Categorie
Internazionale

Photogallery di ANIMA è quel ricordo che ci fa piangere, o sorridere di nuovo.

Anima è il progetto del cantautore romano Stefano Gentile: classe 1997, la sua musica si muove tra sonorità rap, pop, r&b. Il cantautore ha trovato la sua arma vincente: trasformare la tristezza in creatività; e così, in poco tempo conquista il pubblico e Spotify, che inserisce i suoi primi singoli nelle playlist Generazione Z, Novità Rap Italiano e Anima R&B.

Il punto forte del cantautore è sicuramente la scrittura, in particolare la capacità di riuscire a ricreare, attraverso questa, un immaginario intimo e personale, ma di facile identificazione da parte dell’ascoltatore. Anima non rinnega il passato, anzi talvolta lo rivisita, riscoprendo emozioni che trasforma in musica.

Gli scorci di Roma i tuoi fianchi che cingo

e se mi abbracci ora sento che ho vinto

mi dai la schiena fragole e amarena

quella voglia di te che mi avvelena”.

In occasione dell’uscita di Photogallery, Anima ci ha raccontato come i ricordi custoditi gelosamente nella gallery del suo telefono abbiano preso la forma di canzoni, raccolte poi nel disco d’esordio uscito il 4 marzo per ADA Music Italy.

Ciao Stefano! Hai sempre scritto canzoni o ti sei avvicinato alla scrittura in altre forme?

Raccontaci un po’…

Ciao! Ho iniziato a scrivere poesie a 16 anni per via di una forte necessità d’espressione. Volevo lasciare un segno di quello che avevo dentro. In seguito a 18 anni sono entrato per la prima volta in studio ed ho inciso il mio primo brano come regalo per la mia ragazza dell’epoca.

Sei stato apprezzato da Spotify che ha selezionato i tuoi singoli per playlist quali Generazione Z, Novità Rap Italiano e Anima R&B. Considerando il gran numero di uscite settimanali, non è banale essere inseriti in playlist editoriali. Per cosa ti sei distinto?

Grazie. Penso semplicemente di avere il mio stile. Indipendentemente dal genere che faccio, il tipo di scrittura e di immaginario che cerco di portare nella musica è differente da quello degli altri. Penso sinceramente che questo sia il mio punto forte, avere una mia identità nonostante non faccia un genere specifico.

Pi Greco è un noto producer. Com’è nata la vostra collaborazione?

Ho conosciuto Pi Greco direttamente sul campo lavorando al nostro primo brano insieme: Cento Baci. Penso che sia una delle persone fondamentali per l’album Photogallery, ma soprattutto per il progetto Anima. Pi Greco mi ha aiutato a trovare un’identità musicale ben precisa, gli devo molto.

Ti definisci più rapper o cantautore?

Ho iniziato con il rap nel 2016 circa, ma poi più andavo avanti e più mi rendevo conto che non era proprio il massimo essere relegato solo ed esclusivamente ad un tipo di metrica. Provando a cantare di più nei brani ho capito che riuscivo ad esprimermi decisamente meglio. Ad oggi alcuni miei brani sono rappati e altri cantati, ma se proprio devo scegliere preferisco definirmi cantautore.

Antiproiettile, A parte te, Re, Non Va, Non vediamoci più hanno riscosso grande successo. Il 4 marzo è uscito il tuo disco di debutto. Hai sentito un po’ l’urgenza di definire il progetto con l’album o è stato un percorso naturale? Raccontaci un po’ della lavorazione al disco.

L’album è nato dopo i brani, nel senso che l’idea di accorpare le canzoni in un progetto unico si è sviluppata una volta che avevo un bel po’ di materiale. Inizialmente volevo fare un ep di massimo 8 brani ma poi ne avevo così tanti che era un peccato far prendere loro polvere per chissà quanto tempo. Prima ero un po’ più geloso della mia musica mentre da quando sono indipendente voglio farne uscire il più possibile. L’album è nato e cresciuto in quarantena, non potendo andare in studio ho comprato microfono e scheda audio e ne ho creato uno in casa e questo ha aumentato di molto la mia produttività. Photogallery dal lato grafico si è sviluppato grazie alla mia amica Chiara Yan che si è occupata di tutta la fotografia dell’album.

Sonorità pop e un rap che tocca un sentimentalismo evidente. Le tue canzoni raccontano personali esperienze di vita o, in fondo, sai anche tu che una buona dose di tristezza fa bene all’ Anima di chi ascolta musica?

Sinceramente io sono la persona più nostalgica, malinconica e a volte triste che conosco. Quasi mi piace sguazzare nella tristezza. Scrivo sempre meglio quando sono triste. Nei miei brani racconto quello che vivo, letteralmente parlo di esperienze di vissuto o di mie idee e pensieri utilizzando uno stile di scrittura ricco di metafore come piace a me.

Però non devo sforzarmi di fare canzoni tristi, le faccio perché mi piace farle, poi ovvio che se altre persone ci si rispecchiano io sono solo che contento.

I tuoi testi mi hanno ricordato il mood malinconico e sentimentale di Mecna. Ho notato anche alcuni riferimenti, magari non voluti, ai suoi brani nelle tue canzoni (Lungomare Inverno, Danza della pioggia). Ti ispiri un po’ a lui? Ti piace, lo ascolti?

Hai fatto centro. Mecna è l’artista italiano che più preferisco ma da sempre! Ho imparato da lui l’utilizzo di una scrittura particolare rispetto ad altri. In danza della pioggia trovo che ci sia qualche similitudine nell’enfasi e nel modo di dire le cose, ma poi in quanto a scrittura io parlo sempre e comunque del mio mondo, ci sono riferimenti alla mia vita privata.

Lungomare Inverno forse ti riferisci al fatto che un suo album si chiama Lungomare Paranoia ma oltre a questo in questo brano non ci sono altre somiglianze. Il nome del brano proviene dal fatto che l’ho scritto sul lungomare in inverno banalmente.

 Fammi tre nomi di artisti internazionali e tre italiani che ascolti.

In realtà da qualche anno ascolto molto meno la musica, ma posso comunque dirti artisti che mi piacciono. Internazionali: Post Malone, Justin Bibier, Travis Scott. Italiani: Marracash, Mecna, Cesare Cremonini. Sono i primi che mi sono venuti in mente, ma il mondo è pieno di artisti fenomenali.

Photogallery ospita artisti interessanti. Perché hai pensato a loro per alcuni brani del tuo album d’esordio?

Esordisco dicendo che io adoro collaborare con altri artisti perché penso che unire stili e modi di versi di intendere la musica sia stimolante e produttivo. Tutti gli artisti presenti all’interno dell’album sono ragazzi che stimavo come artisti e di cui conoscevo alcuni brani. Ho chiamato per ogni brano l’artista che più era adatto a completare l’immaginario di quel brano portando il proprio mondo nel mio. Un esempio che posso fare è proprio danza della pioggia dove il brano era composto dalle mie due strofe ma sentivo che nel ritornello ci voleva un qualcosa di diverso e il tocco di Kevin Payne è stato incredibile, quando mi è arrivato sono saltato in aria. Tutti gli artisti coinvolti in Photogallery hanno spaccato, davvero.

Sono d’accordo con te sul fatto che i nostri telefoni racchiudano tutto il nostro mondo e i nostri ricordi. Considerando il titolo del tuo disco, rientri tra quelli che leggono vecchie chat o riguardano la gallery, o preferisci archiviare?

Le vecchie chat mai, specialmente di relazioni finite altrimenti mi prende male e rievoco dolori passati. Però molto spesso se sono in fila da qualche parte o se non ho nulla da fare guardo tutta la gallery del telefono dal 2015 ad oggi e, attraverso video e foto, rivivo quelle emozioni e sensazioni che magari avevo anche dimenticato o comunque riposto in una parte della memoria difficilmente accessibile.

Live in programma per la presentazione del disco?

