“The Doors and the Book” è il nuovo singolo Marco Giongrandi, uscito venerdì 27 giugno 2025 via Costello’s Records. Parole scelte come pietre preziose si fondono a un arrangiamento che, con sobria eleganza, modella il suono in forme piene e vibranti. Il risultato è un brano che abbraccia la profondità del cantautorato, la leggerezza del pop e il coraggio della sperimentazione — un piccolo universo emotivo destinato a restare.
Foto: Chiara Bacci
Queste le parole con le quali l’artista presenta la traccia: «”The Doors and the Book” è un bigino, un piccolo manuale d’istruzioni che ho scritto per me e per ansiosi come me. Volendo, un personale manifesto politico. Da una parte, ci sono le pressioni esterne, le occasioni sperate raggiunte o mancate, le porte dalle quali a volte sento di dover passare per forza, dall’altra, la mia vita di casa, i libri che vorrei leggere e le luci soffuse in cui vorrei passare le mie serate. Eppure è il pezzo più upbeat di tutto l’album, forse ricorda i pezzi più solari dei Sigur Ros. È come se l’ansia si fosse trasformata in voglia di correre lontano da quelle porte e verso quel libro che mi aspetta chiuso sul letto.»
Puoi ascoltare il brano qui:
BIO Marco Giongrandi – isolano di origine, milanese di nascita, brussellese d’adozione – ha iniziato un progetto di canzoni. Cantati in inglese, i pezzi parlano di ciò che Marco ama e di ciò con cui litiga, di quotidianità. La musica, per lo più acustica, a volte elettrica, punta senza fronzoli all’organico. Un po’ Nick Drake, un po’ Julia Holter o Daniel Rossen, si muove tra giorno e notte, mari, soffitte, monti, cieli, libri e porte. Con Marco, troviamo Hendrik Lasure, Casper Van De Velde, Soet Kempeneer; una o due chitarre, a volte un banjo, un pianoforte, dei synth, un contrabbasso, una batteria, delle campane. Marco Giongrandi, originalmente diplomato in jazz nei conservatori di Bruxelles e Milano, è chitarrista e banjoista in gruppi internazionali: Hendrik Lasure Warm Bad, Kettle of Kites, Martha Moore, Dear Uncle Lennie, ANK, e altri ancora.
“Maria and the Sea” è il nuovo singolo Marco Giongrandi, uscito venerdì 30 maggio 2025 via Costello’s Records. Un intreccio sonoro d’altri tempi, un ricamo folk che, con grazia discreta, accarezza l’anima. È musica che vibra di verità e semplicità, e proprio lì trova la sua forza: nell’autenticità che commuove, nel silenzioso abbraccio delle emozioni più pure.
Foto: Margo Mot
Queste le parole con le quali l’artista presenta la traccia: «Ho scritto “Maria and the Sea” dopo qualche giorno speso con Maria al mare, a Genova. Maria è una bambina di 2 anni, figlia di parenti stretti. Io, figlio di sardi, cresciuto a carasau, passeggiate al nuraghe e al mare, ma soprattutto trentenne alle prime armi coi bambini. Dopo 15 minuti idilliaci con Maria all’acquario, scoppia il caos. Maria ha caldo ed è arrabbiatissima. Con me, non col caldo. Disperato, spero di piacerle, di calmarla: nessun risultato, Maria è sempre più arrabbiata. La carta “impongo la mia autorità” non funziona. Mi metto a nudo: ammetto la mia incapacità a Maria, le confesso che anche io, come altri, una volta sono stato bambino. Nei giorni seguenti andiamo al mare, poi le scrivo una canzone. “Maria and the Sea” è un pezzo folk tra luce e ombra, scrittura ed estemporaneità. Al centro c’è una chitarra acustica e una voce. Attorno un contrabbasso, una batteria, delle voci amiche, fischi e campane.»
