi siano magicamente spariti anche perché ho diciott’anni ma sicuramente un percorso del genere mi ha portata a chiedermi veramente cosa voglia fare nella mia vita senza più farmi influenzare da quello che gli altri magari si aspettano da me.

Raccontaci una tua giornata tipo!
Mi sveglio (e già meno male) poi solitamente Studio qualcosa (teoria per la patente o qualche materia scolastica) poi solitamente dopo pranzo vado in studio. Il pomeriggio è diviso in due momenti: quello in cui mi dedico alla preparazione dei live quindi provo i pezzi e poi il momento in cui vado avanti con la realizzazione dell’EP.Spesso inoltre mi dedico anche ad altre attività del mio progetto come l’ideazione di una copertina, di un videoclip ecc.Ah e non scordiamoci delle lezioni di canto fondamentali!!

Sei un’appassionata di cinema, i tuoi tre registi preferiti?
Spero di non essere vessata per i miei gusti ma sul podio ci sono Wes Anderson, Bertolucci e Tarantino.
Ci racconti qualcosa in più riguardo alla copertina di Respiro?
Una volta finito il pezzo avevo già chiara in mente l’immagine della copertina.In essa è presente una scia di luce che doveva rappresentare la materializzazione del respiro.Per rendere questo effetto ben visibile ho scelto uno sfondo nero in quanto faceva decisamente contrasto con pelle, capelli e outfit. È stato difficile ottenere questo effetto in quanto per la realizzazione della foto sono stati utilizzati tempi molto lunghi disposizione non semplicissimi da usare.

Adesso dopo questo singolo cosa dobbiamo aspettarci da te?
Tra non molto uscirà un altro singolo e poi un EP a inizio estate!! Il 15 maggio lo presenterò in anteprima al Locomotiv Club di Bologna, vi aspetto!

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Le cinque cose preferite dei Regione Trucco

I Regione Trucco sono una band di Ivrea composta da Umberto d’Alessandro (chitarra e voce), Andrea Re (tastiera, synth, un sacco di altre cose), Manuel Pozzo (batteria, sample pad) e Massimo Notarpietro (basso). “Linguette” è il loro nuovo singolo uscito il 15 aprile per Amarena Records e distribuito da Ada Music Italy che anticipa il nuovo album di prossima uscita. Il brano, che arriva dopo il primo album con la produzione artistica di Cosmo, parla di come la natura umana, nel costante sforzo di dare senso alle cose, talvolta sia estremamente razionale e, in altri casi, ricerchi invece le risposte nei modi più goliardici o scaramantici, come nelle linguette delle lattine della Coca Cola.

Abbiamo chiesto alla band di scegliere 5 oggetti per raccontarsi

La bottiglia di vino

Fedele compagna, sempre presente in sala prove e nell’home studio dove facciamo le preproduzioni. Aiuta a sviluppare la creatività e a mantenere conviviale e rustico il clima che contraddistingue la nostra band. 

Pedal Board

La prima Pedal Board di Umberto: durante uno dei primi live in cui Umberto usava solo la chitarra acustica e aveva solo il pedale dell’accordatore abbiamo ricevuto le critiche dei tecnici di palco, i quali ci hanno detto che era poco professionale presentarsi con un pedale “sfuso”. Quindi per ovviare a questa carenza di professionalità Umberto ha preso una scatola di legno di quelle che contengono le bottiglie di vino e ne ha ricavato una pedal board. Oggi ne ha una vera, ma questa è rimasta in sala prove (può sempre servire).

La “Cabina”

La “Cabina” per registrare le voci: opera di alta ingegneria del suono, costruita con pannelli di legno, rivestiti da lana di roccia. Porta costruita con coperta militare originale della seconda guerra mondiale ereditata dalla nonna di Umberto. Il risultato della qualità delle registrazioni delle voci per le preproduzioni è stato sinceramente sorprendente.

Il posacenere

Indispensabile nell’home studio, in sala prove e in qualunque luogo sia presente Andrea. Non sappiamo se l’intenzione sia quella di ricreare l’atmosfera fumosa dei jazz club americani anni 50, ma il risultato è sicuramente molto simile. Diciamo se un giorno dovessimo mettere in vendita l’attrezzatura del nostro home studio non potremmo accompagnarla con la classica dicitura: “utilizzata sempre in ambiente non fumatori”. 

La finestra

La natura che entra nella stanza: è una componente concreta sempre presente nei luoghi dove scriviamo, arrangiamo o registriamo. Non potremmo mai farne a meno. Siamo cresciuti tutti in mezzo al verde e senza ci mancherebbe l’aria. Probabilmente se andasse di moda saremmo un gruppo country!