Al momento non abbiamo live in programma, ma con la stagione estiva sicuramente ci sarà occasione ed io non vedo l’ora di incontrare dal vivo tutte le persone che in questo ultimo anno mi hanno supportato infinitamente.

di Alessia Pardo

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

Tommaso Paradiso ci mostra disagio e romanticismo in Space Cowboy: la recensione

Lo aveva annunciato quasi due anni fa e doveva intitolarsi Sulle Nuvole, ma a causa della pandemia, oltre a slittare, quest’album ha anche cambiato nome. Parliamo di Tommaso Paradiso, che pubblica il suo primo album da solista, dopo essersi separato dai Thegiornalisti nel 2019. Space Cowboy èuscito a mezzanotte il 4 marzo per Islands Records e Universal Music Italia, contiene 11 brani, di cui 7 inediti. Dopo essersi guadagnato un posto importante nella scena indie italiana, con questo lavoro è deciso ad affermarsi nella musica pop: tante le nuove sonorità, a volte tendenti al rock e alla musica anni Ottanta. In questi brani c’è un po’ di tutto, non manca la quotidianità, da cui il cantautore romano prende sempre ispirazione, troviamo un po’ di registi, attori, scrittori e così via. Come lo stesso Tommy ha affermato più volte, il citazionismo fa parte dell’arte, ma lui non si limita al copiare, per lui è fonte di creatività e di rinnovamento. Per l’uso del basso, per esempio, si è ispirato a John Lennon. Il filo conduttore è in primis il disagio, soprattutto quelloche prova nel vivere in questo mondo, fatto di ipocrisia, egoismo e violenza. L’altro tema fondamentale che non può mai mancare nei suoi brani è l’amore, per la vita, per gli amici e per la sua Carolina, musa ispiratrice. La penna ormai riconoscibile di Tommaso è caratterizzata da nostalgia, difficoltà quotidiane, malinconia, sensibilità, delicatezza, romanticismo e desiderio. Con parole semplici e mai banali ci racconta con naturalezza la normalitàche spesso non consideriamo, ma una volta ascoltata prendiamo consapevolezza che questa è parte di noi, e deve essere vissuta così com’è.

Ma perché il titolo è proprio Space Cowboy? Tommaso ama i film di Sergio Leone e non solo, tutti i western e quelli dell’immaginario dei cowboy americani. Il “cowboy dello spazio” è una proiezione di sé stesso, a volte malinconico, agitato dal continuo disagio ma pur sempre romantico e sognatore.

 La pubblicazione di Space Cowboy è stata anticipata dall’uscita di Tutte le notti, prodotta da Dorado Inc. e dai singoli Magari No (disco d’oro), La Stagione del Cancro e del Leone e Lupin, che sono contenute nell’album. Quindi, gli altri brani, quali, Ricordami, certificatodisco di platino, Ma Lo Vuoi Capire, disco d’oro, I nostri anni, anch’essodisco d’oro, e Non avere paura, entrato nella Top Ten di tutte le classifiche (FIMI/Gfk, Spotify, Airplay EarOne, iTunes e Apple Music) e certificato triplo disco di platino, non fanno parte di Space Cowboy.

Tutti i brani vedono la produzione di Enrico Nardelli già al fianco di Gazzelle, Ligabue e Colapesce-Dimartino. L’album è stato registrato in Costiera Amalfitana, davanti al mare, che per Tommy è sempre un elemento d’ispirazione; a volte si sentono suoni di cicale che ha voluto tenere così, senza modificarli o eliminarli.

L’album si apre con Guardarti Andare Via. Il brano parte lento, dolce, ed esprime alcuni semplici desideri del cantautore, la sua pura quotidianità: la ragazza che esce, lui non sa cosa fare se non continuare a guardare film sulla Rai, aspettando che torni. Lui non può cambiare questa elementare consuetudine, se non guardarla andare via e cercare emozioni nel cielo. “Non sarà così impossibile/ Sorvolare l’oceano/ Rispetto al male che mi fa/ Guardarti andare via

Proseguendo l’ascolto parte Amico Vero feat. Franco126, unico featuring dell’album. Non a caso il brano vede la presenza dell’amico Franchino, amico di vecchia data e autore del precedente successo Stanza Singola. Ritornano i soliti disagi in veste diversa: Tommaso ama l’estate, il mare, il caldo, ma odia il traffico e le lunghe code. Qui parla di due ragazzi che ad agosto sono ancora a Roma, fa un caldo torrido, la città è deserta, si sentono al telefono e si mettono a girare l’Italia, ovunque la macchina li porti. Dice all’amico di sbrigarsi per andare al mare, perché ci sarà la coda e che magari trovano qualche “ragazza che ci sta”, ma se va tutto storto non c’è di cui preoccuparsi perché in fin dei conti nulla è più importante dell’amicizia. Basta infatti la compagnia di un “amico vero” e magari una bottiglia da bere in due, per stare bene. “Mentre andiamo senza meta / Ma con il serbatoio pieno / Io sto bene anche così / Con un amico vero”.

Magari no è un brano di nostra vecchia conoscenza, pubblicato il 15 novembre 2021. Qui si possono sentire le tastiere, l’elettronica e un ritmo forte. Ci sono poi i cori sullo sfondo, le doppie voci e un ritornello che entra subito in testa. Il tema è la malinconia e il cantautore ricorda questa storia d’amore, che sembra avere una crisi, con nostalgia. “E non dirmi davvero che ti risveglierai lunedì/ Senza un casino nel petto, un casino nel letto / L’ultimo pacchetto e poi magari smetto / O magari no”. A volte nella più comune quotidianità si finisce per non essere più capaci di trovarsi e capirsi. I momenti della vita in questo brano sono descritti con concretezza. Paradiso non riesce a dormire, va in giro e ripensa ai momenti vissuti assieme, mentre beve una Coca-Cola in autogrill con la musica a palla per restare sveglio. Ciò che resta, alla fine, è la certezza che “tanto domani il sole arriverà”. È una certezza che si manifesta solo sul finale, forse per consolare l’ascoltatore, perché magari l’amore non è ancora finito, avrà ancora una chance per rinascere. O magari no.

Lupin è di nuovo scappato” canta nel singolo Lupin lanciato lo scorso gennaio. Parla anche qui di cose comuni che potremmo vivere o che abbiamo vissuto: un normale giorno qualunque… “Ma che splendida normalità“! La normalità che in questi due anni di pandemia è cambiata, anche le piccole cose ora dovremmo apprezzarle di più: rivedere un amico, prendere aria fresca, guardare la pubblicità con spensieratezza, bere una bibita insieme o stare da soli, perché in fin dei conti bisogna bastarsi anche da soli. Nella solitudine però c’è sempre qualcosa con noi, con Tommaso c’è sempre il suo pianoforte. Lupin è un po’ lui mentre, in qualche modo, si divincola dalla realtà e fugge verso l’immagine serena di normalità.

La Stagione Del Cancro e Del Leone è quella tipica hit estiva che vede la sua firma, la sentiremo sicuramente in spiaggia la prossima estate.  Il singolo però è stato pubblicato a dicembre proprio per incentivare il sentimento di malinconia. Tommaso ha detto che “questa canzone non è stata scritta per l’estate, ma per l’estate che abbiamo dentro anche d’inverno”. La malinconia dell’estate, del caldo, dell’aria fresca: tutto finisce, la messa, la scuola, iniziano le vacanze e i mesi estivi, inizia la stagione del cancro e del leone! “E non posso stare male / quando gli amici stanno bene / e quando tutti vanno al mare / con le facce rilassate”.

Space Cowboy è la title track dalle sonorità dolci e sembra uscire da un jukebox. Tommaso ci dice che piange sempre per gli stessi film, cita il mito americano ma ci dice che l’America è bella vista da lontano, infatti ha sempre Vasco nel cuore. Come al solito, odia l’inverno tanto che anche la neve vuole vederla da lontano, se fosse per lui vivrebbe in estate, con il sole che splende in cielo e il vento caldo della sera. La vita è così bella nella semplicità, ammirare con i propri occhi la luna non da dietro un cellulare. “Sono solo un vaccaro che ama guardare il cielo / Sono solo / Uno Space Cowboy”.

È solo domenica è un brano lento e nostalgico, ispirato alla perdita di un amico, è difficile paragonare quel senso di vuoto domenicale con una scomparsa. Tommaso ha difficoltà con il lunedì e lo sappiamo bene, quando cantava “Il lunedì mi fa male / dalla scuola elementare”. Questo giorno gli ricorda la scuola e le interrogazioni, che gli provocavano ansia già la domenica. Pur essendo cresciuto, però, collega l’ultimo giorno della settimana alla fine di qualcosa e questo provoca in lui agitazione e smarrimento. “Che quando il giorno dopo mi sveglio / oh-oh / Sono pronto a pagare il prezzo / Tanto è solo domenica”.

