Categorie
Elettronica

Non dimenticatevi di vivere. Una chiacchierata con i Deleted Soul

Nel corso degli ultimi mesi abbiamo imparato a conoscerli e ad apprezzarli sempre di più. Poi, dopo aver fatto questa chiacchierata con loro, li abbiamo amati! Per essere artisti sinceri bisogna essere prima di tutto persone vere. Ecco, i Deleted Soul lo sono. Per loro la musica è ricerca e non un’occasione per apparire. La musica è una cosa preziosa e va coltivata. Come la vita.

Ciao Deleted Soul, per comporre e registrare avete deciso di isolarvi nelle campagne del Chianti. Quanto è importante per voi il rapporto con la natura?

Ci siamo riuniti negli studi di Elastica Records, un casolare nel Chianti, lontani dalla movida. Non parliamo solo di musica, ma cerchiamo di portare gli artisti in un non luogo fuori dallo spazio e dal tempo, il che significa poco wi-fi, passeggiate mattutine con sessioni di yoga, cibo rigorosamente a chilometro 0, direttamente raccolto nell’orto. Questo ci permette di instaurare con i nostri collaboratori una bolla energetica, nel “qui e ora” che ci permette un’ottima astrazione dal quotidiano immedesimandoci nella composizione. Usiamo tecniche di rilassamento, di respirazione, attività di orticultura. E quando la fase compositiva arriva è potente, istantanea ed emotiva.

Siete un collettivo composto da musicisti provenienti da ogni parte del mondo, ma per questi nuovi brani avete deciso di non lavorare più a distanza e di ritrovarvi fisicamente insieme. Ci raccontate i motivi di questa scelta?

Il progetto Deleted Soul nasce a distanza. In particolare con uno stretto rapporto con Mario Tucci, mio fratello e autore di parte dei testi. Lui vive in Oregon, si occupa dell’immaginario di Deleted Soul. Poi al progetto si è aggiunto Marco Zampoli, divenuto parte fondamentale del progetto. Lui è il cantante dei Flame Parade, siamo vicini di casa, condividiamo lo stesso modello di composizione e di vita. Quando abbiamo progettato il secondo disco di Deleted Soul, abbiamo deciso di coinvolgere musicisti disposti ad effettuare questa esperienza di condivisione fisica e analogica. Il risultato è stato un successo: oltre a Pier Paolo Polcari, produttore degli Almamegretta con cui lavoro da anni su molte altre produzioni, all’appello hanno risposto un sacco di musicisti di fama internazionale, attratti proprio dal nostro modello di composizione molto sperimentale. Donald Renda è riuscito a trovare una settimana di spazio tra i tour con Annalisa e Francesca Michielin, Andrea Torresani (bassista di Vasco Rossi) è arrivato con una macchina piena di amplificatori e bassi con un suono pazzesco che si sono rilevati fondamentali per questo disco. La sorpresa è stata Riccardo Onori, storico chitarrista di Jovanotti, che non ha voluto neanche sentire i provini! Ha semplicemente sposato l’idea e si è presentato totalmente aperto alla sperimentazione. E poi ancora Maya Williams, giovane artista che ci ha raggiunto da Brighton, il percussionista Pablo Gamba ed il supporto totale di Brhaams, ottimo negozio di strumenti musicali che si è occupato dell’allestimento dello studio di registrazione e della sala prove. Abbiamo cenato, discusso della vita, poi di musica e del sound che avremmo voluto da questa produzione. Finalmente abbiamo acceso gli amplificatori, la sala prove è stata allestita in una grotta medioevale. Pietra, tanta pietra con reverberi naturali. Ed è iniziata la magia. Sei musicisti affiatati come se avessero suonato insieme da sempre. Totalmente sincronizzati nei ritmi e nei silenzi. Nessun egocentrismo ma solo ritmi essenziali, accordi calibrati e tappeti sonori da brivido.

Il vostro terzo singolo si intitola “Oblivion”. In una società velocissima che consuma, divora e dimentica subito tutto ciò che inghiotte, quali sono le cose che vorreste recuperare dall’oblio?

La riflessione, nel prendere le scelte della vita, in campo musicale, nella composizione ma anche nell’ascolto. Nei prossimi anni sarà importante fare esercizi di riflessione, pensare, prendersi tempo e smettere di affrontare questa vita in modo distratto. Per questo il suono che abbiamo scelto per il nuovo disco di Deleted Soul è un viaggio introspettivo, da ascoltare di sera con la luce soffusa, dopo aver spento il cellulare, senza pensare alle mille cose che la vita propina tutti i momenti. È una controtendenza: rallentiamo, riflettiamo, prendiamo consapevolezza di quello che ci passa davanti agli occhi e nelle orecchie. Basta masticare contenuti per vomitarli dopo qualche ora, impariamo ad assaporare le cose, le sensazioni, i momenti speciali della vita. Spegniamo la TV, l’esercizio risulterà un po’ più facile.

