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Pop

5 dischi che probabilmente non avete ancora ascoltato (e dovreste davvero!)

Primo giorno di sole dopo settimane di pioggia, ed è tempo di bilanci. Di andare a recuperare qualche disco che forse vi siete persi negli ultimi mesi, distratti dalle playlist e dai tormentoni di Sanremo che sì, riempiono i nostri algoritmi ma ci fanno anche perdere qualche chicca. E per l’occasione ve ne abbiamo segnalati una cinquina!

Cerebral Surge OST” di Alberto Mancini

Primo capitolo, la colonna sonora di un videogioco. Alberto Mancini è un pianista e compositore di stanza a Zurigo che di recente ha condiviso questo suo lavoro, un tunnel oscuro nella mente umana che, con temi ossessivi e disturbanti, ci accompagna dentro questo viaggio fatto di luci al neon e oscurità. Mancini ha collaborato, tra gli altri, anche con Massimo Pericolo e la sua musica è un concentrato esplosivo di esperienze e influenze diverse, senza etichette e generi e, missà proprio di sì, vi abbiamo trovato la colonna sonora per il vostro pomeriggio di smart working. Catartico e bellissimo, anche a prescindere dal videogioco omonimo.

Riviera Airlines” di Amado

E a proposito di dischi che forse vi siete persi a causa di Sanremo, non possiamo che segnalarvi anche il disco di Amado, che vive proprio a Sanremo, quella vera che vive anche fuori dal via vai dell’Ariston. Nella vita è uno chef, ma lo vediamo benissimo a raccontarsi con brani scanzonati, arrabbiati ma senza esplosioni, come chi si è rassegnato. Qui dentro ci sono le sigarette, citazioni e omaggi a scrittori, attori, pittori, un grande grazie a tutte le influenze che hanno fermato Amado. L’Italia, la pasta al forno, una voce graffiante e un piano che ci accompagna per mano per tutte le tracce, il Brasile nel cuore e tanta nostalgia. Per i caffeinomani, per chi vuole sentirsi a casa, per chi ama Brizzi.

Io sono 2” del Sig. Solo

Quello del Sig. Solo è un nome che abbiamo visto tornare spesso nella storia dell’indie italiano, con le sue collaborazioni su e giù dal palco con Dente, Baustelle e più di recente Luca Urbani e Andy dei Bluvertigo, che ha collaborato anche a questo disco. “Io sono 2” è una rivendicazioni, un ritorno, un mondo dove elettronica e cantautorato si fondono, un quel sapore un po’ retrò che sa di Cani e di quando ci sembrava incredibile ballare sulle canzoni tristi, con i testi che parlavano di amori urbani e di ciò che vedevamo sempre. Oggi ci siamo più abituati, tanto che quello del Sig. Solo ci sembra qualcosa di famigliare che abbiamo già ascoltato, che già conosciamo, uno di quei dischi che ci sembra averci accompagnato in adolescenza, e a volte tornare indietro fa solo bene.

Parlo da solo nei centri commerciali” di Luca Urbani

E a proposito di Luca Urbani, non ci è di certo sfuggito questo disco dal titolo “Parlo da solo nei centri commerciali“: un disco intenso, autobiografico, un sogno in un club immaginario, di cui eravamo abituè negli anni Ottanta. Sembra proprio di esserci, là dentro, a guardare tutti quei personaggi strambi, accompagnati dalla voce profonda di Luca, che di storie sembra di averne veramente tante da raccontare. Un album sulla solitudine e l’amore, che a volte sono la stessa cosa.

Sembra ieri” di Pezzopane

E ultimo per oggi, vi segnaliamo un altro cantautore che forse non avete ancora avuto modo di conoscere. In giro da anni, tra la sua amata ed odiata Milano e l’Abruzzo, Pezzopane racconta la sua vita in musica, più per sè stesso che per gli altri, con timidi brani che racconta poco e forse lascia che siano gli altri a capire. “Sembra ieri” è una carrellata di tormentoni indie da urlare in macchina, che piaceranno ai vostri amici che non ascoltano musica ma seguono il calcio, ai vostri genitori e a chi si è lasciato da poco. Pezzopane è quell’amico che a fine cena tira fuori la chitarra, e un po’ ubriaco ci butta addosso le sue canzoni, che ci piacciono tantissimo, anche se quell’amico un po’ ubriaco non lo conosciamo neanche così tanto. Da scoprire!