Segue Silvia, un brano che ti entra subito in testa, dal sound rock. Silvia è la metafora della spensieratezza, della vita che passa: la scuola finisce, inizia l’estate e ci si alterna tra uscite con gli amici, giornate al mare a bere, ballare e divertirsi, trovare un amore o fare baldoria. “Per capire che la vita dura solo un’estate”. Bisogna vivere i momenti anche quelli in cui, noi come Silvia, ci sentiamo soli. Come dice Tommaso, “l’unica arma che ha l’uomo che vive una tragedia è fare una commedia della propria vita. L’alternativa è la rassegnazione”.

Arriva la volta di Tutte le notti, una sincera lettera d’amore scritta per la persona che è nei suoi pensieri, cosa sarebbe la vita senza di lei? La sogna ogni notte e sogna di vedere con lei tutti i film di Fellini e andare a cavallo insieme come i veri cowboy. Un altro desiderio è allontanarla da questo mondo violento, quale il conflitto che stiamo vivendo o le crudeltà della vita come le malattie. “Vorrei vederti ballare in una discoteca / A piedi nudi sulla macchina fino a dentro casa / Separarti da questo mondo violento / Che non è il mio, non è il nostro, ne sono certo”.

Vita è il racconto della vita di Tommaso. Ha un gruppo su WhatsApp che si chiama proprio Vita, dove ci sono tutti i suoi migliori amici. Si incontrano tutti allo stesso bar per discutere se qualcuno di loro ha un problema. “Tanto questo bar non chiude mai / Ci sono gli amici tuoi / Questo bar pieno di guai / Di vita e non di eroi”.

A chiudere il disco è Sulle Nuvole, brano che doveva essere la title track del disco ma che è diventato la colonna sonora del film che uscirà a fine aprile in tutte le sale cinematografiche italiane per Warner Bros e che si intitolerà proprio Sulle Nuvole. È un brano classico e cantautoriale, si parla di quotidianità, quella che ci racconterà anche nel lungometraggio.

Buon ascolto!

Intervista di Veronica Piri

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

Marchettini: nelle sue canzoni kg di incertezze, Milano inferno e messaggi vocali

Marchettini è uno di quegli artisti la cui cifra stilistica e distintiva si può racchiudere dietro alla sua città: come dichiara in Milano Inferno, servendosi di una poetica urbana, la sua dimensione è costituita da mari di strade, rumori di ambulanze, e un senso di dispersione e impotenza, causato da una metropoli che ti guarda dall’alto e ti inghiotte. Il brano, uscito nel 2021 come singolo, e poi confluito nel suo primo album – Odiarsi Male, può essere considerato il biglietto da visita del cantautore di Varese, classe 1995, la cui scrittura si caratterizza per essere un’istantanea di ricordi e momenti cristallizzati nel tempo: ritratti di una quotidianità raccontata in un modo talmente trasparente da diventare universale.

La penna di Marchettini si contraddistingue per essere il risultato di un mix tra cantautorato old-school e nuova musica italiana, in cui suoni hip hop, elettronici e rimandi lo-fi si mischiano a creare uno stile poliedrico e personalissimo.

L’originalità che lo caratterizza emerge anche in occasione della sua partecipazione a #curiamocidimusica, progetto a cui aderisce nel 2020, e che gli permette di entrare nelle fila di Believe Music partecipando al programma Signed By, offerto da TuneCore Italia. Questo servizio offre agli artisti emergenti un team specializzato nel settore musicale, che li supporti in ogni fase della propria carriera; inoltre, grazie a questo progetto, gli artisti hanno la possibilità, nel futuro, di firmare un contratto proprio con Believe Music.

Da questo momento la sua storia con la musica diventa una cosa più seria: una prospettiva di futuro che dai sogni sembra spostarsi al piano della realtà. Grazie a Signed By si circonda di un team di lavoratori specializzati nel settore, e inizia ad elaborare, con loro, un progetto artistico articolato con strategie pensate ad hoc. A parlarci di questo cambiamento, nella sua musica, è Marchettini stesso, che afferma di essere passato, così, dall’essere un artista emergente alle prese con tutti gli aspetti della sua musica, al sentirsi un vero professionista circondato da un team.

“Il mio consiglio agli artisti emergenti è di essere sempre rispettosi, gentili e generosi con i collaboratori che vi sostengono. Ho davvero dovuto riporre la mia fiducia nel team di Believe per finire il lavoro in tempo. Ma, allo stesso tempo, siate sempre onesti innanzitutto con voi stessi e abbiate fiducia in quello che fate, perché il lavoro duro dell’artista dà sempre i suoi frutti”.

Il cantautore viene notato anche da Spotify nella pubblicazione dei suoi singoli; e così, si ritrova in più occasioni ad essere inserito in playlist importanti, come Indie Triste e Scuola Indie, per la quale gli viene dedicata la copertina in occasione dell’uscita di Luna, il singolo che conta più di 1 milione di ascolti. Dopo questi traguardi, Marchettini si classifica, nel 2021, tra i semifinalisti del Premio Fabrizio De André XIX – sezione Musica.

Nel brano Luna, che prende la veste di una lettera di scuse, Marchettini si ritrova a scrivere, nel giro di pochi versi, una confessione universale, che potremmo ritrovarci a fare tutti, verso la persona che ci vive accanto, costretta il più delle volte a vivere la parte peggiore di noi. Proprio contro i mostri interiori, l’artista si trova in una costante lotta, dalla quale la parte peggiore di sé emerge periodicamente dallo specchio, a ricordare contro chi, e perché, si combatte:

Sarebbe bello smettere per un secondo / Di perdersi nel centro e guardare il contorno / Che fanno un po’ più male i tagli sulle dita / Quando ti piove dentro tutta la fatica / Sarebbe meglio, me ne rendo conto / Riuscire a fare pace quando hai tutto contro / Invece di combattere una guerra persa / E fare a pugni sì, ma con l’immagine riflessa / E lo so che non è la versione migliore di me / Quella che vedi tu / E lo so che la parte peggiore non fa più per te / Per te che vivi sulla Luna.

I versi di Luna dimostrano come l’artista riesca a incidere, nei suoi brani, significati quasi metafisici e carichi di emotività: la sensazione di non essere abbastanza contraddistingue i giovani della sua età, in una costante lotta contro il tempo alla quale li costringe la società in cui viviamo. In questo modo, Marchettini diventa di diritto il cantautore hip-hop dei mostri interiori della sua generazione. Ed è forse proprio questo il motivo per cui ci piace tanto.

di Chiara Grauso

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

Quanto lontano possono portare una chitarra e la pura curiosità? Ce lo racconta Francesco Morrone

La sensazione che affiora sentendo per la prima volta Le Mani, il nuovo pezzo di Francesco Morrone, è quasi quella di star ascoltando un cantastorie di altri tempi, dedito a raccontare avventure ed emozioni di persone conosciute in ogni dove. Come se fosse musica popolare, ma che non appartiene a nessun popolo. 
La canzone è composta solo da voce e chitarre, ma in sottofondo si riesce quasi ad immaginare il rumore delle onde, o il fruscio delle foglie, protagonisti del viaggio che Francesco ha iniziato quasi tre anni fa, con l’uscita del suo primo progetto, Ripartendo Adesso, e che, quasi per caso, non è mai davvero finito. 
La musica che ci regala è figlia delle esperienze crude e viscerali di un uomo che si sente a casa ovunque vada, e che trova in un foglio ed una chitarra l’unico modo giusto per raccontarne le peculiarità. 
Abbiamo avuto l’occasione di farci raccontare qualcosa di più sulla sua vita e la sua arte, e non ce la siamo fatta scappare.

Come hai deciso che la scelta giusta per te sarebbe stata quella di trascorrere un periodo della tua vita senza riferimenti geografici precisi?

In assenza di scelte ho preferito partire senza avere una meta precisa, lo spirito nomade è una parte prevalente del mio carattere, ricordo da bambino viaggi esplorativi brevi. Non credo sia solo un periodo ma una costante, ho la mia casa natale ma non mi sento veramente a casa, vagheggio, non posso controllarlo. Riconosco il mio perché di questo tanto vagare, per me è più che sufficiente.

