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“Whatsapp” è il nuovo singolo di Pier

Esce venerdì 18 novembre 2022 “Whatsapp“, il secondo singolo di PIER che segue il debutto con “Ciabatte“. Un nuovo capitolo per il cantautore, produttore e polistrumentista che ci racconta le troppe ore passate davanti ad uno schermo, il senso di malessere di chi vive poco a contatto con la natura, la paura di guardare un futuro troppo incerto. Un brano dedicato a tutti gli amanti notturni, che vivono aspettando i messaggi. 

Sullo sfondo di un amore a distanza fra Pescara e Torino, la canzone è ambientata in quei pomeriggi in cui si vorrebbe soltanto fuggire dalle proprie responsabilità e andare in letargo, nei giorni di pioggia in cui non ci si vorrebbe alzare dal letto. Ma è la presa di consapevolezza che questo atteggiamento non porta a migliorare le cose. Le sonorità nostalgiche di questo brano si reggono principalmente sugli arpeggi di una chitarra elettrica dai toni puliti e dei suoni di batteria molto stretti e stereofonici, per poi sporcarsi sul ritornello con l’ingresso di un basso synth dal carattere atmosferico.
 

SCOPRI IL BRANO SU SPOTIFY: 



BIO:

PIER è un cantautore e produttore polistrumentista.

All’età di 5 anni i genitori tornando a casa lo trovano che aveva imparato da solo a suonare la melodia di The Lion Sleeps Tonight sulla tastiera dello zio, e così, scoprendone l’orecchio assoluto, decidono di affittare un pianoforte. Da lì la passione per la musica si estende alla chitarra e al basso e all’età di 12 anni acquista la sua prima scheda audio, col sogno di poter registrare i propri album suonando tutti gli strumenti. Da sempre eclettico e musicista multi-genere, è diplomato al Conservatorio col massimo dei voti e menzione speciale prima in Pianoforte Classico, poi in Composizione Pop. Successivamente vince una borsa di studio per il CET di Mogol, dove scrive le sue prime canzoni. Qui conosce gli artisti emergenti Moscardi, marasmo, foreman, Imperatore, Stanislao, e si cala per loro nei panni di arrangiatore/produttore utilizzando lo pseudonimo Labbè: così comincia ad avverarsi in piccola parte il sogno di produrre musica suonando tutti gli strumenti. Estende le collaborazioni ad altri cantautori emergenti e col tempo viene ingaggiato anche da artisti più noti come Arisa, per la quale orchestra e dirige gli archi nel brano L’Arca di Noè scritto da Giuseppe Anastasi; è arrangiatore d’orchestra per alcuni concerti di Morgan, Giuliano Sangiorgi, Serena Brancale, Karima ed altri, collaborando con la Medit Orchestra di Angelo Valori, che accompagna questi artisti. Svolge da sempre tante attività in ambito musicale, tra corsi, live, studio di registrazione.

Ma fra tutte queste cose, soltanto scrivere gli permette davvero di esprimersi a fondo tra amori cominciati e finiti, crisi di panico, dubbi esistenziali, sesso, introspezioni. L’esigenza di esternare totalmente le proprie emozioni da vita ad un progetto che porta un nuovo nome, PIER, il suo da sempre.

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Le 5 cose preferite di Edifici

La Route Rouge è il titolo del nuovo singolo di Edifici, progetto musicale composto da Nancy e Martina, polistrumentiste e compositrici. Un brano originale, dalla lingua prescelta (il francese) alle sonorità.

ERIC CLAPTON

La passione comune per questo artista è stata la scintilla che ha fatto nascere in noi la voglia di collaborare, infatti il nostro primo video caricato sui social è stato una cover del suo celebre brano “Layla”. Da quel momento il nostro lavoro insieme non si è più fermato; quindi grazie Eric, hai fatto nascere il nostro primo album “Edifici”.

NEW YORK

Oltre ad essere la copertina del nostro omonimo album “Edifici”, durante i nostri viaggi è stata fonte d’ispirazione e motivo di crescita musicale. 

L’energia che scorre sulle strade, tra le persone, negli edifici, ci ricorda che l’evoluzione corre veloce e ciò ti da la spinta per correre a tua volta. Noi abbiamo molta voglia di metterci in gioco e NY rappresenta la sfida perfetta: spaventosa ovvio, ma che ci fa sentire vive.

