Fuori dal 14 aprile “Emotionally Numb”, il nuovo disco degli Hertzen. L’album è stato anticipato dai singoli “Hope” e “Secret Sins” che fin da subito si sono fatte amare dal pubblico. Trendici canzoni che si muovono tra elettronica e rock. Un rock sperimentale cupo che abbraccia suoni elettronici che richiamano i synth degli anni ’80, ma rielaborati in una maniera completamente innovativa.
Gli Hertzen non seguono le regole del mercato. Si prendono il loro tempo per creare un disco senza sbavature, introspettivo e capace di suscitare emozioni nell’ascoltatore.
Come sempre, per conoscerli meglio, abbiamo chiesto a Mariangela Diella le sue 5 cose preferite.
1. IL MIO STUDIO. Nella mia vita privata ho sempre cercato un posto, una stanza dove potermi rifugiare – “una stanza tutta per sé”, come scriveva Virginia Woolf. Ricordo che da bambina il mio posto era lungo il corridoio del motel che gestivano i miei. Cantavo lì. Ora, quel posto è il mio studio. Qui non c´è confine, non c´è frontiera, non c´è limite alla mia immaginazione. È il posto dove tutto prende vita. Dove i miei pensieri viaggiano e prendono forma. Sulla mia scrivania alcuni strumenti elettronici che rappresentano la mia indipendenza.
2. IL BOSCO. Sono nata al mare, ma ho provato sempre un certo fascino per i boschi, magari con foschia, in autunno. C´è tanta magia! Proprio come nei personaggi itineranti delle favole che mi raccontava mia nonna. Da bambina, quando andavo a trovarla, puntualmente, poggiavo la testa sul suo grembo, e lei cominciava a raccontarmi storie. Storie del focolare, ormai dimenticate. Le raccontava con una tale precisione che mi faceva pensare a quante volte le abbiano ripetute in passato nella sua famiglia. A scuola mi affascinavano le poesie sull´autunno, sulla neve, sul muschio. Sarà stato forse questo a condurmi verso i paesi del nord. Mi piace perdermi nei boschi, proprio come nei meandri della mia mente.
3. RIO DE JANEIRO. Vivo all´estero, in Germania, perché sono esterofila, e lo sarà stato anche mio nonno. Mi raccontano che sia andato in nave in Sud America per lavoro. Ho capito tardi perché ci andò e tornò dopo diversi mesi. Il Brasile è magia e ti rapisce il cuore. Ho visitato diversi posti nel mondo, ma Rio de Janeiro resta per me il più bello in assoluto. Sono stata in Sudamerica nel 2018 con la mia famiglia. Una delle tappe è stata proprio Rio, dove ho potuto incontrare Marcelo, con cui poi ho creato la band. Le nostre conversazioni sulla musica popolare brasileira mi ricordano tanto la musica italiana degli anni sessanta. L´Italia e il Brasile avevano tanto in comune in quegli anni. Sento che ci tornerò molto presto.
4. IL BALLO. È per me estensione della musica. È forse il motivo per cui amo le percussioni, il ritmo, il groove in una canzone. Magari cerchi di nasconderlo, ma poi viene fuori nelle mie produzioni. Alla fine ci fai i conti e accetti il fatto che é tutto un pretesto e che l´unica cosa che in realtà vuoi fare è creare musica che alla fine non vedi l´ora di ballare. Come dico in una mia canzone, “but no one knows that I just wanna dance”. Avevo 5 anni e ballavo e cantavo sul balcone di casa. Da allora, in fondo, non è cambiato molto. È il modo con cui cerco di ritrovare me stessa.
5. LA PUGLIA. Sono nata in Puglia, in una città del nord barese che si affaccia sull´adriatico. Ho lasciato la mia città nel 2007. Quando mi chiedono della Puglia, mi riesce difficile spiegare la sua unicità. Il cibo, i profumi, i paesaggi. Incredibile come un luogo possa entrarti dentro e forgiarti per sempre. Ma io avevo troppi sogni per non andare ad inseguirli altrove; troppo curiosa per rimanere nello stesso posto. Alla fine però, dopo diversi anni all´estero, la guardi con occhi diversi. La Puglia è casa. Forse un giorno tornerò e avrò un mio studio. Magari vicino al mare.
Alessandro è un cantautore di quelli veri, duri e puri, che sanno come comportarsi di fronte alla dispersione di senso del pop italiano: costruendo, con le parole, nuovi ponti capaci di collegare pensieri e pubblico in un nuovo simposio degno della tradizione della canzone d’autore, mantenendo una propria originalità che non sconfina mai nella ripetizione autoreferenziale.