Che rapporto hai con le terre che calpesti nei tuoi percorsi? Che sensazioni ti trasmettono?

La curiosità ha la meglio sul mio lato razionale quindi cerco in tutti i modi di scoprire la storia di un luogo, conoscere i personaggi “storici” di un paese, trovo piacere ad avere conversazioni lunghe con gli anziani, sono libri di storia viventi. Cito il lato razionale perché delle volte la mia curiosità mi mette nei guai.

Da quando hai deciso di intraprendere questo stile di vita il tuo approccio alla musica, il tuo modo di scrivere è cambiato?

È radicalmente cambiato, in origine avevo un approccio prettamente estetico, ho cambiato il mio modo di scrivere, di raccontare, di vivere la stesura di un testo. Ad oggi è strettamente legato ai viaggi, alle esperienze viscerali con anime così pure da potergli leggere la vita dagli occhi.

Il brano appena uscito, Le Mani, ha una durata importante per la media delle canzoni che siamo abituati ad ascoltare. È stata una scelta voluta?

“Abitudine” una parola che mi incuriosisce molto, è così equilibrata, bene ho cercato di rompere questo equilibrio, ho intrapreso questo viaggio con artisti che stimo e che a loro volta stimano la mia dimensione. È stata una decisione che ha seguito un flusso, avevo la canzone chitarra e voce il vestito è stato cucito dalle emozioni da uno spirito figlio di anni di viaggi, non abbiamo badato alla durata ma alla completezza del viaggio.

Nel pezzo la strumentale ha un ruolo preponderante. Nonostante la delicatezza delle chitarre, la loro presenza è imponente e abbracciano le tue parole in modo impeccabile. Come sviluppi un brano solitamente? Hai un processo definito?

Lasciatemi citare i compositori di quest’opera, che sono L’ennesimo e Andrea Principato. Le chitarre sono l’anima di questo disco e se non ci fosse stata la presenza di Andrea l’anima sarebbe stata un’anima a metà. Nella fase embrionale la canzone si sviluppa semplicemente chitarra e voce, solitamente sono immerso in luoghi isolati dove mi è più semplice essere me stesso, nudo. Sono flussi di coscienza, le canzoni, i testi esistono già dentro di me devono solo prendere forma.

Riusciresti a definirmi la tua “guerra da sfamare”?

Non mi è possibile definirla, la riconosco quando si presenta, mi soffoca. Devo continuamente alimentarla per riuscire a placarla.

Ogni artista decide di fare musica per una motivazione diversa ed estremamente personale. Qual è la tua?

Il mio perché è il viaggio, che a suo modo si manifesta in diverse forme. Un viaggio può essere un tramonto, un bicchiere di vino con uno sconosciuto che ti racconta la sua vita dal fondo del bicchiere, può essere il silenzio che ti trasporta in dimensioni inesplorate della mente.

Potrebbe risultare una domanda banale, ma nel tuo caso forse lo è meno. Dove ti vedi tra cinque anni? Pensi che questa fase della tua vita sia legata ad un momento che potrebbe terminare nel prossimo futuro?

L’unica certezza del futuro è l’incertezza, e va bene così.

Grazie di averci dedicato il tuo tempo ed in bocca al lupo!

Grazie a voi ragazze, siete una realtà che ha un’anima, non vi perdete nelle logiche di un mercato illogico.

 Intervista di Ilaria de Guidobaldi

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

Per conoscere Gionata dovete comporre un puzzle: la sua musica

Gionata è un cantautore, viene dalla Toscana, non abitiamo vicino e non ci siamo mai visti dal vivo, eppure, ogni volta che ascolto un suo pezzo, mi sembra di essere la persona a cui ha deciso di raccontare sinceramente la sua vita, entro in contatto realmente con quello che sto ascoltando. Durante quest’intervista provo a capire il perché e, chiacchierando, mi dice che fa quello che fanno tutte le persone che scrivono, dalle canzoni al diario segreto: si mette a nudo. Ci rifletto ed è vero, lo sento così vicino perché le sue canzoni sono sincere. Tornato dopo due anni dal suo primo Album, L’America, a metà novembre pubblica tre brani nello stesso giorno, Torno subito, Pizzeria Ex Cinema e Mal di mare. Una ventina di giorni dopo esce un altro singolo, il suo primo featuring: Il contorno, con Jesse The Faccio, noto nella scena musicale italiana soprattutto per le sue sonorità lo-fi e l’abilità nella scrittura semplice ma efficace. Ascoltando i quattro pezzi, è chiaro che sono in qualche modo collegati: raccontano delle situazioni passate, sono sinceri, parlano dell’abilità di guardarsi dentro e superare così dei blocchi o dei momenti non particolarmente facili. Il contorno, per esempio, racconta di un rapporto tossico, in cui l’autore si sente solo, usato, e si annulla per l’altra persona. Nel momento in cui riesce a dirlo a sé stesso inizia, però, il suo sforzo per tirarsene fuori. E la bellezza del pezzo è proprio nella presa di consapevolezza condivisa con tutti quelli che lo ascoltano. Come nelle sue canzoni, in questa intervista Gionata ci parla del suo umore, della sua musica e di come la solitudine diventa spesso utile per liberarsi delle cose che ci fanno stare male.

Ciao Gionata! Prima di tutto, come stai e come ti senti dopo l’uscita di quattro tuoi pezzi nuovi?

Ciao Marika, ultimamente sto abbastanza bene, grazie.

Ci sono i soliti alti e bassi quotidiani ma essere tornato a condividere musica con le persone mi ha aiutato a uscire gradualmente da un periodo buio. Spero che anche per te e per la redazione di Futura 1993 vada bene, so che è dura per tutti ed è importante non sentirsi soli in questo periodo.

A parte il tour interrotto a causa del primo lockdown, mi sembra che gli ultimi due anni non abbiano bloccato la tua vena artistica e la necessità di scrivere. Dal 2020 hai scritto soprattutto cose nuove o maggiormente ripensato e modificato testi vecchi? E com’è stato in questo periodo il tuo approccio alla musica e alla scrittura?

Ho avuto un momento di blocco, ammetto che non sapevo nemmeno se avrei continuato a pubblicare canzoni, ero proprio giù di morale.

Fortunatamente ho sfruttato questo malessere per riprendere in mano gli strumenti e scrivere, avevo così tanto da dire che sono arrivato dal mio discografico (che mi segue molto e mi ha aiutato nei periodi difficili, spronandomi) con una trentina di canzoni e decidere quali tenere non è stato semplice. Alla fine, ho scelto di scartare le cose più vecchie, era ora di lasciare andare il passato. Come sempre, canto ciò che vivo, quindi ho mantenuto l’aspetto autobiografico, cercando di toccare emozioni e sensazioni che condivido con la mia generazione, come il concetto di diventare adulto, di assumersi delle responsabilità, di prendere delle decisioni e di affrontare i cambiamenti, che tanto ci fanno soffrire quanto ci permettono di crescere.

A proposito di pezzi, Il contorno è il tuo ultimo singolo ed è anche il primo con un featuring. Quando l’hai scritto e come nasce?

Uno dei pochi brani che appartengono a un passato relativamente lontano. Lo scrissi nel 2017 e doveva far parte del mio disco d’esordio, ma alla fine lo scartammo perché non riuscii a trovare un ritornello giusto. Però mi piaceva allora tanto quanto mi piace adesso, il giro di accordi è figo. Durante il primo lockdown, quando tutti noi facevamo videochiamate lunghe, noiose e bevendo l’inverosimile (chi non l’ha fatto?), venne fuori l’argomento parlando con Jesse e gli mandai la canzone, chiedendogli, a perditempo, se gli andasse di trovarci un ritornello. Un anno dopo venne a Milano e mi scrisse. Dal momento che pioveva restammo in casa da me e dopo qualche birretta ci mettemmo a suonare. In una giornata l’abbiamo scritta e registrata.

Quindi così hai capito che Jesse the Faccio poteva essere l’artista giusto per riempire quel ‘ritornello vuoto sulla batteria’…

Jesse ha molte idee, sa adattarsi agli altri senza perdere il suo stile. Ho sempre apprezzato la sua musica e mi sono fidato, sapevo che avrebbe trovato qualcosa di figo e vicino a quello che volevo esprimere, veniamo da realtà simili e anche la sensibilità artistica si sposa bene.