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Musica che profuma: a spasso con Marsali nel suo giardino di canzoni

Bella storia, quella di Marsali: spalle rese robuste da una frequentazione riuscita di canzoni e ascolti belli, da anni di scrittura e di testi lasciati nel cassetto prima di trovare la via espressiva giusta al fianco di un produttore capace, Nicola Marotta, che ha saputo restituire alle parole di Rebecca la giusta densità emotiva attraverso una “visione” d’insieme che in “Bouganville“, l’EP d’esordio dell’autrice pescarese, si fa sentire eccome.

Nella melina dei cinque brani dell’EP è praticamente impossibile non rimanere invischiati e coinvolti: c’è qualcosa, nelle parole di Marsali, che non può che ricordare i tempi di un’infanzia perduta, di una famigliarità con le piccole cose del quotidiano che sembra essersi sempre più persa tra i rumori di metropoli tentacolari, di strade che non hanno uscita ma solo entrata.

Insomma, nell’Ep di Marsali ci sono motivazioni giuste e sufficienti per fermarsi un attimo, riflettere sul presente e capire quanto ci mancano tante cose che credevamo essere superate, se non addirittura perse, e invece continuano a guardarci dallo spioncino degli anni, ricordandoci che – sotto certi punti di vista – non si cresce mai.

Bentornata su Perindiepoi, Marsali! Allora, partiamo dalle cose importanti: da poco hai pubblicato il tuo disco d’esordio, “Bouganville”. Perché proprio un EP, e non un album?

Ciao Perindiepoi! Beh per un’artista emergente ad oggi è rischioso anche pubblicare un ep, figuriamoci un album, ma ci tenevo che dopo i due primi singoli ci fosse un prodotto più corposo che potesse rappresentarmi nelle varie sfaccettature. 

“Bouganville” è un EP che sembra avere un profumo tutto suo: a me, personalmente, ricorda l’odore di lavanda della casa al mare dei miei nonni. Ed effettivamente, ascoltando la title-track, tutti questi elementi emergono e mi fanno pensare che alla fine l’aroma di “Bouganville” sia proprio quello. Che profumo hanno, per te, le bouganville?

Che bello! Sono felice che questo EP t’ispiri un ricordo così intimo. 

In verità “le Bouganville fuori alla finestra” (la frase con cui chiudo il disco) sono proprio quelle del giardino di casa di mia nonna e da lì sono partita per costruire tutto l’immaginario del brano e dell’intero disco. 

Quant’è durata la gestazione del disco? Hai lavorato singolo per singolo avendo già in testa la forma dell’EP oppure è stato un “cantiere aperto” fino all’ultimo?

In realtà ci abbiamo messo poco ad avere un’idea chiara di quello che sarebbe stato il disco quindi abbiamo lavorato singolo per singolo lavorando a 360 gradi. 

Dopo “La versione migliore di noi”, “Booking” ti ha anche regalato la soddisfazione di essere inserita tra i nomi caldi delle playlist editoriali Spotify. Insomma, la risposta alla domanda “si può essere indipendenti ed essere notati dagli addetti al settore” sembra essere sì, con te! Qual’è l’ingrediente segreto, secondo te, della riuscita di un progetto indipendente?

Forse non c’è una formula precisa ma credo che l’autenticità e la credibilità di un progetto siano buoni punti di partenza per aspirare ad un viaggio che duri nel tempo.

“Smarties” è forse il singolo più efficace dell’intero disco, con una spiccata propensione al racconto di un’intimità che ha radici profonde. La tua idea di pop, in effetti, rimane molto legata ad un’introspezione e ad una leggerezza che non cede alla superficialità. Ecco: cosa c’è nel pop di Marsali?

Hai detto bene, per me il pop è tutt’altro che banalità, anzi, è un genere che permette con semplicità ma in modo decisivo di comunicare dei messaggi con linguaggi universali. Nel mio pop vorrei che ci fosse sempre questo: una storia che si fa ricordare.

Domande defaticanti: associa ogni brano di “Bouganville” ad un cibo!

La versione migliore di noi – Spaghetti al pomodoro

Booking – Pop corn

Smarties – Gelato al pistacchio

Non parlo più – Patatine fritte

Bouganville – Cioccolata calda

E se invece dovessi dirci chi vincerà Sanremo nel 2030? Puoi rispondere, ovviamente, “Marsali”!

Beh mi auguro che Marsali lo vinca prima… ahahah!

