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Pop

Mani ci ha regalato la sua Moleskine

Questo qui che stiamo vivendo è uno di quei periodi sospesi, uno di quei periodi dove viene naturale fare i bilanci della propria vita, dove viene naturale essere malinconici per quello che avevamo, per tutti i piani sfumati improvvisamente. Se c’è una cosa che ci ha accumunati tutti in questo periodo, è sicuramente questa sensazione di sospensione estrema, che sembra essere stata tutta racchiusa nel disco Non cresciamo mai di Mani, un debutto intenso, autobiografico e inaspettato. Un’autobiografia musicale senza filtri, una delicatezza immersiva di chi svela completamente il suo mondo in un monolocale, una nuova storia contenuta in una vecchia Moleskine

Non cresciamo mai è proprio questo: una dichiarazione per chi è rimasto bloccato, per tutti noi che non siamo cresciuti negli ultimi due anni, per me e il mio trasloco a Milano che è diventato un limbo in cui rinchiudermi, un appartamento minuscolo in cui sopravvivere di piccole speranze. Mani, alterego di Marco Feliciani, racconta una generazione in bilico con una voce delicata e ipnotica, complice di melodie pop (che non disdegnano intrecci suggestivi di chitarre) che conquistano sin dal primo ascolto. Non cresciamo mai è anche un la title-track del disco che è una canzone d’amore incredibile, di quelle che avrei voluto scrivere la prima volta che mi sono innamorato, di quando più che la bellezza di una persona si nota il calore di un abbraccio, il contatto di maglioni nell’inverno più freddo del mondo. Mani è un narratore incredibile, che con parole semplici, racconta un mondo di sensazioni che è impossibile non sentire sulla propria pelle.

Se vi volete bene, entrate in un tunnel di malinconie, di dubbi e sospensioni. Se almeno una volta avete fatto fatica ad essere voi stessi, se almeno una volta avete abbracciato il vostro cuscino e se, come me, siete innamorati e non sapete di chi, Non cresciamo mai è una cura per i nervi incredibile. Immergetevi senza remore nel limbo di Mani e, se vi capita di crescere, va bene anche così.

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Indie Intervista Pop

STASERA MI BUTTO: Intervista a SCHIANTA

STASERA MI BUTTO” è il nuovo singolo di SCHIANTA (Calogero Chianta), nato nell’entro terra siciliano.  Il brano uscito per Aurora Dischi / ADA Music Italy, è stato inserito nelle playlist editoriali di Spotify, New Music Friday Italia, Sangue Giovane e Scuola Indie.

Il brano parla di quella “scossa” che si prova dopo una rottura, quel mix di rabbia, tristezza, strafottenza e amore che ti si muove nello stomaco subito dopo la fine di una relazione. Il sound, a metà tra indie old school e il pop punk, si rifà a la wave 80’s mixata a melodie più energiche di influenza post punk.

Schianta ha risposto alle nostre domande in questa intervista

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Intervista Pop

“Ero solo un bambino” è il nuovo singolo di Marco Galimberti

Oggi abbiamo il piacere di ospitare Marco Galimberti, in occasione della sua nuova uscita “Ero solo un bambino”. Ecco cosa ci ha raccontato!

Ciao, Marco benvenuto! Come stai? Soddisfatto di questa nuova uscita?

Ciao!!! Grazie per l’invito!!! Tutto bene dai, nonostante il periodo non sia proprio dei migliori. 

Sì, sono soddisfatto di questa nuova uscita, perché era una canzone che avevo nel mio pc da tanto tempo ormai e finalmente può arrivare alle orecchie di tutti. Sta avendo dei buoni risultati e soprattutto tanti commenti positivi, questo mi rende molto felice. Con questo brano sono arrivato terzo al Premio Mia Martini e ho vinto il premio per la miglior interpretazione.

Che emozioni speri di suscitare in chi ascolta il pezzo?

Spero che ascoltando il mio brano l’ascoltatore riesca ad immedesimarsi perché credo abbia un testo ed un significato abbastanza universale. Penso che di base la canzone si porti dietro un filo di nostalgia e di malinconia, ma anche voglia di rivalsa e perseveranza nel seguire i propri sogni.

A quali artisti italiani o internazionali ti sei ispirato nella tua musica?

I miei artisti italiani preferiti e dai quali cerco di carpire qualche segreto sono Fabrizio Moro, Ultimo e Cesare Cremonini. Potrei citare anche Renga e i cantautori del passato: da De Andrè a Dalla, passando per Baglioni e Venditti. Non ascolto tanta musica estera contemporanea.

Qual è il messaggio di Ero solo un bambino?

Tutti noi abbiamo sogni e speranze che durante il nostro percorso cerchiamo di raggiungere e la canzone parla proprio di questo. Soprattutto i sogni che si hanno da bambini sono i più veri e spesso commettiamo l’errore di arrenderci davanti alle difficoltà facendo, di fatto, un torto al bambino che siamo stati.

Com’è stato il processo di scrittura del brano? 

