Con Punti che si uniscono, uscito il 20 gennaio 2025, Bastiano — nome d’arte di Luca Bastianello — firma un esordio che sorprende per autenticità, delicatezza e profondità emotiva. Un album che scava dentro, senza alzare mai la voce, e che trova la sua forza proprio nella scelta di raccontare il fragile invece del roboante.
A prima vista, Bastiano potrebbe facilmente ingannare: i lunghi dreadlock e l’aria da viaggiatore controcorrente evocano subito mondi legati al reggae, ai centri sociali, a un immaginario ribelle e festoso. E invece Punti che si uniscono prende una direzione opposta, tutta interna, quasi timida. È un disco che parla a bassa voce, che invita ad ascoltare, non a saltare. Un lavoro che costruisce uno spazio intimo dove l’apparenza si sgretola per lasciare posto alla sostanza.
Questo disco è, in fondo, un manifesto per i timidi.
Per chi fatica ad accettare i propri difetti, per chi si sente fragile, per chi si sente solo in un mondo che ci vuole vincenti, impermeabili, forti a ogni costo. Bastiano offre invece una visione diversa: quella di una fragilità che non è debolezza, ma risorsa; che non è vergogna, ma una forma possibile di verità. Questo senso di discrezione e autenticità si distingue ancora di più se si guarda al contesto sociale e culturale in cui Bastiano è cresciuto. In Veneto, negli ultimi anni, si è consolidata una scena musicale molto coesa, a tratti forse anche esclusiva, costruita su appartenenze forti. Bastiano sembra scegliere consapevolmente di rimanere ai margini di queste logiche: il suo è un percorso personale, slegato dalle etichette di scena, un cammino che privilegia la ricerca interiore piuttosto che il posizionamento identitario.
Otto tracce raccontano le “umane deviazioni” e i “luoghi di distrazione”, come li definisce l’autore stesso: piccoli e grandi momenti in cui ci si perde, si cambia rotta, si cerca un altro modo di essere. Il titolo stesso è una metafora di questi percorsi imprevisti che finiscono per dare forma, retrospettivamente, a un disegno che prima sembrava incomprensibile.
Musicalmente, Bastiano si muove su coordinate cantautorali, con arrangiamenti essenziali ma mai spogli. La produzione, curata insieme ad Alberto De Rossi e con il contributo del batterista Alessandro Lupatin, costruisce una veste sonora morbida e coerente, capace di dare respiro ai testi senza soffocarli. Tra i brani più significativi, “Stampalia” apre l’album come un piccolo manifesto, con suoni che si allargano in orizzonti sonori lievi; “Il monologo” si presenta invece come una riflessione acustica, rapida e sincera, mentre “Dimmi cos’è” sorprende con orchestrazioni più ricche e strutture sonore sovrapposte. “Falangi“, infine, usa il pianoforte e un senso drammatico della progressione musicale per costruire un climax emozionale che resta impresso.
Il risultato è un disco che non rincorre mode, né algoritmi, ma si affida all’empatia, all’ascolto e alla sincerità. Un lavoro che nella cultura musicale contemporanea — dominata dalla velocità, dalla superficialità, dalla necessità di piacere a tutti i costi — non trova né mercato né spazio.
E proprio per questo, Punti che si uniscono è importante: perché resiste, e resistere oggi è già un atto politico. Fare un disco così, fragile e autentico, è scegliere di andare controcorrente, di opporsi a un sistema che premia solo chi urla più forte o si vende più velocemente. È affermare che esiste ancora spazio per la lentezza, per l’introspezione, per la cura, in un mondo che vorrebbe tutto immediato, omologato, dimenticabile.
Bastiano firma così un debutto che non chiede di essere consumato, ma accolto.
Un piccolo atto di coraggio, che parla a chi non si rassegna a vivere in superficie.
Un disco che, silenziosamente, fa politica: la politica gentile e radicale di chi crede ancora nella forza delle emozioni vere.
LV