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Tra i vinti dei Nomera: una chiacchiera sugli “Atti Osceni” della band toscana

Il disco dei Nomera è uno di quegli appuntamenti che abbiamo aspettato a lungo: è da tempo che seguiamo la band toscana, e negli scorsi mesi a più riprese abbiamo avuto modo di parlarvi di loro. Poi, un lungo silenzio che (a quanto pare) era più gravido di quanto potessimo immaginare: fatto sta, oggi i Nomera mettono un altro mattoncino essenziale alla costruzione di una casa che non cada al primo vento, ma che riesca piuttosto a farsi monumento di un certo slancio autorale che non teme di mescolarsi con l’elettronica e il rock. Un epopea che ammicca alla letteratura, e rivela la poliedricità di un gruppo giovane, sì, ma in evidente crescita.

Nomera, eccoci qui a parlare di “Atti Osceni”, il vostro nuovo disco. Partiamo dall’inizio: perché “Atti osceni”?

In realtà in origine il tutto sarebbe dovuto essere racchiuso sotto il nome dell’ultimo brano “Il circo dei vinti”.  Quasi tutti i personaggi delle canzoni sembrano essere impossibilitati, appunto, ad una qualsiasi  forma di vittoria, non tanto per colpa della loro abilità nel “gioco”,   quanto più per l’impossibilità di battere il “gioco” stesso. “Atti osceni” invece altro non è che il nome più immediato per indicare le azioni dei “Vinti” che, malinconici, euforici o rassegnati abitano il nostro album.

Ad un primo ascolto del disco, è impossibile non sottolineare una pluralità di stili di scrittura e melodia che rappresenta certamente la cifra stilistica principale di un disco fortemente contaminato. Come vi rapportate alla scrittura? Esistono dei ruoli ben precisi nella vostra band, oppure fate tutto “insieme”?

Il lavoro è corale, sempre. Una canzone magari nasce da un singolo membro del gruppo, ma alla fine passa sotto le mani di tutti. Il prodotto finito è la summa di tutte le idee della band. 

Impossibile, oggi che state festeggiando l’uscita del nuovo disco, non provare un attimo a soffermarci sul passato. Ve la ricordate la prima canzone dei Nomera? Quanto siete cambiati da allora?

Moltissimo. Siamo cresciuti esponenzialmente a livello linguistico, culturale, musicale e tecnico. Siamo passati dall’essere diciottenni che suonavano senza avere ben in testa un’idea, all’essere una band matura e consapevole dei propri punti di forza e dei propri limiti.

Esiste un filo rosso capace di collegare tutti i brani fra loro? Qualcosa che, insomma, stabilisca il concept dell’intero disco?

Direi che di fili ce ne sono molti in realtà: a partire da quello dei primi tre brani, strettamente consequenziali e auto conclusivi a livello narrativo, fino ad arrivare alle azioni, agli “Atti osceni” talvolta, dei personaggi tra finzione e realtà nel disco. Comunque è la sconfitta, la vittoria del gioco sul giocatore, ad tenere in piedi la baracca.

Immaginatevi tra dieci anni. Dove vi vedete?

No comment. Impossibile saperlo ora, ovunque saremo saremo sempre fieri del nostro percorso musicale, di ogni sua singola tappa.

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Le 5 cose preferite di Wasabe

Wasabe, all’anagrafe Sabina Canton è una giovane cantautrice vicentina, tra le voci più promettenti del panorama indipendente. Spegnimi la testa è il suo nuovo singolo inserito da Spotify nelle playlist editoriali New Music Friday Italia, Graffiti Pop, Scuola Indie e  da Apple Music in New Music Daily.

Il brano parla delle piccole cose positive e belle in una relazione e della necessita di trovare nell’altra persona un appoggio ed una sicurezza. Un storia autobiografica che cerca di esorcizzare i problemi legati ai disturbi del comportamento alimentare che l’autrice ha dovuto affrontare. Un sound indie pop fresco ed orecchiabile, un invito a credere in noi stessi nonostante tutte le insicurezze che si possono avere.

Abbiamo chiesto a Wasabe di raccontarci quali sono le sue 5 cose preferite, ecco che cosa ci ha detto!

Chitarra

Non credo ci sia tanto da aggiungere. Se la mia passione per questo strumento non fosse mai iniziata non sarei quella che sono ora e wasabe non esisterebbe.Mi ci sono avvicinata fin da piccola grazie ai miei cugini e non smetterò mai di ringraziarli perchè con il tempo è diventato un mezzo per esprimere tutte quelle sensazioni che non riesco ad esternare nella vita di tutti i giorni.

