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“The elephant in the room” è il nuovo album di GINTSUGI

Esce il 20 ottobre 2023 THE ELEPHANT IN THE ROOM, la seconda produzione di GINTSUGI. Figlio di una creatività strabordante e di influenze internazionali profonde e articolate, l’album comprende otto brani, alcuni dei quali già presentati sotto forma di singolo, a testimonianza di un grande talento e di una grande sostanza musicale. 

Prodotto di un momento di crisi sia globale sia personale, THE ELEPHANT IN THE ROOM scava nel profondo della propria forza per poter far emergere una perla. Se fosse una carta dei tarocchi, l’album sarebbe l’Arcano Senza Nome.

Nato dalla desolazione e da una grande solitudine, si appoggia all’ossatura delle cose. È un confronto diretto con una realtà. Una disillusione, ma anche una trasformazione.

L’album richiama eventi ed emozioni senza troppi filtri e senza finzioni. La rabbia nei confronti di chi manipola e opprime, il senso di solitudine, la disintossicazione da narrative che fanno della dipendenza una romantica fiaba, la delusione nei confronti di un mondo che non si prende cura di ciò che è più prezioso.

Ma anche la scoperta che il nutrimento a volte lo si trova dove non si è mai guardato. E la resistenza del continuare, in qualche modo, nonostante tutto.

GINTSUGI prende un ruolo di produzione importante: l’album è stato finalizzato in collaborazione con BEAUTIFUL LOSERS RECORDS, che ha inoltre realizzato il mix e il mastering dell’album. GINTSUGI scrive, poi registra, per mesi delle tracce nel suo studio casalingo: con una biblioteca di suoni Native, un Moog, un computer, e il violino di uno dei suo collaboratori, EYMERIC ANSELEM.

Da questo sforzo nascono nove tracce, nove piccoli mondi, ciascuno in grado di illuminare un aspetto della realtà: la differenza e il contrasto tra il sentimento dell’amore e le strutture sociali all’interno in cui si può sviluppare, oppure dalle quali può essere osteggiato e represso; la relazione tra il consumo illimitato di risorse e le catastrofi climatiche; la ricerca della guarigione dalla dipendenza che indebolisce e umilia, il riconoscimento di una vicinanza di anime con chi ha fatto emergere dalle proprie ferite un placebo.

Il suono oscilla tra un art/pop vellutato e allucinato e un post-rock memore delle lezioni degli anni Novanta.

Gli artwork, creati dai due artisti visivi GIULIANO SGROI e GABRIELE BARBAGALLO, sono ulteriori elementi dell’universo creato dall’album: particelle del corpo invisibile in COMPLETE, identità sovrapposte in MON COEUR…

La copertina dell’album, realizzata in 3D, è una donna in dialogo con un immenso elefante, invisibile per molti. Come il titolo THE ELEPHANT IN THE ROOM, l’espressione idiomatica inglese per indicare i problemi che tutti percepiscono, ma di cui sembra difficile parlare.

Oltre alla collaborazione al violino, l’album ha la collaborazione di ARE YOU REAL?  alla voce per una versione movimentata di OUTSIDE, brano uscito nel 2021.

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BIO

GINTSUGI si è imposta nel panorama musicale con un’arte che trascende i confini convenzionali. Cantante, polistrumentista (pianoforte, elettronica, chitarra) e produttrice delle sue stesse creazioni, GINTSUGI scava nei recessi della sua anima emotiva, navigando sulla delicata linea tra esposizione e catarsi.

Il suo EP di debutto, prodotto con VICTOR VAN VUGHT (NICK CAVE, BETH ORTON), ha gettato le basi del suo suono singolare. YOAD NEVO, un virtuoso del mixaggio che ha lavorato per artisti del calibro di SIA e AIR, ha aggiunto il suo tocco artistico al singolo OUTSIDE, plasmandone ulteriormente l’identità sonora.

Il viaggio artistico di GINTSUGI l’ha portata dall’intimità del suo studio ai palchi diItalia, Francia, Svizzera e Germania. Ogni concerto è un’esperienza trasformativa, a riprova della sua capacità di catturare le emozioni più crude in ogni nota.

Nel 2021 collabora con LUCA PASTORE (SUBSONICA) per il video di BLIND, brano incluso nella compilation di ROCK TARGATO ITALIA 2021

La pubblicazione del suo primo album completo, prevista per l’autunno 2023 tramite SONO Music Group e BEAUTIFUL LOSERS RECORDS, segna un nuovo capitolo della sua odissea musicale.