Scrissi il testo ormai un paio di anni fa in un momento in cui pensavo di abbandonare la mia, seppur breve, carriera musicale. Una sera è nato il testo di questa canzone, dopodiché è rimasto “in cantina” per qualche tempo. A fine 2020 dall’incontro con Luca Sala, autore che ha scritto per Emma, Tiromancino e altri grossi nomi della musica italiana, è nata la musica del brano fino al momento della registrazione delle voci che ha suggellato la creazione della canzone.

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Pop

Siamo stati nella camera di Chuck Delhi, DJ Gianlu on the mix e Stylex

Da venerdì 3 dicembre sarà disponibile in rotazione radiofonica e su tutte le piattaforme digitali “I WON’T GO” (Discolab Ed. Musicali), il nuovo singolo di CHUCK DELHI, STYLEX, DJ GIANLU ON THE MIX ft. JOEY LAW.

I won’t go” parla di qualcuno che rimane fedele alla propria strada o muore, indipendentemente dalle circostanze. I tempi possono diventare difficili e spaventosi da gestire da soli, quindi questa canzone è un impegno a non lasciare mai solo nessuno!

Dice Chuck Delhi a proposito del singolo«”I won’t go” nasce dalla voglia di realizzare una produzione discografica dopo tanti anni di esperienza come Dj. Nasce dalla collaborazione tra persone che sentivano l’esigenza di esprimere un concetto molto semplice ma molto importante e cioè l’importanza della coerenza e dell’aiutare il prossimo. In una società dove l’apparire ha preso il posto dell’essere, le persone con uno spessore morale sono quelle che alla lunga valgono di più. Le prove da affrontare sono all’ordine del giorno ma avere delle idee ed essere pronti a lottare per esse diventa decisivo come è decisivo l’aiutare le persone più deboli che non possono farcela da soli diventando empatici e superando le difficoltà aiutandosi a vicenda. Le sonorità sono attuali con quel tocco di stile italiano riconosciuto nel mondo e mi aspetto di arrivare ad un pubblico il più vasto possibile grazie alla rete, ma soprattutto alle persone che non mollano mai e condividono i miei stessi valori».

Per l’occasione abbiamo chiesto ai tre ci portarci a casa loro. Ecco com’è andata!

Stylex: Il mio studio rappresenta il mio mondo personale dove trovo fonte d’ispirazione per le mie produzioni musicali e spunti per trovare nuove idee che possano essere di gradimento per il pubblico.

Chuck Delhi: Se dovessi scegliere un oggetto al quale sono molto legato sceglierei sicuramente queste cuffie. Le posseggo da anni come si può vedere dall’usura dei padiglioni ma non potrei mai farne a meno poichè giorno dopo giorno mi permettono di collegarmi con il mio mondo, ovvero LA MUSICA! Mi permettono di poter vivere le emozioni che la musica mi trasmette.. Oltre il lato romantico dell’oggetto, c’è poi quello meramente pratico poichè le uso per dj set, ascoltare musica, guardare film e persino per fare chiamate e videocall. In una parola: UNICHE!

DJ Gianlu on the mix: Questa è la consolle dove nei dj set faccio ballare migliaia di persone e traggo ispirazione per le mie produzioni musicali nel mio studio.

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Pop

Cosa c’è nella camera di PYT

Dal 10 dicembre è disponibile in rotazione radiofonica “Stella Blu” (Platinum Label Snc), il nuovo singolo di PYT. Il brano, che vede la Produzione di GARELLI & YALUDREAM, è presente su tutte le piattaforme di streaming a partire dal 2 dicembre.

Una canzone può racchiudere un ricordo doloroso e, al contempo, curare in maniera miracolosa e inaspettata il cuore ferito di chi l’ascolta o canta: è questo il caso di “Stella Blu”, nuovo singolo di PYT. Una canzone totalmente autobiografica che l’artista ha scritto in un momento emotivamente difficile del suo trascorso sentimentale.

«Il pezzo nacque subito dopo che la mia ex mi lasciò – racconta Pyt – Ero in preda alla tristezza e una sera buttando giù due pensieri è nata “Stella Blu”. Pochi mesi dopo risposi ad una storia di Garelli che mi mandò diversi beat. Uno di questi è proprio quello di “Stella Blu”, dato che il testo calzava a pennello con la base. Il giorno dopo registrai tutto nel mio studio a casa e mandai tutto a YaluDream (il mio direttore artistico) che si innamorò subito della traccia. Posso definirlo il pezzo più personale che io abbia mai scritto fino ad ora».

Per l’occasione, siamo stati a casa sua ed ecco di quali oggetti ci ha raccontato la storia.

Questo è il mio posacenere preferito. Me l’ha regalato mia nonna ed è molto antico per questo ci sono davvero legato. È sempre al mio fianco mentre guardo un film,  ho la musica a manetta oppure mentre sono sul letto a pensare.

Il mio MacBook è una delle cose più importanti che ho; dentro c’è di tutto: provini, basi, foto…di tutto e di più. È dove nasce la mia creatività e il mio mondo lontano da tutti come se fosse una seconda casa ed è anche il posto dove si cela la mia parte più nascosta e intima.