Cuffie

Vivo, studio e viaggio con la musica. Mi fa compagnia quando sono sola, mi aiuta a concentrarmi e a rilassarmi, magari prima di un esame.Senza le mie cuffie un viaggio in treno sarebbe solo una trafila di paesaggi che scorrono davanti ai miei occhi, ma con la musica tutto si trasforma e assume un significato più profondo. Anche una giornata può trasmettermi felicità con il giusto sottofondo.

I dolori del giovane Werther (Goethe)

Questo è un libro che in verità ho letto molto recentemente, mi ero appena messa con Viola, la mia ragazza.Quando provo dei sentimenti, di qualsiasi natura siano, faccio davvero fatica ad analizzarli e riconoscerli, finendo per dubitare di me stessa. Grazie a Goethe sono riuscita ad autoanalizzarmi, mettendo in ordine tutto quello che provo. Mi rispecchio in tante delle sensazioni espresse da Werther nelle sue lettere e ne sono felice perchè ho capito che l’amore che si prova per qualcuno si fonda in realtà sulle piccole cose.

Anello della mia ragazza

Da alcuni mesi sono felice dopo davvero tanto tempo e questo anello mi ricorda il perchè. Che in un dato momento io sia o non sia con la mia ragazza questo anello mi ricorda che in qualsiasi modo vadano le cose lei rimarrà sempre una delle mie poche certezze.

Take off your pants and jacket (Blink-182)

Ultimo ma non meno importante, uno dei primi album che ho ascoltato quando ero ancora alla scoperta delle mie preferenze musicali. Questa band in particolare ha segnato un periodo relativamente lungo della mia vita e ci sono particolarmente affezionata. Probabilmente avrei un sound completamente diverso se non li avessi ascoltati cosi tanto.

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Ciao Manu ci racconta “Ziggy Stardust” con le sue cinque cose preferite

Ziggy Stardust è il nuovo brano di Ciao Manu. Un racconto lucido di sogni non realizzati, che pur mantenendo la solita ironia dell’autore, non nasconde luci ed ombre di un tempo ormai passato. Un excursus che passa tra i primi videogiochi, il “da grande voglio fare”, le prime avventure e i primi amori, fino ai primi miti che sembravano così lontani perché venivano dalla tv, anzi come Ziggy Stardust, venivano da un altro pianeta.
Cantautorato, indie e momenti elettronici, il mood più pop delle chitarre acustiche, contrapposto alle armonie più cupe del pianoforte e delle tastiere, tante fotografie di momenti e persone importanti.

Abbiamo chiesto a Ciao Manu di scegliere le sue 5 cose importanti per parlarci del loro nuovo brano

Home Studio

Il mio piccolo Home-studio è l’angolo dove mi rifugio, dove stacco la spina… quando sono quì può anche passare un intero weekend ed io non me ne accorgo… fuori può anche bruciare il mondo, ma io non lo noto nemmeno.
Quì è dove nascono i miei brani, dai provini agli arrangiamenti, dalle sperimentazioni alle prove per i live!

Panxo

Il mio Panxo è un cucciolone di 30Kg. Ad un cane non importa se sei bello o brutto, se sei ricco o povero, se sei intelligente o stupido, se sei brillante o impacciato… Lui ti ama incondizionatamente e ti seguirebbe fino in capo al mondo!

Il pugilato

ll pugilato al contrario di quello che può sembrare, è uno sport dove c’è tanta tecnica e strategia, e presuppone tanto impegno sia fisico che mentale. A me ha insegnato molto, anche ad essere paziente, ad incassare e ad attendere il momento giusto per colpire. Sul ring come nella vita!

Il Caffè

Il Caffè inteso non soltanto come bevanda che mi permette di cominciare bene anche le giornate più di merda, ma anche come rituale grazie al quale mi fermo a respirare un istante e a riflettere anche nei giorni più intensi. Infine è anche la più bella scusa grazie alla quale riesci a rivedere, anche se solo per pochi minuti, amici che non vedi mai.

La cucina

La cucina è creatività, mettere insieme piccoli ingredienti per ottenere un grande risultato. In cucina si parte seguendo le ricette della tradizione e poi si sperimenta aggiungendo innovazione… un pò come la musica.
E a me piace sia fare musica che cucinare!

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Intervista a Letyzia: Mostri è il nuovo singolo

Dopo il convincente debutto con “Buonanotte”, torna Letizya con il nuovo singolo “Mostri“, una ballad indie pop che parla di una relazione a distanza che finisce. La cantautrice si interroga sul valore che diamo ai rapporti, consapevoli di quanto sia sbagliato affidare a un altro la nostra felicità anche se era in grado di azzerare le paure e le insicurezze. “Mostri” è un viaggio di sola andata tra due giovani che concludono il percorso della loro storia.

