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Cosa c’è nella camera di Black and Blue Radio

It Will Be Nice è il nuovo singolo di Black And Blue Radio, il progetto musicale del doppiatore e musicista Davide Albano, disponibile da venerdì 24 febbraio e distribuito da UMA Records/Sony Music Italy. Spesso si tende a cercare la soluzione dei propri problemi negli altri, mossi dalla convinzione che stare in mezzo alle persone ci faccia sentire meno soli. Sulle note folk rock d’oltreoceano, It Will Be Nice parla di solitudine come scelta, come qualcosa che non deve far paura ma da cui si può imparare e che può dare un senso di libertà che è difficile trovare altrimenti.

Star soli non vuol dire non essere in grado di amare. Al contrario, quando si raggiunge tale livello di armonia con se stessi si è in grado di non proiettare le paure e le insicurezze con cui dobbiamo fare i conti ed apprezzare le piccole cose che si rivelano essere, poi, le più importanti.

Abbiamo deciso di farci invitare a casa sua. Ecco cosa abbiamo visto!

CHITARRA MARTIN JOHNNY CASH SIGNATURE

Questa chitarra è un pezzo fondamentale della mia vita e della mia musica.  Nel novembre 2019 sono partito, da solo, per New York, preparando il viaggio con sole 2 settimane di anticipo. Per una serie di coincidenze fortunate sono riuscito ad organizzarmi con il lavoro (spesso nel doppiaggio capita che una serie segua la contemporaneità della messa in onda originale per cui si lavorano le puntate di settimana in settimana) e trovai un biglietto aereo a un prezzo bassissimo, come se lo avessi prenotato con un anno di anticipo. Idem per il pernottamento. 

L’idea era partire e provare a trovare una risposta ai dubbi che avevo sulla mia musica. Volevo girare dei locali, trovare contatti per suonare, cose così.  Non sapevo che cosa fare. Volevo partire e poi una volta lì sperare in un colpo di fortuna. Probabilmente non avevo nemmeno  un piano da mettere in atto.  Comunque parto, arrivo e, una volta in città, comincio a pensare di aver fatto una cazzata. 

Ok, mi sarei goduto la vacanza, ma non partito per una semplice vacanza. Avevo in ballo un nuovo disco, c’erano delle idee ma non sapevo che farmene. Il disco d’esordio era andato discretamente bene dal punto di vista della visibilità, malissimo dal punto di vista commerciale ma non era quello il mio obiettivo.  Sono circa le 23 della mia prima sera newyorkese, piove e mi trovo nel cuore di Manhattan, vicino al Madison Square Garden e sono completamente solo.  

Sembra la scena di un film. 

Penso che ho buttato via il tempo, che forse non è la musica la risposta , che basta, non ha senso a 39 anni cercare ancora una motivazione.   Rimango una decina di minuti a fissare il vuoto cercando di trovare una scusa per tirarmi su di morale e non pensare di avere fallito su tutta la linea.  Esattamente come in un film, alzo lo sguardo e dall’altra parte della strada vedo uno dei più grossi Music Store di New York, SamAsh.

Attraverso e in vetrina ci sono delle chitarre spettacolari. Una su tutte: La Martin Johnny Cash Signature. Ma chissà quanto costa. Questa visione comunque mi trasmette un po’ di fiducia. Torno in camera e passo la notte a scrivere e a fare mille mila viaggi mentali. Il giorno dopo, senza aver chiuso occhio, mi precipito al negozio pensando che se la Martin dovesse costare un patrimonio, potrei prendere un ‘rottame’ qualunque e comunque farci qualcosa. 

Entro e vedo che il prezzo è assurdo: circa 400$ scontata (è la versione economica, l’originale costa tipo 20 volte di più). La provo. La prendo. 

Esco e comincio a cercare su internet tutti i locali dov’è possibile potersi esibire nelle serate openmic. Passo le giornate a camminare, cercare i locali, tornarci la sera, suonare e tornare a casa di notte come se avessi fatto soldout al MSG. 