Sì, perché se c’è una cosa che possiamo dire di Millepiani, noi che ne seguiamo le mosse ormai da tempo, è che l’artista carrarese non si è mai seduto, non si è mai ripetuto nella ricerca ossessiva di nuove chiavi per aprire porte che sembrano chiuse ermeticamente dall’interno. C’è uno slancio filosofico, in Millepiani, che avvicina Sgalambro e Roversi, filosofia orientale e mistica occidentale, scienza e rappresentazione; una costante e ossessiva ricerca, come dicevamo prima, di svelamento e allo stesso tempo di preservazione del mistero che ammanta il mondo delle cose e delle idee. Insomma, quella di Millepiani è un’opera musicale che sconfina e straborda con l’entusiasmo del bambino – o del poeta.
Aveva già saputo mostrarci la via maestra del suo operare, il nostro Millepiani, con il suo disco d’esordio, “Eclissi e Albedo”, seguito poi da “Krakatoa”: con “Un bagno di stelle”, l’artista toscano lascia detonare tutta la forza evocativa di una scrittura che non si contiene, anzi, cola giù dal contenitore e sembra non adattarsi ad alcuna forma specifica; la produzione, curata dal team di La Clinica Dischi, mantiene il proprio slancio pop/mainstream creando un ossimoro affascinante. La canzone riesce così a diventare un viaggio che conduce al centro della notte, o meglio, nel cuore pulsante dell’eterna domanda che ogni uomo finisce con il farsi, di fronte al rapimento della vita e della grandezza dell’universo: perché, qui e ora?
C’è una linea che sembra collegare tutte le pubblicazioni di Millepiani, e che qui si trasforma in un filo rosso che lega al cuore la necessità di tenere d’occhio uno dei progetti certamente più complessi e allo stesso tempo fascinosi della scena contemporanea.
É in uscita venerdì 28 aprile 2023 su tutte le piattaforme digitali per Gelo Dischi “Disco nostalgia“, il nuovo singolo di Ascari. Si tratta del secondo singolo dell’artista estratto dall’album d’esordio in uscita a maggio, “Italien*“. Il brano, il cui testo è co-firmato dall’artista e da Kaballà, è stato concepito e realizzato interamente nel 2020 durante il primo lockdown, cosa che si può evincere dal senso di inesorabile ripetizione del giro armonico e dal testo delle strofe, che parlano di un giovane adolescente che si confronta con un mondo interiore costellato di paura e solitudine, e la sensazione di un mondo esteriore che sta bruciando o andando in pezzi.
Il testo di “Disco Nostalgia“, specialmente nei ritornelli (unico momento di apertura dalla claustrofobica “discoteca” sia a livello testuale che musicale), trae liberamente ispirazione da Il Giovane Holden (The Catcher in the Rye di J. D. Salinger, 1951), i due autori del testo hanno immaginato di scrivere una sorta di lettera-testamento spirituale a un giovane Holden di oggi, intrappolato nella proprio isolamento e nel senso di impotenza che spesso sperimentano le giovanissime generazioni di questo attuale decennio. La discoteca pertanto non è soltanto un luogo metafisico di alienazione (richiamo al titolo dell’album, Italien*), ma anche una chiara indicazione musicale dell’omaggio alle hit dance degli anni ’70-’80 e a Giorgio Moroder.
Come nel caso del singolo precedente, la sonorità del brano è composta prevalentemente da sintetizzatori analogici, elemento molto presente nella poetica di Ascari, che si combinano nel ritornello con la tromba (interpretata dal giovanissimo e talentuoso Gianluca Cucco, strumentista che già da anni collabora con Ascari) e in tutto il brano con la batteria di Sebastiano De Gennaro (Calibro 35, 19’40’’); entrambi gli interpreti sono presenti in altri brani dell’album.
Siamo stati in camera sua, ed ecco cosa ci ha mostrato.
Premessa: la mia vita è recentemente saltata in aria, per cui mi sarebbe risultato difficile reperire 5 oggetti di casa, non avendo una vera e propria casa al momento. Allora ho deciso di presentarvi i 5 oggetti che per me al momento è essenziale avere accanto al letto (esclusi gli psicofarmaci), fotografati direttamente sulla coperta. Così, nudi e crudi.
BORRACCIA PER L’ACQUA
Bevo litri di acqua al giorno. Non so quanti, ma molti.