Letizia Quattrucci, classe 2004, è una cantautrice originaria di Ceccano, in provincia di Frosinone. Inizia a cantare all’età di sette anni per poi presto imparare ad accompagnarsi con vari strumenti, dalla chitarra al pianoforte, fino a scoprire il basso. Dopo essersi fatta notare con una serie di cover sul suo profilo Instagram, pubblica il primo inedito nel 2020 dal titolo “Battito”. A gennaio 2022 pubblica, in collaborazione con l’Elephant Studio di Davide Gobello, il brano “Buonanotte”.

Abbiamo chiesto a Letyzia di rispondere alle nostre domande:

Ciao Letizya, è uscito il tuo nuovo singolo Mostri, ci racconti di cosa parla?

Ciao! Mostri parla di amori a distanza e racconta quello che prova chi resta e vede le cose cambiare senza poter fare niente. È nata dall’esperienza di una mia amica, ho cercato di immedesimarmi nella storia e raccontarla a modo mio. 

Sei felice dell’accoglienza che sta ricevendo?

Moltissimo, è stata una sorpresa e non potevo sperare in meglio!

Buonanotte invece ti ha visto esordire, quale messaggio hai voluto lanciare e ci racconti qualcosa sul videoclip?

Con Buonanotte ho voluto esprimere la voglia di sentirsi liberi e non giudicati che ho io così come tanti altri ragazzi della mia generazione. È stato anche il mio primo videoclip e non sapevo cosa aspettarmi ma alla fine mi sono divertita davvero molto a girarlo! 

Uscirà un video anche per Mostri?

Sì, è uscito pochi giorni fa in anteprima per Le Rane e lo potete trovare sul mio canale YouTube!

Se c’è un artista italiano con cui ti piacerebbe collaborare chi è e perché?

Mi piacerebbe tantissimo collaborare con Tommaso Paradiso perché è un artista che mi piace molto, soprattutto per il suo modo di scrivere e per l’atmosfera che riesce a creare nei suoi brani.

Dopo questi due primi brani cosa hai nel cassetto?

Stiamo già pensando a musica nuova e a occasioni interessanti dove far ascoltare il nostro progetto! E poi, tra i miei sogni nel cassetto, c’è quello di iniziare a lavorare al mio primo album.

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Ok, ti ho capito Celeste!

Quando è arrivata in redazione la proposta di Celeste mi sono interrogato a lungo su cosa fare dell’ascolto di quello strano EP che a gran voce chiedeva di essere compreso, andando oltre le prime risposte date dal gusto personale: ho premuto play, infatti, e subito hanno cominciato a proiettarsi sulle pareti del mio cervello immagini diverse, lungo il tracciato di un viaggio a metà tra l’onirico e il distopico tra mondi che oscillano tra romanticismo e sfacciataggine, rendendo davvero difficile per l’ascoltatore poter dire “ok, ti ho capito, Celeste!“.

Non perché la musica di Simone Furlani (nome da “borghese” di Celeste) rappresenti l’avanguardia criptica di quel cantautorato spesso un po’ fine a sé stesso che fa dell’inaccessibilità un vanto, tutt’altro! Il disco di Celeste, in realtà, è squisitamente pop sotto tutti i punti di vista: scrittura scorrevole, immaginifica il giusto ma sopratutto narrativa, sonorità che (lavorate a più mani da più produttori) mostrano una certa propensione per l’urban, il soul e l’hip hop, dimensione estetica del tutto che avvicina Simone ad un’ibridazione fra Gen Z e la figura del rocker senza tempo, che a petto nudo galoppa verso orizzonti nuovi.

La difficoltà, dunque, non sta tanto nei brani proposti e presentati singolarmente all’ascolto, quanto piuttosto nella sensazione che qualcosa sfugga all’immediato discernimento nelle trame di un lavoro che racconta uno stato emotivo in evoluzione, pronto a passare da uno stato solido ad uno sempre più liquido per sublimarsi quasi in gassoso arrivati all’ultimo brano.

Non c’è coerenza fra i brani a livello musicale, e questo non rappresenta un punto di debolezza ma di forza, nell’ottica della comprensione di un progetto che scansa volutamente l’uniformità per tirar fuori dal cilindro qualcosa di “proprio”, a prescindere dall’abito che la canzone si trova ad incollarsi addosso.

Insomma, gli spunti c’erano tutti per non perdere l’occasione di fare qualche domanda al cantautore veneto, che si è ben prestato al nostro fuoco incrociato.

Simone, per il mondo del pop Celeste; ti avranno già fatto questa domanda un sacco di volte, ma non possiamo tirarci indietro dal sondare la nostra curiosità: perché “Celeste”?