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Indie Pop

L’indie italiano riparta da Simone Matteuzzi

Già paragonato a Beck in tempi non sospetti (fonte: Il Sole 24 ore), singolo dopo singolo il talentuoso cantante e compositore polistrumentista Simone Matteuzzi, dalla remota provincia di Milano, si sta facendo spazio nel panorama discografico italiano facendo sfoggio di tutta la sua ecletticità e portando una freschezza e una poetica che non stanno lasciando indifferenti stampa, addetti ai lavori e pubblico.
Con il suo ultimo brano “Affinché il mare”, si delinea ancora meglio la pluralità artistica del suo profilo: una poesia onirica sotto forma di ballad disarmante per tenerezza e per splendore, che chiude il cerchio iniziato con la schizofrenica “Ipersensibile” (brano che lo ha portato tra i finalisti di Musicultura 2023), offrendo una visione decisamente più completa dell’universo sonoro di Simone, che siamo sicuri però essere ancora più ampio.
Ad aprile in arrivo il suo disco d’esordio sotto la guida di Costello’s Records e con distribuzione Virgin Music Italia e noi non vediamo l’ora.
L’indie italiano riparta da Simone Matteuzzi!

Ascolta i singoli usciti fino a ora qui:

Biografia

Simone Matteuzzi, cantautore e musicista della nebbiosa provincia di Milano, classe 2001, scrive e realizza le sue canzoni sonnecchiando qua e là tra accordi, profumi, sillabe e impressioni; forse con grande acutezza e sensibilità, o forse con un’ironia agitata, brulicante. Sin da bambino è innamorato della black music, suggestione che completerà negli anni del liceo con la scoperta e lo studio del jazz, della classica, del cantautorato e di vari generi sperimentali.
Suona in numerosi locali di Milano e hinterland con progetti jazz e cantautorali. Nel 2022 vince il Premio“Ricerca e Contaminazione” della Pino Daniele Trust Onlus, con la quale partecipa successivamente come artista e tastierista all’evento “Qualcosa Arriverà”, audiovisual performance nella Galleria Umberto I di Napoli. Nel 2022 inizia a collaborare, come artista e produttore, con Zebra Sound, società di produzione ed edizione musicale di Milano, con la quale produce il suo progetto d’esordio. Con il suo singolo “Ipersensibile” è tra gli otto vincitori dell’edizione 2023 di Musicultura, Festival Della Canzone d’autore e della canzone popolare in lingua italiana e tra i finalisti di Jazz the Future, concorso indetto da JazzMI e Volvo Studio Milano. Nel 2023 inizia la sua collaborazione come artista con Costello’s Records.

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Fonte: Costello’s Records

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Indie Pop

“Bordi”, il nuovo singolo del duo Wabeesabee

“Bordi”, il nuovo singolo degli Wabeesabee, uscito il 23 febbraio 2023, si insinua nei cuori degli ascoltatori con una forte carica emotiva.

Il secondo singolo dei Wabeesabee, estratto dall’album “Isole”, si intitola “Bordi” e si distingue per la sua capacità di afferrare l’ascoltatore nei momenti di oscurità e solitudine. La band si è posta l’obiettivo di creare una canzone che fungesse quasi da mano tesa, un’ancora di salvezza durante i momenti più difficili della vita. Gli Wabeesabee ci mostrano di aver voluto esplorare il concetto della percezione delle relazioni umane. Il brano si articola intorno all’idea che l’isolamento può creare un muro illusorio tra noi e gli altri, ma che alla fine ciò che conta è la volontà individuale di superare le proprie sfide. Questa volontà, secondo la band, rappresenta una responsabilità personale che nessun’altro può assumersi al nostro posto.

Con influenze profonde della black music, “Bordi” offre un viaggio emozionale attraverso tematiche di rinascita, speranza e resilienza. La canzone invita gli ascoltatori a esplorare il proprio io interiore e ad abbracciare la bellezza e la complessità dell’esperienza umana.

Puoi ascoltare il brano qui:

Biografia

Andrea (batteria e cori) e Saverio (chitarre, tastiere e voce) sono il doppio cuore degli Wabeesabee. Il nome nasce da “Wabi-sabi”, visione del mondo fondata sull’accoglimento della transitorietà delle cose. Nel 2021 pubblicano il primo disco, “Muktada” (Pulp Dischi/Artist First).

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Fonte: Costello’s Agency

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Indie Pop

In arrivo il disco d’esordio di Pugni.

Abbiamo ascoltato in anteprima il debut album di Pugni, musicista pisano trapiantato a Torino, in uscita nei prossimi mesi. Salta subito all’occhio che ciò che caratterizza l’artista e muove il suo percorso creativo è l’incontro tra le sue due identità: psicologo e cantautore. Partendo dalla quotidianità della sua professione, Pugni si pone l’obiettivo di scavare nell’animo fino ad arrivare ad indagare l’inconscio tramite le proprie creazioni musicali cercando di trovare un significato ai tormenti di ogni giorno. Come la sua personalità, anche il disco di Pugni rivela una doppia anima: la voce del cantautore alterna momenti delicati e urlati, così come la musica passa da chitarre dal sapore grunge ad attimi più folk. Pugni proprio come la lotta interiore che ognuno di noi deve affrontare continuamente.