La vostra musica è frutto dell’unione di elementi presi da tanti generi musicali diversi. Ce n’è uno che non avete mai affrontato e sul quale vi piacerebbe mettervi in gioco per qualche produzione futura?

Sto cominciando a fare importanti approfondimenti sul blues, genere fuori dal tempo, ma mi affascinano anche tutte quelle sonorità non europee provenienti dall’Africa e dal Sud America che ci permettono di creare un crossover contemporaneo e vivace. Stiamo facendo importanti ricerche sulla musicoterapia, seguendo l’insegnamento di Brian Eno. Come sempre i nuovi brani di Deleted Soul nascono da giornate di ricerca e ascolti. Poi inizia la fase dedicata alla composizione. Ma a una composizione aperta in cui è fondamentale l’attesa. L’attesa di una festa nel nostro casolare dove si riversano ottimi musicisti assetati di sperimentazione. In questo momento sto attraendo qualche chitarrista blues, prevedo che arriverà fra qualche mese.

A proposito di futuro, cosa ci dobbiamo aspettare dai Deleted Soul?

Aspettatevi un disco in uscita a fine settembre pieno di emozioni. Emozione vere, scaturite dall’energia di musicisti che si guardano negli occhi e si capiscono. L’importante è rallentare, assaporare, gustare con le orecchie. Vi assicuro che se vi concentrerete su questo, potrete sentire anche i sapori, le energie ed i gusti di quei giorni di composizione. Ci vedrete poi in giro per qualche club buio, in qualche festa di quelle serie, dove la gente sta insieme e finalmente può ballare, abbracciarsi e sorridere.

Salutate i lettori di Perindiepoi con tre location (reali o fantastiche) secondo voi perfette per isolarsi a comporre musica.

Beh sicuramente il casolare di Elastica Records è l’ideale. Tra l’altro, qualsiasi musicista che necessiti ospitalità e ispirazione ci può contattare, saremo lieti di aiutare le sue esigenze artistiche!

Poi consiglio di provare l’esperienza di isolamento nella natura, è veramente potente. Viaggiate leggeri. Oggi si può con le nuove tecnologie. Un ottimo microfono a condensazione, una scheda audio. Un computer, qualche accessorio, una chitarra e tanta voglia di produrre e sperimentare.

Consiglio la sperimentazione, perché è da lì che escono le magie. Niente esercizi di stile, non conviene buttare via del tempo per copiare una canzone o un genere sperando in un briciolo di successo, il successo siete già voi!!!! PEACE

Categorie
Internazionale

Avete mai sentito parlare di Kudalesimo?

I KU.DA nascono nel 2013, e dopo un po’ di anni su e giù dai palchi, hanno pubblicato lo scorso giugno il loro secondo album “Two Pathetic Soul”. Un lavoro con sfumature diverse che merita una chiacchierata.

Ciao KU.DA, descrivetevi in quattro aggettivi.

Ciao! Di solito la domanda è “descrivetevi con tre aggettivi,” quindi siamo contenti che ce ne sia uno bonus: avventurieri, caparbi, irrazionali e ovviamente “Patetici”

Il vostro ultimo album si intitola, appunto, “Two Pathetic Souls”. Un titolo curioso. Come va inteso l’aggettivo patetico?

Va inteso come da vocabolario: nel gergo popolare ha un’accezione svalutante, ma se pensiamo ad esempio alla celebre opera di Čajkovskij “La Patetica”, si capisce che è stata intitolata così intendendo un’esibizione di dolore e di malessere interiore inguaribile, che porta di conseguenza a un sentimento positivo che è la compassione. Con ciò non vogliamo auto-demolirci o, ancor peggio, fare gli intellettuali, ma prendere coscienza di noi stessi. Ci siamo fatti la domanda “ Stiamo bene? Siamo sereni?” E la risposta è quella che sentite nel disco.

Quest’estate avete aperto un concerto ai New Trolls: vi sentite più proiettati verso il futuro musicale o pensate sia più importante coltivare le radici?