POLIRITMI

Nancy li studia da sempre, io invece (Martina) ne subisco il fascino da anni e cerco nuovi modi per inserirli nei miei fraseggi. Poter imporre alla musica di rallentare o accelerare a prescindere dalla sua velocità originale è davvero gratificante, ma d’altronde a chi non piacerebbe controllare il tempo?

LEGGENDA DEL PIANISTA SULL’OCEANO

“E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi, e se guardavi bene, già la vedevi, l’America, già lì pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido, AMERICA, c’era già, in quegli occhi, di bambino, tutta, l’America.”

Le ore a sognare sulle parole e le scene di questo film sono state tante e tutte le volte rilasciavano una spinta da dentro come se tutto fosse davvero possibile, che i sogni potessero veramente diventare la nostra realtà concreta per ispirare e fare sognare altre persone ancora. Vogliamo che la nostra vita sia una bell’avventura, perché come dice Danny Boodmann T.D Lemon Novecento “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla.”

LA COSTA AZZURRA

Ognuno di noi ha luoghi che ricorda con affetto e che si ritrova a dover abbandonare per lunghi periodi (a volte anche per sempre) a causa di questioni lavorative, familiari o sentimentali. La Costa Azzurra ha da sempre il profumo di casa, il legame che ci unisce a questa terra ha ispirato il nostro recente singolo “La Route Rouge”. 

Affascinato da queste coste anche Claude Monet ha reso omaggio a Mentone dipingendo il quadro “La route rouge près de Menton”, dal quale prende il titolo il nostro singolo.

Vi salutiamo citandone il finale:

“Le città che amiamo di più sono le prime che

abbiamo abbandonato,

ma loro non ci lasceranno mai, 

Mentone non mi lascerà mai”

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Le 5 cose preferite di Luca Mazzieri

Fuori dal 19 ottobre “Quasi mai”, il primo album di Luca Mazzieri. Sette canzoni che messe insieme suonano un po’ come un concept album. Si parla di periferia, musica e bar. Ogni pezzo sembra uno spaccato della vita dei ragazzi della provincia. “Quasi mai” è stato anticipato dai singoli “Spari” e “Lunapark” dove il sound pop faceva da padrone, ma all’interno del disco troviamo anche pezzi più vicini al rock come “Botta”. Non mancano neanche le ballad più avvolgenti e delicate come “Pane”. Insomma, “Quasi mai” è un disco completo in cui possiamo vedere i mille volti e talenti di Luca Mazzieri.

Sette canzoni d’amore per la provincia e sulla provincia. Storie da bar, da portare in giro e fare girare in auto a tutto volume. Un disco che rappresenta un ritorno al Pop Emiliano, diretto all’essenziale.

E non potevamo resistere, gli abbiamo chiesto quali fossero le sue cinque cose preferite!

CASA

Linda, i nostri cani Arthur e Tina, i gatti (stanziali e non), il bosco, i tramonti, la Vanga Del Diavolo, il nostro orto, il forno per fare la pizza, la hot tube e il giardino dove facciamo le feste con gli amici.

Questa è per me Casa.

LA BAND

Sono le persone che hanno registrato e suonano con me live. Amici vecchi e nuovi con cui sto bene e mi diverto. Rendono tutto speciale e mi fanno sentire giusto.

Il dopolavoro del pop and we win!

LIBRI SULLA MUSICA

Quando mi innamoro di un artista voglio sapere tutto. Perché la musica è solo una piccola parte del racconto. E a me i racconti piace leggerli tutti.

Abbiamo la casa piena!!!!

LE SAGRE E I BAR DI PROVINCIA

Le frequentavo da bambino e mi sono rimaste dentro. I nostri cibi più poveri, i vini da 4 soldi, gente che si diverte ancora con poco e tante facce da guardare e racconti da rubare.

LA CROAZIA

Da oltre 10 anni andiamo sempre nello stesso posto. Tutti gli anni. E’ una terra aspra e selvaggia che sa catturare la parte più ancestrale che è in me e mi purifica e riallinea.