La distribuzione delle sue opere è affidata a Believe Music Italia, mentre GDG Press seguirà l’ufficio stampa del progetto. A breve fuori il primo singolo estratto.

ph: Giulia Bartolini

BIO
Lorenzo Pagni, in arte Pugni, nasce nel 1993 sulle sponde di un fiume e cresce navigando sulle sue acque. Per la maggior parte della sua vita, ogni giorno, ha passato ore seduto su una canoa, sorretto dall’acqua e circondato dagli alberi, in silenzio, ripetendo lo stesso gesto milioni di volte. Pugni scopre la musica da bambino grazie ai dischi del padre, ma la comprende nel ritmo cadenzato dalle remate. Quella chiamata sarà tanto forte da trasformare il remo in una chitarra e la fatica in conoscenza dell’animo umano. Lorenzo di giorno fa lo psicologo in una clinica psichiatrica, di notte scrive canzoni.

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Fonte: Costello’s Records

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Comunicato stampa

Miqrà: “La Catastrofe in Me” il nuovo brano

“La catastrofe in me” è il nuovo brano della band siciliana Miqrà che anticipa il loro nuovo album di prossima uscita “Amor Vincit Omnia”.

“La catastrofe in me” è un brano che parla di dipendenze di ogni tipo con cui ognuno di noi si trova prima o poi a fare i conti.


Il nuovo singolo della band arriva dopo un lungo periodo di pausa della band che ritorna con un nuovo lavoro contro ogni logica commerciale. Come dichiarato infatti da Giovanni, paroliere della band: “Credo sia, all’interno del disco, il brano più rappresentativo di quello che è l’universo Miqrà. Per questo lo abbiamo scelto come singolo di lancio dell’album, andando contro la logica commerciale del brano dal più facile approccio all’ascolto. Volevamo un ritorno in pieno stile nostro, con i suoni acidi e crudi di chitarre elettriche, basso e batteria. Però per la prima volta abbiamo dato un ruolo fondamentale al suono classico, infatti c’è un’importante parte orchestrale (un quartetto d’archi) curata da Fabio Agosta.” – continua Timpanaro “Volevamo aprire il nostro mondo a qualcosa di nuovo, sperimentando e crescendo, con la nostra peculiarità di collettivo musicale che, ancora una volta, ci vede collaborare con musicisti di ogni provenienza.

Sarà un disco pieno di suoni, sarà un disco che come sempre racconterà storie di confine per dare voce a quei mondi che, troppe volte, non ne hanno. E questo brano, che in fondo è una sorta di inno alla sconfitta, era il modo più onesto di ripresentarsi dopo la lunga assenza”.

BIOGRAFIA

I Miqrà nascono dalla scena musicale indipendente della Sicilia orientale nel 2012. Nell’Agosto 2017, dopo lunghe sessioni live, entrano in studio affiancati dalla produzione artistica di Carlo Barbagallo per registrare il loro primo disco: Ultimo piano senza ascensore.

Il disco è il frutto di un lungo percorso le cui radici sono immerse nel mondo del cantautorato ma con riferimenti elettronici pregni di indie rock. “Ultimo piano senza ascensore” è un disco costruito in un periodo lungo quattro anni, scalino dopo scalino. Sono diverse le strade che hanno influenzato questo album ispirato alle periferie ed a chi le vive, scritto tra Catania, Roma e Siracusa con lo sguardo del cantautore Giovanni Timpanaro rivolto alla lirica d’oltreoceano

di Tom Waits e le sonorità scure e spesso incentrate sul concetto di loop sviluppate dal polistrumentista Mario Giuffrida che ha curato tutta la parte ritmica (basso e batteria) e l’esperienza di Gaetano Santagati alle chitarre e lap steel.

Dopo l’ingresso nella formazione del batterista Alberto Mirabella, nel settembre del 2022, presentano il brano inedito dal titolo “Aretusa” al Festival Nazionale città di Leonforte, vincendo il premio come miglior testo.

I Miqrà entrano quindi in studio per realizzare un nuovo disco, questa volta la produzione artistica è

affidata a Gaetano Santagati, con l’inizio del 2024 vedrà quindi la luce “Amor Vincit Omnia”, secondo album del gruppo che ospiterà molteplici musicisti all’interno di questo lavoro discografico dando sfogo alla propria natura di “collettivo musicale” più che di band.

Credits & Collabs

Foto – Mirko Panuzzo
Label – Jonio Culture
Produzione artistica – Gaetano Santagati

Link Social

https://www.facebook.com/miqramusic
https://www.instagram.com/miqraband/

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Internazionale

Intervista in anteprima con i Miqrà

Abbiamo intervistato la band siciliana Miqrà, un progetto affascinante che mette la poesia e la bellezza al centro di tutto. Il loro ultimo singolo arriverà a fine Febbraio in concomitanza con il loro secondo album. Li abbiamo intercettati in anteprima e questo è il risultato della nostra chiacchierata!