Questa è una bella domanda, perché non ha una risposta giusta e quindi può aprire un bel dialogo! Le radici vanno sempre coltivate per stare in piedi e far sì che il vento che tira non ti abbatta. Abbiamo degli ascolti che influenzano il nostro gusto e il nostro modo di scrivere e credo lo influenzeranno per sempre. Crescendo però stiamo imparando ad ascoltare più noi stessi e quello che è il presente. Il futuro è incerto e imprevedibile, quindi proiettarci verso di esso non è sempre una cosa giusta, è più un ragionamento che dovrebbero fare gli imprenditori o i politici. La musica per noi è qualcosa di legato al presente.

Citando un vostro vecchio lavoro, che cos’è il Kudalesimo?

Il Kudalesimo è una sorta di nostra filosofia e anche una reinterpretazione dell’immaginario bucolico in cui viviamo. Per spiegarlo velocemente è un sogno ad occhi aperti: come quando da bambini il tuo giardino di casa diventava lo scenario di chissà quale fantasia, il castello con lo scivolo era un galeone dei pirati, il bosco in campagna celava chissà quali misteri, questo è Kudalesimo.

La vostra musica è sicuramente di respiro internazionale, ma avete mai pensato di scrivere testi in italiano?

Entrambi scriviamo delle cose in lingua madre, ma sono progetti paralleli e personali, quello che ci accomuna è l’amore per la musica internazionale e per la sperimentazione, quindi potremmo anche inserire l’italiano in dei lavori futuri, ma sempre con l’idea di rivolgerci ad un pubblico non solo italiano.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Come accennavamo il futuro è imprevedibile, ora stiamo sviluppando delle nuove idee con un respiro molto più gioioso e spensierato. Intanto stiamo fissando le date per questo autunno per fare ascoltare dal vivo il nuovo album e parte del primo. Per ora la smania di suonare dal vivo è quella più impellente.

Categorie
Indie

Un’opera d’arte e un racconto per entrare meglio nel mondo di “Brilla”

È da poco uscito “Brilla”, il nuovo album dei Les Enfants. Un disco che è un viaggio notturno pieno di luci e che suona come un abbraccio potente.

Sette canzoni, dall’introduttiva “Alba” alla conclusiva “Tramonto” che si mettono a nudo, perché la vita è una sola ed è stupido riempirla con accessori inutili. I Les Enfants sembrano dirci che è bene puntare dritti al cuore delle cose, dei sentimenti, dei rapporti. Siamo noi, con le nostre fragilità e le nostre meravigliose particolarità.

C’è un brano in particolare in questa raccolta che può essere considerato un po’ il manifesto dell’album: “Io e te”.

Più che una “semplice” canzone d’amore, una canzone contro l’individualismo, che racchiude al suo interno tutto un ventaglio di significati.
È la fotografia di uno di quei momenti in cui si fanno i conti con sé, quei momenti in cui – per usare le belle parole del brano – anche se” fuori sembra la fine del mondo, non si ha più voglia di stare a guardare”.

A tutti sono capitati momenti così. Attimi che segnano dei piccoli punti di non ritorno e che fanno fare alle nostre vite un balzo in avanti.
Abbiamo giocato con Marco e Francesco dei Les Enfants e gli abbiamo chiesto di parlarci di uno di quei momenti attraverso un’immagine e un breve racconto. Loro ci hanno stupito con delle opere d’arte fatte da loro!

Marco

Una volta il mondo era tutto giallo.
Gialla la luna, gialle le macchine, gialli i vestiti, gialli i tombini.
Tutto era dello stesso colore. Un colore avvolgente, intimo, un colore che cura.
Ad un tratto Marco pensò: “ma se è tutto CURA, non c’è niente da curare!”
Così scagliò un sasso sulla finestra per rompere il giallo.
Con suo immenso stupore dalle crepe uscì un profondissimo nero che sembrava inghiottire tutti i colori.
“Ommioddio cos’ho combinato” pensò Marco – il nero ormai si stava spargendo ovunque.
Dal cielo gridò una voce “se lo dipingi su un cartone, il nero si sentirà accolto e verrà tutto dentro il dipinto, diventerà la sua casa”.
Così Marco dipinse il vetro giallo rotto su un cartone e il nero subito si ritirò dentro il quadro.
“Che fortuna, tragedia scampata” pensò Marco appendendo il quadro sul muro della sua camera.
Il mondo tornò giallo, fatta eccezione del quadro in camera sua.
Ora Marco era l’unico al mondo ad avere un profondissimo nero appeso sul muro.