Il nuovo album di GINTSUGI, THE ELEPHANT IN THE ROOM, è un viaggio coinvolgente nella psiche umana e abbraccia le profondità delle emozioni e delle esperienze umane. Con ogni testo, melodia e nota, GINTSUGI invita gli ascoltatori a osare e ad abbracciare le proprie imperfezioni, trasformando la vulnerabilità in una fonte di potere e autenticità.

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CREDITI

Scritto e composto da GINTSUGI (tranne LILAC WINE, musica e testo di James Shelton).

Prodotto da GINTSUGI e BEAUTIFUL LOSERS RECORDS

mix, mastering BEAUTIFUL LOSERS RECORDS

Voce, pianoforte, elettronica, sintetizzatore GINTSUGI

Violino EYEMERIC ANSELEM

Percussioni su MON COEUR e LILAC WINE: BEATIFUL LOSERS

Cori su OUSTIDE:ARE YOU REAL?

Copertina dell’album: GIULIANO SGROI

Artwork dei singoli GABRIELE BARBAGALLO (COMPLETE, MONCOEUR, TO GRACE), GIULIANO SGROI (HEX)

Canva GIULIANO SGROI (HEX, LILAC WINE), GIORDANA GEREMIA (TO GRACE), GINTSUGI (MON COEUR, COMPLETE)

VIDEO

Video di MON COEUR realizzato da GINTSUGI:https://youtu.be/-7nw0iKlZpI

Lyric video di COMPLETE realizzato da GINTSUGI:https://youtu.be/Kb40Nst3on0

Live di COMPLETE realizzato da FABIEN SALZI: https://youtu.be/_7z6CQXyBOg

EPK elettronico realizzato da FABIEN SALZI (Francese-sottotitoli in inglese):  https://youtu.be/ZLEd0hOjBHU

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Il collettivo Conserere ci mostra 5 oggetti dalla Fucine Vulcano, dove stanno provando!

Alle Fucine Vulcano (in via Fabio Massimo 15/12 a Milano) una settimana di incontri tra il collettivo di musicisti Conserere e artisti esterni, coordinato da Killick Hinds (USA) e Hanne De Backer (Belgio): un workshop tradizionale si espande fino alla resa di un lavoro finale sotto forma di concerto.

Le residenze saranno entrambe articolate su tre giorni, con un concerto finale la sera del terzo giorno.  Ognuno degli artisti sarà a sua volta parte dell’ensemble durante il periodo di residenza con l’altra. Quest’anno il progetto di residenza è realizzato in collaborazione con Fucine Vulcano, associazione culturale dedita a creatività, aggregazione e innovazione, che sarà la sede di prove e concerti, e con Vitamina, collettivo di musica elettronica che abbraccerà il secondo concerto inserendolo in una giornata molto speciale ricca di artistə sperimentali provenienti da tutta europa.

Ci siamo fatti portare nello spazio dove il collettivo si è riunito. Ecco cosa ci hanno mostrato.



 Costruzione di sogni con le ruote, che possano viaggiare lontano
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Metallo: il suono illumina e curva lo spazio

Pelle crini e legno: il suono vibra e modifica i materiali

Le pareti riflettono

Il mondo circostante è la nostra referenza, a cui torniamo con reverenza

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Le 5 cose preferite dei WE ARE WAVES

Entrare nella caverna del proprio io comporta dei rischi, ci mette di fronte ai nostri incubi, ma ci fa uscire alla luce migliori di quando siamo entrati: questo lo spirito di CAVE, nuovo e ispiratissimo video dei WE ARE WAVES, fondamentale post punk band torinese che costruisce nuove sensazioni a partire dal brano che dà il titolo all’ultimo album.

CAVE è infatti la title-track del quarto album in studio dei WE ARE WAVES. Un tunnel quasi interamente strumentale, un viaggio ossessivo negli antri della caverna che altro non rappresenta che il viaggio nelle “stanze buie” della mente del cantante/frontman FABIO “VIAX”VIASSONE per tentare di prendersi cura della propria salute mentale.

Il nostro furgone

Ci porta ovunque, in qualsiasi condizione meteo. Quando fuori ci sono 45 gradi o – 8. Spesso è ufficio, camerino, sala da pranzo, sala riunioni, camera da letto. Gli oltre 300.000 km fatti in tour sono sudati uno per uno. È il nostro bisontone e non potremmo fare nulla senza di lui. Nell’ultimo tour ha perso un pezzo di paraurti e ora è attaccato col gaffa. Un vero reduce del Vietnam.