Ciao ragazzi, benvenuti cominciamo subito col dirvi che abbiamo apprezzato il vostro sound ed il vostro nuovo singolo. Ci piacerebbe però ripercorrere un po’ la vostra storia dall’inizio. Chi siete!?

Ciao, grazie. Questa nuova esperienza discografica è, per noi, una grande scommessa. Noi siamo a tutti gli effetti un collettivo musicale, fatto di anime che orbitano attorno ad un nucleo fisso di quattro teste lontane anni luce tra loro.

Dopo gli anni della musica live negli ambienti underground siciliani, nasciamo discograficamente nel 2018 con il disco “Ultimo piano senza ascensore”, poi sono seguiti anni indecifrabili fatti di partecipazione ai festival e di riconoscimenti, con la produzione di alcuni singoli (Futuro – Ti sveglierò in Aprile – Aretusa), ma con la costante sensazione di attesa per qualcosa di più grande. Così abbiamo passato l’ultimo anno chiusi in studio a registrare un nuovo disco, per trovare qualcosa che racchiudesse i nostri diversi universi e raccontasse i chilometri percorsi negli ultimi anni.

Le parole sono molto importanti nella vostra musica, pensate che ci sia poco spazio per la poesia e per gli artisti come voi visti i tempi? A chi vi ispirate maggiormente?

Le parole sono fondamentali nel nostro mondo musicale, nasciamo con l’idea di provare a raccontare storie in musica. La comunicazione cambia, lo ha sempre fatto nella storia, trovando il modo più diretto ed efficace ad arrivare a quante più persone possibili, ecco, nel nostro caso il numero di persone da raggiungere ci interessa poco, proviamo a far provare qualcosa alle persone a noi affini.

Come se, a tutti gli effetti, si trattasse di una forma musicale di “affinità elettiva”. Per cui credo che lo spazio alle parole ci sia sempre, forse in modo diverso, perché i grandi numeri raccontano di “tormentoni” da ascoltare quasi lobotomizzati, però, se si ha la pazienza e la cura di cercare, si possono scovare molte realtà interessanti da un punto di vista della narrazione. Ognuno di noi, individualmente, ha tante tendenze di ascolto che spesso si rispecchiano nella stesura dei brani, però proveniamo da mondi diversi per cui, onestamente, è difficile individuare una fonte d’ispirazione.

C’è sicuramente parte del mondo cantautorale, ma strizziamo l’occhio anche alle sonorità ruvide fatte da muri di suoni.

Parlateci di com’è nata “La catastrofe in me”.

Nasce dalla paura di farsi male, da quella tendenza fatalmente troppo umana di ricercare delle forme di dipendenze. Dal bicchiere a cui ci si aggrappa la sera, fino alla più insidiosa di tutte, la dipendenza da altri esseri umani. Ma, attenzione, non è affatto una critica alle dipendenze di questo genere, perché il ruolo giudicante non spetta di certo a chi fa musica, quelli come noi hanno il ruolo di provare a raccontare sensazione più o meno forti, più o meno vere.

E tutte le vicende umane, anche le più complesse, possono portare a vivere, a far sentire vivi. Per cui questo brano è come quel dolore che, senza spiegartene il motivo, ti trasmette una sensazione di piacere.

Cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo album? Quali le differenze significative col primo?

Il punto di vista dal quale raccontiamo tutto è sempre lo stesso, quello dei personaggi sullo sfondo, delle storie nascoste in piena vista. Però musicalmente parlando abbiamo voluto osare, provando a crescere e metterci in gioco, approcciando seriamente componenti di elettronica e soprattutto di parti orchestrali registrare dal vivo da una piccola orchestra che ha suonato solo per noi. Quindi ci saranno sonorità diverse, per alcuni versi più complesse ma, forse, troverete anche qualche brano totalmente “nudo” nel disco.

Cosa farete appena il vostro disco sarà pubblicato? Avete in mente un giretto per la penisola?

Si, stiamo lavorando proprio in questi giorni all’organizzazione di un tour in giro per lo stivale. Del resto la cosa che più fa sentire vivo un musicista è proprio la musica live.

Seguirete Sanremo? Pensate che un giorno possa dare spazio ad artisti come voi?

Per il bene della nostra salute mentale non viviamo nella stessa casa, per cui non saprei dirti se tutti lo vedremo. Di certo qualcuno lo farà, chi per la musica, chi per il fantasanremo e qualcuno magari perché, così come per le partite dei mondiali, ci si ritrova ad assistere. Negli ultimi anni l’universo musicale del Festival si è diversificato parecchio, allontanandosi dallo standard storico, approcciandosi invece a realtà sempre diverse tra le quali qualcuna proveniente dal mondo della musica alternative, quella dei musicisti formatisi in giro per i live club di tutta Italia.