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Le 5 cose preferite di Saimon Fedeli

Disponibile dal 12 ottobre su tutte le piattaforme digitali “Stanze vuote”, il secondo album di Saimon Fedeli. Il disco è stato anticipato dai singoli “Capita capita”, “Sola” e “Finisce così”. Fil rouge di tutto il lavoro è la solitudine e la verità, non a caso il primo brano si intitola “Verità”. Le Stanze Vuote di Saimon Fedeli, oggi al suo secondo album, ci raccontano di perdite e abbandoni. “Abbiamo avuto tutti quanti almeno una occasione”, ci svela il cantautore nella sua Verità. “E quasi sempre è stata una occasione non colta”.

Sono stanze dove ci scopriamo dolorosamente incapaci di amare ma così facilmente capaci di rinunciare. Quasi che in questo modo possiamo proteggerci dalla disillusione che certamente arriverà. “Ti ho ammirata tanto e condivisa poco. E solo nelle Favole si può pensare che sarebbe stato eterno a prescindere da te”.

Il disco rappresenta un po’ il percorso dell’artista attraverso una presa di coscienza di sé tra difetti ed errori. Saimon racconta sé, della difficoltà a buttarsi a pieno in una storia. Racconta delle persone attorno a sé che per orgoglio spesso rimangono sole. Racconta la solitudine, le disillusioni, ma alla fine si perdona.

Eppure. Eppure, si intravede una via. Forse non deve per forza essere sempre così. Forse si può scegliere diversamente. Visto da vicino nessuno è così strano, ma servono porte aperte e generosità. E Saimon sembra quasi perdonarsi, alla fine. In fondo capita. Capita che si finisce a terra. Capita che non si ha più un motivo. Ma poi ci si rialza. E forse proprio in quel momento ci si accorge che quelle stanze possono diventare, magia, Stanze Piene.

Non abbiamo saputo resistere e gli abbiamo chiesto quali fossero le sue 5 cose preferite.

Leggere il giornale. E’ un modo per dire che gli altri mi interessano.Aprire le porte e le finestre e guardare il mondo. Lasciarlo entrare. Conoscerlo. Proteggerlo o combatterlo. Come diceva Gaber, libertà è partecipazione.

Ascoltare musica. Non è scontato. Affatto. Molti musicisti non la ascoltano. Non perdono la testa per una settima diminuita assolutamente perfetta che pagheresti oro per avere saputo pensare anche tu. O per un testo così perfetto che letto e riletto, non riusciresti nemmeno sotto ricatto a cambiarne mezza parola.

Percepire l’orizzonte. Solo il mare (o le grandi altezze, ma io scelgo il mare) ci dà ancora la possibilità di percepire l’orizzonte del mondo, il confine, il bordo delle cose.  Lo sguardo ha bisogno di poter vedere la fine, il limitare, perché altrimenti la vita sarebbe troppo vasta e insensata. Lo sguardo si nutre della pace  che solo la prospettiva sa donare.

Inventare qualcosa. Mettere le mani, la testa, le idee in movimento. Creare un gioco per i miei figli, una melodia, una filastrocca. Generare una emozione, un oggetto, un disegno o un pensiero, un piccolo argine al non senso delle cose.

Stare in silenzio. Perché il rumore si è impadronito di tutto, delle strade, degli ambienti, delle menti e dei cuori. Un rumore esterno che inquina lo spazio urbano generando stress, tensione e nervosismo. L’individuo privato del silenzio e sottoposto a continui stimoli non è più padrone di sé stesso e della propria capacità di discriminare tra sentire e ascoltare.

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Cosa c’è nella sala prove dei Soloperisoci

Esce venerdì 7 ottobre 2022 su tutte le piattaforme digitali “Dipendente, il nuovo singolo della band romana Soloperisoci che segue i precedenti “Bristol” e “Ho paura“. Un brano dolce amaro che arriva alla fine dell’estate, un capitolo complesso e stratificato di influenze, dall’indie-rock di prima generazione al post punk, che vuole affrontare il tema delicato delle dipendenze, inevitabili. 

Noi ci siamo infiltrati nei loro spazi, ed ecco cosa ci hanno mostrato.

 

  1. Reggirullante

Iniziamo dalle basi. Questo attrezzo regge il rullante, e il rullante regge il tempo. Infatti, sottolineando le pulsazioni deboli (il 2 ed il 4 della battuta), il rullante trasmette la dinamicità che ci fa muovere il culo.