Puoi ascoltare il brano qui:
BIO Marco Giongrandi – isolano di origine, milanese di nascita, brussellese d’adozione – ha iniziato un progetto di canzoni. Cantati in inglese, i pezzi parlano di ciò che Marco ama e di ciò con cui litiga, di quotidianità. La musica, per lo più acustica, a volte elettrica, punta senza fronzoli all’organico. Un po’ Nick Drake, un po’ Julia Holter o Daniel Rossen, si muove tra giorno e notte, mari, soffitte, monti, cieli, libri e porte. Con Marco, troviamo Hendrik Lasure, Casper Van De Velde, Soet Kempeneer; una o due chitarre, a volte un banjo, un pianoforte, dei synth, un contrabbasso, una batteria, delle campane. Marco Giongrandi, originalmente diplomato in jazz nei conservatori di Bruxelles e Milano, è chitarrista e banjoista in gruppi internazionali: Hendrik Lasure Warm Bad, Kettle of Kites, Martha Moore, Dear Uncle Lennie, ANK, e altri ancora.
Di recente è uscito Pornoamore, il nuovo singolo della Babbutzi Orkestar. Un nuovo capitolo che ci avvicina all’uscita di un nuovo disco e che ci introduce alla conoscenza dell’Uniporno, eletto capitano della banda. Pornoamore è un brano sfacciato, di un punk balcanico che segue la tradizione musicale della band della balcan sexy music, un mix unico nel suo genere con un messaggio semplice: l’amore è assurdo, decisamente casinista, e bisogna essere dei tipi piuttosto punk per affrontarlo. L’Uniporno è un personaggio misterioso e controverso. Ma qual è la sua vera storia?
Scopriamolo.
Ci sono due tipi di persone che spaventano a morte tutti quanti: chi pubblica le stories su Whatsapp e chi pubblica le stories su Facebook. Ma in fondo in fondo, pochi sanno che c’è un terzo tipo da non sottovalutare, ovvero i mostri che ti osservano silenziosamente dalla webcam del telefono mentre ti masturbi nell’unico momento libero della tua giornata. Questa è la storia di come uno di questi mostri sia diventato un Dio: questa è la storia di Uniporno.
Carmelo Hercules, detto anche Uniporno, nasce il 31 febbraio del 323 a.C. nella farmacia di un paesino sconosciuto in Macedonia, da una relazione extraconiugale omosessuale tra Ercole e Pegaso, il suo fedele cavallo alato. Essendo Ercole un semidio, egli aveva il potere di ingravidare qualsiasi essere vivente di qualsiasi sesso e così successe al suo fedele amico.
Però, non appena Pegaso si accorse dell’accaduto, prese la dolorosa scelta di abbandonare il figlioletto metà uomo metà cavallo (con un corno che gli crebbe dopo) appena nato in quanto non poteva permettersi di mantenerlo, visto che il padrone lo pagava solamente con i buoni dell’Eurospin. Il povero Carmelo, abbandonato davanti a un fienile, passò ben tre giorni e tre notti da solo senza acqua né cibo fino a quando una famiglia di nomadi – che casualmente quel dì passava da quelle parti per cercare coca ed erba – non lo trovò esamine e decise quindi di accudirlo con amore impietositi dal povero musino equestre. Oggi, quella famiglia di nomadi sono i Pornoamore.
All’età di 17 anni, Carmelo da sempre un bambino molto timido ma a quell’età lì arrapatissimo, disse le sue prime parole, “Cazzo culo vi scopo a tutti quanti” e ciò destò scalpore e inquietudine tra il popolo macedone, tant’è che i genitori acquisiti vennero pestati a sangue e uccisi con delle forbici dalla punta arrotondata. Dopodiché, soprannominato Uniporno per la sua indole e il suo aspetto, il giovane orfano in evidente stato confusionale per l’efferata strage venne mandato in esilio in un paesino sperduto dell’Italia, Faenza, per aver chiesto un po’ di pane alla persona sbagliata, il sindaco omofobo che aveva capito “un po’ di pene”.