Senza le mie AirPods non potrei uscire di casa. Ovunque vado sono sempre in tasca, anche per i viaggi più corti; ovviamente sempre volume al massimo. Con loro riascolto centinaia di volte i provini per sentire come suonano alle orecchie di un ragazzo o di una ragazza nella media.

Le mie Air Force di Off White sono uniche per un motivo, una è più grande dell’altra. Dopo la morte di Virgil non le ho più messe, ora sono lì sullo scaffale al sicuro. Mi furono regalate al mio diciottesimo infatti avreste dovuto vedere la faccia che ho fatto quando le ho tirate fuori dal sacchetto.

  • Questo giradischi era di mio padre, me l’ha regalato con tanto di centinaia di vinili che ormai mi invadono casa. Ascoltare la musica con un giradischi è tutta un’altra esperienza, non c’è nulla da fare. Su questo giradischi mio papà metteva spesso “Appetite For Destruction” dei Guns n’ Roses; me lo ricordo per il particolare mostro che c’era sulla copertina del vinile.
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    Indie Pop

    Dammi tre parole #2 – Dicembre

    Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.

    Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.

    Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote

    SVEGLIAGINEVRA

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    SANREMO

    Musica e fiori. Se penso a Sanremo, penso principalmente a queste due parole.

    Ogni anno, da anni e anni, la tradizione vuole che milioni e milioni di italiani siano lì, davanti alla tv, a guardare il festival più importante della musica italiana. E se è vero che la musica sia lo specchio della società in cui viviamo, Sanremo è sicuramente tra le la vetrine più grandi a cui un artista italiano può aspirare per essere riconosciuto come tale. Dev’essere proprio bello salire su quel palco.

    CANZONE

    La prima canzone che mi viene in mente in questo momento è “Senza Fine” di Gino Paoli. L’ho sentita prima in radio, mentre tornavo a casa. Una canzone può essere tante cose, può avere diversi significati per chi la scrive e per chi l’ascolta. Può aiutare per capire quello che ancora non abbiamo capito, confermare quello che sappiamo già, insegnare, far innamorare, far piangere e ridere e infinite altre cose. Questa è la musica e questo è il motivo per cui ho scelto di far sì che scrivere canzoni diventi il mio mestiere. 

    POP

    Pop dalla parola popolare, per tutti.  Erano artisti pop persino Mozart e Strauss, lo sono stati Armstrong e Ellington, Crosby e Sinatra e persino se non soprattutto Elvis quando trasformò il rock & roll nel nuovo pop dei suoi anni e i Beatles che, unificando musica e moda, influenzarono per sempre il concetto di musica divenendo la più grande band pop di tutti i tempi. Potrei fare altri mille nomi per dimostrare che più che un genere è un movimento sociale e culturale, associato di anno in anno alle mode e alle rivoluzioni. Evoluto e sviluppato negli anni in più sottogeneri, dal blues o dal jazz, è stata la musica contemporanea e moderna di ogni epoca, un segno generazionale distintivo. Chiudo il monologo (il mio prof all’università di storia della musica sarebbe super fiero di me) con un esempio che riguarda i giorni nostri. L’indie è il pop di oggi, la nostra musica popolare. Non pensate al genere musicale ma focalizzatevi sul linguaggio. Vent’anni fa, i gli adolescenti parlavano come nelle canzoni di Raf e Luca Carboni, oggi parlano come fanno Calcutta e Mahmood nelle loro. Per questo la canzone è lo specchio della società, lo vediamo dalle parole usate, dalle frasi, dalle citazioni, dalle tematiche importanti tirate in causa, dai bisogni emotivi ed esistenziali per le nostre generazioni che oggi sono diverse da quelle della generazione di mia madre per esempio. Evviva il Pop, sempre.

    IBISCO

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    (il festival di) Sanremo è il tempio della musica pop italiana (?) 

    Rompiamo gli indugi evitando di giocare a nascondino dentro piazze desolate: l’obiettivo di questo esercizio non sarà certo farmi parlare dell’urbanistica dell’estrema Liguria o della serialità di Andy Warhol