Per cui, se la direzione si confermerà questa, non mi sorprenderebbe vedere il panorama dell’underground ricavarsi sempre più spazio sul palco dell’Ariston.

Vi ringraziamo per la vostra disponibilità e vi chiediamo di salutare i nostri lettori con qualcosa di originale! Stupiteci!

Più che stupirvi a parole o con frasi ad effetto, essendo presuntuosi, siamo sicuri che lo faremo con il nostro nuovo disco. Per cui restate nei paraggi, arriva a breve. A presto!

Presalva il singolo qui: https://music.imusician.pro/a/FccSkB5L

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Elettronica

Non dimenticatevi di vivere. Una chiacchierata con i Deleted Soul

Nel corso degli ultimi mesi abbiamo imparato a conoscerli e ad apprezzarli sempre di più. Poi, dopo aver fatto questa chiacchierata con loro, li abbiamo amati! Per essere artisti sinceri bisogna essere prima di tutto persone vere. Ecco, i Deleted Soul lo sono. Per loro la musica è ricerca e non un’occasione per apparire. La musica è una cosa preziosa e va coltivata. Come la vita.

Ciao Deleted Soul, per comporre e registrare avete deciso di isolarvi nelle campagne del Chianti. Quanto è importante per voi il rapporto con la natura?

Ci siamo riuniti negli studi di Elastica Records, un casolare nel Chianti, lontani dalla movida. Non parliamo solo di musica, ma cerchiamo di portare gli artisti in un non luogo fuori dallo spazio e dal tempo, il che significa poco wi-fi, passeggiate mattutine con sessioni di yoga, cibo rigorosamente a chilometro 0, direttamente raccolto nell’orto. Questo ci permette di instaurare con i nostri collaboratori una bolla energetica, nel “qui e ora” che ci permette un’ottima astrazione dal quotidiano immedesimandoci nella composizione. Usiamo tecniche di rilassamento, di respirazione, attività di orticultura. E quando la fase compositiva arriva è potente, istantanea ed emotiva.

Siete un collettivo composto da musicisti provenienti da ogni parte del mondo, ma per questi nuovi brani avete deciso di non lavorare più a distanza e di ritrovarvi fisicamente insieme. Ci raccontate i motivi di questa scelta?

Il progetto Deleted Soul nasce a distanza. In particolare con uno stretto rapporto con Mario Tucci, mio fratello e autore di parte dei testi. Lui vive in Oregon, si occupa dell’immaginario di Deleted Soul. Poi al progetto si è aggiunto Marco Zampoli, divenuto parte fondamentale del progetto. Lui è il cantante dei Flame Parade, siamo vicini di casa, condividiamo lo stesso modello di composizione e di vita. Quando abbiamo progettato il secondo disco di Deleted Soul, abbiamo deciso di coinvolgere musicisti disposti ad effettuare questa esperienza di condivisione fisica e analogica. Il risultato è stato un successo: oltre a Pier Paolo Polcari, produttore degli Almamegretta con cui lavoro da anni su molte altre produzioni, all’appello hanno risposto un sacco di musicisti di fama internazionale, attratti proprio dal nostro modello di composizione molto sperimentale. Donald Renda è riuscito a trovare una settimana di spazio tra i tour con Annalisa e Francesca Michielin, Andrea Torresani (bassista di Vasco Rossi) è arrivato con una macchina piena di amplificatori e bassi con un suono pazzesco che si sono rilevati fondamentali per questo disco. La sorpresa è stata Riccardo Onori, storico chitarrista di Jovanotti, che non ha voluto neanche sentire i provini! Ha semplicemente sposato l’idea e si è presentato totalmente aperto alla sperimentazione. E poi ancora Maya Williams, giovane artista che ci ha raggiunto da Brighton, il percussionista Pablo Gamba ed il supporto totale di Brhaams, ottimo negozio di strumenti musicali che si è occupato dell’allestimento dello studio di registrazione e della sala prove. Abbiamo cenato, discusso della vita, poi di musica e del sound che avremmo voluto da questa produzione. Finalmente abbiamo acceso gli amplificatori, la sala prove è stata allestita in una grotta medioevale. Pietra, tanta pietra con reverberi naturali. Ed è iniziata la magia. Sei musicisti affiatati come se avessero suonato insieme da sempre. Totalmente sincronizzati nei ritmi e nei silenzi. Nessun egocentrismo ma solo ritmi essenziali, accordi calibrati e tappeti sonori da brivido.

Il vostro terzo singolo si intitola “Oblivion”. In una società velocissima che consuma, divora e dimentica subito tutto ciò che inghiotte, quali sono le cose che vorreste recuperare dall’oblio?

