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I mille piani di Millepiani

“Eclissi e albedo”, detto anche “piccolo viatico alla comprensione dei sogni”.

Sì, perché al primo ascolto del primo disco da solista di Millepiani, la sensazione che emerge è quella di trovarsi al centro di un tornello onirico, che ad ogni nuovo brano lascia entrare l’ascoltatore sempre più in profondità in una giungla di riferimenti, di spunti di riflessione, di citazioni erudite. “Erudita“, che bella parola, oggi che le parole nemmeno le usiamo più, preferendo sintetiche abbreviazioni e cenni d’intesa che poi, d’intesa vera, non sono mai.

Ecco, in questo senso Millepiani rappresenta una resistenza all’usura del quotidiano, del profano inteso in senso più prosaico, meno poetico: la sua scelta lessicale comprende una gamma di lemmi che già di per sé fungono da cesoia e forbice per un pubblico da costruire, sì, ma con attenzione e selezione; non è da tutti, l’ascolto di “Eclissi e albedo”, e Millepiani lo sa. Quando si scrive musica, almeno così penso, è un po’ come se si partecipasse ad uno speed date: hai tre minuti scarsi per convincere qualcuno a continuare ad ascoltare cos’hai da dire, cosa c’è oltre la manciata di secondi che l’ascolto di un brano offre; come in ogni forma di dialogo, la scelta delle parole determina la reale possibilità ricettiva dell’interlocutore, che di fronte ad un lessico sconosciuto e una grammatica dimenticata reagirà ritraendosi, oppure lasciandosi affascinare ancor di più dallo stile di Millepiani.

Sì, non ci sono vie di mezzo, per “Eclissi e albedo”: o ci stai dentro, o te ne tieni fuori – e a distanza, perché ciò che non si conosce spesso fa paura. Le otto tracce del disco aprono lo sguardo su mondi fatti di letteratura, poesia e filosofia pregna e densa: i giochi di luce che scaturiscono dal disco non sono dovuti a semplici scelte di produzione ma alla poetica di una penna consapevole della propria mission poetica, tutta incentrata sull’importanza dei punti di vista. Il sole, l’eclissi, l’albedo, la notte sono fenomeni di trasformazione della luce che trovano acchito nella riflessione esistenziale e metaforica sull’uomo, soggetto implicito quanto dimenticato dai tre quarti della produzione autorale contemporanea, sempre più attenta alla narcisistica auto-referenzialità che alla meditazione riguardo a ciò che siamo.

In questo senso, il disco di Millepiani è un lavoro per cuori forti. Certe porte, abbiamo paura ad aprirle perché non sappiamo cosa ci aspetti al di là della soglia. Ecco, il cantautore toscano sembra aver creato una sorta di mappa utile a non perdersi (o forse, più utile a smarrirsi) nel labirinto della coscienza; certo, qualche pecca sull’intenzione vocale – talvolta un po’ troppo seduta sulla declamazione stentorea, quasi con andamento monodico, da vaticinio più che da pop music – e forse (almeno, a mio gusto) qualche sbrodolamento lessicale di troppo c’è, ma nulla che un po’ di labor lime e sana ginnastica solistica non possano risolvere, nel complesso di un polittico articolato che sembra già avere le carte in regola per suscitare nuove conferme. Aspettiamo risvolti.

Intanto, qui sotto, le nostre domande a Millepiani, per capire meglio come si possa trovare l’alba dentro l’imbrunire.

La nostra intervista a Millepiani