    Il punto di vista che maggiormente suscita il mio interesse in relazione a queste tre parole cerca di osservare quanto sia legittimo considerarle facenti parte di uno stesso discorso autoreferenziale. Dovrò necessariamente essere imparziale nel giudizio onde evitare di cadere in tediosi disappunti tanto retorici quanto potenziali cause di futuri incoerenti (perché nella vita mai dire mai). Sebbene il mio trascorso come ascoltatore di musica (italiana in questo caso) abbia mire ben lontane dai canoni che inevitabilmente un contenuto generalista come “il festival di” applichi alla sua selezione editoriale (senza offesa, è un dato di fatto) non posso fare altro che domandarmi per quale motivo io mi ritrovi ogni anno a guardarlo e, per di più, mi ritrovi ad assistere, all’interno del contesto in esame, all’esibizione di artisti che, forse per un mio vizio di forma, mai avrei accostato a Sanremo. Forse sono proprio tra coloro incapaci evitare la trappola della “logica delle quote”. Il pubblico indie (quello vero) certamente seguirà la kermesse se in “gara” ci saranno i Baustelle (in effetti mai vi hanno preso parte). Bando all’ironia, è la musica italiana che per legittimarsi quale popolare deve necessariamente passare dal certificato di partecipazione a Sanremo o la musica popolare (e quindi anche indie? Ma in che senso?) lo è a prescindere dai palinsesti dentro cui compete? Ha senso settare la musica sui linguaggi della competizione? Se sì, chi deve deciderne le sorti? Il referendum aka televoto o una giuria di sedicenti esperti che “w la musica elettronica perché ha un sound moderno”? Ma quindi chi ha vinto? Forse non so rispondere. In tutto questo mi chiedo perché ogni anno io guardi il trecentosettantottesimo festival della canzone italiana. Le opzioni di risposta tra cui scegliere sono: a) perché sono curioso; b) perché voglio “controllare” e sono masochisticamente invidioso; c) perché lo guardano tutti; d) “ah ma io non l’ho guardato, lo stava guardando mia madre ed ero lì anche io.” Fatemi sapere nei commenti del link in bio. 

    (“Tutto quello che ti viene in mente” dovrà necessariamente perdonare i formati anarchici.) 

    Allora diciamo che se sei “indie”, ma non hai un tatuaggio dei Joy Division sul costato, se ogni tanto di nascosto a mezzanotte di un qualsiasi venerdì dai una sbirciata alla “New music Friday”, ma in macchina ascolti il “This is Echo & The Bunnymen” eh… e partecipi a conversazioni dove si dice “che genere fai/fanno?”, ma in centro a Bologna e con l’indulgenza plenaria che causa bere birra in piazza San Francesco, allora forse, come me (forse), “pensavi di”, ma non ci stai capendo un cazzo di Sanremo, musica italiana, Pop. 

    STEFANELLI

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    Leggo queste parole e mi viene in mente tutta la mia giovinezza. Mi ricordo tutti i rituali collegati ad esse. Le serate di Sanremo con il volume basso del televisore e la Gialappa’s band in radio a tutto volume. Penso anche all’anno scorso. Ero in studio con i Blindur e lavoravamo a nuove idee. Durante quei giorni ovviamente non potevamo che fare il tifo per l’unico e solo concorrente in grado di arrivare in finale con un videoclip delle prove generali. Sono tempi difficili e i nuovi eroi hanno nuovi volti. IRAMA è stato il nostro eroe capace di travolgere un sistema complesso con un cavillo ancora più insensato e ha riempito i nostri cuori di gioia.

    Penso che la canzone pop sia sicuramente un ottimo ingrediente per unire le persone. Il rituale che ne consegue – tutti uniti attorno al fuoco – è la missione. 

    Spero di poter partecipare al gran festival perché sarebbe bellissimo e solo l’idea mi elettrizza. 

    I Phoenix hanno fatto un disco intero ambientato in Italia. Mi piace tutto “anche il mio lato brutto”. Ciao vi amo. 

    CASPIO

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    Se penso a Sanremo mi vengono in mente fiumi di parole. E mi viene in mente Fiumi di parole perché, alla fine, forse era ancora meglio quel Sanremo lì. Quello che odorava di naftalina, polvere e stantio anche attraverso lo schermo. Quello che non guardavamo. Nonostante avessi accolto con un certo entusiasmo le scelte felici (furbe) degli ultimi anni che l’hanno reso fruibile anche alle nuove generazioni, a tratti persino interessante, era meglio quel Sanremo lì. Perché quel Sanremo lì lasciava la musica indie in disparte, di nicchia, lontana. La lasciava essere ancora quello che dovrebbe essere oggi: distante dai numeri, dai palazzetti, dai feat con quelli tanto più famosi che ora vogliono te, indipendente, perché fa figo. Quel Sanremo lì lasciava l’indie essere ancora musica fuori dagli schemi del grande mercato. Quella musica che si fa per il più puro, semplice, dimenticato gusto di farla.

    FRAMBO

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    Non riesco a non pensare ai violini, e successivamente penso a casa dei nonni. La musica in casa mia c’è sempre stata, e Sanremo è un evento che in qualche modo riunisce tutti. Il dubbio che mi viene è: il pensiero dei nonni è solo un amarcord o si lega con il sapore del Festival? Effettivamente soltanto negli ultimissimi anni la kermesse si sta modernizzando con artisti freschi, giovani, alcuni anche della scena in cui mi trovo io. L’aria fresca fa sempre bene, e questo abbracciare la nuova leva della musica italiana mi fa proprio felice. C’è da dire che Sanremo si guarda non per trovare musica super ricercata, ma per ritrovarsi il Pop a cui siamo abituati da qualche annetto a questa parte. Ecco, secondo me c’è stato un bel cambio di genere: il festival è passato dall’italianissima canzone cantautorale italiana alla hit pop. Non che sia un male, anzi.