LIQUERIZIA
Il rimedio a ogni male, del corpo come dello spirito.
ALTOPARLANTE PORTATILE BLUETOOTH
Dopo anni in cui ho fatto davvero fatica a concedermi momenti di ascolto di musica per il puro piacere e non per lavoro o ricerca, mi sono finalmente riappropriato del gusto dell’ascolto per l’ascolto, il che significa poter essere a letto, sotto la doccia, mentre si cucina, e non necessariamente attaccati alla scrivania e ai super monitor audio che uso per lavorare.
Allora omnia licet: questo minuscolo affare spara alla grande e sembra abbastanza indistruttibile.
Droga per non fumatori occasionali che decidono di diventare dipendenti dalla nicotina ma non vogliono le controindicazioni della combustione tipo il raschio alla gola (terribile per cantare).
Henry Beckett è uno di quei nomi che per un po’ aveva rimbalzato nell’underground milanese, nutrendosi di tutti quegli ascoltatori dai gusti filo-americani che cercavano quei concertini che sembrano usciti da un romanzo di Charles Bukowski o Jack Kerouac. Ed è assurdo come chi era stato anche al Miami di qualche anno fa, poi sia sparito dalla scena milanese, per poi riaffiorare con un disco bellissimo, perdendo però negli anni tutto quel pubblico che avrebbe potuto apprezzarlo. Henry Beckett, da quel lontano 2017 in cui si era imposto tra i songwriter di Milano, sembra aver voluto iniziare di nuovo, da zero, con nove tracce contenuto in questo “Riding Monsters“.
Ed immaginatevi proprio così, su un treno con tutta la vostra roba, uno di quei treni vecchi che ci aveva fatto vedere Jim Jarmush in Dead Man, che attraversano gli Stati Uniti e tutte le situazioni più assurde che possiate immaginare. Questo disco è un viaggio introspettivo e autobiografico, il cui intento è quello di scarnificare un morto fino a trovargli l’anima: una sofferenza passata, una rinascita, Bruce Springsteen, Ryan Adams e tutta quell’estetica legata alla Beat Generation che i ragazzi come Henry Beckett, maglietta bianca e stivaletti, non riescono proprio a togliersi di dosso.
Un disco che è giusto che sia uscito adesso, in queste giornate confuse dove un giorno usciamo con il cappotto e la sciarpa, e quello dopo prenotiamo le vacanze al mare, in questi momenti dove lavoriamo tutto il giorno, ma viviamo il ponte del 25 aprile come l’unica fuga dalla realtà che abbiamo a disposizione. In molti chiedono ad Henry Beckett, che nella vita reale là fuori si chiama Raffaele, come mai usi l’inglese per la sua musica, ma il punto è proprio questo: essere estranei, essere diversi, essere liberi lavorando davanti al proprio computer, sentirsi nel Wyoming anche se siamo sul Lago di Garda, l’inglese ci porta in posti lontani, ci fa scappare così lontano che neanche riconosciamo dove siamo arrivati. L’italiano ci avrebbe fatto sentire a casa, ma qui some people get lost.
In sintesi: un disco da ascoltare con tutti gli amici che non si sono mai legati all’indie italiano, che odiano Calcutta e che non vi hanno mai accompagnato ad un concerto. Un disco per guardarsi dentro e rinascere, un disco per sentirsi abbastanza bene da poter ricominciare, un po’ come ha fatto Henry Beckett a cui auguriamo il meglio.
É uscito venerdì 17 marzo 2023 su tutte le piattaforme digitali “Riding Monsters“, il nuovo album di Henry Beckett, di ritorno dopo la pubblicazione del primo EP “Heights” nel 2017.
Nove tracce che solcano le onde del suo universo introspettivo e profondo. I testi dei brani hanno una forte ispirazione autobiografica e delineano un chiaro ritratto della personalità del cantautore “milanese ma di anima americana”. Henry è alla ricerca del suo posto nel mondo ed è in lotta costante con le difficoltà che fanno da freno al raggiungimento dei suoi obiettivi. Nonostante questo, in brani come “Riding Monsters”, “Some People Get Lost” o “Blackbird” ciò che viene messo più in luce non è la frustrazione dovuta ai numerosi ostacoli, ma la voglia di conoscersi anche attraverso tali difficoltà in modo da familiarizzare con esse per trasformarle in qualcosa di positivo per sé. Vince dunque la forza e la voglia di rialzarsi sempre, combattendo il più possibile contro la rassegnazione e il senso di impotenza che spesso ci portano a rimanere seduti ad aspettare che sia il caso a spostare i nostri binari sul tracciato giusto. È proprio questo il pensiero che viene rappresentato nella foto di copertina, in cui primeggia, appunto, il bisogno di reagire prendendo il controllo degli eventi.