La parola “celeste”, apparsa in modo totalmente casuale sulla mia strada, racchiude in qualche modo tutto ciò che voglio portare con i miei racconti, oltre che rappresentare l’approccio che vorrei avere nei confronti della musica. Celeste rappresenta dunque un intricato Universo di elementi prettamente concettuali, dall’amore ai sogni, ma anche, seppur non ancora emerse, dalle insicurezze alla voglia di rivalsa.

“Universo” è il tuo EP d’esordio, anticipato dai singoli “Capriccio” e “18 anni” che, in qualche modo, già permettevano di intuire le molteplici direzioni musicali del lavoro complessivo. Ci racconti come hai lavorato alla produzione dell’extended play?

Le parole chiavi per la produzione di questo progetto sono due: Type Beat. Quest’ultimi rappresentano il pilastro fondamentale, non solo del mio, ma del percorso musicale di miriadi di altre persone. Al momento non ho ancora un produttore fidato, quindi un po’ per fare di necessità virtù, e un po’ per la voglia di addentrarmi nei meandri di questo fantastico mondo, ho deciso di mantenere e appoggiarmi in gran parte per questo progetto proprio ai fantomatici Type Beat di YouTube. In questo EP, per quanto breve, sono stati racchiusi molteplici generi: questo in quanto ho voluto portare più sfaccettature possibili del viaggio narrato.  

Come succede spesso, tra i brani mi ha colpito molto l’ultimo, che sembra quasi chiosare sul viaggio musicale di “Universo” con uno spunto di malinconia che non emerge negli altri brani. Ecco, è qui che sta l’anima di Celeste, divisa a metà tra lo slancio caustico di “Pariolina” e lo sguardo più laconico di “Mezza Estate”?

In passato, prima di approdare a questo viaggio e a Celeste, le mie canzoni erano prettamente lagne amorose scaturite da delusioni sentimentali. Con questo progetto però ho deciso di cogliere dalle esperienze vissute non più solo lo strazio per un qualcosa di appena concluso, ma il bello da un qualcosa che è appena passato. Questo l’ho fatto anche per il semplice motivo che avevo voglia di portare leggerezza grazie alla mia musica anche se, sicuramente, sono già in fase di sviluppo nuovi viaggi molto più intimi e personali. Per quanto ho indirettamente raccontato molto di me con questo EP, ci sono ancora tantissime cose delle quali voglio parlare e, in questo caso, magari lo farò proprio in prima persona.

“Universo”, il brano intendo, occupa giustamente la posizione centrale. Quali sono le cose più importanti del tuo, di universo personale? E qual è invece la peggior paura di Celeste?

La mia peggior, ma non più grande paura, credo sia il fatto di non riuscire a raggiungere gli obiettivi estremamente ambiziosi che costantemente mi pongo, essendo io molto critico e severo con me stesso. Per quanto riguarda gli elementi più importanti del mio Universo personale, credo si possano racchiudere in due macro categorie: la natura, per me luogo di pace sensoriale dalla frenesia e l’estetica goffa e “brutalista” della città; e l’amore, sia nei confronti di una ragazza, che per ogni relazione ed elemento che ci circonda. 

Senti, ma ci dici come ti è venuta in mente “Artemisia”? Me la immagino, chissà perché, come una visione, come una folgorazione…

In realtà, (s)fortunatamente, è qualcosa di molto più terreno e concreto. Come dico in “Pariolina” <<una diva di altri tempi, lo dice pure il tuo secondo nome>>, fa proprio riferimento ad Artemisia. Quest’ultima, dunque, è una persona realmente esistita, il caso poi ha voluto avesse un nome che così ben si prestava a raccontare le mie storie.

Sono previsti dei live, per i mesi a seguire? Stai già pensando a quale potrebbe essere un’idea di spettacolo? Il tutto sembra prestarsi bene a qualcosa che oscilli fra il concerto e la fiaba…

Mi piace molto l’idea della musica come viaggio, tanto terreno quanto sensoriale. Sono quindi dell’idea che sia fondamentale raccontarsi e raccontare una storia, sia da un punto di vista musicale e narrativo, ma anche puramente estetico. Tutto questo è dunque racchiuso all’interno della mia idea di spettacolo, un turbine di emozioni che si sposano in un perfetto sodalizio. Tutto questo al momento l’ho potuto vivere a due soli concerti: quello più recente di Venerus, e nel 2017 a quello dei Twenty One Pilots. Purtroppo al momento non sono ancora previsti live per i mesi a seguire, ma sicuramente mi mobiliterò presto per rimediare a questa grande mancanza. 