    LEO CALEO

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    Per quanto non sia troppo lontano dall’essere vetrina, con lo scopo di esporre le migliori scelte dell’anno scolastico,  Sanremo è un po’ come un Natale in famiglia, intrinseco di incomprensioni, disapprovazione, bellezza, novità e nonni che si ostinano a ripetere le stesse cose in un grande tavolo musicale. Credo che vada di pari passo con quella che definiamo “canzone pop” in Italia, dalle sviolinate retrò piene di leggera nostalgia o lo stesso “indie”, che ormai è talmente popolare da non esserlo quasi più. Io che vivo di nomadismo, di linguaggio musicale che forse è sempre in moto verso onde sonore internazionali,  non sono il più adatto a interpretare o analizzare il panorama della canzone italiana o lo stesso Sanremo, ma andando avanti con gli anni maturo sempre più l’idea che il Festival non sia solo un punto fermo in cui si diventa automaticamente dei critici musicali o completamente dei finti disinteressati, ma semplicemente un momento di comunità in cui possiamo renderci società su un ambito che non avrebbe senso di esistere, se non fosse sempre confrontato e messo in discussione. Tendo a non essere mai specifico, lo ritengo limitante sotto certi punti di vista perché nella nostra “forma canzone”  si trovano sempre aspetti positivi, negativi e soprattutto soggettivi e credo che il migliore modo di fare musica, che sia Italiana, pop, anti-pop o d’avanguardia, sia proprio farlo nel modo in cui ci sentiamo veri nel farlo, senza preoccuparsi in che mare di musica liquida, questa zattera, andrà a naufragare. La musica è un linguaggio e come tale serve per trasmettere  un messaggio e ognuno ha il proprio, forse basterebbe imparare di nuovo ad essere liberi di tirare fuori la propria essenza senza farsi “influencerare” dall’estetica del freddo mercato.

    SESTO

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    Sanremo, il concorso canoro, la gara tra canzoni, il momento giusto per farsi notare a tutti i costi. Lui è piaciuto più di lei o viceversa. Ammetto che non ci trovo nulla di reale in un concorso, la musica è emozione ma anche una cosa molto personale e soggettiva. 

    Sanremo è un programma televisivo, non musicale, ed andrebbe preso per tale. Come faccio a dire questo è più bello di questʼaltro?
    Sanremo lo vedo si come un opportunità per farsi vedere dal grande pubblico, ma quale grande pubblico segue Sanremo

    Lo fa per amore della musica? Si trova davanti allo schermo perché su Netflix quella sera non cʼè niente di interessante? Come vedi ho solo altre domande e nessuna risposta valida. 

    Amo la canzone Italiana nelle sue molteplici forme, amo il detto / non detto che ti lascia in bocca la nostra lingua in un testo a più strati.
    Alle volte il metatesto è più importante del testo, se hai davanti un ascoltatore pronto ad andare oltre. 

    Adoro le canzoni che non dicono niente ma lo dicono con grande maestria, con due o tre bei termini messi al punto giusto.
    Adoro le canzoni didascaliche che provano a spiegarti tutto ma poi ti trovi ad avere altre domande alle quali non riesci a dare risposta. 

    Il Pop nella mia vita non lʼho scelto, mi è stato tramandato dagli ascolti in casa dei miei , sempre attenti alle nuove uscite ma fedeli ai loro beniamini. Ho ascoltato moltissima musica di tutti i generi più o meno ( dal più duro al più classico), ma non ho mai abbandonato totalmente la canzone popolare, quella che è fatta semplice ma semplice non è, la musica per la gente comune. 

    TERACOMERA

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    Sanremo rievoca ricordi infantili, seduti su un classico divano da nonni impolverato ad aspettare il vincitore della competizione.

    Un palco affascinante con uno storico musicale che appartiene a poche altre realtà internazionali con competizioni artistiche difficili da accettare per i molti compromessi. Un lato della musica popolare che si divide tra imprenditoria e cuore musicale. La musica italiana a prescindere dal pop e dal festival non ha necessità di mezzi per aumentarne la qualità. Pensiamo che essa abbia una grande forza e molte volte venga sottovalutata.

    Un lessico complesso e carico di un emozionalità unica al mondo. Ha permesso anche alla musica popolare italiana di raggiungere una profondità artistica notevole rispetto ad altri lati della canzone commerciale più superficiali. Pop per molti è un aggettivo negativo da affiancare alla musica per colpa di tanti prodotti che puntano alla volatilità della canzone cercando di spremerla al massimo nel minor tempo possibile, mentre a prescindere da ogni genere che sia pop, cantautorato, rock o hip-hop se la musica ne è protagonista e le persone che ci hanno lavorato hanno investito impegno e passione, anche nel prodotto più commerciale troviamo idee musicali acute e diversi piani di lettura di un testo che al primo ascolto può sembrare superficiale.

    FRANCESCO PINTUS

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    Questa tavola rotonda sembra fatta apposta per questo periodo della mia vita. Sono stato a Sanremo per due week end nell’ultimo mese per le finali di Area Sanremo e forse proprio per questo ho molte più cose che mi vengono in mente alla luce di quello che ho vissuto, sentito e percepito in quei giorni. 