  1. Height Riser Powder Power

Non servono ulteriori descrizioni per la polvere volumizzante per capelli più irresistibile della scena Pop Wave italiana. Eventuali dubbi verranno spazzati via quando incontrerete Mettdevis ed Onofrio in serata.

  1. Chiavi della sala

Oggetto davvero indispensabile. Controllare SEMPRE di averlo con sé prima di uscire.

  1. Tambourine

Immancabile presenza in sala e sul palco, da quando è uscito il brano 2007. 

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Non ascolterai altro che i tre EP dei Baseball Gregg per tutto l’autunno

Non so perchè ormai tutta la musica italiana sia per me un grandissimo enigma. Non riesco ad affezionarmi a niente, non riesco a legarmi a niente. Una mia amica cantautrice, che ahimè, nonostante l’amicizia riesco ad ascoltare ben poco mi aveva fatto un discorso delirante sul fatto che troppo spesso “piega” i suoi pezzi a sonorità che le piacciono di meno, per fare in modo che possa rientrare più facilmente nei canoni delle playlist Spotify. E troppo facilmente mi viene da pensare a quando mi padre mi faceva ascoltare i Marlene Kuntz in macchina, era la metà degli anni Novanta. Che cosa penserebbe mio padre oggi delle playlist Spotify? Di questa mia amica che si attacca a regole cosmiche e incredibilmente distanti da me, per una manciata di gloria.

Ecco, i Baseball Gregg non sono così. I Baseball Gregg piacerebbero a mio padre, se solo avessi un modo di farglieli ascoltare che non includa niente di tecnologico. Sono degli alieni in questa scena musicale, che intrecciano folk e alternative rock, che piacerebbero a chi ascolta Stu Larsen tra le montagne, ma anche agli irriducibili del Covo che vogliono pogare e fumare fino a consumarsi tutti i polmoni. Io sono un indeciso e un introverso molto espansivo, e così spesso mi ritrovo a metà tra queste due cose. E vivo l’ultima domenica della mia estate immergendomi in Nevertheless, affondando nella mia vasca da bagno che avrò usato sì e no un paio di volte da quando abito in questo sgabuzzino milanese. In vasca da bagno si può leggere con una concentrazione incredibile tra l’altro, perchè non è saggio avvicinare il cellulare all’acqua.

I Baseball Gregg hanno pubblicato tre EP in attesa di un album in arrivo a fine mese, la raccolta finale, la fine dell’estate che per me è stata scandita da lettura, pizzichi di Joyce e da questi mini dischi che duravano giusto il tempo di raggiungere il lido ferrarese più vicino. Non so neanche bene come sia successo: ma forse mi sono innamorato di un disco italiano (quasi comunque, in realtà italo-californiano), che sfugge a tutte quelle regoline, a tutta quella voglia di gloria e di numeri. Abbiatene cura anche voi.

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Dada Sutra è la cosa più assurda che ascolterete oggi, ma anche domani

E sto passando questo periodo assurdo dove non mi piace niente, dove mangio svogliatamente, mi annoia tutto, ho riprovato a leggere Misery che aveva riempito la mia vita qualche estate fa, ma alla fine sono sopravvissuto giusto qualche pagina, per poi morire definitivamente davanti all’ennesimo programma su Real Time. Ho aspettato questo momento di vuoto per davvero tanto tempo, volevo riposarmi, leggere tutti i libri che avevo comprato durante l’anno, vedere tutti i film che avevo salvato su Netflix e invece niente, sono qui a morire. E, con quello che è stato forse l’ultimo e unico sprint che agosto mi ha concesso, sono andato a scavare ancora una volta tra i dischi che mi sono stati inviati, ma che ho inevitabilmente perso nella mia apatia da ufficio.

E rieccomi qui, ancora una volta, attratto da un nome strano e da un disco breve, come impone la mia soglia dall’attenzione piuttosto bassa: Dada Sutra e il suo EP 1, un primo capitolo, una presentazione, un biglietto da visita che porta ad un mondo di alieni multiformi, nudità, sentimenti esposti. Un mondo che Ryu Murakami avrebbe apprezzato, ma anche Chuck Palahniuk ne avrebbe volentieri scritto. Quattro tracce di cui fa parte che il precedente singolo “big boy“, che vedono finalmente la luce e inquadrano così uno dei progetti più unici e meno collocabili della scena indipendente. Un mix unico di generi ed influenze dal respiro internazionale che finalmente svelano il mondo alieno di Caterina Dolci. “EP 1” contiene un mondo pieno di orrori ma anche la voglia di trovare un angolo di bellezza, non farsi schiacciare, continuare a vivere, sentire, evolvere. 