A Faenza, il giovane Uniporno imparò l’arte del borseggio, insegnatogli dal suo migliore amico (una busta della spesa del Penny Market), morto per crisi di panico dopo aver visto casualmente Uniporno nudo. Durante il suo primo colpo in una fabbrica di preservativi, Uniporno venne sgamato alla grande poiché, in un attimo di distrazione, si era messo a gonfiare allegramente con la bocca tutti i preservativi presenti nell’edificio. Peccato che il colpo lo fece di giorno, un martedì, durante l’orario lavorativo, bloccando quindi il lavoro dei poveri operai che in un attimo di ira, pestarono selvaggiamente il povero Uniporno per mandarlo via per poter quindi tornare a lavorare. Il macedone fu poi lasciato in fin di vita, evirato e deturpato nelle rive della foce del Po poche ore dopo, ma sfortunatamente quel giorno il fiume era in piena e perciò le acque impetuose lo rapirono e lo trascinarono fino al largo delle coste romagnole.
Rimasto in acqua per ben sette lunghi anni, e rimessosi in sesto nutrendosi solo di plancton e cannucce di plastica, Uniporno si trasmutò in un sirenetto e comunicando con i gabbiani e i delfini imparò a parlare non solo la sua lingua madre, ma anche l’italiano, il cinese, l’inglese, lo spagnolo, l’armeno, lo srilankese, il francese e il latino antico. Ciò gli diede una gran sicurezza che lo portò a tirarsela di fronte alle balene malate di osteoporosi del mare dell’Umbria.
Divenne il re degli oceani, ogni giorno si scopava le più belle scorfane e veniva rispettato persino dai pericolossissimi pesci rossi dell’Acquario di Genova, fin quando un giorno il suo impero venne distrutto: durante l’ennesima scopata (siccome venne evirato precedentemente, per il sesso usava il suo corno dotato di apparato riproduttore femminile) divenne cieco e storpio improvvisamente e ciò lo portò a tornare a riva per curarsi. Spiaggiatosi in Friuli, un vecchio pastore di quelle parti lo prese, lo allevò come un figlio e poi lo corcò di botte senza un valido motivo, abbandonandolo in coma nella ridente città di Gorizia.
Dopo 2286 anni di coma, Uniporno si risvegliò, pelato, cieco, sordo, storpio e pure muto, ma comunque sia cercò di farsi una vita nella ridente città di Gorizia. Purtroppo nessuno lo voleva, nessuno lo desiderava, fin quando un giorno non incontrò una giovane studentessa di cui si innamorò perdutamente. Uniporno cercò di farla ridere narrandole a gesti, in inglese, la sua vita, e ci riuscì. Ma nei due secondi successivi la ragazza si stufò e lo abbandonò, solo, e in tutto ciò Uniporno non se ne accorse (essendo pelato, cieco, sordo, storpio e pure muto), così continuò a gesticolare per quattro giorni di fila, fin quando un celeberrimo pizzaiolo hawaiano di quelle parti, emozionatosi guardando per ore il povero Uniporno, non decise di accoglierlo nella sua bellissima pizzeria di periferia accaparrandogli il lavoro di sguattero. Uniporno lavorando trovò la felicità, e ritrovò la vista e la parola, così un giorno, gasatosi, andò in discoteca, di giorno, di domenica, ma non trovò nessuno e siccome questa bravata gli costò il lavoro, la casa e tutti i denari che aveva guadagnato, decise di diventare un’entità. Così divenne ciò che tutti noi temiamo: il pensiero di essere spiati dalla webcam del nostro telefono mentre ci masturbiamo. Nessun cerotto o pezzo di scotch potrà mai coprire quella videocamera in quanto Uniporno ci controllerà comunque, assetato di vendetta e di una vita che alla fine non ha mai vissuto appieno.
le foto sono di Simone Pezzolati (amico rinnegato dell’Uniporno)