Questo quadro nasce dagli scarti di un’altra opera che avevo fatto.
Questi rettangoli gialli mi servivano come modello per ritagliarne altri di diversi colori che andavano a creare una sorta di tramonto sul mare.
Quell’opera era un regalo speciale per una ragazza ma, preso dalla foga creativa decisi di utilizzare questi scarti per creare un’opera nuova.
Così pensai ad un’esplosione o a un vetro rotto e dipinsi di nero un rettangolo di cartone ed incollai i triangoli gialli sopra. Il risultato mi rese molto contento!
Questo collage per me ha tanti significati: può essere un tramonto, può rappresentare una rottura con il passato o un’esplosione di gioia.

Francesco

Riposava nella terra, morbida come un cuscino di nuvole, e chinato appena il capo scorse il suo nuovo corpo armonioso, verde e senza traccia di peluria. Si vide sbucare da una coperta di terriccio leggera. La radice, unico arto a sua disposizione, s’infittonava nel suolo. Tutto era cambiato: quello scandaglio, invisibile ai suoi occhietti, s’inabissava nelle profondità della terra.
– Che cosa mi è capitato? – pensò.
Il giardinetto di via Debussy era diventato un vortice di movimenti frenetici e di sensazioni impreviste. Ci volle un attimo per capire che era solo questione di prospettiva, la sua, che era cambiata. Il mondo era lo stesso, era lui che funzionava in un nuovo modo.
Aveva ereditato l’abitudine di guidare il suo involucro di carne come un’automobile per spostarsi qua e là, additare e addomesticare gli oggetti. Ecco, questo era cambiato. La metamorfosi compiuta. Il movimento dello sradicamento non rientrava più tra le possibilità previste dal suo codice, né l’afferrare, né il tener per sé. Ma sbocciare come una rosa, quello sì.

Categorie
Indie

Il combustibile degli Arancioni Meccanici

Gli Arancioni Meccanici ci hanno fatto un regalo prima di andare in vacanza. Un nuovo singolo, “Combustibile”, un nuovo video e una porticina aperta sul futuro che fa intravedere l’uscita di un nuovo album. Tornati dalle ferie abbiamo deciso di incontrarli per fare con loro il punto della situazione. Ecco a voi che cosa ci hanno raccontato.

Ciao Arancioni Meccanici, partiamo dalla vostra ultima uscita. Qual è il vostro combustibile?

Il combustibile che abbiamo immaginato per l’omonimo singolo è sicuramente una qualsiasi materia capace di sprigionare grandi energie, senza che ci si preoccupi troppo delle eventuali conseguenze. Per quanto riguarda noi, il combustibile più efficace sono le serate che iniziano all’aperitivo.

Nel singolo precedente, “Italo Disco”, a un certo punto compaiono diversi frammenti audio, pezzetti di frasi, telecronache, interviste, che ci riportano tridimensionalmente agli anni Ottanta e Novanta già evocati più in generale dalle atmosfere del brano. Ce li raccontate?

L’idea è venuta abbastanza naturalmente durante la scrittura del pezzo. Quella parte centrale, ipnotica e narcotizzata, serve a evocare alcune memorie del passato e a proiettarle nel futuro. Inoltre rappresentano anche un piccolo tributo a quella che per tanti versi è un’età aurea e decadente al tempo stesso, di cui siamo indubbiamente estimatori e nella quale artisticamente ci ritroviamo. Ci siamo divertiti a individuare, ripescare (e a ridare voce in quei frammenti audio) alcuni personaggi pubblici e iconici del periodo.

Per “Italo Disco” e “Disco d’argento” sono usciti due interessantissimi rework. Ne è previsto uno anche per “Combustibile”?

Ne abbiamo parlato e ci piacerebbe molto, così come per le tracce precedenti. L’idea di avere un remix per ogni traccia ci intriga. Anzi, se qualcuno leggendo volesse proporsi, noi siamo apertissimi.

Il vostro progetto è nato nel 2005. Al di là dell’evidente ruolo dei social e di Internet in generale, quali sono le differenze che avete riscontrato tra la scena musicale indipendente di oggi e quella dei primi anni Duemila?

La prima fondamentale differenza è che allora era una cosa normale comprare un disco, il che rappresentava una fonte di guadagno molto importante, che permetteva anche a una piccola realtà di stare in piedi economicamente. Oggi fare musica, fuori da un business plan ben definito, assomiglia molto a fare del volontariato per quel poco pubblico a cui può ancora interessare qualcosa d’imprevisto e non allineato.

Se aveste una macchina del tempo, dove andreste?

Per quanto scontata possa essere la risposta, probabilmente a Hill Valley nel 1955 (Ritorno Al Futuro ndr). Oppure anche a una puntata di Festivalbar, tipo nel 1984, suonando come concorrenti in gara.

C’è uno strumento musicale che non avete mai usato e che vi piacerebbe utilizzare per qualche vostra produzione futura?