Dada Sutra ha creato la sua personalissima Fabbrica Di Cioccolato, con i suoi umpa lumpa, rigorosamente schiavizzati e seviziati, che viaggiano in un tunnel di droghe e allucinazioni. Insomma, se siete pigri come me e volete andare a un rave… ecco!

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Gli alti momenti di crisi che ho passato quest’estate grazie ai Dejawood

E quest’anno è stata piuttosto dura, posso dirlo? Perchè l’estate scorsa c’era ancora il Covid e allora aveva senso che dicessi di no quando mi proponevano le feste in spiaggia, la discoteca e le cene infinite con tutti i compagni dell’università. Potevo dire che mia madre stava male e che quindi non mi fidavo a farmi vivo ai matrimoni, potevo persino evitare i concerti, quelli che non mi interessavano s’intende, gli amici di amici che suonavano al contest della provincia più inculata che possiate immaginare, e tutte quelle cose collaterali che rendono difficile la vita sociale. Questo mondo non è fatto per gli introversi che si ricaricano stando da soli, le vacanze e l’estate in generale per gli introversi dovrebbe essere un ritiro spirituale, solitario e silenzioso, e invece in vacanza gli introversi finisce che si stancano ancora di più.

Ed eccomi qui invece in quest’estate dannata dove se eviti tutto e tutti non sei responsabile per tua madre che sta male, ma sei un coglione che preferisce passare le giornate ad ascoltare dischi e a scriverne, senza vedere nessuno. Ed eccomi qui, in questa cameretta dove sono cresciuto, mia madre che in realtà è morta nel 2018 quando il Covid non c’era nemmeno, a non fare assolutamente niente. Alti momenti di crisi riempirà la prossima ora immediata, un disco che non avevo avuto tempo di ascoltare quando era uscito, e invece ora posso addirittura lasciare in loop tutto il giorno, perchè da fare non ho assolutamente niente. E non c’è titolo più adatto per segnare quest’estate di rifiuti.

Un disco che contiene i primi due anni del progetto musicale, nato nel più complicato dei periodi, e qui rappresentato dalla focus track “Intrisi”, il primo brano, che racchiude in sè tutte le sonorità dell’album: analogiche ed elettroniche, il sound desertico e quello urban, un racconto di una notte all’eccesso, tra luci ed ombre, in cui i momenti di lucidità si mescolano a percezioni incerte. Influenze diverse che si intrecciano, come gli I Hate My Village ma più accessibili, come il rock che ascoltavo al liceo, ma senza sentirmi un coglione. I Dejawood potrebbero essere la mia band preferita, quella per cui in fondo uscirei anche di casa per andarmela a vedere.

Respirate, perchè potreste ritrovare la voglia di vivere. Io che sono un caso davvero disperato ho avuto qualche dubbio a riguardo, quando mi è venuta voglia di concerti, rave, liceali impazziti e addirittura una sbronza. E’ tantissimo che non mi prendo una sbronza, la cosa che più si avvicina è decisamente questo disco.

SP

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L’estate che è stata segnata dal nuovo album solista di Tobjah

Cercherò di spiegarvi in breve perchè “La via di un pellegrino” di Tobjah è il disco che mi ha salvato l’estate, e che spero mi terrà qui, in quest’estate quasi perfetta fatta di solitudine e libri, ancora a lungo. Perchè di fatto in estate mi sento sempre un cretino, tutti che fanno questo e quell’altro e che lo postano su Instagram, e io che come uno scemo rimango a Milano a non fare assolutamente niente, a fissare il vuoto e ad amare donne incredibili, prima fra tutte Madame Bovary, ma quest’anno anche con Agnes Grey (bruttina e sottovalutata, lasciatevelo dire) ci ho dato dentro. Mi sento un outsider, mi sento male, mi sento solo. Le mie estati sono sempre così, una catarsi che si conclude a settembre, dove mi preparo ad accumulare nuovo dolore da espiare l’anno prossimo.