Le coccole durante i live (ma anche fuori)

Siamo un gruppo molto coccoloso, ci serve darci un sacco di abbracci, baci e carezze. Suonare in giro spesso equivale logisticamente ad essere come in avanscoperta su pianeti ostili, a orari e posti strani e in mezzo a gente non sempre amichevole. E a volte fa molto freddo. Serve stringersi e darsi coraggio l’un l’altro, le coccole sono essenziali. E poi ci piacciono.

Gli afterparty

Qualsiasi promoter con cui abbiamo avuto a che fare sa che i WAW sono dei gran festaioli. Il live è sacro e va fatto al top. Ma dopo si fa anche il festino, con altrettanta professionalità e passione. Meglio se in un luogo sicuro, domestico e che sarà anche il posto dove dormiremo. Tante storie si potrebbero raccontare durante quei momenti…ma forse è meglio che restino chiuse nelle nostre memorie

😉

I fotomontaggi e le foto trash nel gruppo whatsapp

Il gruppo whatsapp dei WAW ha una quantità di idiozie, foto trash e impresentabili, oltre che fotomontaggi di una bruttezza rara, che trascende il valore musicale per essere proprio uno strumento di gioia nei momenti bui della vita. Sei in ufficio una grigia mattina di Novembre? Pensi che non ti passi più? Tiri fuori il gruppo, scorri i media e il buonumore non può che tornare subito. Come la voglia di ripartire immediatamente per il prossimo tour.



I momenti in cui tutto si svuota, che non si possono raccontare
Andare in tour prevede una serie di emozioni e momenti che sono impossibili da pubblicare su un social, o da raccontare a voce quando torni. Sono attimi, sensazioni, giochi di luce o di buio, a orari improbabili e pieni di stanchezza. Dove però tutto quello che vedi, il posto in cui sei, il cuore che ti batte a una certa frequenza ti dicono solo una cosa: qui è il posto dove voglio stare, questa la vita che voglio vivere.

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Cosa c’è nella sala prove dei Baab

PALAZZO DEL LAVORO è il singolo di debutto di BAAB, in uscita il 30 giugno per Stellare. Un progetto, quello del nuovo duo torinese, che si svela con un brano-manifesto capace di richiamare a sé prospettive interdisciplinari, che avvicinano la produzione musicale all’architettura, la ricerca sonora al design, alla danza contemporanea e alla fotografia. Il singolo anticipa l’album in uscita in autunno.

BAAB è un duo collaborativo nato nel 2020 dall’incontro tra Filippo Cornaglia, batterista, percussionista e compositore e autore di musica per immagini, stabilmente in studio e dal vivo con Niccolò FabiAndrea Laszlo De Simone e Bianco, e Andrea De Carlo, produttore, musicista e sound artist, fondatore di Lab10, studio di registrazione e laboratorio creativo con sede a Torino. La loro ricerca è caratterizzata da un approccio interdisciplinare e da un interesse verso il suono inteso non solo come fenomeno fisico ma anche come contenitore di significato. Dopo alcune collaborazioni (Innesto Lab, DAS Bologna, Paola Zorzi), attualmente BAAB è al lavoro con la compagnia di danza contemporanea BTT (Balletto teatro di Torino) per la realizzazione di uno spettacolo che debutterà nella primavera del 2024.

Siamo stati a curiosare dalle loro parti, ecco cosa ci hanno mostrato.

Minilogue

Il progetto BAAB affonda le sue radici nel minimalismo. Concetto che abbiamo deciso di applicare non solo nella scrittura, ma anche nella scelta dei suoni. Abbiamo deciso di scrivere tutto un disco con un solo synth perché l’idea di metterci dei limiti ci aiuta ad esplorare tutte le possibilità. Il limite diventa possibilità e rende tutto il lavoro coerente.

Batteria preparata

Adoriamo i suoni organici ed acustici. Nell’ottica minimalista abbiamo deciso di usare un piccolo set di batteria estendendolo il più possibile appoggiando sopra oggetti di uso quotidiano. In questo modo abbiamo la possibilità di personalizzare i suoni rendendoli unici ed imprevedibili. La combinazione degli oggetti rende il set sempre differente pur essendo composto da pochissimi pezzi.

