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Per conoscere Gionata dovete comporre un puzzle: la sua musica

Gionata è un cantautore, viene dalla Toscana, non abitiamo vicino e non ci siamo mai visti dal vivo, eppure, ogni volta che ascolto un suo pezzo, mi sembra di essere la persona a cui ha deciso di raccontare sinceramente la sua vita, entro in contatto realmente con quello che sto ascoltando. Durante quest’intervista provo a capire il perché e, chiacchierando, mi dice che fa quello che fanno tutte le persone che scrivono, dalle canzoni al diario segreto: si mette a nudo. Ci rifletto ed è vero, lo sento così vicino perché le sue canzoni sono sincere. Tornato dopo due anni dal suo primo Album, L’America, a metà novembre pubblica tre brani nello stesso giorno, Torno subito, Pizzeria Ex Cinema e Mal di mare. Una ventina di giorni dopo esce un altro singolo, il suo primo featuring: Il contorno, con Jesse The Faccio, noto nella scena musicale italiana soprattutto per le sue sonorità lo-fi e l’abilità nella scrittura semplice ma efficace. Ascoltando i quattro pezzi, è chiaro che sono in qualche modo collegati: raccontano delle situazioni passate, sono sinceri, parlano dell’abilità di guardarsi dentro e superare così dei blocchi o dei momenti non particolarmente facili. Il contorno, per esempio, racconta di un rapporto tossico, in cui l’autore si sente solo, usato, e si annulla per l’altra persona. Nel momento in cui riesce a dirlo a sé stesso inizia, però, il suo sforzo per tirarsene fuori. E la bellezza del pezzo è proprio nella presa di consapevolezza condivisa con tutti quelli che lo ascoltano. Come nelle sue canzoni, in questa intervista Gionata ci parla del suo umore, della sua musica e di come la solitudine diventa spesso utile per liberarsi delle cose che ci fanno stare male.

Ciao Gionata! Prima di tutto, come stai e come ti senti dopo l’uscita di quattro tuoi pezzi nuovi?

Ciao Marika, ultimamente sto abbastanza bene, grazie.

Ci sono i soliti alti e bassi quotidiani ma essere tornato a condividere musica con le persone mi ha aiutato a uscire gradualmente da un periodo buio. Spero che anche per te e per la redazione di Futura 1993 vada bene, so che è dura per tutti ed è importante non sentirsi soli in questo periodo.

A parte il tour interrotto a causa del primo lockdown, mi sembra che gli ultimi due anni non abbiano bloccato la tua vena artistica e la necessità di scrivere. Dal 2020 hai scritto soprattutto cose nuove o maggiormente ripensato e modificato testi vecchi? E com’è stato in questo periodo il tuo approccio alla musica e alla scrittura?

Ho avuto un momento di blocco, ammetto che non sapevo nemmeno se avrei continuato a pubblicare canzoni, ero proprio giù di morale.

Fortunatamente ho sfruttato questo malessere per riprendere in mano gli strumenti e scrivere, avevo così tanto da dire che sono arrivato dal mio discografico (che mi segue molto e mi ha aiutato nei periodi difficili, spronandomi) con una trentina di canzoni e decidere quali tenere non è stato semplice. Alla fine, ho scelto di scartare le cose più vecchie, era ora di lasciare andare il passato. Come sempre, canto ciò che vivo, quindi ho mantenuto l’aspetto autobiografico, cercando di toccare emozioni e sensazioni che condivido con la mia generazione, come il concetto di diventare adulto, di assumersi delle responsabilità, di prendere delle decisioni e di affrontare i cambiamenti, che tanto ci fanno soffrire quanto ci permettono di crescere.

A proposito di pezzi, Il contorno è il tuo ultimo singolo ed è anche il primo con un featuring. Quando l’hai scritto e come nasce?

Uno dei pochi brani che appartengono a un passato relativamente lontano. Lo scrissi nel 2017 e doveva far parte del mio disco d’esordio, ma alla fine lo scartammo perché non riuscii a trovare un ritornello giusto. Però mi piaceva allora tanto quanto mi piace adesso, il giro di accordi è figo. Durante il primo lockdown, quando tutti noi facevamo videochiamate lunghe, noiose e bevendo l’inverosimile (chi non l’ha fatto?), venne fuori l’argomento parlando con Jesse e gli mandai la canzone, chiedendogli, a perditempo, se gli andasse di trovarci un ritornello. Un anno dopo venne a Milano e mi scrisse. Dal momento che pioveva restammo in casa da me e dopo qualche birretta ci mettemmo a suonare. In una giornata l’abbiamo scritta e registrata.

Quindi così hai capito che Jesse the Faccio poteva essere l’artista giusto per riempire quel ‘ritornello vuoto sulla batteria’…

Jesse ha molte idee, sa adattarsi agli altri senza perdere il suo stile. Ho sempre apprezzato la sua musica e mi sono fidato, sapevo che avrebbe trovato qualcosa di figo e vicino a quello che volevo esprimere, veniamo da realtà simili e anche la sensibilità artistica si sposa bene.

Come si realizza e come si smette di essere solo ‘un contorno’ in un rapporto e quindi nella vita di un’altra persona?

È difficile, ma non impossibile. Anzitutto, secondo me, bisogna saper ascoltarci: capire i nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri valori e comprendere se sono affini alle persone di cui ci siamo circondati. Spesso ci facciamo prendere dalla paura di perdere una figura vicina a noi e ci adattiamo a lei per non rinunciare alla sua compagnia, ma trovo che sia non solo sbagliato, ma irrispettoso verso noi stessi. Quando capita di rinunciare a noi è perché siamo fragili, veniamo da un periodo duro e siamo insicuri, ma ciò non deve compromettere la nostra salute mentale e dovremmo cercare di ascoltarci sempre, per questo è importante trovare durante la settimana dei momenti per rimanere in solitudine, anche semplicemente per fare una passeggiata e stare in compagnia solo dei nostri pensieri.