Musicalmente, nell’intero viaggio di “Riding Monsters”, Henry Beckett rimane fedele alla tradizione americana dell’alternative-rock e, in generale, al mondo anglofono cantautorale, portando l’ascoltatore ad immergersi in spazi sconfinati colorati da chitarre riverberate e dalla sua voce calda e sognante.
Per conoscerlo meglio, siamo stati a casa sua, ed ecco cosa ci hanno e
Sono un fiero nerd quando si tratta di videogiochi. Credo che alcuni abbiano un potere imparagonabile di lasciarti qualcosa scalfito nell’anima, persino più di un film. Questi sono i miei preferiti: sono quelli per cui mi sono più emozionato e che mi hanno lasciato per interi periodi a rimuginare sugli epiloghi delle loro storie mozzafiato. Per non parlare delle colonne sonore da brividi che sono andate a finire subito nelle mie playlist.
Ahimè fumo, ma non potevo non mostrarvi questo signor portacenere: il “portacenere capezzolino”. Creato e regalatomi dalla mia ragazza, ma in realtà poco utilizzato perché temo troppo di rovinare questo suo art attack.
Questo è un regalo da parte di chi mi conosce bene e sa quanto io sia soggetto a gravi ripercussioni psicosomatiche, soprattutto quelle che riguardano l’intestino. Portare avanti il mio progetto cantautorale va a braccetto con una serie di stress e ansie che si ripercuotono costantemente sulla mia povera pancia. Ormai ho imparato a conviverci, ma in ogni caso io somatizzo!
Ecco la collezione di vinili di mio padre. Ora che non c’è più la costudisco io. Per me è come se questa sezione della libreria fosse un monumento a lui dedicato che mi ricorda sempre da dove venga la mia passione per la musica. Lui passava tutti i fine settimana a mettere su dischi e io ero lì che assorbivo. Qui c’è di tutto. È una finestra su cui posso affacciarmi per posare lo sguardo sia sulla storia di centinaia di artisti, sia sui miei bei ricordi d’infanzia.
Le mie compagne di viaggio. Sono state praticamente le mie prime e uniche vere chitarre. Entrambe sono state importanti regali. L’acustica da parte di mio zio e la Gibson da parte di mio padre. Per questo hanno un valore inestimabile, non penso le potrei mai abbandonare. Ora spero di portarle con me il più lontano possibile. Ammetto che mi piacerebbe unirle ad altre compagne, ma per adesso paziento.
Un passo regolare, quello che introduce “Plutone”, prima canzone e primo singolo tratto da “Lunatica”, il nuovo album di Walter Tocco, in arte Nictagena. Progetto nato vent’anni fa ma sicuramente rimasto al passo con i suoni dei decenni successivi, Nictagena vede la collaborazione di svariati musicisti, per esempio qui Francesco Tedesco, che ha collaborato sostanzialmente a tutte le fasi del disco, ma che conserva come unico punto fermo Tocco.
Rock alternativo, in particolare internazionale ma non solo, in particolare anni ’90 ma non solo, filtrato attraverso testi per lo più in italiano. Ma non solo, ça va sans dire.
L’idea di fondo è un concept album che finga di raccontare di pianeti lontani, mentre nella realtà fa riferimento a vite ed emozioni vicinissime, troppo umane. Le angosce di oggi passano attraverso chitarre molto insistite e anche vagamente lamentose, qui e là.
Il cantato di Nictagena si modella secondo il brano, con versatilità interessante e passione conclamata. Le sonorità non puntano alla pulizia estrema, le influenze vagano tra il post grunge e l’indie rock, con universi che si congiungono in quel grande calderone che sta tra Mark Lanegan e i Csi.
Il lavoro di Nictagena è anche la riscoperta di una vena produttiva per un po’ smarrita: “Ritrovare la musica è stato come riemergere e ritornare indietro nel tempo e stabilire le priorità nella mia vita. C’era qualcosa scritta che andava ripresa, una mezza idea di un concept album sui pianeti che mi era venuta 8 anni fa ma mai realizzata. La pandemia arriva al momento giusto per me: riprendo in mano la chitarra e la penna e così comincio la stesura dei brani del disco. I brani sono stati scritti con un forte desiderio di far sentire che la calma di cui si era appropriata della mia anima era solo un passaggio importante per ritornare a vivere come musicista”.