Come si realizza e come si smette di essere solo ‘un contorno’ in un rapporto e quindi nella vita di un’altra persona?

È difficile, ma non impossibile. Anzitutto, secondo me, bisogna saper ascoltarci: capire i nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri valori e comprendere se sono affini alle persone di cui ci siamo circondati. Spesso ci facciamo prendere dalla paura di perdere una figura vicina a noi e ci adattiamo a lei per non rinunciare alla sua compagnia, ma trovo che sia non solo sbagliato, ma irrispettoso verso noi stessi. Quando capita di rinunciare a noi è perché siamo fragili, veniamo da un periodo duro e siamo insicuri, ma ciò non deve compromettere la nostra salute mentale e dovremmo cercare di ascoltarci sempre, per questo è importante trovare durante la settimana dei momenti per rimanere in solitudine, anche semplicemente per fare una passeggiata e stare in compagnia solo dei nostri pensieri.

Molto passato e soprattutto l’abilità di guardarsi dentro collegano tematicamente le nuove canzoni, da Torno subito a Il contorno. Immagino che per un cantautore non sia facile mettersi a nudo così tanto. Credo, però, che sia l’autenticità a rendere credibile e apprezzato il tuo lavoro e quindi, in questo caso, il gioco vale la candela. Hai a che fare con la sensazione di sentirti ‘scoperto’? E come la affronti?

Ti ringrazio, fa sempre piacere sapere che il proprio lavoro è apprezzato, anche se penso che la scrittura debba venire da un’esigenza e non da una ricerca di approvazioni. Se piace tanto meglio, ma, dal momento che questo è un lavoro “delicato”, è bene ricordarsi ogni giorno perché lo si fa, per non rischiare di arrivare a inscatolare emozioni e venderle come verdura al mercato. Quando scriviamo (uso il plurale perché mi riferisco anche a chi scrive una pagina di diario o dei pensieri sulle note del cellulare) ci mettiamo sempre a nudo altrimenti non avrebbe senso, è un po’ come parlare con lƏ psicologƏ o psicoterapeutƏ (spero di aver utilizzato bene lo schwa): se dicessimo menzogne staremmo solo spendendo soldi ed energie a vuoto e non servirebbe a niente. Quindi sì, mi sento scoperto perché, soprattutto con le ultime canzoni, ho toccato temi profondi e delicati, ma non ho paura: la mia musica a volte è come un puzzle e solo chi ha voglia di comporlo può conoscermi veramente, instaurando un dialogo con me che vada oltre il semplice “che lavoro fai?”.

Questi nuovi pezzi sono tutti più orientati verso una produzione lo-fi rispetto a quelli del primo album, L’America. Come mai questa scelta?

Come forse dissi già in passato in altre interviste, per me L’America è stato un esperimento: volevo capire se sarei riuscito a scrivere canzoni pop. Una volta constatato che sì, so scrivere canzoni pop (lo dico in modo umile ma consapevole, è bene valorizzarsi ogni tanto, senza arroganza ovviamente), ho deciso di tornare al mio background musicale, più sporco e con più chitarre (la mia figura di riferimento, sia come gusti musicali che come estetica, è sempre stata Syd Barrett). Devo ammettere di esser stato fortunato, perché questa modalità di lavoro mi ha permesso di risparmiare risorse economiche e mi ha dato l’opportunità di mettermi in gioco, registrando tutto in camera mia e seguendo la produzione in prima persona, con i miei tempi. Ho imparato tanto e vorrei continuare con questa modalità anche in presenza di major e maggiori risorse economiche.

A proposito, ci sono stati altri artisti, canzoni o album che ti hanno particolarmente ispirato per la produzione musicale dei brani?

Durante il periodo di scrittura e registrazione ho ripreso i vecchi ascolti, quelli che mi hanno segnato e che si avvicinano di più al mio gusto musicale: in particolare AM degli Arctic Monkeys, Is This It degli Strokes e gli ultimi due dischi dei Phoenix, a cui si sono aggiunti alcuni artisti più recenti come Dayglow (l’album di riferimento è Fuzzybrain).

Potrei citare altra roba, tutta internazionale (non ho praticamente ascoltato niente di italiano): Castlebeat, The Maccabees, Roar, Temples, La Femme, Tame Impala, Metronomy, Boy Pablo, Mac DeMarco, Unknown Mortal Orchestra.

Come mai l’idea di far uscire tre canzoni nuove nello stesso giorno? Ci sarà un album che conterrà questi pezzi o hai altro in mente?

La risposta a questa domanda te la darò quando ci vedremo ai concerti perché ci devo ancora pensare. È venuto fuori tutto a caso per quanto mi riguarda: c’erano diverse opzioni e quella di tornare dopo 2 anni con 3 canzoni insieme mi sembrava la più carina.

Vorrei mettere insieme tutte le canzoni che usciranno in una raccolta ma sono tante e non so ancora se saranno inserite all’interno di un disco. Mi sono concentrato così tanto sul contenuto che ho dimenticato la forma, fortuna che ci sono le etichette discografiche che ci pensano.

Passiamo allora ai concerti: ce ne sono in programma? Dal vivo pensi di suonare anche pezzi che non sono ancora usciti?

Ne ho fatto uno pochi giorni fa, il primo dopo quasi due anni di silenzio. Ero chitarra e voce e mi ci sono volute due canzoni per sbloccarmi un po’, ma alla fine è andata molto bene.

In quell’occasione ho fatto pezzi sia del primo disco che nuovi e penso di continuare così, magari con un arrangiamento diverso.

Al momento non so dirti cosa riserva il futuro, sono appena tornato, ma so che il mio team sta lavorando bene per la primavera/estate e ci vedremo in quel periodo. La cosa di cui sono più sicuro è che non suonerò mai più Frigorifero, lo dico adesso così non colgo impreparato il pubblico. Non mi vogliate male, ma non la sento nemmeno più mia.

Per il momento vi saluto, ci vediamo in giro! Ah, P.S.: mi trasferisco, dall’anno prossimo mi troverete a Bologna. Ciao!

Intervista di Marika Falcone

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

C’è sempre una via d’uscita: Jesse The Faccio racconta il suo nuovo EP “Le cose che ho”

I periodi di lockdown a cui ci ha costretti questo maledetto virus hanno rivoluzionato un po’ in tutti il rapporto con l’ambiente casalingo. Alcuni, mi sentirei di dire una minoranza, si sono accorti che a casa non si sta poi così male, anzi forse si sta anche meglio che fuori. Ma per tanti, mi sentirei di dire la maggioranza, la casa, da luogo di riposo e di riparo, si è fatta gabbia da cui evadere, culla di emozioni e pensieri negativi. E, inevitabilmente, questo effetto è stato ancor più forte in chi un rapporto complicato con la casa ce l’aveva già prima che fosse obbligatorio per legge starci chiusi dentro.

È il caso di Jesse The Faccio, che dai mostri con cui ha convissuto nel periodo di lockdown della primavera del 2020 ha fatto uscire il suo lavoro forse più intimo e maturo, il nuovo EP Le cose che ho. Quattro brani in cui il cantautore padovano si mette a nudo con coraggio, affrontando tematiche profondamente personali. L’abbandono, la solitudine, la depressione, la dipendenza, l’amore, la paranoia: Jesse non ci gira più intorno e va dritto al punto, scavando a fondo, spiegandosi in maniera esplicita e diretta,intensa ed efficace. Ma va detto che, anche se nasce dal dolore e di dolore parla, questo EP lascia spazio anche alla speranza.

Abbiamo fatto una chiacchierata con Jesse the Faccio per farci raccontare meglio il suo nuovo progetto e in generale il momento che sta vivendo. Ne è uscita l’intervista che trovate di seguito. Buona lettura!

Ciao Jesse! Le cose che ho, il tuo nuovo EP, è fuori: come ci si sente?

Decisamente meglio. Non vedevo l’ora ed ero in ansia anche per questo. Come per molti adesso a me pare sia già finito il suo tempo ma son felice di poterlo portare in giro.

L’EP appare in generale come un prodotto più intimo e personale rispetto ai tuoi lavori precedenti. Anche solo i nomi dei brani che lo compongono, in cui spesso campeggia una prima persona singolare (Le cose che ho, Credo mi vedi, Come posso), sembrano suggerire che i riflettori siano puntati, più che sull’esterno, sull’interno e sul suo rapporto con l’esterno. Sei d’accordo, Le cose che ho ci racconta effettivamente un lato più intimo di Jesse the Faccio?