In realtà non riusciamo a pensare a nulla in particolare. Nelle ultime tracce specialmente, non abbiamo lesinato incursioni in altri territori utilizzando più strumenti. Forse, come da poco fatto in “Combustibile”, introdurre ancora delle voci femminili potrebbe essere una buona idea.

Salutate i lettori di Perindiepoi consigliando cinque dischi per i loro viaggi.

  • Surfing “Deep Fantasy”
  • St Vincent “Daddy’s Home”
  • Franco Califano “L’evidenza dell’autunno”
  • Franco Battiato “La voce del padrone”
  • Neil Young “On the beach”
Categorie
Indie

Rugo e l’arte dell’affondo

“Affondo” è il titolo del nuovo album di Rugo, che torna sulle scene a cinque anni dal precedente “Panta Rei”. Questo nuovo disco può essere visto, per certi versi, come una sorta di concept album intorno al concetto di “abbandono”, da intendersi in tutte le sue accezioni possibili. Non è infatti solo un abbandono “sentimentale” quello di cui Rugo parla in questi nove brani, ma più in generale di un abbandono “esistenziale”.

Desiderosi di saperne di più l’abbiamo incontrato per fargli qualche domanda.

Ciao Rugo, “Affondo” è un titolo che si presta a una doppia interpretazione. Da un lato l’idea dell’affondare fa pensare a una situazione che si subisce senza riuscire a reagire, dall’altro viene invece spontaneo cogliere il riferimento all’attacco dello schermitore che con l’affondo mette l’avversario spalle al muro. In quale delle due definizioni riconosci maggiormente te e il tuo album?

Mi piace spesso utilizzare parole o frasi che presentano una doppia interpretazione ma penso che per farlo debba comunque esserci un motivo, queste parole vanno usate con cognizione di causa. Per questo, all’interno dell’album, il doppio significato del titolo si riflette nella doppia valenza che assume il tema principale, l’abbandono, quindi l’abbandonare e l’essere abbandonati. Io a fasi alterne mi riconosco in entrambe le definizioni, forse una condizione comune a tutti. Non si può vincere sempre, ma di questo ne parlerò forse più avanti.

Che cos’è la “Muzic Italien” che hai nominato in diverse occasioni?

La Muzic Italien è nata come risposta ad una volontà altrui di catalogare sempre tutto. Una parola – il cui suono riporta alla lingua tedesca – si unisce ad un’altra che “suona” francese, per poi poter essere tradotte in “Musica Italiana”. Muzic Italien è una risposta alla domanda: “Ma tu dove ti inserisci a livello musicale?” che viene spesso fatta da tutte quelle persone a cui non interessa inquadrare il genere, ma il raggiungimento di un risultato. Diventa quindi sì una classificazione per sfuggire alla classificazione, ma lo fa in un modo non definito da un genere musicale. Questo è quello che possiamo dire della Muzic Italien e se la risposta non è stata esauriente, bene così.
W la Muzic Italien.

I due video che sono usciti, quello di “Don Bosco” e quello di “Formiche”, raccontano la stessa storia, tant’è che nel titolo sono dichiaratamente suddivisi in Capitolo 1 e Capitolo 2. Ci racconti meglio l’idea che sta alla base di questa scelta?

In Don Bosco e Formiche abbiamo voluto raccontare una storia parallela. Non è didascalica nei confronti delle canzoni ma racconta anche questa, in un modo diverso, l’abbandono. Due personaggi crescono ed affrontano gli incontri che si fanno normalmente nel corso della vita. Succede poi che alcuni incontri ci segnano e ci indirizzano nelle nostre scelte e nelle nostre rinunce. Le maschere rappresentano per i due personaggi il loro punto di incontro, tant’è che sembrano non essere viste dalle altre persone. Le spade, o meglio le sciabole, portano tutto in un mondo parallelo, irrazionale, ma forse solo per la modalità di esecuzione. “Non è una scazzotata”.
Devo ringraziare chi ha permesso tutto questo: le produzioni di The Blink Fish ed Eclettica Video, la regia di Paolo Lobbia ed Elia Tombacco, Marta Lorenzi direttrice di produzione, Elisa Fioritto D.O.P.. Loro, insieme a tutti i ragazzi della troupe, sono riusciti a creare qualcosa nella quale mi rivedo a pieno. Un valore aggiunto. Un bel vestito.

Alla produzione dell’album ha partecipato, insieme ad Andrea Pachetti, anche il tuo illustre “collega” Ciulla. Come è nata questa collaborazione?

