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Cosa c’è nella camera di Roberto Benatti

Già anticipato dal singolo “Tu dove sei“, il cantautore e musicista del Teatro alla Scala Roberto Benatti condivide finalmente il suo album di debutto dal titolo “Aspettando Ribot“, fuori su tutte le piattaforme digitali (in distribuzione Artist First) da venerdì 13 ottobre 2023. Luoghi periferici e quotidiani, animali (cavalli, strolaghe, vespe), l’Inter e il tennis, figure umane amate, a volte rimpiante. Understatement, sincerità, un velo di malinconia. Roberto Benatti ci offre una sua personalissima autobiografia musicale dal sapore dolce-amaro: Milano, Silvia, il ruolo di padre e molto altro…

Noi abbiamo voluto conoscere Roberto in un modo un po’ diverso, e gli abbiamo chiesto di mostrarci casa sua. Ecco gli oggetti su cui si è soffermato!

Il mio arco 

D’accordo, il mio è un arco francese, però ha nome buffo, che mi dà modo di smontare in un secondo tutta quell’odiosa prosopopea sulle macchine tedesche, la cucina italiana, gli archi francesi, appunto; si chiama Gillette, come le lamette usa e getta. 

L’ho acquistato, un sacco di anni fa, da un contrabbassista un po’ speciale; già un contrabbassista è un musicista un po’ a modo suo, ma lui lo era ancora di più; aveva un bellissimo nome antico, Sante, ed era un orchestrale cacciatore, che si presentava alle prove dopo essersi svegliato alle 4.00 per andare a cacciare le pernici nelle pianure mantovane di cui era originario, come mio nonno, che anche lui aveva un bel nome antico, Emilio. 

Una volta l’ho dimenticato sulla cappelliera del treno e poi, ragionando in pochi minuti sul quando, sul come e sul dove, come in una partita a scacchi con Trenitalia, l’ho ritrovato; poi l’ho venduto, l’ho ricomprato, l’ho prestato, e adesso mi è ritornato qui, con la punta un po’ spuntata, però. 

Fossi meno negato in matematica proverei a fare il calcolo dei chilometri che ho percorso tirandolo in su e in giù, approssimando partendo dalla sua lunghezza, dalla media delle ore in cui suono al giorno e dalle arcate di un minuto di musica; credo ne verrebbe fuori una cifra di quelle astronomiche, con tanti zeri che non riesci neppure ad immaginartela, una distanza così. 

Io spero che non se la prenda a male, se non gliela aggiusto, quella punta spuntata; mi piace di più così. È che assomiglia un po’ ai peli bianchi della mia barba, sul mento. E mi ricorda papà, che diceva che non vedeva l’ora che la barba gli diventasse tutta bianca. E anche su questo aveva ragione. 

La piccola scatola di Silvia 

Silvia, la mia compagna, ha vissuto tre anni a Minorca. Faceva, all’epoca, delle scatoline dove ricreava dei mondi con piccoli oggetti trovati in giro. In questa ci sono i nostri ricordi di un periodo in cui eravamo “noi due soli, e nel mare aperto”, come canta una canzone che ascoltavamo tanto in quei giorni. 

Palloni

Appartengo a quella categoria di persone per le quali la felicità è prendere a calci un pallone. Non gioco a calcio da più di trent’anni (anche se sogno prima o poi di rifarlo) ma quando vedo una palla non posso fare a meno di correrle dietro e di fare una telecronaca immaginaria di un’azione. Io Silvia e le bambine teniamo sempre un sacco di palle in giro per casa perché non è mica sempre vero che la felicità vale di meno se è a portata di mano. 

I mappamondi

In casa, ovunque mi giri, ho atlanti, mappe, mappamondi di ogni misura. Mi piace un sacco guardare l’incastro tra America del Sud e Africa e pensare a quanto insignificanti siano le nostre beghe, su una terra così antica. E poi cerco il piccolo puntino che è Cernusco Lombardone e dico a me stesso che davvero non vorrei essere in nessun altro posto di tutto il nostro sconfinato pianeta.

I miei protettori 

Nella stanza dove suono, e dove sto scrivendo anche ora, ho alla mia sinistra questa parete con i miei protettori. Perché se tutta l’umanità ha da sempre bisogno di qualcosa in cui credere, beh, io ho loro; e poi c’è Georges che mi guarda sempre con quella faccia bonaria che pare dirmi che in fondo è tutto uno scherzo, di non prenderci troppo sul serio, e allora continuo a scrivere anche se non sono uno scrittore, perché in fondo tutto è un gioco.