Sono pienamente d’accordo. Tutto il lavoro è proiettato verso l’interno, mi sono descritto in totale libertà, raccontato dei mesi e del rapporto con me stesso in quel periodo. Avevo forse l’esigenza di scavare più dentro di me anche nella musica, sicuramente è il mio lavoro più intimo.

È vero, la prima persona singolare fa da protagonista. Ma è anche vero che c’è sempre (o quasi) un interlocutore, una persona che è oggetto od origine di quei pensieri e quelle pare che trovano espressione nei vari brani. Quanto è generico quell’interlocutore? Avevi in mente una persona in particolare?

L’ interlocutore chiaramente c’è e per me è molto nitido, chiaro in mente. Diventa generico quando chiunque ascoltando si rivede in parte o in totale in quello che dico, in quelle sensazioni. Sia che siano rivolte verso se stessi o verso qualcun altro.

Ogni brano dell’EP ha un suo video e in ogni video c’è una costante: tu, nudo e alienato, in una qualche stanza della casa. Qual è stata l’importanza della casa nella nascita e nello sviluppo di questo progetto? Il lockdown ha giocato un suo ruolo?

Assolutamente, nasce tutto dal primo lockdown nazionale che ho passato come tutti appunto in casa, ambiente per me non sempre facile, anzi, e trovarmici costretto era molto difficile. Per questo ho anche voluto rappresentare la casa nei quattro video che accompagnano i brani, chiaramente non la casa accogliente ma quella da cui non vedi l’ora di scappare. La difficoltà di rimanere in casa e la mia situazione personale sono state la scintilla per tutto il lavoro.

Insisto sui video, perché mi sembrano restituire molto bene il mood generale dell’EP. E osservo che, quando ci sono altre persone oltre a te, l’interazione sembra sempre fredda. O addirittura, come nel caso di Che resta, tu la cerchi ma nessuno sembra vederti. È questa una delle chiavi di lettura del progetto, il muro che c’è fra te e gli altri?

Più o meno sì, o meglio forse il muro che mi metto io tra me e gli altri non riuscendo ad esprimermi. Circondarmi di persone per me è sempre stato molto importante, ma molto spesso anche se magari all’apparenza non sembrava mi sentivo comunque solo e in qualche modo distaccato. Ho cercato di accentuare questa cosa, anche per far capire meglio i testi dell’EP. Trovandomi 20 mesi fa effettivamente solo, ho ragionato molto su questo tipo di chiusura che dò per primo a me stesso e che forse non mi fa vivere in completa serenità neanche con gli altri. Ho cercato di esorcizzarla concentrandomi su questo lavoro.

Come posso (collo), brano di chiusura dell’EP, sembra per certi versi dare un barlume di speranza, indicare che forse c’è una via d’uscita da quella casa che non sai più se sia rifugio o gabbia. Anche qui ci aiuta il video, in cui finalmente, dopo alcuni minuti in cui ti vediamo nella tua camera a fumare, nudo e solo, sembra esserci una decisione improvvisa: quella di vestirsi e uscire, di evadere. Va inteso come un messaggio di speranza? Ti sembra che ci sia, questa via d’uscita?

Esattamente, sono sicuro che la via d’uscita ci sia sempre, come nel precedente disco mi sono accorto di essere abbastanza affezionato al concetto di speranza in tutto tondo. In Come posso (collo) la voglia di uscire dalla sensazione di solitudine parte forse inconsciamente già dall’arrangiamento del brano, dove il lungo strumentale prima confuso e poi sempre più soave e nitido evoca già quella sensazione di libertà. Anche il messaggio è una sorta di incentivo a reagire, a muoversi, anche se non si è propriamente convinti di se stessi o di quello che c’è fuori.

E a livello di ascolti, di influenze prettamente musicali, c’è qualcosa che ti ha accompagnato e influenzato nel periodo di stesura dei brani de Le cose che ho?

Sì, sicuramente e si parla di comfort zone musicale. Il cardine è In Rainbows dei Radiohead un po’ ovunque, ma sopratutto nel brano di chiusura. Per il resto c’è Battisti con Anima Latina, c’è il mio sempre amato Alex G e c’è una curiosità diventata mezza ossessione per Lil Peep e il suo modo di fare lo-fi, totalmente distante dal mio. Queste sono state le ossessioni da marzo a giugno 2020. Praticamente le uniche cose che ho ascoltato in quei mesi.

Sei nella playlist editoriale di Spotify “Rock Italia” con Che resta. La senti adeguata, l’etichetta di “rock” per la tua musica e per questo progetto in particolare?

(Ride, ndr) Assolutamente no, almeno a livello di produzione. Non sono un fan delle playlist e di quel modo di ascoltare musica, ma so che piacciono e forse a questo punto sono pure importanti, quindi rispetto massimo e son sinceramente felice di esserci dentro anche con un brano così. Live effettivamente pare (almeno per ora) venga più punk!

E quella di “Italia”? La tua musica da sempre è marcata da un sound profondamente internazionale, dunque viene da chiedersi: quanta Italia c’è nella musica di Jesse The Faccio, secondo Jesse The Faccio?

Effettivamente ce n’ è molto poca. Amo la nostra lingua e mi piace scrivere in italiano, però per il sound sono decisamente proiettato su altro. Quello che “va”, a parte qualche caso, non mi fa impazzire devo dire, ma ci sta che sia così. C’è sicuramente molto di più del passato, la musica italiana cantautorale diciamo “classica” mi accompagna sempre.

Nell’ultimo weekend di novembre c’è stata la festa di Dischi Sotterranei, la tua etichetta, che in un post racconti sia andata “fin troppo bene”. Quanto è stato importante tornare a suonare e farlo assieme a quella che definisci come “la famiglia più grande e bella d’Italia”?

Fondamentale, chi c’era ha provato (credo) la stessa sensazione, ovvero che si può tornare a vivere, che esiste un sottosuolo musicale artistico che può fare ancora queste cose. Le band esistono ancora e hanno voglia di venire fuori e farsi sentire, le chitarre non sono morte. E poi tutta l’emozione dopo due anni effettivi di stop e limitazioni. I ragazzi di Dischi Sotterranei sono effettivamente la mia famiglia, lo sono al 100%. Sedici band in due giorni non so chi può permettersi a ora di farlo. Siamo tutti molto orgogliosi di quello che si è riuscito a fare quel weekend.

La festa di Dischi Sotterranei è stata una prima occasione per tornare a suonare, ma hai da poco annunciato anche un tour invernale per Le cose che ho. Insomma, si riparte! Sei pronto? Che risposta ti aspetti?

Prontissimo, super carico con nuovi elementi in band e veramente molta voglia di uscire. Sì sono uscite le prime date adesso, anche a seconda delle disposizioni dello Stato si capirà come continuare fino a (spero) arrivare a una bellissima e intensissima estate.


di Pietro Possamai       

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

Nascosti dietro a petali di papaveri | Recensione di Entrambi, Il Corpo Docenti

Ci sono momenti nella vita in cui la sensazione di sentirsi fuori posto viene accentuata da un gesto, da una parola, da uno sguardo. Ci si sente a disagio o inadeguati in ciò che si sta facendo e si vorrebbe cambiare, differenziarsi dagli altri o mollare tutto e andarsene, convinti che sia la cosa migliore da fare. È una fase che attraversiamo tutti prima o poi, per alcuni rappresenta addirittura lo status di default e non sempre si decide di combatterlo o di uscirne. Spesso ci si rifugia dietro delle maschere, talvolta senza nemmeno esserne consapevoli, mossi dalla voglia di non omologarsi. È da questo tipo di pensieri che prende spunto Entrambi il nuovo singolo de Il Corpo Docenti uscito giovedì 28 ottobre e distribuito da Believe Music Italia. Come anticipa il titolo parte da una situazione di dualità, nonostante ciò che sentiamo raccontare dalla band riguardi più un percorso personale e un rapporto con sé e gli altri, più che la relazione tra due individui specifici. 