Con Ciulla ci siamo letteralmente scontrati su un palco. Ci chiamarono insieme sbagliandosi e da quel momento ci siamo ascoltati. Io stavo iniziando a lavorare alle pre-produzioni del disco, e proprio grazie alla sintonia da subito presente abbiamo iniziato questa collaborazione. Abbiamo passato un anno insieme durante il quale ci siamo conosciuti direi abbastanza Af-fondo e sono molto felice di questo perché la musica ha questo potere, se ti lega ti lega stretto.
Anche con Andrea (Pachetti) è successo questo. In lui ho trovato non solo quello per cui ero entrato in studio ma una sorta di confidente che è riuscito a tradurre, indirizzare e ripulire i miei pensieri.
E poi la musica gli ha fatto dimenticare che sono un pisano.

In tempi di singoli e instant songs, Rugo esce con gli album. In futuro cambierai qualcosa da questo punto di vista o continui a pensare che il formato “lungo” rimanga quello migliore per ciò che hai da dire?

Ogni cosa ha la sua modalità di presentarsi. Purtroppo è vero non siamo più abituati ad ascoltare gli album, vogliamo tutto e subito e adesso non abbiamo nemmeno tempo di ascoltare i vocali su whatsapp, abbiamo sentito la necessità di velocizzarli a 2x (odio questa cosa). Affondo è un album che si è mostrato da solo come tale, non avevo alcuna idea che le canzoni scritte in questi anni avessero cosi tanto in comune. Quindi ho preferito seguire il concetto non pensando a quello che invece funziona e va di questi tempi. Al contempo non nego l’uscita futura di alcuni singoli o meglio canzoni solitarie.

Saluta i lettori di Perindiepoi con cinque cose che proprio ti fanno affondare.

Ciao a tutti o lettori!
Le cose che mi fanno affondare (sta a voi capire quando assume significato di attacco o meno) sono: il mare pieno di gente, le mele a fine pasto, scrivere, il contatto con le persone e PERINDIEPOI.

Categorie
Pop

P L Z, gli alieni che caddero sulla Terra

Ormai è da un anno che questo misterioso duo mascherato ci regala un singolo più bello dell’altro e a questo punto è lecito aspettarsi un album. Nell’attesa siamo saliti sulla nostra navicella per andare a parlare con loro nello spazio, ma niente, alla fine li abbiamo incontrati a Milano. E ci hanno rapiti.

Ciao P L Z, partiamo dal vostro nome che ovviamente fa pensare alla parola “please”. Elencateci cinque cose alle quali non chiedereste mai “please”.

Non chiediamo mai il permesso per alzare il volume, svuotare il frigorifero, far traboccare la vasca, disfare il letto, far andare le lingue.

Siete alieni, ma a giudicare dalle vostre numerose collaborazioni avete fatto amicizia con un sacco di terrestri. Avete già delle idee (o dei desiderata) per eventuali featuring futuri?

Ci piacerebbe collaborare con Alien Alien, Ellen Alien, My Cat Is An Alien e Lil Mayo.

Preferite stare su un palco o chiusi in studio a sperimentare e comporre?

D’estate meglio lo studio con l’aria condizionata; d’inverno invece nei club con le maschere trapuntate di extensions davanti a un MEGA ventilatore come Beyoncé.

A proposito di MEGA, il testo del vostro ultimo singolo, è una sorta di mantra: una frase breve ripetuta; niente strofe, niente ritornelli. Questo è un elemento di novità rispetto alle vostre uscite precedenti. Rappresenta l’inizio di un nuovo percorso o solo un’eccezione?

I mantra sono bellissimi, risparmi un sacco di neuroni a seguire il senso della storia e ti concentri più sui suoni. Vogliamo fare testi sempre più minimi e didascalici, al limite della cantilena rincoglionente, roba che cura l’anima e aiuta a produrre endorfine. Poi però la canzonetta riflessiva ci scappa sempre, damn!

In “Secoli” cantate: “Oh mio dio, parli di futuro e io non ho risposte ma semplici domande”. Siete più tipi da futuro o da passato?

Guardiamo avanti, ma giorno per giorno. Il passato tanto raffiora sempre, non puoi rinnegarlo ed è pure bello vedere come si trasforma nel presente. Insomma, non riusciamo a non darti una risposta retorica, sorry.

Quest’estate non si potrà ballare in discoteca. Salutate i lettori di Perindiepoi con cinque meravigliosi brani svuotapista.