La riflessione, nel prendere le scelte della vita, in campo musicale, nella composizione ma anche nell’ascolto. Nei prossimi anni sarà importante fare esercizi di riflessione, pensare, prendersi tempo e smettere di affrontare questa vita in modo distratto. Per questo il suono che abbiamo scelto per il nuovo disco di Deleted Soul è un viaggio introspettivo, da ascoltare di sera con la luce soffusa, dopo aver spento il cellulare, senza pensare alle mille cose che la vita propina tutti i momenti. È una controtendenza: rallentiamo, riflettiamo, prendiamo consapevolezza di quello che ci passa davanti agli occhi e nelle orecchie. Basta masticare contenuti per vomitarli dopo qualche ora, impariamo ad assaporare le cose, le sensazioni, i momenti speciali della vita. Spegniamo la TV, l’esercizio risulterà un po’ più facile.

La vostra musica è frutto dell’unione di elementi presi da tanti generi musicali diversi. Ce n’è uno che non avete mai affrontato e sul quale vi piacerebbe mettervi in gioco per qualche produzione futura?

Sto cominciando a fare importanti approfondimenti sul blues, genere fuori dal tempo, ma mi affascinano anche tutte quelle sonorità non europee provenienti dall’Africa e dal Sud America che ci permettono di creare un crossover contemporaneo e vivace. Stiamo facendo importanti ricerche sulla musicoterapia, seguendo l’insegnamento di Brian Eno. Come sempre i nuovi brani di Deleted Soul nascono da giornate di ricerca e ascolti. Poi inizia la fase dedicata alla composizione. Ma a una composizione aperta in cui è fondamentale l’attesa. L’attesa di una festa nel nostro casolare dove si riversano ottimi musicisti assetati di sperimentazione. In questo momento sto attraendo qualche chitarrista blues, prevedo che arriverà fra qualche mese.

A proposito di futuro, cosa ci dobbiamo aspettare dai Deleted Soul?

Aspettatevi un disco in uscita a fine settembre pieno di emozioni. Emozione vere, scaturite dall’energia di musicisti che si guardano negli occhi e si capiscono. L’importante è rallentare, assaporare, gustare con le orecchie. Vi assicuro che se vi concentrerete su questo, potrete sentire anche i sapori, le energie ed i gusti di quei giorni di composizione. Ci vedrete poi in giro per qualche club buio, in qualche festa di quelle serie, dove la gente sta insieme e finalmente può ballare, abbracciarsi e sorridere.

Salutate i lettori di Perindiepoi con tre location (reali o fantastiche) secondo voi perfette per isolarsi a comporre musica.

Beh sicuramente il casolare di Elastica Records è l’ideale. Tra l’altro, qualsiasi musicista che necessiti ospitalità e ispirazione ci può contattare, saremo lieti di aiutare le sue esigenze artistiche!

Poi consiglio di provare l’esperienza di isolamento nella natura, è veramente potente. Viaggiate leggeri. Oggi si può con le nuove tecnologie. Un ottimo microfono a condensazione, una scheda audio. Un computer, qualche accessorio, una chitarra e tanta voglia di produrre e sperimentare.

Consiglio la sperimentazione, perché è da lì che escono le magie. Niente esercizi di stile, non conviene buttare via del tempo per copiare una canzone o un genere sperando in un briciolo di successo, il successo siete già voi!!!! PEACE

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Internazionale

Avete mai sentito parlare di Kudalesimo?

I KU.DA nascono nel 2013, e dopo un po’ di anni su e giù dai palchi, hanno pubblicato lo scorso giugno il loro secondo album “Two Pathetic Soul”. Un lavoro con sfumature diverse che merita una chiacchierata.

Ciao KU.DA, descrivetevi in quattro aggettivi.

Ciao! Di solito la domanda è “descrivetevi con tre aggettivi,” quindi siamo contenti che ce ne sia uno bonus: avventurieri, caparbi, irrazionali e ovviamente “Patetici”

Il vostro ultimo album si intitola, appunto, “Two Pathetic Souls”. Un titolo curioso. Come va inteso l’aggettivo patetico?

Va inteso come da vocabolario: nel gergo popolare ha un’accezione svalutante, ma se pensiamo ad esempio alla celebre opera di Čajkovskij “La Patetica”, si capisce che è stata intitolata così intendendo un’esibizione di dolore e di malessere interiore inguaribile, che porta di conseguenza a un sentimento positivo che è la compassione. Con ciò non vogliamo auto-demolirci o, ancor peggio, fare gli intellettuali, ma prendere coscienza di noi stessi. Ci siamo fatti la domanda “ Stiamo bene? Siamo sereni?” E la risposta è quella che sentite nel disco.

Quest’estate avete aperto un concerto ai New Trolls: vi sentite più proiettati verso il futuro musicale o pensate sia più importante coltivare le radici?