Il Corpo Docenti sono BenzoFede e Luca, un bresciano, un livornese e un modenese. Quello che potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta è invece l’origine di una bellissima storia, nata tra i boccali di birra del Maga Furla, ci svelano i ragazzi. Benzo (Lorenzo Manenti) voce e chitarra della band, Fede (Federico Carpita) al basso e Luca (Luca Sernesi) alla batteria. Alle spalle un EP, Scivoli, e un primo disco, Povere Bestie (gennaio 2020) prodotto da Divi de I Ministri; nel presente due uscite freschissime: Sottotitoli ed Entrambi; release seguite dalla stessa direzione artistica.

“Saremo morti prima di sembrare noi stessi” riassume molto bene il messaggio del brano. La delusione data dal non avere mai piena coscienza di sé mista alla consapevolezza che a condividere questa sensazione siamo entrambi: noi e gli altri. Temi che ci riportano alla testa letterati e filosofi del passato; il pezzo è un viaggio tra le maschere di Pirandello e uno Schopenhauer che trattava dell’insoddisfazione perenne dell’essere umano. Interrogativi che attanagliano spesso le nostre menti e in questo caso sono provocati dalle parole della band. Il Corpo docenti non perde l’attitude underground che caratterizzava i primi lavori, ma si arricchisce di nuove sonorità più pulite, tipicamente new wave, ed evolve in quello che potremmo definire un punk più beverino, che di conseguenza non storce il naso davanti a qualche synth. 

Da menzionare anche la struttura dei cori, posizionati nei punti giusti e in grado di avvolgere l’ascoltatore; è quasi come se fosse la nostra coscienza a parlarci e a consigliarci di lasciare da parte tutto ciò che serve, per essere felici.

Anche la cover del brano incarna la sensazione di solitudine che viene approfondita nel testo. Due individui che nascondono i propri volti dietro ai petali di un papavero, nella speranza di non essere visti dall’altro. Il tratto di Margherita Morotti si fonde alla perfezione sulla penna di Lorenzo Manenti e riassume le sensazioni del brano con un artwork in pieno stile Corpo Docenti. Margherita infatti accompagna la band già dai tempi di Povere Bestie e racconta le vibes dei brani attraverso le sue illustrazioni e grafiche.

Nell’attesa di scoprire cosa ci riserverà la band nei prossimi mesi ci riproponiamo di andare a sentirli dal vivo nelle prossime date:

  • 06 novembre al Circolo Arcipelago di Cremona
  • 19 novembre al Ziggy Club di Torino
  • 02 dicembre a Mare Culturale Urbano a Milano

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

Nicolaj Serjotti presenta il suo nuovo singolo “Toc x3 Freestyle”

Nella provincia di Milano gli artisti emergenti spuntano come funghi. Com’è naturale, per uno di realmente valido ce ne sono forse un centinaio di decisamente passabili. Questi ultimi molto spesso sono l’imitazione di questo o quell’altro big che già domina le classifiche, così da presentarsi in partenza senza un’identità propria. E poi ci sono quelli forti, quelli che ti rimangono in testa perché hanno un loro immaginario efficace e riconoscibile, uno stile originale e coerente (ma non necessariamente sempre uguale a se stesso) e qualcosa da comunicare. Nella loro musica e nel loro personaggio c’è qualcosa che, al netto di sacrosante influenze e contaminazioni, gli appartiene al 100%.

Uno di questi è senza dubbio Nicolaj Serjotti, nome d’arte di Nicolò Ceriotti. Classe ’98, è originario di Busto Garolfo, in quella grigia provincia milanese che fa da sfondo alle sue canzoni e in particolare al disco d’esordio Milano 7, uscito ormai quasi un anno fa per Virgin/La Tempesta.

Una penna elegante, capace di restituire fedelmente i pensieri e gli scenari che abitano la testa di un ragazzo che, nel suo essere comune, è fuori dal comune. Fuori dal comune perché evita la superficialità, ma non disdegna la semplicità. Fuori dal comune perché nei pezzi è il mood stesso che vuole trasmettere ad essere protagonista, non tanto uno specifico personaggio o argomento. Fuori dal comune perché dimostra che non occorre una vita da film per porsi le giuste domande ed avere qualcosa da raccontare.

Nicolaj Serjotti sta tornando e ce lo racconta bene con Toc 3x Freestyle, un singolo uscito di recente che anticipa l’arrivo di un nuovo disco “molto diretto, anche se pieno di stranezze”. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui per saperne di più.

Ciao Nicolò, permettimi di aprire con una domanda di rito: come stai?
Non male? Credo.

A fine novembre il tuo primo disco, Milano 7, spegnerà la sua prima candelina. Che rapporto hai sviluppato con la tua opera prima in questi mesi che ci separano dalla sua uscita? Lo senti ancora tuo al 100%?

Lo riascolto sempre volentieri, ma sicuramente lo sento mio più come un ricordo che come un qualcosa di attuale. Senza Milano 7 non sarebbe successo quello che è successo dopo, e adesso abbiamo chiuso un progetto nuovo che per me rappresenta davvero un passo avanti. Musicalmente, a livello visivo ma anche proprio per quanto riguarda il mio modo di rapportarmi a quello che faccio.

E mentre Milano 7 sta per compiere un anno, torni a far parlare di te con un nuovo singolo, Toc 3x Freestyle. Nel pezzo dici “nelle tasche è da un paio di mesi che ho un disco già pronto”. Dobbiamo aspettarci che presto esca dalle tue tasche e veda la luce?

Assolutamente sì. Facciamo scadere il 2021 e poi lo facciamo uscire, stiamo lavorando agli ultimi dettagli ma è davvero tutto pronto.

Toc 3x Freestyle si distingue anche e soprattutto per le sue sonorità profondamente rap, con barre crude sputate su un beat che picchia come un martello. Questo cambio di sound è qualcosa che caratterizzerà tutto il disco o è riservato solo al singolo che lo introduce?
Diciamo che Toc x3 non anticipa niente, se non che ho deciso che volevo rappare di più. Quindi sì, sarà un disco più strettamente rap, ma declinato in varie sfumature e con tante sonorità. Senza mezzi termini, molto diretto anche se ricco di stranezze.

La copertina del singolo mostra il tuo volto riflesso nello specchio mentre maneggi un rasoio elettrico. Quest’immagine ha a che fare metaforicamente con la volontà di dare un taglio al passato e scrivere una nuova pagina del tuo racconto? O sto solo facendo correre troppo la fantasia?
Da ragazzini praticavamo spesso l’arte del taglio en plein air in qualunque posto. Una volta nella neve con 5 gradi, un’altra in centro città. Quindi un pomeriggio mi è tornato in mente, ho scritto a Christian e abbiamo scattato. In generale direi che più che dare un taglio al passato, stiamo rifinendo sempre di più il processo.

La produzione di Toc 3x Freestyle è di Fight Pausa, tuo ormai fedele compagno di viaggio dal 2018. Sarà tra i protagonisti anche del nuovo disco?
Più che protagonista. Ha curato la produzione di tutti i pezzi e abbiamo sviluppato insieme l’idea sonora del progetto, come direzione e come scelte in itinere.

Prendendo in prestito le parole di Caparezza, il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Sei d’accordo? Senti la pressione di doverti confermare o vivi questa sfida con serenità?
Penso che sia difficile se con il primo disco sei diventato famoso. Io sono ok, sto già pensando al terzo, me la vivo più come un processo di evoluzione artistica e per ora mi sento in miglioramento. Ne riparliamo quando avrò superato il mio prime, lì forse mi preoccuperà fare un disco.

Quando non è indaffarato a fare musica, che musica ascolta Nicolaj Serjotti? Quali artisti lo ispirano e lo influenzano di più in questo periodo?

Tanti. Sintetizzo nei tre dischi che sto ascoltando di più ultimamente: 
Mount EerieNo Flashlight
21 Savage, Metro Boomin – SAVAGE MODE II

Injury Reserve By the Time I Get to Phoenix

Dopo due estati di sedie, distanziamenti e mascherine, la musica dal vivo come eravamo abituati a conoscerla sta finalmente ripartendo. Quanto ti manca il palco? Sei pronto a tornarci?

Vorrei riscoprirlo, perché alla fine il mio primo disco è uscito mentre eravamo in quarantena quindi non ho avuto troppe occasioni di suonarlo live. Però a settembre ho aperto il concerto di Generic Animal al Magnolia ed è stato pazzesco. Non vedo l’ora di riuscire a girare e soprattutto di portare questi nuovi pezzi dal vivo.