    Andando dritto al punto, penso a quanto trasversale sia il termine pop se visto verticalmente nel tempo. Mi spiego, nella canzone italiana ciò che è pop è sempre mutato in maniera connaturata alle tendenze musicali, il pop è sempre stata quella musica così potente da essere in grado di raggiungere le grandi masse, a prescindere dal significato che stava trasmettendo o dal genere proposto in senso strettamente musicale. E Sanremo in questo processo (anche se con tutti i ritardi annessi e connessi) ci rende in grado di percepire parte di questo cambiamento se osservato cronologicamente. Provate a pensare a tutti i vincitori di Sanremo dagli anni 50 ad oggi, osservarne il processo di mutazione stilistica e concettuale vuol dire anche fare un percorso storico tra le tendenze musicali italiane legate ai gusti dei più (qui si aprirebbe tutto un discorso su chi sono “i più” e su quanto le tendenze proposte da Sanremo vadano molto più incontro al target televisivo che alla popolazione nella sua interezza, due concetti che con l’avvento di internet e dello streaming si sono sempre più ricavati due spazi ben diversi, ma è un processo di cui tutti siamo consapevoli e che vi risparmio volentieri). 

    Il pensiero un po’ disordinato che sto cercando di esprimere è che, se anche volessimo per assunzione addossare a Sanremo la responsabilità di rappresentare la canzone pop italiana di anno in anno, tanto basterebbe a farci capire come il concetto di pop sia eterogeneo e mutevole, è che sia quindi più interpretabile come un atteggiamento, un’attitudine e una visione, piuttosto che un genere musicale in senso stretto. Il problema è che, come in tutti i paesi, anche l’Italia ha vissuto periodi caratterizzati da un “brutto” pop, che quindi ha fatto prendere a molti le distanze da questo termine in maniera protezionistica, per evitare di finire in un calderone di cui si aveva probabilmente paura.

    PAUL GIORGI

    Tutto quello che ti viene in mente se ti dico “Sanremo, Canzone, Pop”.

    Sanremo canzone italia pop

    Cosa penso se mi dicono: “Sanremo, canzone italiana, pop”.
    E’ una domanda difficile. Mi vengono in mente i fiori di certo.

    Mi vengono in mente quelle sere dell’anno che sembra tornare Natale intorno alla tv.
    Mi viene in mente uno dei primi video che guardai di Lucio Battisti (anche perchè non ce ne sono proprio moltissimi) del suo Sanremo 69. Mi vengono in mente Morgan e Bugo.

    Mi vengono in mente canzoni molto molto belle dove mio fratello mi batte sempre perchè se ne ricorda di più.
    In Italia abbiamo una grande tradizione quasi invalicabile e a dir poco sacra di musica.

    Fuori o dentro Sanremo.
    A tratti, o almeno in questo periodo, questa consapevolezza rimane addosso come un maglione di lana. Mi tiene un gran caldo ma al tempo stesso mi pizzica un po’.
    Quindi , per rispondere alla domanda iniziale potrei riassumere tutto dentro una sola parola: Jalisse.

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    Pop

    Pietro Gandetto ha presentato il suo EP “Come in un film” a Milano, e noi c’eravamo

    Pietro Gandetto è nato ad Alessandria, ma vive ormai da diversi anni a Milano dove pratica la professione di avvocato. L’abbiamo incontrato lo scorso dicembre al Bar Basso, dove abbiamo preso parte all’evento di lancio del suo primo EP: “Come in un film”.

    Nel freddo dell’inverno milanese è stato un enorme sollievo entrare in quella saletta dal gusto un po’ retrò in cui Pietro ci ha subito accolti come farebbe un vecchio amico indossando una camicia di Lisa Von Tang, realizzata completamente in fibra di petali di rosa. Tra qualche chiacchiera e qualche free drink, ci siamo accorti solo successivamente che al tavolo con noi sedeva anche Malika Ayane. Pietro era tanto stupito quanto noi: un incontro fortuito, nato dal caso quella sera stessa, in quello stesso bar. L’emozione negli occhi del cantautore era tanta, e vi era anche una leggera ansia: di certo qualche ora prima non avrebbe immaginato di doversi esibire davanti a lei. Ma non dobbiamo dimenticare che il nostro Pietro non è soltanto un cantautore emergente, lui è anche un avvocato affermato. Pertanto, sa bene come rimanere sul pezzo anche in situazioni impreviste. Ha raccolto quindi le proprie emozioni, le ha appallottolate nello stomaco nell’attesa che arrivassero gli ultimi invitati, e poi le ha riversate tutte sul microfono. 

    In quei minuti la sala si è trasformata. L’aria si è fatta improvvisamente frizzante in quella sala leggermente vintage, ed è stato difficile trattenersi dal ballare. L’inverno milanese era ormai lontano, nell’energia di Pietro c’era qualcosa di molto più simile alla primavera ed è un’energia che ci ha conquistati. Il tempo di quattro tracce è volato, ma avremmo potuto tranquillamente assistere ad un intero concerto di un’ora senza mai annoiarci. Il tempo è volato, sì, ma noi siamo felici di aver potuto essere lì, non solo perché abbiamo avuto l’occasione di assistere ad un piacevole concerto serale, ma anche perché abbiamo avuto modo di conoscere un artista tanto passionale quanto umile, e tutti noi sappiamo quanto l’umiltà sia una virtù sempre più rara. 