Questa è una bella domanda, perché non ha una risposta giusta e quindi può aprire un bel dialogo! Le radici vanno sempre coltivate per stare in piedi e far sì che il vento che tira non ti abbatta. Abbiamo degli ascolti che influenzano il nostro gusto e il nostro modo di scrivere e credo lo influenzeranno per sempre. Crescendo però stiamo imparando ad ascoltare più noi stessi e quello che è il presente. Il futuro è incerto e imprevedibile, quindi proiettarci verso di esso non è sempre una cosa giusta, è più un ragionamento che dovrebbero fare gli imprenditori o i politici. La musica per noi è qualcosa di legato al presente.

Citando un vostro vecchio lavoro, che cos’è il Kudalesimo?

Il Kudalesimo è una sorta di nostra filosofia e anche una reinterpretazione dell’immaginario bucolico in cui viviamo. Per spiegarlo velocemente è un sogno ad occhi aperti: come quando da bambini il tuo giardino di casa diventava lo scenario di chissà quale fantasia, il castello con lo scivolo era un galeone dei pirati, il bosco in campagna celava chissà quali misteri, questo è Kudalesimo.

La vostra musica è sicuramente di respiro internazionale, ma avete mai pensato di scrivere testi in italiano?

Entrambi scriviamo delle cose in lingua madre, ma sono progetti paralleli e personali, quello che ci accomuna è l’amore per la musica internazionale e per la sperimentazione, quindi potremmo anche inserire l’italiano in dei lavori futuri, ma sempre con l’idea di rivolgerci ad un pubblico non solo italiano.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Come accennavamo il futuro è imprevedibile, ora stiamo sviluppando delle nuove idee con un respiro molto più gioioso e spensierato. Intanto stiamo fissando le date per questo autunno per fare ascoltare dal vivo il nuovo album e parte del primo. Per ora la smania di suonare dal vivo è quella più impellente.

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Indie

Un’opera d’arte e un racconto per entrare meglio nel mondo di “Brilla”

È da poco uscito “Brilla”, il nuovo album dei Les Enfants. Un disco che è un viaggio notturno pieno di luci e che suona come un abbraccio potente.

Sette canzoni, dall’introduttiva “Alba” alla conclusiva “Tramonto” che si mettono a nudo, perché la vita è una sola ed è stupido riempirla con accessori inutili. I Les Enfants sembrano dirci che è bene puntare dritti al cuore delle cose, dei sentimenti, dei rapporti. Siamo noi, con le nostre fragilità e le nostre meravigliose particolarità.

C’è un brano in particolare in questa raccolta che può essere considerato un po’ il manifesto dell’album: “Io e te”.

Più che una “semplice” canzone d’amore, una canzone contro l’individualismo, che racchiude al suo interno tutto un ventaglio di significati.
È la fotografia di uno di quei momenti in cui si fanno i conti con sé, quei momenti in cui – per usare le belle parole del brano – anche se” fuori sembra la fine del mondo, non si ha più voglia di stare a guardare”.

A tutti sono capitati momenti così. Attimi che segnano dei piccoli punti di non ritorno e che fanno fare alle nostre vite un balzo in avanti.
Abbiamo giocato con Marco e Francesco dei Les Enfants e gli abbiamo chiesto di parlarci di uno di quei momenti attraverso un’immagine e un breve racconto. Loro ci hanno stupito con delle opere d’arte fatte da loro!

Marco

Una volta il mondo era tutto giallo.
Gialla la luna, gialle le macchine, gialli i vestiti, gialli i tombini.
Tutto era dello stesso colore. Un colore avvolgente, intimo, un colore che cura.
Ad un tratto Marco pensò: “ma se è tutto CURA, non c’è niente da curare!”
Così scagliò un sasso sulla finestra per rompere il giallo.
Con suo immenso stupore dalle crepe uscì un profondissimo nero che sembrava inghiottire tutti i colori.
“Ommioddio cos’ho combinato” pensò Marco – il nero ormai si stava spargendo ovunque.
Dal cielo gridò una voce “se lo dipingi su un cartone, il nero si sentirà accolto e verrà tutto dentro il dipinto, diventerà la sua casa”.
Così Marco dipinse il vetro giallo rotto su un cartone e il nero subito si ritirò dentro il quadro.
“Che fortuna, tragedia scampata” pensò Marco appendendo il quadro sul muro della sua camera.
Il mondo tornò giallo, fatta eccezione del quadro in camera sua.
Ora Marco era l’unico al mondo ad avere un profondissimo nero appeso sul muro.

Questo quadro nasce dagli scarti di un’altra opera che avevo fatto.
Questi rettangoli gialli mi servivano come modello per ritagliarne altri di diversi colori che andavano a creare una sorta di tramonto sul mare.
Quell’opera era un regalo speciale per una ragazza ma, preso dalla foga creativa decisi di utilizzare questi scarti per creare un’opera nuova.
Così pensai ad un’esplosione o a un vetro rotto e dipinsi di nero un rettangolo di cartone ed incollai i triangoli gialli sopra. Il risultato mi rese molto contento!
Questo collage per me ha tanti significati: può essere un tramonto, può rappresentare una rottura con il passato o un’esplosione di gioia.