Di Pietro Possamai

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

Intervista a Emma Nolde: approfondimento della sua nuova collaborazione artistica con Generic Animal

Alla vigilia del suo mini-tour in quattro date insieme all’amico Luca Galizia, in arte Generic Animal, abbiamo incontrato Emma Nolde e già vi anticipiamo che è stato super interessante. 

Emma nasce in quelli che Vasco Brondi definirebbe “anni ‘00” a San Miniato, un paese di poco meno di trentamila anime nella provincia di Pisa. Un’artista che mescola il rock, le tinte soul e una scrittura intima, il tutto condito da estrema eleganza e finezza derivanti dai suoi studi al Conservatorio. Il suo album d’esordio Toccaterra uscito a settembre dello scorso anno è piaciuto al pubblico ed ha strabiliato la critica. Pochi giorni fa è uscito il suo nuovo singolo in collaborazione con Generic Animal, dal titolo Un Mazzo di Chiavi, un Ombrello, Lì in Mezzo. I due hanno coronato la loro collaborazione artistica in quattro tappe: dal Bronson (Ravenna) al Locomotiv (Bologna) passando per l’Off (Modena) e il Circolo Kessel (RE). In queste due chiacchiere con Emma gli abbiamo chiesto del passato, del suo tour e del futuro, ma non siamo per gli spoiler.

Ciao! Innanzitutto, come nasce questo nuovo singolo? Ma soprattutto, come è scaturita la collaborazione con Generic Animal?

Ho iniziato a scrivere questo pezzo a casa al pianoforte, sapevo di cosa volessi parlare: avevo da poco perso un rapporto molto importante con un amico stretto, che però in qualche modo sapevo dovesse finire perché non era più sano. Sono una persona che perde sempre le cose, gli oggetti, chi mi sta vicino lo sa, e quindi volevo cercare di descrivere il posto dove si ritrovano accumulate tutte le cose che ho perso. 

Appena mi sono accorta che nel testo avevo iniziato a usare parole molto concrete e materiali mi è venuto in mente Luca (Generic Animal), che ha un modo di scrivere estremamente materiale. 

Usa parole di tutti i giorni inserite in contesti diversi. Già ci eravamo conosciuti, gli ho mandato il pezzo, gli è piaciuto e lo abbiamo finito insieme.

Da studente di marketing e comunicazione d’impresa salta subito agli occhi il titolo: Un Mazzo di Chiavi, un Ombrello, Lì in Mezzo. È un titolo “tecnicamente anticomunicativo”: Da dove arriva? E perché?

È un’idea di Generic Animal, si è ispirato ai titoloni lunghi dei pezzi post rock anni ‘90. Quando me lo ha proposto io invece mi sono immaginata un romanzo, il titolo di un libro di narrativa, e mi sembrava perfetto per una canzone che secondo me racconta una storia ben precisa, che si apre e si chiude. Una sorta non solo di capitolo, ma proprio di storia a parte, che sapevo di non voler inserire nel disco a cui sto lavorando.

Riguardo la scrittura del testo, ognuno ha scritto la sua strofa oppure oppure è stato una sorta di “mashup narrativo”? 

Ognuno ha scritto la sua strofa, il finale lo abbiamo scritto insieme mentre registravamo a Milano le voci di Generic Animal.

Passando al “mini tour” che inizierà il 4 novembre al Kessel di Cavriago, cosa dobbiamo aspettarci? Come dividerete il palco tu e Luca?

Aspettatevi caos (ride), suoneremo l’uno i pezzi dell’altro, ci scambieremo chitarre, ci alterneremo tutto ciò in tre metri di palco nei club, sarà divertente e vivo. 

Già nel 2019 eri nei CBCR di Rockit e il tuo album Toccaterra del 2020 è stato riconosciuto come uno dei miglior album italiani dell’anno appena concluso. Quando hai scoperto la tua passione per la musica? E che influenze musicali hai avuto?

In modo più serio l’ho scoperta a circa 15 anni, a quell’età ascoltavo  

Ed Sheeran e basta (ride), poi ho scoperto Damien RiceLauryn Hill, poi i RadioheadJames BlakeBon Iver, Ben Howard.

Nel film Begin Again con Mark Ruffalo c’è una frase che dice: “Puoi capire tante cose da una persona dalle sue playlist.” Cosa c’è nelle playlist di Emma Nolde?

In questo momento soprattutto Phoebe BridgersLittle SimzAquiloMicheal KiwanukaFleetwood Mac.

Quali sono i tuoi progetti futuri a livello musicale passato questo mini tour?

Finire di registrare il nuovo disco e poi farlo uscire con un immaginario forte e che lo rispetti e rispecchi.

Dove speri di vederti artisticamente a 25 anni? 

Spero di crescere artisticamente, di saper suonare meglio, di essere molto consapevole del mio suono ma di sperimentare sempre tanto. Spero che questa ricerca di parole e di suoni sinceri mi porti a costruire un pubblico che rimanga nel tempo.

Intervista di Davide Vagnarelli  

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!

Categorie
Internazionale

Colloquio di stati d’animo: l’esordio dei LAMECCA

Nella cultura British con l’espressione “Ginger” si fa riferimento ad un aspetto fisiognomico e culturale: Ginger sono le persone dai capelli rossi. La storia, purtroppo, ci ha da sempre raccontato come nel corso del tempo le chiome rosse furono sinonimo di corruzione morale, da associare a soggetti dotati di poteri magici e per questo considerate non umane, in quanto diverse. Secondo gli stereotipi, i Ginger sono i soggetti dal carattere impetuoso, ribelle e sfacciato, estranei a tutto ciò che può essere prevedibile, lontani dalle regole; un po’ come Rossella De Napoli. Una voce sofferta ed elegante, che in un agosto “senza estate/ né tepore” del 2019 abbraccia in una sala prove della provincia di Salerno, la musica di Alfonso Roscigno, Gianluca Timoteo, Alfonso Cheng Palumbo e Vincenzo Longobardi.

Nel luogo in cui tutto prende forma, grazie ad una jam session, nasce Ginger: singolo d’esordio dei LAMECCA, band dalle variegate sonorità post-punk, emo, post-rock e indie rock.

LAMECCA è infatti il luogo in cui si incontrano le intenzioni e le influenze musicali di Rossella, Alfonso P., Alfonso R. e Gianluca.

Nella primavera del 2021 Vincenzo si unisce al progetto per arricchire il sound con una seconda chitarra, un mattone in più per costruire sul palco un muro di suono autentico e passionale. I LAMECCA sono una band controcorrente, una di quelle band che si distingue nettamente dalla scena più indie italiana, dal forte impatto emozionale e senza regole, in cui l’attitudine punk si mescola alla vena più introspettiva del post rock e dell’emo.

Dalla prepotente ed emotiva voce della cantante dei LAMECCA si avverte la totale esigenza che ha Rossella di voler raccontare la sua stessa storia, rivolgendosi alla ragazzina dai capelli rossi di un tempo: “Ragazzina stai attenta/ all’asciutto/ stai lontana/ dalla rete/carne e basta/ sulla schiena/ la paura/ non guarisce/ la solitudine”. Ècome se fosse un instancabile colloquio di stati d’animo tra passato e presente, in cui la cantante ricorda all’impulsiva Ginger del passato gli innocenti tormenti e le vulnerabilità rinchiuse in uno scrigno di sentimenti, che necessita di essere svelato: “Ginger canta incantevole”.

Un flusso di coscienza irrequieto, scandito dalle pungenti e melodiche chitarre che costruiscono il telaio impeccabile pronto per la totale libertà espressiva della prorompente musica dei LAMECCA. È un brano costellato di collisioni emotive, in cui le affinità punk seguono le tracce più introspettive del post rock e dell’emo. Ginger è come un post-it che ci ricorda quanto possa essere importante avere il coraggio di mostrare le nostre fragilità.

Gli impellenti suoni fanno da riparo all’immaginario passionale e concettuale che la band vuole presentare. Per questo motive Ginger è stato scelto per introdurre lo spazio narrativo dei LAMECCA: non possiamo che aspettarci il meglio da loro, e non vediamo l’ora di scoprire cosa hanno in serbo per noi!

Di Carla Leto

Futura 1993 è il primo network creativo gestito da una redazione indipendente. Cerca i nostri contenuti sui magazine partner e seguici su Instagram e Facebook!