    Non ci resta quindi che augurare a Pietro tutto il meglio per la sua futura carriera e non vediamo l’ora di replicare l’esperienza!

    foto di Simone Pezzolati

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    Indie Intervista Pop

    ILCLASSICO racconta il nuovo singolo CAMERA MIA, CAMERA TUA

    ILCLASSICO pubblica il nuovo singolo CAMERA MIA, CAMERA TUA in cui si raccontano le dinamiche di una coppia che ancora deve imparare a conoscersi, con un invito ad abbattere la timidezza iniziale. È naturale provare agitazione e imbarazzo quando siamo nel momento della frequentazione, siamo catapultati in un continuo saliscendi di sorprese, alla ricerca del mare anche nel pieno centro di una città, di una via di fuga dalla quotidianità.

    Il brano è prodotto interamente dal duo che ha deciso di mostrare un lato più leggero della sua musica, attingendo a sonorità funky con un omaggio alla disco music degli anni ’70.

    Ecco la nostra intervista con ILCLASSICO

    1. Ciao ragazzi, CAMERA MIA, CAMERA TUA è un inno all’amore nel freddo dell’inverno. Qual è il messaggio che volete trasmettere?

    Ciao! Mah, “Inno” forse è un po’ esagerato. Però ci fa piacere sentirlo dire, perché un inno è qualcosa che viene cantato da un vasto gruppo di persone e queste persone ci si riconoscono con tutte se stesse. Alla fine è quello che si spera possa accadere quando scrivi una canzone che parla di te senza filtri, una canzone che ti mette a nudo, e speri che ci si possa riconoscere anche chi sta in ascolto. Il fulcro del messaggio sta in quella frase dilemma “Vieni prima, vengo prima io”. Insomma prima o poi ci passano tutti! È un punto focale della vita di coppia che mette tanta agitazione e tanto imbarazzo. Abbiamo voluto scherzarci un po’ sopra, alleggerirlo. È nata dalle nostre vite e dai racconti delle persone a noi più vicine, i nostri amici.

    2. Il brano vuole omaggiare la disco music anni ’70. A quali pezzi di quella decade avete fatto riferimento e perché avete voluto riprendere questo genere?

    Ci è venuto spontaneo tuffarci nella Disco Music. Questo mood è nato durante la scrittura e si prestava perfettamente all’aria leggera e ironica espressa nel testo. Quindi siamo tornati ad ascoltare gli artisti che più amiamo di quel mondo: Earth, Wind & Fire, Bee Gees, KC & The Sunshine Band, ma anche Michael Jackson.

    3. La vostra discografica è musicalmente molto varia, cosa unisce i vostri pezzi finora e qual è secondo voi, la chiave vincente e il vostro tratto distintivo?

    Nel nostro piccolo cerchiamo sempre di rinnovarci da un pezzo all’altro, di non ripeterci mai. A volte il tuffo riesce meglio, altre volte l’atterraggio andrebbe migliorato, ma la cosa più bella ogni volta è scoprire che le canzoni più apprezzate sono quelle più spontanee, quelle più sincere. Spesso sono anche quelle più libere a livello sonoro, dove gli arrangiamenti sono dettati dal puro divertimento, senza alcun preconcetto “discografico” (diciamo così)…

    4. Nel ritornello citate “Notting Hill”. Perché? Elencateci cinque film romantici che vi hanno segnato.

    Enrico forse è quello più romantic come gusti, Simone è più sull’action. Ma ci proviamo… Partiamo da “Notting Hill”, ovviamente… In coda ti diciamo… “Le pagine della nostra vita”, “Across the Universe”, “A piedi nudi nel parco”, “Harry, ti presento Sally”.

    5. Il vostro curriculum è davvero ricco, numerose sono state le collaborazioni di ciascuno prima di arrivare a creare questo duo. Qual è l’insegnamento maggiore che avete tratto in tutti questi anni?

    Che l’importante nella musica è inseguire una visione, nutrire giorno dopo giorno quella visione, affinarla e lavorare per riuscire a comunicarla al pubblico. Oggi siamo talmente tanti a fare musica che non esiste una formula, non esistono regole, non esiste “così funziona” o “così non funziona”. Nessuna strada percorribile è una garanzia di successo, nessuno ci assicura un lavoro. Tanto vale divertirci e farlo a modo nostro, perché alla fine il pubblico quello lo percepisce. Non si può mentire al pubblico!

    6. Un pregio e un difetto dell’uno e dell’altro e come vi siete conosciuti?

    Ci siamo conosciuti tra le mura di “Music Academy since 1999” a Bologna, durante il nostro percorso di studi: Enrico studiava Music Production, Simone batteria. Enrico va in ansia facilmente davanti agli inconvenienti tecnici, Simone è più reattivo nell’affrontarli. Enrico è sicuramente quello che fa più tardi la sera, Simone si sveglia sempre molto presto.