Francesco

Riposava nella terra, morbida come un cuscino di nuvole, e chinato appena il capo scorse il suo nuovo corpo armonioso, verde e senza traccia di peluria. Si vide sbucare da una coperta di terriccio leggera. La radice, unico arto a sua disposizione, s’infittonava nel suolo. Tutto era cambiato: quello scandaglio, invisibile ai suoi occhietti, s’inabissava nelle profondità della terra.
– Che cosa mi è capitato? – pensò.
Il giardinetto di via Debussy era diventato un vortice di movimenti frenetici e di sensazioni impreviste. Ci volle un attimo per capire che era solo questione di prospettiva, la sua, che era cambiata. Il mondo era lo stesso, era lui che funzionava in un nuovo modo.
Aveva ereditato l’abitudine di guidare il suo involucro di carne come un’automobile per spostarsi qua e là, additare e addomesticare gli oggetti. Ecco, questo era cambiato. La metamorfosi compiuta. Il movimento dello sradicamento non rientrava più tra le possibilità previste dal suo codice, né l’afferrare, né il tener per sé. Ma sbocciare come una rosa, quello sì.

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Il combustibile degli Arancioni Meccanici

Gli Arancioni Meccanici ci hanno fatto un regalo prima di andare in vacanza. Un nuovo singolo, “Combustibile”, un nuovo video e una porticina aperta sul futuro che fa intravedere l’uscita di un nuovo album. Tornati dalle ferie abbiamo deciso di incontrarli per fare con loro il punto della situazione. Ecco a voi che cosa ci hanno raccontato.

Ciao Arancioni Meccanici, partiamo dalla vostra ultima uscita. Qual è il vostro combustibile?

Il combustibile che abbiamo immaginato per l’omonimo singolo è sicuramente una qualsiasi materia capace di sprigionare grandi energie, senza che ci si preoccupi troppo delle eventuali conseguenze. Per quanto riguarda noi, il combustibile più efficace sono le serate che iniziano all’aperitivo.

Nel singolo precedente, “Italo Disco”, a un certo punto compaiono diversi frammenti audio, pezzetti di frasi, telecronache, interviste, che ci riportano tridimensionalmente agli anni Ottanta e Novanta già evocati più in generale dalle atmosfere del brano. Ce li raccontate?

L’idea è venuta abbastanza naturalmente durante la scrittura del pezzo. Quella parte centrale, ipnotica e narcotizzata, serve a evocare alcune memorie del passato e a proiettarle nel futuro. Inoltre rappresentano anche un piccolo tributo a quella che per tanti versi è un’età aurea e decadente al tempo stesso, di cui siamo indubbiamente estimatori e nella quale artisticamente ci ritroviamo. Ci siamo divertiti a individuare, ripescare (e a ridare voce in quei frammenti audio) alcuni personaggi pubblici e iconici del periodo.

Per “Italo Disco” e “Disco d’argento” sono usciti due interessantissimi rework. Ne è previsto uno anche per “Combustibile”?

Ne abbiamo parlato e ci piacerebbe molto, così come per le tracce precedenti. L’idea di avere un remix per ogni traccia ci intriga. Anzi, se qualcuno leggendo volesse proporsi, noi siamo apertissimi.

Il vostro progetto è nato nel 2005. Al di là dell’evidente ruolo dei social e di Internet in generale, quali sono le differenze che avete riscontrato tra la scena musicale indipendente di oggi e quella dei primi anni Duemila?

La prima fondamentale differenza è che allora era una cosa normale comprare un disco, il che rappresentava una fonte di guadagno molto importante, che permetteva anche a una piccola realtà di stare in piedi economicamente. Oggi fare musica, fuori da un business plan ben definito, assomiglia molto a fare del volontariato per quel poco pubblico a cui può ancora interessare qualcosa d’imprevisto e non allineato.

Se aveste una macchina del tempo, dove andreste?

Per quanto scontata possa essere la risposta, probabilmente a Hill Valley nel 1955 (Ritorno Al Futuro ndr). Oppure anche a una puntata di Festivalbar, tipo nel 1984, suonando come concorrenti in gara.

C’è uno strumento musicale che non avete mai usato e che vi piacerebbe utilizzare per qualche vostra produzione futura?

In realtà non riusciamo a pensare a nulla in particolare. Nelle ultime tracce specialmente, non abbiamo lesinato incursioni in altri territori utilizzando più strumenti. Forse, come da poco fatto in “Combustibile”, introdurre ancora delle voci femminili potrebbe essere una buona idea.

Salutate i lettori di Perindiepoi consigliando cinque dischi per i loro viaggi.

  • Surfing “Deep Fantasy”
  • St Vincent “Daddy’s Home”
  • Franco Califano “L’evidenza dell’autunno”
  • Franco Battiato “La voce del padrone”
  • Neil Young “On the beach”