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Comunicato stampa Indie Intervista Pop

I Lamette ci raccontano “Plastica” con le loro cinque cose preferite

Il duo piacentino “LAMETTE” , torna con “PLASTICA”, il nuovo singolo uscito venerdì 18 febbraio ed inserito in New Music Friday Italia e Scuola Indie di Spotify, New Music Daily e Super Indie di Apple Music e Pop 2.0 di Amazon Music. Il brano parla di un ragazzo al quale è stato spezzato il cuore da una ragazza che ha saputo manipolarlo fino alla fine. Una storia d’amore finita male, uno sfogo contro la malinconia che in qualche modo ha come filo conduttore le paure e le ansie della Gen-Z.

LAMETTE è un progetto nato nel 2020, composto da Vasco Cassinelli e Cristian Pinieri. Il duo ha totalizzato oltre 300 mila streams su Spotify che li ha inseriti più volte nelle playlist editoriali, New Music Friday Italia, Scuola Indie, Una Vita In Università e la playlist ufficiale di Xfactor 2021.

Abbiamo chiesto ai Lamette di scegliere 5 oggetti per parlarci del loro nuovo brano

Chitarra Fender 

Cristian: “È uno strumento a cui sono molto legato, sin da quando ho iniziato a suonare. È stata il mio primo approccio con la musica, è tutt’ora il 90% dei nostri brani nasce da una demo chitarra/voce.”

 Videocamera vhs

Vasco: “Acquistata per la bellezza di 15€ ad un mercatino dell’antiquariato è una handycam e la uso principalmente per filmare cose a caso (la tengo sempre in macchina per ogni evenienza). Dà sempre quel tocco vintage che mi fa impazzire.”

 Vinile dei 1975

Cristian: “Attualmente è il disco a cui sono più legato, nonostante sia un album del 2013 suona ancora attuale, resta per me una grande fonte di ispirazione e di motivazione. Fun fact: la copia fisica l’ho appesa al muro perché il mio lettore si è rotto.”

 Rick&Morty

Vasco: “Da grande fan della serie tv ho iniziato a collezionare i pupazzetti e questo in particolare è il mio preferito.”

 Macchina fotografica Fujifilm

Cristian: “Oltre alla musica una mia grande passione è la fotografia, specialmente negli ultimi anni questa macchina è diventata il mio “must have” per qualsiasi uscita, da una serata con gli amici ad una session in studio.”

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Nella jungla tutta emiliana di Ibisco

Quando ho scoperto Ibisco, circa un paio di mesi fa nell’ambito della nostra rubrica “Dammi tre parole”, ho subito capito che sarebbe stato bello, un giorno, poterlo intervistare.

Sì, perché il ragazzo tutto broncio (fascinoso, sia chiaro!) e Joy Division è uno di quello che ha qualcosa da dire – anzi, più di qualcosa -, e che le volte che parla non passano inosservate le sue risposte e le sue argomentazioni, come ben emerge dall’intervista realizzata da Back To Futura nel salotto di La Jungla Factory; qualche giorno fa, trastullandomi sul web, sono inciampato infatti sulla prima puntata sinergica di “Back To La Jungla”, il format nato in collaborazione tra i due collettivi sopracitati grazie al supporto di Incontri Esistenziali, associazione culturale del bolognese che dal 2015 s’impegna a promuovere la cultura dell’incontro attraverso iniziative che vanno dal sociale al culturale.

E’ proprio nell’ottica di tale “mission” che il nostro caro Ibisco è stato coinvolto nella performance chitarra e voce che lo ha visto protagonista della prima puntata del format, per poi mettersi a nudo con Stefano Valli tra le piante e le belle vibrazioni dell’auditorium della Jungla: come poteva non salirmi la voglia di replicare, e di cogliere al volo l’occasione di fare anche io qualche domanda su “Nowhere Emilia”, il roboante disco d’esordio di Filippo, all’artista stesso?

Ne è venuta fuori una conversazione importante, che mi rende felice del lavoro che faccio. Che poi, è un lavoro? Non lo so, ma nel dubbio continuo per la mia strada: fosse mai, che per la via mi ricapiti di incontrare qualcos’altro di così luminoso come il diamante grezzo (volutamente tale!) che mi ha risposto nel modo che segue.

Filippo, partiamo dal titolo del tuo disco d’esordio, “Nowhere Emilia”. Come si fa ad essere “da nessuna parte” e contemporaneamente in un luogo così definito, come la tua Emilia?

Accade grazie ad una sorta di principio di ubiquità dei luoghi, la capacità che essi abbiano di essere contemporaneamente visibili al di fuori di noi, quali manifestazioni della civiltà e dei suoi opposti, e accessibili all’interno, sotto forma di introspezione, memoria, ricordi, immaginazione.