Palazzo del lavoro

Questa è una foto realizzata da Ivana Noto e raffigura il famoso palazzo torinese. Appena iniziati a scrivere i primi brani abbiamo notato, nelle strutture, un’affinità con il mondo dell’architettura. Per questo motivo abbiamo deciso di associare ad ogni brano un opera architettonica. È interessante notare come la musica riesca a creare dei luoghi delle atmosfere emotive dentro cui chi ascolta si muove esattamente come dentro un edificio.

Bottiglia di Corona

Pochi giorni prima del lockdown un amico passando in studio ci regala una bottiglia di Corona. Per noi è stato l’oggetto scaramantico che ha accompagnato le sessioni in cui è nato il progetto BAAB. Proprio durante quella pausa dalla vita abbiamo avuto il tempo per sperimentare e immaginare nuova musica insieme. Chissà magari prima o poi festeggeremo aprendo quella bottiglia.

Bicicletta

Abbiamo la fortuna di abitare entrambi vicino a Lab10, il nostro studio, che al momento si trova nel quartiere di San Salvario a Torino. La bicicletta è il mezzo di trasposto che utilizziamo più frequentemente per gli spostamenti, non solo per il tragitto casa-studio, ma anche quando alla fine di una giornata decidiamo di andare a vedere un concerto nei locali del centro.

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Le tre cose che i Six Impossible Things rimpiangono dei loro Twenties

Twenty Something è il nuovo singolo dei Six Impossible Things che anticipa l’uscita dell’EP The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, in arrivo a settembre. La canzone, scritta dal chitarrista e cantante Lorenzo Di Girolamo, è stata intesa come una lettera d’addio ai propri vent’anni, ora che l’artista si accinge a entrare nel decennio successivo della propria vita. Abbiamo voluto ripercorrere con lui gli ultimi dieci anni della sua vita chiedendogli di dirci tre che cose che rimpiange di aver fatto nei suoi Twenties e tre cose che rimpiangerà appena conclusi i Twenties.

Le tre cose che rimpiango dei miei Twenties

1. Il fatto di essermi enormemente concentrato sul punto di arrivo, piuttosto che godermi il percorso. Sembra che porsi degli obiettivi sia parte integrante dell’essere membro della moderna società occidentale. Penso che, consapevoli o meno, tutti siamo un po’ condizionati da questa cosa. Io in particolare sento di aver dedicato del gran tempo a pensare a dove sarei voluto arrivare, piuttosto che sedermi comodo e assaporare il viaggio. 

2. La mia irruenza, l’affrontare ogni cosa come se fosse l’ultima. Da un lato mi ha permesso di godermi di più alcuni momenti, dall’altro mi ha fatto perdere un sacco di tempo e di energie. Sono una persona molto ansiosa e non sono molto bravo a controllare le mie reazioni: questa cosa a tratti ha influito negativamente sulle persone che ho attorno e, di riflesso, anche su me stesso. Ho capito che il grosso delle cose che ci capitano non sono questioni di vita o di morte, e perderci la testa non ne vale la pena, perché guardandole in prospettiva tra qualche anno non ti sembreranno più i macigni che ti sembravano quando le stavi affrontando.  

3. L’ultima è sicuramente il fatto di non aver provato a rischiare di più. Non sono mai abbastanza i freni che ti togli. Ogni volta che qualcosa ti passa per la testa cerca di farla, soprattutto se hai 20 anni. 

Le tre cose che mi mancheranno dei miei Twenties.

1. Sono sempre stato un grande appassionato di pallacanestro, e so che con il passare degli anni sarà difficile continuare a giocare, soprattutto a livello agonistico. Il basket mi ha accompagnato fin da quando frequentavo le scuole medie e il pensiero di arrivare a un momento in cui non potrò più giocare in una squadra perché i limiti fisici iniziano a farsi sentire mi rende triste. Il lato positivo è che nessuno ti può impedire di andare a fare due tiri al campetto di fianco a casa, quindi potrò continuare a coltivare questa buona abitudine. 

2. La parte più bella dei tuoi twenties dal mio punto di vista è quella di scoprire cose nuove. In questi dieci anni per me si è trattato di iniziare l’università, cambiare una manciata di lavori diversi, suonare per la prima volta con band che stavano fuori dalla mia cerchia di amici e dalla mia provincia. Queste e tante altre cose in questi anni sono state per me avvolte da un’aura romantica e dal fascino della prima volta. Quel tipo di sensazione so che probabilmente non potrò viverla più, se si parla di queste cose in particolare. 