  • Tim Exile – Family Galaxy
  • Minor Science – Blue Deal
  • Rhyw – It Was All Happening
  • Planningtorock – Misogyny Drop Dead
  • Piezo – A Touch of
  • Smerz – You See
  • Chrome Sparks – Marijuana

Oddio, forse sono troppi, ma quando si tratta di svuotapista-meraviglia, non ci conteniamo.

Categorie
Indie

Il mondo colorato di Davide Diva

Non è facile essere cantautori indie oggi. Da un po’ di tempo, dopo la sbornia di Calcutta ed epigoni, l’attenzione del pubblico si è un po’ spostata altrove. Eppure, per fortuna, la tradizione cantautorale del nostro Paese continua a farsi sentire e a rinnovarsi con nuovi nomi molto interessanti. Davide Diva è uno di questi. Se non l’avete ancora fatto, vi invitiamo a scoprire il suo EP “Piccolo album colorato”, un autentico gioiellino.

Ciao Davide, partiamo dal tuo EP “Piccolo album colorato” che ha un titolo curioso reso ancora più interessante dall’artwork che lo accompagna. Ce lo vuoi raccontare?


In realtà il pensiero dietro al lavoro è molto semplice e fanciullesco. Nelle canzoni ci sono molti riferimenti diretti ai colori o a immagini vivide. Quando ho dovuto pensare al nome sotto cui raccogliere questi cinque pezzi mi sono subito venuti in mente i quaderni da colorare dei bambini e quindi al piccolo album colorato. Da qui Veronica Moglia è stata bravissima a pensare a un prodotto e a un impatto grafico che rimandassero a quei ricordi infantili.

In Italia, negli ultimi anni, siete in tanti a scrivere “canzoni indie”. Secondo te quanto è conseguenza di una moda di ormai “calcuttiana memoria” e quanto invece è legato al fatto che noi italiani siamo indissolubilmente legati alla canzone d’autore?


Bella domanda. Da un certo punto di vista spero che nessuno nello scrivere una canzone pensi di voler scrivere a priori con una certa attitudine (indie ad esempio) ma semplicemente ci sia volontà di esprimersi liberamente. In questa direzione Calcutta, ma come anche Contessa o Bugo molto prima, hanno dato esempi su come la canzone d’autore possa evolversi da un punto di vista linguistico e sonoro. Sono d’accordo però sul fatto che ci sia da chiedersi quanto di ciò che è venuto dopo sia sincero o artificioso. Parlando della musica d’autore in Italia non so se si possa fare un discorso generico ma, per quanto mi riguarda, sono cresciuto ascoltando esclusivamente De Andrè, Guccini e De Gregori fino ai 12 anni. Poi, fortunatamente, ho ampliato un po’ i miei orizzonti musicali.

In “Einstein” canti: “Ma se sono con te parlo male di tutti, non si salva nessuno”. Non ti chiediamo di fare nomi (se li vuoi fare ovviamente siamo contenti), ma ci dici quali sono le cose che proprio non salvi dell’indie italiano?


Una cosa che mal tollero è la sovraesposizione e la spettacolarizzazione del normale. Al giorno d’oggi sembra di dover dimostrare sempre di fare qualcosa (che sia bello o brutto poco importa). Credo che questa modalità di vivere tolga molto valore al quotidiano e sia presente non solo tra gli artisti, ma a nella società in generale.

Hai paura degli squali (Einstein), hai paura degli addii (Miami). Dicci altre tre paure che descrivono bene chi sei.


Ho paura che il tempo sfugga dalle mani; ho paura che il digitale faccia disimparare il fisico; ho paura della coerenza o, per dirla meglio, di non riuscire ad adattare le idee al nuovo.

A proposito di nuovo, cosa c’è nel futuro di Davide Diva?


Ho scritto, e sto scrivendo, un sacco di canzoni. Dopo quest’estate voglio tornare di sicuro in studio a registrare, nel frattempo suonerò in giro.

Saluta i lettori di Perindiepoi consigliando cinque piccole canzoni colorate.

  • Strangers di Dayglow
  • Parigi di Carella
  • Hope di Arlo Parks
  • 715-creeks di Bon Iver
  • Cosa sarà di Dalla e De Gregori
Categorie
Indie

Les Enfants. E tutto BRILLA.

È finalmente uscito “Brilla”, il nuovo disco dei Les Enfants. Un album maturo, intelligente, che dice tutto quello che deve dire senza concedersi (e concederci) facili scorciatoie. Un album pieno di notte e luci, scene intime e confessioni all’alba. Un album che suona come una serata con un amico di vecchia data. Di quelli che sai che non tradiscono. Ecco perché siamo così felici di averli incontrati!