Ogni sera suonavo dalle 2 alle 5 canzoni e la cosa meravigliosa era l’attenzione della gente. Ho capito che non potevo essere finito lì per caso. Tra le follie successe: una sera dopo aver suonato in una location dietro Times Square, mentre torno in albergo, per strada trovo una DeLorean con un tizio che ti permetteva di salirci e ‘provarla’. 

Ecco, questa chitarra è stata un nuovo inizio e la compagna di un’avventura indimenticabile. 

PASS DI ROGER WATERS

Il concerto di Roger Waters al Circo Massimo è stato uno degli eventi più incredibile a cui abbia mai assistito.  L’evento era soldout e tramite un amico riesco a farmi assumere per la giornata come barman. Più precisamente addetto alla spillatura delle birre. 

Ci dobbiamo trovare lì molto presto, rispetto all’orario d’inizio. Fa caldissimo. E l’idea di rimanere sotto quel sole è da matti. 

Ok,m eravamo riparati ma non si poteva resistere. 

Comincia il lavoro, sistemiamo i fusti, le bottiglie varie e prepariamo la postazione all’assalto che sarebbe cominciato da lì a poco. 

Ad un certo punto sentiamo degli strumenti suonare e una voce inconfondibile: era iniziato il soundcheck. 

“Wish you were here” è il brano scelto come prova generale. 

Surreale. Non trovo altro termine per definire quel momento. 

Il sole cocente, il Circo Massimo, le auto e il caos della giornata che per la maggior parte delle persone è una delle tante.  Per noi lì presenti invece è un momento indimenticabile: una delle più grandi rockstar viventi sta cantando una delle canzoni più importanti della storia della musica, per qualche decina di persona. In una normale, calda, giornata romana. 

Inizia ad arrivare la gente. 

Una marea di persone che sin da subito combatte il caldo a suon di bicchieri di birra.  Cominciamo a un ritmo forsennato che non smetterà se non dopo ore.  Arriva la sera e comincia il concerto.  Scenografia straordinaria, Roma come cornice, una marea indescrivibile di gente e ‘quelle’ canzoni. 

Il delirio. 

La nostra postazione si trova in prossimità del palco. Si vede e si sente meravigliosamente.  Intanto non abbiamo un attimo di tregua, la gente beve qualunque cosa ininterrottamente.  Ad un certo punto però finiamo tutto: birra, acqua, bevande…non rimane più niente. E non arrivano rifornimenti.

Che cosa succede? 

Il punto si blocca. Si ferma per mancanza di ‘materie prime’ in attesa che qualcuno porti qualche scorta.  Nel frattempo parte l’intro di “Wish you were here”. Da quella posizione si può cogliere anche un respiro.  Il tempo si ferma.  Mi sembra di aver trattenuto il respiro fino alla fine del concerto. 

SCARPE DA CORSA

Sono un corridore molto scarso. Vado a correre perché mi fa stare bene, mi aiuta a scaricare le tensioni del corpo, ascolto tanta musica e spesso riorganizzo idee e ne vengono fuori di nuove. 

Non faccio gare, non ho piani di allenamento e si, mi piacerebbe correre una maratona ma non ho la costanza. 

Vado a correre sempre e solo la mattina presto, d’estate anche verso le 5.30 perché la giornata inizia con una bella dose di energia: subito dopo una corsa mi sento come se avessi bevuto 10 caffè. 

Durante le mie sessioni da runner ho spesso trovato le parole per chiudere una canzone o la strofa che non riuscivo a mettere per iscritto magicamente spuntava fuori al Km 3, per dire. Andando sempre col telefono mi è facile scrivere o registrare una nota vocale. 

Durante la corsa ho scritto mentalmente e per intero il video di “Untitled Black And Blues”, un brano del mio primo disco, ho avuto l’idea del teatro e delle maschere per il video di “Monsters” (il cui video fu presentato in anteprima su Rollingstone Italia) e mi venne l’idea di realizzare un video in soggettiva per il video di “Just Like Water” senza però che la storia riguardasse me. Compaio solo alla fine del video e quella scena è la serata in cui abbiamo presentato proprio questa canzone come singolo del nuovo disco a cui stavo lavorando. Era novembre 2019. Nel giro di pochi mesi la pandemia avrebbe completamente stravolto tutto. 

Nuovo disco compreso. 