Un album di ottima fattura, consistente e convinto, che merita l’ascolto e l’attenzione che richiama. E che può trovare la propria collocazione anche nei pur affollatissimi schemi d’ascolto di oggi.
É uscito venerdì 10 marzo 2023 su tutte le piattaforme digitali “Pertegan“, il nuovo singolo dei Daushasha, band e collettivo veneto che spazia dalle influenze balcaniche a quelle della pizzica salentina. Questo nuovo pezzo, che si nutre di venature elettropop, è un nuovo capitolo in attesa di un disco in uscita in primavera.
Per conoscerli meglio, abbiamo deciso di andarli a trovare. Ecco cosa ci hanno mostrato!
Il tamburello salentino:
Nella nostra saletta non può mancare il tamburello salentino, il motore che fa alzare il pubblico dai tavoli e dà inizio alle danze. Ritmi ipnotici ed atmosfere mediterranee.
La macchina piena zeppa di strumenti:
Per preparare il live set di una folk band di 7/8 musicisti ed essere pronti ad ogni imprevisto è necessario caricare in macchina qualsiasi cosa si trovi sotto mano in sala prove e dintorni: strumenti, impianto, aste, tappeti, in ear, ripetitori di segnale wifi, cavi, strumentini bizzarri e cianfrusaglie di ogni tipo.
L’home studio:
Per registrare le idee a tarda notte e preparare gli arrangiamenti dei nostri brani. In una band così numerosa è importante comporre le parti di ogni strumento con calma, provando decine di combinazioni di suoni e arrangiamenti per trovare il giusto equilibrio.
Il calendario condiviso:
Nell’organizzazione delle date e dei tour estivi non può mancare il calendario condiviso in cui appuntiamo i nostri impegni. Senza di lui confermare le disponibilità diventerebbe un inferno di messaggi nel gruppo whatsapp.
Il turpiloquio in dialetto veneto:
Un famoso studio ha recentemente rivelato che per mantenere la serenità e riequilibrare l’umore, sfogare le proprie emozioni negative tramite il turpiloquio è davvero un toccasana. Migliora la qualità della vita e addirittura migliora l’efficienza nel lavoro che si sta svolgendo. Ma noi che siamo cresciuti nella campagna veneta lo sapevamo già.
É uscito venerdì 20 gennaio 2023 “Lo farei“, il nuovo singolo di Torchio, fuori su tutte le piattaforme digitali per Ohimeme (www.ohimeme.com). Il brano snoda la storia di un adolescente che viveva i propri tormenti immaginando le ballads che avrebbe voluto cantare, ed è influenzato dalle “Murder Ballads” di Nick Cave, del 1996. Una canzone insolitamente intima e diretta per Torchio, che si avvale della collaborazione di Andrea Manuelli al piano distorto e Sebastiano De Gennaro (Calibro 35, Baustelle, Silvestri, Capossela…) alle percussioni, rumori ed atmosfere.
Per conoscerlo meglio, siamo stati a casa sua.
Le stanze e il divano musicale
Il cane sciolto stilizzato che è anche l’ immagine raffigurata sulla copertina del mio album e 33 giri “Non vi appartengo“. Si trova dove con gli amici o in solitudine ci si gode la musica
Gli oggetti perfetti
Una ciliegia o un’ amarena? Oggettistica che fra trash ed eleganza rappresenta una dimensione perfetta. Sono un esteta, mi piacciono certe forme e simil/sculture.
Il portiere dell’hockey su ghiaccio
Si dice che il goalie conti per il 50% in una squadra di hockey. Amo questo sport e quando posso ci gioco anche e poi sono simpatici i miei pupazzetti.
Il tuffatore
Il tuffatore che è anche il titolo di una canzone bellissima di Flavio Giurato.
“Volevo essere un tuffatore. Con l’altezza sotto il naso ed il gonfio del costume Volevo essere un tuffatore Che si aggiusta e si prepara di bellezza non comune… E ora voglio essere un tuffatore Per rinascere, ogni volta, dall’acqua all’aria“
Scultura in ferro
Il pesce di Giovanni Tamburelli e’ quello appeso e variopinto sulla sinistra, una piccola e bellissima scultura in ferro battuto. Gli oggetti rappresentanti i pesci li vedo un pò come dei portafortuna e sopratutto sono animali bellissimi.