E quest’anno, scavando come sempre tra le uscite che mi sono perso durante le mie giornate di macchina, lavoro, ufficio, aperitivo con gli amici e letture distratte e interrotte dalla stanchezza, mi sono incagliato in La via di un pellegrino. Un disco che suona primordiale, sentito, viscerale, un disco primitivo che non rinuncia all’elettronica, in cui Tobjah mi accompagna in quest’estate di solitudine che, inevitabilmente, racconta la mia vita. Era da parecchio che non avevo un legame così adolescenziale con un disco, come quando pensi che ogni parola, ogni nota, parla di me. Mi ricordo come fu con i Verdena, e tutte quelle mattinate ad andare a scuola ad ascoltarli. Con Tobjah è stato esattamente così, è stato la colonna sonora di dolore e noia, anche se la scuola è finita da un pezzo.

Il disco, fuori per l’etichetta indipendente TEGA e già stato anticipato dal singolo “Nuova Stagione”, è un cammino tortuoso tra luce e oscurità, dove attitudine dub, reminiscenze hip hop e atmosfere ambient incontrano la canzone contemporanea. Un nuovo inizio che arriva alla fine del mondo, quando il Covid sembrava ci avesse tolto tutto, senza passare dal via. E in quest’estate che è sembrata la prima normale da un po’, io non ho avuto quasi la forza di uscire di casa.

Grazie Tobjah.

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Jali Babou Saho ci ragala “Tamalla”, che per noi può essere la fine della più dolci delle estati

Non smetterò mai di dirlo: in estate si crea questo strano limbo bellissimo dove si ha l’illusione di avere tempo per fare tutto, e io mi tengo stretta l’illusione di avere il tempo di leggere tantissimo, di ascoltare tutto ciò che voglio, con la concentrazione che mi merito e il vento del mare che mi attacca il sale alla pelle. Voglio le docce infinite e le mattine con i caffè che durano più di una conversazione spicciola con la mia ragazza, non riuscirò ad adeguarmi facilmente, e di nuovo, alla doccia pre ufficio e ai ciao distratti di Emilia che neanche si ricorda della mia esistenza talvolta. Settembre non è mai un nuovo inizio, ma una carneficina dell’ispirazione. A settembre io perdo tutto, il tempo di ascoltare e la voglia di fare qualsiasi cosa.

Ed in questo clima, di libertà estrema e calda prima di una nuova fine, ho scoperto Jali Babou Saho, scavando in chili di mail che mi arrivano tutti i giorni e che prontamente ignoro c’era custodito questo piccolo capolavoro dal titolo Tamalla. Un disco che nasce per un’urgenza artistica dopo l’incontro con il chitarrista Francesco Mascio e che vanta la produzione eccezionale di Riccardo e Daniele Sinigallia. Sei tracce originali, registrate in presa diretta con Maurizio Loffredo, Daniele e Riccardo Sinigallia, presso gli Artigiani studio di Formello; le canzoni spaziano nell’ambito dell’ afro-blues, afro-jazz e world music. Un intreccio di sonorità elettriche e acustiche, in cui le radici della musica mandinka, evolvono in una visione moderna, dando vita ad una interpretazione dell’artista del tutto personale. 

Baboucar Saho, in arte Jali Babou Saho, nasce a Banjul, in Gambia, nel 1983. Inizia a suonare la kora fin dalla tenera età, grazie al suo primo maestro, suo padre Jali Jankuba Saho, musicista di fama internazionale, il quale gli trasmette i primi insegnamenti della tradizione dei griot (cantautori dell’Africa).  Seguendo le orme paterne, inizia molto presto a esibirsi in numerose occasioni, girando molto sia nel suo paese, che nei paesi vicini come il Senegal.

E quindi eccomi qui, nella mia macchina, immobile nel cuore di agosto, ad ascoltare questo disco che proviene da terre inespolarate, una commistione di suoni e sapori che esplodono e arrivano, come universali, a chiunque. Un portale di relax che si infiltra nel mio petto, e che mi pento di non aver scoperto prima, perchè sarebbe stata una preziosa compagnia in tempi bui. E spero che lo sarà ancora, una volta che arriverà settembre.

CR