LIBRO DI HEMINGWAY

Uno dei miei film preferiti è “Midnight in Paris”. Non tanto per l’ambientazione meravigliosa e magica ma per la storia in sé: ritrovarsi nei locali e poter parlare di musica, arte, poesia, cinema, con i propri eroi. 

Mi capita spesso di andare da solo in un bar, portarmi uno dei miei quaderni e scrivere. Guardarmi intorno e prendere spunti. Parlare con estranei, farmi raccontare delle storie e poi raccontarle a modo mio, prenderne spunto per una canzone o un racconto. 

Mi capita più facilmente quando vado all’estero. 

Viaggio spesso da solo e fuori dall’Italia è più facile ritrovarsi a parlare con estranei. Senza per forza dover affrontare chissà quali argomenti. Anche i più banali. Ma vedo che è meno complicato interagire, cercare un dialogo che da noi, a volte, tra le persone manca. 

Succede, ma è più complicato.

Immagino spesso come Verdone (ad esempio), che su questo ha costruito tutti suoi iconici personaggi, potesse accogliere con entusiasmo tutta una serie di individui davvero bizzarri. E come poi sia riuscito a raccontarli in quel modo malinconico ma allo stesso tempo straordinariamente ironico. 

Mi meraviglio sempre di come la gente, quando si sente a suo agio, abbia quasi il bisogno di raccontarsi. E non è necessario per forza ricavarne un qualcosa. A volte ascoltare e tornare a casa con delle storie quasi surreali è il più bel motivo per aver deciso di affrontare la giornata in questo modo. Per aver deciso di affrontare la vita, in questo modo.

La sera tardi e la notte sono i momenti migliori. In settimana, quando in giro non ci sono tante persone. E nei bar del centro trovi poche persone, che magari sono non so a quale numero di birra,, drink. Magari in quel locale quella sera suona un artista ma la gente è poca. Magari un poeta legge le sue poesie e nel pubblico si contano tre persone. 

Per le strade non c’è nessuno. Finita la performance ci si ferma a raccontarsi, a dire il perché ancora si crede a quello che si fa nonostante tutto. E il sogno comincia lì. 

Purtroppo, dopo la pandemia è più difficile trovare situazioni come queste. 

L’unica sarebbe girare l’angolo e trovarsi in un’altra epoca. Per sentirsi raccontare in prima persona la storia di un vecchio pescatore.

DOC E MARTY

Sono un grandissimo appassionato di Ritorno al Futuro. Forse la trilogia migliore di sempre.

Mi ricordo di averli visti al cinema e soprattutto ho un ricordo vivido del secondo quando ai titoli di coda apparve il trailer del terzo capitolo della saga in lavorazione. 

Il mio primo disco ho deciso di chiamarlo “Out of time” anche e soprattutto per Marty e Doc. 

Non so spiegare per quale motivo mi ci senta così affezionato. Non lo so. Non credo di poterlo spiegare talmente la cosa è così legata ai sentimenti più che alla razionalità. 

Tra le mille citazioni possibili, ne scelgo una che forse è la meno interessante ma per me quella che mi emoziona ogni volta. 

Penso che la foto di Doc e Marty appoggiati al grande orologio,  quella che si vede nel terzo capitolo ambientato nel Far West, ecco…quella per me è Ritorno al Futuro. In quella foto ci vedo l’amicizia, l’affetto vero, un ipotetico rapporto padre/figlio che supera i confini spazio temporali. 

E infatti quella foto sarà il regalo di Doc a Marty alla fine di tutto, poco prima di partire con la locomotiva del tempo e spiegare a Marty e Jennifer che il futuro non è scritto, ma sono loro a deciderlo. 

Mi emoziona ogni volta. 

Pochi mesi fa sono stato a Londra e ho visto anche il musical. Meraviglioso. Per i fan della saga è assolutamente da vedere. 

In Ritorno al Futuro c’è l’amore, la famiglia, l’amicizia, la musica, la voglia di non arrendersi, la volontà di cambiare le cose per renderle migliori. Sono le cose semplici. Le più importanti. Che durano nel tempo. 

Sono le stesse cose che provo a mettere nelle mie canzoni. 

Provando a scrivere il futuro come lo immagino.