É in uscita venerdì 3 marzo 2023 il nuovo singolo di Irene Mrad, voce della scena underground del milanese, classe 2003. Il brano, dal titolo “Baciami”, è un capitolo intimo e ossimorico, triste e allo stesso tempo sfacciatamente pop, che parla di una relazione ricca d’amore, ma che attende di sbocciare. “È una struggente richiesta di amore avvolta in una melodia dolce ma al contempo aggressiva“, racconta Irene, “… con uno stile indie-pop, la canzone vuole raggiungere chi è innamorato, e chi crede in quello che sta facendo e realizzando, ed è disposto a tutto pur di salvare le relazioni a cui tiene“
– Arrangiamento, mix, master e produzione: Matteo Maltecca
BIO: Irene Mrad, classe 2003, è una giovane cantautrice italo-libanese.
Ha iniziato a scrivere a soli 16 anni, inizialmente per sé stessa, come valvola di sfogo. Nel febbraio 2020 è uscito il suo primo singolo “Ragione” prodotto da IL METZ. A dicembre dello stesso anno ha collaborato con lo studio torinese RKH dove ha prodotto il suo primo EP “Resilio“. Ad aprile 2022 è uscito il suo nuovo singolo “Riparo”. Il suo stile si ispira all’indie-pop italiano, ricco di introspezione ed emozioni suggestive.
It Will Be Nice è il nuovo singolo di Black And Blue Radio, il progetto musicale del doppiatore e musicista Davide Albano, disponibile da venerdì 24 febbraio e distribuito da UMA Records/Sony Music Italy. Spesso si tende a cercare la soluzione dei propri problemi negli altri, mossi dalla convinzione che stare in mezzo alle persone ci faccia sentire meno soli. Sulle note folk rock d’oltreoceano, It Will Be Nice parla di solitudine come scelta, come qualcosa che non deve far paura ma da cui si può imparare e che può dare un senso di libertà che è difficile trovare altrimenti.
Star soli non vuol dire non essere in grado di amare. Al contrario, quando si raggiunge tale livello di armonia con se stessi si è in grado di non proiettare le paure e le insicurezze con cui dobbiamo fare i conti ed apprezzare le piccole cose che si rivelano essere, poi, le più importanti.
Abbiamo deciso di farci invitare a casa sua. Ecco cosa abbiamo visto!
CHITARRA MARTIN JOHNNY CASH SIGNATURE
Questa chitarra è un pezzo fondamentale della mia vita e della mia musica. Nel novembre 2019 sono partito, da solo, per New York, preparando il viaggio con sole 2 settimane di anticipo. Per una serie di coincidenze fortunate sono riuscito ad organizzarmi con il lavoro (spesso nel doppiaggio capita che una serie segua la contemporaneità della messa in onda originale per cui si lavorano le puntate di settimana in settimana) e trovai un biglietto aereo a un prezzo bassissimo, come se lo avessi prenotato con un anno di anticipo. Idem per il pernottamento.
L’idea era partire e provare a trovare una risposta ai dubbi che avevo sulla mia musica. Volevo girare dei locali, trovare contatti per suonare, cose così. Non sapevo che cosa fare. Volevo partire e poi una volta lì sperare in un colpo di fortuna. Probabilmente non avevo nemmeno un piano da mettere in atto. Comunque parto, arrivo e, una volta in città, comincio a pensare di aver fatto una cazzata.
Ok, mi sarei goduto la vacanza, ma non partito per una semplice vacanza. Avevo in ballo un nuovo disco, c’erano delle idee ma non sapevo che farmene. Il disco d’esordio era andato discretamente bene dal punto di vista della visibilità, malissimo dal punto di vista commerciale ma non era quello il mio obiettivo. Sono circa le 23 della mia prima sera newyorkese, piove e mi trovo nel cuore di Manhattan, vicino al Madison Square Garden e sono completamente solo.
Sembra la scena di un film.
Penso che ho buttato via il tempo, che forse non è la musica la risposta , che basta, non ha senso a 39 anni cercare ancora una motivazione. Rimango una decina di minuti a fissare il vuoto cercando di trovare una scusa per tirarmi su di morale e non pensare di avere fallito su tutta la linea. Esattamente come in un film, alzo lo sguardo e dall’altra parte della strada vedo uno dei più grossi Music Store di New York, SamAsh.
Attraverso e in vetrina ci sono delle chitarre spettacolari. Una su tutte: La Martin Johnny Cash Signature. Ma chissà quanto costa. Questa visione comunque mi trasmette un po’ di fiducia. Torno in camera e passo la notte a scrivere e a fare mille mila viaggi mentali. Il giorno dopo, senza aver chiuso occhio, mi precipito al negozio pensando che se la Martin dovesse costare un patrimonio, potrei prendere un ‘rottame’ qualunque e comunque farci qualcosa.