Ciao Les Enfants, lo scorso giugno avete sorpreso tutti mettendo in vendita il disco completo su Bandcamp, in largo anticipo rispetto all’uscita sulle varie piattaforme streaming. Vi va di parlare di questa vostra scelta?

(Marco) Abbiamo voluto dare la possibilità ai nostri fan più attivi di ascoltare in anteprima il disco e sostenerci concretamente a livello economico: le piattaforme di streaming non garantiscono un guadagno per noi artisti, purtroppo! Eppure le spese per fare un disco, almeno nel nostro caso, ovvero di una band che vuole registrare tutti gli strumenti, in studio, sono molto alte.
Con un piccolo contributo (il costo di una pizza) abbiamo dato la possibilità di supportarci a chi ci vuole bene. D’altronde la musica ci dà tutto: energia, emozione, forza, compagnia.
E’ sbagliato pagare poco!
Noi pensiamo sia necessario un cambio nella cultura dell’ascolto e della fruizione musicale.

L’ultimo anno e mezzo, lo sappiamo, è stato un duro colpo per il mondo musicale. Prima della pandemia lo streaming si completava con l’esperienza dell’ascolto live. Dopo tutti questi mesi di assoluto protagonismo dello streaming, non è che ci siamo assuefatti? Al di là degli hashtag, abbiamo ancora voglia di andare ai concerti? E al netto delle problematiche pratiche, secondo voi, il mondo live uscirà da tutto questo con le ossa irrimediabilmente rotte oppure ha solo bisogno di un po’ di tempo per rimettersi in carreggiata?

(Marco) Mi sembra che lo streaming sia rapidamente sparito e molte delle proposte che erano state fatte non siano andate benissimo. Il bello della musica è soprattutto il live, che negli ultimi anni stava crescendo tantissimo in Italia. Basta pensare ai vari sold out degli artisti del mondo “Indie”, fino a cinque anni fa era qualcosa di impensabile, negli ultimi anni c’è stata una vera impennata di partecipazione e penso che questa necessità ci sia ancora nel pubblico Italiano.

Quando esce un vostro singolo o un vostro disco lo riascoltate oppure lo lasciate andare e non ci pensate più?

(Marco) Noi abbiamo tempi molto lunghi di produzione e registrazione, buttiamo tanto materiale che non ci piace e fino a che non siamo contenti al 100% non lo pubblichiamo.
Quindi siamo soddisfatti delle nostre opere, quando escono siamo contenti e non ci pensiamo più.
Ogni tanto mi capita di ri-ascoltarlo ma tanto lo sappiamo già a memoria! Ci concentriamo più sulle prossime creazioni.

Brilla” è un titolo bellissimo, perché da un lato fa pensare a qualcosa che risplende, qualcosa di piacevole e consolatorio, dall’altro rimanda all’energia incontenibile di una bomba che esplode. Quale di questi due aspetti è predominante nel vostro disco?

(Francesco) Abbiamo scelto Brilla in un istante e poi non abbiamo avuto dubbi. Più che a fare brillare le bombe come artificieri ci siamo ispirati allo sbrilluccichio lontano che esprimono le stelle. Un barlume malinconico ma ristoratore come un abbraccio, splendido ma non accecante, una luce fioca, opaca. Quindi direi che siamo d’accordo sulla 1.

Il vostro primo EP è uscito nel 2012, quasi dieci anni fa. Qual è stato il momento migliore e quale il più difficile della vostra esperienza?

(Francesco) Di esperienze belle ne abbiamo vissute molte, così al volo mi viene in mente l’ultimo concerto al Magnolia di Milano per il Linoleum Late Night Show. Tornare su un palco è stato super. Abbiamo chiesto a due amici e ottimi musicisti di suonare con noi (Martin del duo “Clio e Maurice”, e Luca de “Il Cairo”). In tanti è più bello: ci siamo divertiti aggiungendo al nostro nuovo live un violino e altri strumenti come gli Arcade Fire. Il periodo più difficile X Factor, senza ombra di dubbio. Ci siamo sentiti come pesci fuor d’acqua per gran parte del tempo. Cover, trucco e parrucco, videocamere e cose stressanti a caso che non ci appartengono. Davvero, non è per tutti, e sicuramente non per me. A posteriori è stata un’esperienza davvero ricca. In senso metaforico, non economico, come potete immaginare.

Salutate i lettori di Perindiepoi con cinque cose brillanti per illuminare la loro estate.

Se non basta aver vinto gli europei, aggiungiamo i nostri quattro singoli che non sono ancora usciti su Spotify. Li trovate sul nostro Bandcamp e c’è tutta la nostra passione dentro!
Buona estate!