Stefanelli (Dischi Rurali) è un nome che ai lettori di Perindiepoi, ormai, non credo possa più dirsi sconosciuto. Del cantautore napoletano abbiamo parlato negli ultimi mesi a più riprese, seguendo passo dopo passo le sue pubblicazioni, e prendendo nota – ogni nuovo sussulto discografico – dell’incredibile varietà di soluzioni che Luca riusciva ad offrire, senza ripetersi né perdersi mai.
Sì, perché i pezzi di Stefanelli sono dei fiori dallo stelo anomalo, capaci di crescere in altezza bucando il soffitto delle nuvole solo per impossessarsi di quella leggerezza (che non è superficialità, ipse dixit) che alberga solo nell’etereo, in una Repubblica delle Idee che già in “Controcorrente” trovava il senso della propria esistenza in quella frase che oggi è diventata un mantra: “la bassa qualità, lo specchio della mia onestà”.
I fiori di Stefanelli hanno petali variegati e differenti; ogni brano è a sé, e vive nella direzione di un’unicità che trae la sua forza dalla comune appartenenza al medesimo giardino: “Rondò” si sviluppa su sensazioni diverse da “Controcorrente”, ma è avvinghiato al fratello maggiore che proprio in “Rondò” trova la quadratura e la conferma di sé stesso. Ecco, “Dentro di me” è forse il fiore più complesso, e quello più vicino a restituire all’ascoltatore la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di finale, di definitivo: in “Dentro di me”, la bassa qualità urla tutto il suo desiderio di onestà contro una scena sempre più seduta sull’imitazione narcisistica di sé stessa, riprendendo l’andamento compassato e sornione di “Rondò” ma avvalorandosi di un testo quasi spirituale, messianico.
Stefanelli gioca a fare Dio, e gli riesce niente male (si parla di musica, ci verrà perdonata la blasfemia): stretcha il brano, lo comprime, lo riempie di piccole implosioni controllate utili a disturbare – per riattivarlo – l’ascoltatore, dando vita ad una preghiera sospirata all’orecchio di tutti; il cantautore porta dentro l’universo, e in un certo senso ce ne fornisce una chiave d’accesso proprio attraverso il brano, portale onirico e lisergico verso mondi musicali figli della contaminazione: se il detuner, le strategie di mixing e la progressione ossessiva d’accordi richiama alle magiche galassie di Mac Demarco, la scrittura puntella la solidità del senso attraverso una scelta ben ponderata delle parole, che si fanno sparuti segnali di luce nella texture densamente scura dell’atmosfera musicale.
Stefanelli è uno che ha cose da dire, e che sa come dirle: ci vuole pollice verde, per far crescere le canzoni senza ricorrere a fertilizzanti chimici e additivi musicali, utili solo a rinfoltire serre di semi in scatola, di idee in grow box; ecco, il cantautore napoletano, con un’attenzione che commuove, ha saputo convincerci ad aver pazienza: ora, vogliamo un disco.