Entro e vedo che il prezzo è assurdo: circa 400$ scontata (è la versione economica, l’originale costa tipo 20 volte di più). La provo. La prendo.
Esco e comincio a cercare su internet tutti i locali dov’è possibile potersi esibire nelle serate openmic. Passo le giornate a camminare, cercare i locali, tornarci la sera, suonare e tornare a casa di notte come se avessi fatto soldout al MSG.
Ogni sera suonavo dalle 2 alle 5 canzoni e la cosa meravigliosa era l’attenzione della gente. Ho capito che non potevo essere finito lì per caso. Tra le follie successe: una sera dopo aver suonato in una location dietro Times Square, mentre torno in albergo, per strada trovo una DeLorean con un tizio che ti permetteva di salirci e ‘provarla’.
Ecco, questa chitarra è stata un nuovo inizio e la compagna di un’avventura indimenticabile.
PASS DI ROGER WATERS
Il concerto di Roger Waters al Circo Massimo è stato uno degli eventi più incredibile a cui abbia mai assistito. L’evento era soldout e tramite un amico riesco a farmi assumere per la giornata come barman. Più precisamente addetto alla spillatura delle birre.
Ci dobbiamo trovare lì molto presto, rispetto all’orario d’inizio. Fa caldissimo. E l’idea di rimanere sotto quel sole è da matti.
Ok,m eravamo riparati ma non si poteva resistere.
Comincia il lavoro, sistemiamo i fusti, le bottiglie varie e prepariamo la postazione all’assalto che sarebbe cominciato da lì a poco.
Ad un certo punto sentiamo degli strumenti suonare e una voce inconfondibile: era iniziato il soundcheck.
“Wish you were here” è il brano scelto come prova generale.
Surreale. Non trovo altro termine per definire quel momento.
Il sole cocente, il Circo Massimo, le auto e il caos della giornata che per la maggior parte delle persone è una delle tante. Per noi lì presenti invece è un momento indimenticabile: una delle più grandi rockstar viventi sta cantando una delle canzoni più importanti della storia della musica, per qualche decina di persona. In una normale, calda, giornata romana.
Inizia ad arrivare la gente.
Una marea di persone che sin da subito combatte il caldo a suon di bicchieri di birra. Cominciamo a un ritmo forsennato che non smetterà se non dopo ore. Arriva la sera e comincia il concerto. Scenografia straordinaria, Roma come cornice, una marea indescrivibile di gente e ‘quelle’ canzoni.
Il delirio.
La nostra postazione si trova in prossimità del palco. Si vede e si sente meravigliosamente. Intanto non abbiamo un attimo di tregua, la gente beve qualunque cosa ininterrottamente. Ad un certo punto però finiamo tutto: birra, acqua, bevande…non rimane più niente. E non arrivano rifornimenti.
Che cosa succede?
Il punto si blocca. Si ferma per mancanza di ‘materie prime’ in attesa che qualcuno porti qualche scorta. Nel frattempo parte l’intro di “Wish you were here”. Da quella posizione si può cogliere anche un respiro. Il tempo si ferma. Mi sembra di aver trattenuto il respiro fino alla fine del concerto.
SCARPE DA CORSA
Sono un corridore molto scarso. Vado a correre perché mi fa stare bene, mi aiuta a scaricare le tensioni del corpo, ascolto tanta musica e spesso riorganizzo idee e ne vengono fuori di nuove.
Non faccio gare, non ho piani di allenamento e si, mi piacerebbe correre una maratona ma non ho la costanza.
Vado a correre sempre e solo la mattina presto, d’estate anche verso le 5.30 perché la giornata inizia con una bella dose di energia: subito dopo una corsa mi sento come se avessi bevuto 10 caffè.
Durante le mie sessioni da runner ho spesso trovato le parole per chiudere una canzone o la strofa che non riuscivo a mettere per iscritto magicamente spuntava fuori al Km 3, per dire. Andando sempre col telefono mi è facile scrivere o registrare una nota vocale.