Molto passato e soprattutto l’abilità di guardarsi dentro collegano tematicamente le nuove canzoni, da Torno subito a Il contorno. Immagino che per un cantautore non sia facile mettersi a nudo così tanto. Credo, però, che sia l’autenticità a rendere credibile e apprezzato il tuo lavoro e quindi, in questo caso, il gioco vale la candela. Hai a che fare con la sensazione di sentirti ‘scoperto’? E come la affronti?

Ti ringrazio, fa sempre piacere sapere che il proprio lavoro è apprezzato, anche se penso che la scrittura debba venire da un’esigenza e non da una ricerca di approvazioni. Se piace tanto meglio, ma, dal momento che questo è un lavoro “delicato”, è bene ricordarsi ogni giorno perché lo si fa, per non rischiare di arrivare a inscatolare emozioni e venderle come verdura al mercato. Quando scriviamo (uso il plurale perché mi riferisco anche a chi scrive una pagina di diario o dei pensieri sulle note del cellulare) ci mettiamo sempre a nudo altrimenti non avrebbe senso, è un po’ come parlare con lƏ psicologƏ o psicoterapeutƏ (spero di aver utilizzato bene lo schwa): se dicessimo menzogne staremmo solo spendendo soldi ed energie a vuoto e non servirebbe a niente. Quindi sì, mi sento scoperto perché, soprattutto con le ultime canzoni, ho toccato temi profondi e delicati, ma non ho paura: la mia musica a volte è come un puzzle e solo chi ha voglia di comporlo può conoscermi veramente, instaurando un dialogo con me che vada oltre il semplice “che lavoro fai?”.

Questi nuovi pezzi sono tutti più orientati verso una produzione lo-fi rispetto a quelli del primo album, L’America. Come mai questa scelta?

Come forse dissi già in passato in altre interviste, per me L’America è stato un esperimento: volevo capire se sarei riuscito a scrivere canzoni pop. Una volta constatato che sì, so scrivere canzoni pop (lo dico in modo umile ma consapevole, è bene valorizzarsi ogni tanto, senza arroganza ovviamente), ho deciso di tornare al mio background musicale, più sporco e con più chitarre (la mia figura di riferimento, sia come gusti musicali che come estetica, è sempre stata Syd Barrett). Devo ammettere di esser stato fortunato, perché questa modalità di lavoro mi ha permesso di risparmiare risorse economiche e mi ha dato l’opportunità di mettermi in gioco, registrando tutto in camera mia e seguendo la produzione in prima persona, con i miei tempi. Ho imparato tanto e vorrei continuare con questa modalità anche in presenza di major e maggiori risorse economiche.

A proposito, ci sono stati altri artisti, canzoni o album che ti hanno particolarmente ispirato per la produzione musicale dei brani?

Durante il periodo di scrittura e registrazione ho ripreso i vecchi ascolti, quelli che mi hanno segnato e che si avvicinano di più al mio gusto musicale: in particolare AM degli Arctic Monkeys, Is This It degli Strokes e gli ultimi due dischi dei Phoenix, a cui si sono aggiunti alcuni artisti più recenti come Dayglow (l’album di riferimento è Fuzzybrain).

Potrei citare altra roba, tutta internazionale (non ho praticamente ascoltato niente di italiano): Castlebeat, The Maccabees, Roar, Temples, La Femme, Tame Impala, Metronomy, Boy Pablo, Mac DeMarco, Unknown Mortal Orchestra.

Come mai l’idea di far uscire tre canzoni nuove nello stesso giorno? Ci sarà un album che conterrà questi pezzi o hai altro in mente?

La risposta a questa domanda te la darò quando ci vedremo ai concerti perché ci devo ancora pensare. È venuto fuori tutto a caso per quanto mi riguarda: c’erano diverse opzioni e quella di tornare dopo 2 anni con 3 canzoni insieme mi sembrava la più carina.

Vorrei mettere insieme tutte le canzoni che usciranno in una raccolta ma sono tante e non so ancora se saranno inserite all’interno di un disco. Mi sono concentrato così tanto sul contenuto che ho dimenticato la forma, fortuna che ci sono le etichette discografiche che ci pensano.

Passiamo allora ai concerti: ce ne sono in programma? Dal vivo pensi di suonare anche pezzi che non sono ancora usciti?

Ne ho fatto uno pochi giorni fa, il primo dopo quasi due anni di silenzio. Ero chitarra e voce e mi ci sono volute due canzoni per sbloccarmi un po’, ma alla fine è andata molto bene.

In quell’occasione ho fatto pezzi sia del primo disco che nuovi e penso di continuare così, magari con un arrangiamento diverso.

Al momento non so dirti cosa riserva il futuro, sono appena tornato, ma so che il mio team sta lavorando bene per la primavera/estate e ci vedremo in quel periodo. La cosa di cui sono più sicuro è che non suonerò mai più Frigorifero, lo dico adesso così non colgo impreparato il pubblico. Non mi vogliate male, ma non la sento nemmeno più mia.

Per il momento vi saluto, ci vediamo in giro! Ah, P.S.: mi trasferisco, dall’anno prossimo mi troverete a Bologna. Ciao!

Intervista di Marika Falcone

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