    Non ti sappiamo dire quali tra questi siano i difetti e quali pregi, decidi tu… ahahah!

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    WASABE: “FARFALLE” è il nuovo brano

    FARFALLE” è il nuovo brano dIWASABE (Sabina Canton), giovanissima cantautrice di Vicenza, che in questa canzone decide di parlare apertamente della sua esperienza con i disturbi alimentari. 

    “Le farfalle sono un simbolo spesso associato a questo disturbo e alla rinascita”

    Il sound indie-pop è caratterizzato da un riff di chitarra che prosegue su di un beat moderno a metà tra elettronica e suoni acustici.

    “Con questo pezzo volevo raccontare questa malattia con sperieratezza, con parole semplici e comprensibili a tutti. Spero di far rispecchiare in questo pezzo tutte quelle persone che hanno vissuto o stanno vivendo questo brutto momento e di dar loro la forza di affrontarlo nel modo migliore possibile, e portare la mia esperienza a chi crede che non si possa uscire da situazioni come questa, in vista di tutte le cose belle che potranno succedere in futuro”.

    WASABE ha risposto alle nostre domande in questa intervista:

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    Le cinque cose preferite dei Mots

    I MOTS nascono nella primavera del 2019 dall’incontro di Nicholas Belli (in arte Nichel) e Andrea Quadrelli (in arte Hosea) in occasione del festival per autori avvenuto a Rimini. Le diverse sonorità espresse dalla loro musica li ha spinti ad approfondire la loro conoscenza personale e musicale e a pensare di unirsi per creare nuova musica e nuove parole.Di che natura è il “Paradiso” in cui viviamo? Questa e altre domande costellano PARADISE, il nuovo singolo dei MOTS. Un sound vivace e sfrontato per una canzone tutt’altro che banale e dal testo che pone questioni importanti. 

    Per l’occasione, abbiamo chiesto loro quali sono le loro cinque cose preferite.

  • Scrivere: l’atto di prendere una penna e abbozzare quello che potrà essere un testo di una canzone, oppure un insieme di accordi che daranno vita ad una nuova melodia, sono azioni che appassionano entrambi. Il buttare giù delle idee, per poi lavorarci su, ma anche dimenticarle e poi ritrovarle con sorpresa fanno parte di un processo creativo che abbiamo e stiamo affinando, dove c’è chi propone una melodia e chi un testo e poi le due cose si uniscono dando vita ad un lavoro finito. Scrivere con la consapevolezza che è stato scritto tutto, ma che c’è sempre un modo nuovo per proporre un pensiero od un’idea. Ci piace pensare che stiamo inseguendo uno stile MoTs. Una bella sfida da affrontare. 
  • Ascoltare: anche questo è un atto che ci accomuna. Ascoltare inteso come ricevere qualcosa di nuovo che possa generare nel nostro caso canzoni. Un reciproco ascolto delle nostre idee ma anche un ascolto di ciò che arriva dal mondo esterno, sia a livello musicale sia a livello generale. Diciamo che i MoTs hanno un animo generalista che spazia non solo nella musica e che stanno con le antenne (non solo con le orecchie) sempre pronte a ricevere segnali. 
  • Correre: diciamo che qui adesso tocchiamo un punto più vicino ad Hosea, che fa della corsa una fedele compagna da più o meno quarant’anni. La corsa è il momento in cui tento di mantenere una forma fisica (ma ormai i tentativi sono più che vani!!!!) ed al contempo è il momento in cui la mente riesce a mettere a fuoco con più chiarezza le idee che poi diventeranno canzoni. La corsa è un momento in cui sento che la mente ragiona nel modo giusto ed agevola le decisioni da prendere. Molte canzoni hanno preso vita durante una corsa.    
  • Video games: qua invece sconfiniamo in un mondo che Nichel conosce molto bene. Son sempre stato appassionato del mondo videoludico fin da quando cominciai a giocare col commodore 64 di mio fratello. È un’arte che riunisce molte arti, compresa ovviamente anche la musica. Come il cinema racconta storie ma rendendoci protagonisti attivi e non solo spettatori, è formativo perché ci consente di essere sempre una persona diversa ogni volta. È una passione che condivido con altri due amici con cui ho questo gruppo chiamato Betsuboys attraverso il quale creiamo contenuti per vari social e piattaforme.
  • Spiritualità: un altro tema che ci unisce nonostante ognuno di noi la viva in maniera diversa. Crediamo che la spiritualità sia molto importante, è un modo per rendere la vita più completa. Sappiamo che esistono vari modi per seguire questa strada ma che ognuno ha un suo preciso senso. Anche nella scrittura la spiritualità ha una sua funzione e credo che nei nostri brani si senta. In fondo essere spirituali significa cercare la verità di noi stessi, e quel po di verità che riusciamo a captare (se ci riusciamo) cerchiamo di metterla nelle nostre canzoni.