Durante la corsa ho scritto mentalmente e per intero il video di “Untitled Black And Blues”, un brano del mio primo disco, ho avuto l’idea del teatro e delle maschere per il video di “Monsters” (il cui video fu presentato in anteprima su Rollingstone Italia) e mi venne l’idea di realizzare un video in soggettiva per il video di “Just Like Water” senza però che la storia riguardasse me. Compaio solo alla fine del video e quella scena è la serata in cui abbiamo presentato proprio questa canzone come singolo del nuovo disco a cui stavo lavorando. Era novembre 2019. Nel giro di pochi mesi la pandemia avrebbe completamente stravolto tutto.
Nuovo disco compreso.
LIBRO DI HEMINGWAY
Uno dei miei film preferiti è “Midnight in Paris”. Non tanto per l’ambientazione meravigliosa e magica ma per la storia in sé: ritrovarsi nei locali e poter parlare di musica, arte, poesia, cinema, con i propri eroi.
Mi capita spesso di andare da solo in un bar, portarmi uno dei miei quaderni e scrivere. Guardarmi intorno e prendere spunti. Parlare con estranei, farmi raccontare delle storie e poi raccontarle a modo mio, prenderne spunto per una canzone o un racconto.
Mi capita più facilmente quando vado all’estero.
Viaggio spesso da solo e fuori dall’Italia è più facile ritrovarsi a parlare con estranei. Senza per forza dover affrontare chissà quali argomenti. Anche i più banali. Ma vedo che è meno complicato interagire, cercare un dialogo che da noi, a volte, tra le persone manca.
Succede, ma è più complicato.
Immagino spesso come Verdone (ad esempio), che su questo ha costruito tutti suoi iconici personaggi, potesse accogliere con entusiasmo tutta una serie di individui davvero bizzarri. E come poi sia riuscito a raccontarli in quel modo malinconico ma allo stesso tempo straordinariamente ironico.
Mi meraviglio sempre di come la gente, quando si sente a suo agio, abbia quasi il bisogno di raccontarsi. E non è necessario per forza ricavarne un qualcosa. A volte ascoltare e tornare a casa con delle storie quasi surreali è il più bel motivo per aver deciso di affrontare la giornata in questo modo. Per aver deciso di affrontare la vita, in questo modo.
La sera tardi e la notte sono i momenti migliori. In settimana, quando in giro non ci sono tante persone. E nei bar del centro trovi poche persone, che magari sono non so a quale numero di birra,, drink. Magari in quel locale quella sera suona un artista ma la gente è poca. Magari un poeta legge le sue poesie e nel pubblico si contano tre persone.
Per le strade non c’è nessuno. Finita la performance ci si ferma a raccontarsi, a dire il perché ancora si crede a quello che si fa nonostante tutto. E il sogno comincia lì.
Purtroppo, dopo la pandemia è più difficile trovare situazioni come queste.
L’unica sarebbe girare l’angolo e trovarsi in un’altra epoca. Per sentirsi raccontare in prima persona la storia di un vecchio pescatore.
DOC E MARTY
Sono un grandissimo appassionato di Ritorno al Futuro. Forse la trilogia migliore di sempre.
Mi ricordo di averli visti al cinema e soprattutto ho un ricordo vivido del secondo quando ai titoli di coda apparve il trailer del terzo capitolo della saga in lavorazione.
Il mio primo disco ho deciso di chiamarlo “Out of time” anche e soprattutto per Marty e Doc.
Non so spiegare per quale motivo mi ci senta così affezionato. Non lo so. Non credo di poterlo spiegare talmente la cosa è così legata ai sentimenti più che alla razionalità.
Tra le mille citazioni possibili, ne scelgo una che forse è la meno interessante ma per me quella che mi emoziona ogni volta.
Penso che la foto di Doc e Marty appoggiati al grande orologio, quella che si vede nel terzo capitolo ambientato nel Far West, ecco…quella per me è Ritorno al Futuro. In quella foto ci vedo l’amicizia, l’affetto vero, un ipotetico rapporto padre/figlio che supera i confini spazio temporali.
E infatti quella foto sarà il regalo di Doc a Marty alla fine di tutto, poco prima di partire con la locomotiva del tempo e spiegare a Marty e Jennifer che il futuro non è scritto, ma sono loro a deciderlo.
Mi emoziona ogni volta.
Pochi mesi fa sono stato a Londra e ho visto anche il musical. Meraviglioso. Per i fan della saga è assolutamente da vedere.
In Ritorno al Futuro c’è l’amore, la famiglia, l’amicizia, la musica, la voglia di non arrendersi, la volontà di cambiare le cose per renderle migliori. Sono le cose semplici. Le più importanti. Che durano nel tempo.
Sono le stesse cose che provo a mettere nelle mie canzoni.