Certo che il rapporto con il tuo territorio deve avere influenzato la scrittura dell’album; scenari emiliani e periferia bolognese respirano a pieni polmoni attraverso le tracce del disco: che rapporto hai con l’Emilia? 

Un rapporto fatto di interminabile vagare, all’interno del quale le ore vengono fagocitate dai viaggi in auto per guadagnare soldi, dalle carenti memorie di serate urbane, dai moti muscolari ai confini della pianura e da sentimenti a perdita d’occhio.

Nei tuoi brani canti di un disagio che, se vogliamo, sembra raddensarsi attorno ad una visione delle cose che pare urlare, a suo modo, che non esiste alcun futuro. Quali sono i nuclei portanti della tua poetica?

Credo che alla base vi sia una sorta di esistenzialismo che, debole della sua normalizzazione avvenuta nel corso degli anni, per farsi ancora notare quale irrinunciabile punto di vista debba necessariamente alzare i toni. Poi ci sono la fragilità, la sessualità, l’innato desiderio di riscatto soggiacente all’era della disillusione. 

Batterie elettroniche che suonano nelle canoniche, casse sudicie da cui sembra scaturire la vita: gli ultimi, in senso quasi “deandreiano”, siamo noi, generazione allo sbando costantemente impegnata a cercare sé stessa lontano dalla plastificazione del nostro tempo. Credi che esista, nella tua scrittura, qualcosa che possa essere definito “generazionale”? E a questo punto ti chiedo se ti senti parte di qualcosa, di una “generazione sconfitta”.

Dal momento che le persone si rivelano molto più simili tra loro di quanto solitamente non pensino, credo che il vero “essere generazionale” risieda nella più brutale ricerca della sincerità. In questo senso, dal punto di vista della scrittura e della produzione, c’è stata molta attenzione. 

Più che sconfitta, la mia generazione, penso sia sempre più povera di scopi. Il futuro ha sempre meno dimensione. Da un punto di vista meramente masochistico, questo può portare per contrappunto alla formazione di un’urgenza espressiva senza precedenti, dalla quale possano emergere potenti risultati artistici.

Ecco, ho parlato di “beat generation” perché mi pare che il collegamento tra il tuo disco e certe letture (oltre che certi ascolti) sia evidente. Esistono dei libri che hanno influenzato la stesura di “Nowhere Emilia”?

Sicuramente “Noi, ragazzi dello Zoo di Berlino” di Christiane F e “Petrolio” di P. P. Pasolini.

In “B” duetti con Enula, nome conosciuto a chi frequenta la scena “underground”. Credi che oggi si possa ancora parlare di “scena”? Esiste, secondo te, una scena ben precisa come poteva essere negli anni Settanta/Ottanta per la scuola emiliana, genovese, milanese o romana?

“Scena” credo sia un termine meravigliosamente affetto da misticismo e autoironia. È la parola con cui si definisce l’indescrivibile Everest della musica emergente, un mondo dove molto spesso si confondono realtà e velleità, un gigantesco cosplay fatto di amore, sacrificio e un pizzico di spirito sedicente. A mio parere sono i festival a consacrare le varie “scene”, più che il territorio di provenienza.

Cosa vuol dire per Ibisco la parola “cantautore”? Perché in effetti la tua musica respira di uno slancio “autorale” più che evidente. E allora ti chiedo: cosa vuol dire, oggi, fare “canzone d’autore”? Sempre che tu ritenga che tale definizione generica possa, a suo modo, descrivere almeno parzialmente quello che fai.

È una parola che da un lato mi spaventa in quanto ormai sovraccarica di retorica passatista. Fare musica oggi significa inevitabilmente riassemblare elementi precostituiti nel modo più originale e inedito possibile. Il cantautorato, in questo senso, è un ingrediente, più che un’essenza.

Quali sono le tre cose che Ibisco meno sopporta della nostra contemporaneità.

Il bisogno di esprimersi da ignoranti (il silenzio non è un reato), L’ipocrisia di un sistema economico-politico troppo poco orientato al benessere sociale, la mascolinità tossica.

Raccontaci in una manciata di parole la tua esperienza a La Jungla Factory, dove hai recentemente riassaporato il gusto del “live” con una session acustica di “Chimiche”.

Punk, punk, punk. Persone che vivono con grande anima la missione della musica e dell’arte in generale. C’è bisogno di spazi come questo.

Chiudiamo con la più classica delle domande, che però oggi pare essere l’unica che conta: a quando dal vivo, in tour?

Ci stiamo preparando per iniziare a portare il disco live entro pochissimi mesi.