3. Mi gioco quest’ultimo punto dicendo che la prima sensazione che ho provato quando ho letto questa domanda è stata di paura. La verità è che non voglio che le cose belle che ho fatto a vent’anni mi mancheranno entrando nei trenta, semplicemente perché non voglio smettere di farle.

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Gli Altera Nexa ci raccontano cosa c’è nello Studio 2 di Padova

Altera Nexa, progetto musicale nato a Padova nel 2020 dalle menti di Alessandro Niero (voce, tastiere) e Luca Dalla Gasperina (voce, tastiere) fa il suo debutto assoluto venerdì 30 giugno, in formato CD e digitale, sull’etichetta di Simona FaraoneNew Interplanetary Melodies, che per l’occasione si fa aiutare da Luca Fani di Imaginaria Records per la co-produzione di questo bellissimo album dall’evocativo titolo, No BordersPer questo primo lavoro, registrato presso il patavino Studio 2 di Cristopher Bacco con una tecnica ibrida di registrazione, Niero e Dalla Gasperina traggono la loro ispirazione dal rock più sperimentale (Radiohead, King Crimson, Steven Wilson) ibridato con influenze provenienti dal Jazz/Fusion (Snarky Puppy, Weather Report, Area).

Il disco si apre con la potente Skeletons, brano strumentale dal ritmo incalzante che fionda sin dalle sue prime note l’ascoltatore nel mondo sonoro della band caratterizzato dalla potente batteria e dai fiati, mentre con River e Give Yourself le atmosfere si fanno rispettivamente più pop e funky, mettendo in risalto le capacità dei musicisti della band e le loro influenze variegate, arricchite dalle accattivanti linee vocali dei due leader della stessa che si alternano e si fondono insieme. Con Plug Me In il suono si dilata in una dimensione a tratti psichedelica, mentre con Goodbye veniamo rapiti da un vortice continuo di crescendo di rara eleganza. I 9.45 minuti di The Message That i Didn’t Send suonano come un vero e proprio manifesto di quello che gli Altera Nexa con i loro 9 componenti sono in grado di fare, al cui interno sapienza tecnica e capacità compositiva si sposano alla perfezione per un risultato davvero sorprendente. Nanomachines è forse il brano più spiccatamente jazz/fusion del disco mentre con Window, pezzo che va a chiudere questo primo incredibile lavoro della band padovana, ci immergiamo in una suite atmosferica, densa e melanconica che va a chiudere degnamente un lavoro ben riuscito composto da sonorità complesse e da arrangiamenti raffinati che rendono questo No Borders una vera esperienza d’ascolto, intensa e coinvolgente.

Noi per conoscerli meglio, abbiamo deciso di farci portare nel loro posto del cuore.

Il piano a muro Yamaha

Questo piano viene da casa mia a Feltre; è il piano sul quale sentivo mia sorella esercitarsi per ore, lo stesso dove io sono andato in cerca delle mie prime note, provando ad azzeccare quelle delle mie canzoni preferite, di De André o Guccini, dei Queen o dei Beatles, ascoltando le vecchie cassette e CD dei miei genitori. Sono felice di essere riuscito a trasportarlo qui in Studio 2 e di averci potuto registrare tutte le canzoni per Altera Nexa. (Luca)

Il vecchio leggio

Non è un granché, anzi forse è un po’ pacchiano, ma quando qualcuno di noi arriva a prove senza leggio (succede spesso) ecco che diventa di estrema utilità, e in mezzo a tutti gli altri leggi di plastica ci fa anche sempre un po’ ridere. Cosa ci volete fare, ormai ci siamo affezionati.

l’ampli Farfisa

Ale e Dome, ogni volta che vedono questo storico ampli, ricordano “con piacere” quella volta che spostando una tastiera lo hanno bucato (poi l’hanno rimesso a posto, sia chiaro). Altra scena spassosa.

Musescore

Tutto è partito da qua, nel 2019, quando abbiamo cominciato ad abbozzare gli arrangiamenti a quattro mani dei brani che sono poi confluiti in No Borders. Un lavoro immenso, come immensa è la soddisfazione a sentire la nostra musica suonata magnificamente dai nostri compari musicisti. (Alessandro e Luca)

il banco

Tutto quello che abbiamo registrato come Altera Nexa è passato per questo banco attraverso le sapienti mani di Cristopher, il boss di Studio 2. Non possiamo non ricordare con piacere le ore passate con i gomiti appoggiati lì cercando di perfezionare il nostro lavoro.

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Le 5 cose preferite degli Hertzen

Fuori dal 14 aprile “Emotionally Numb”, il nuovo disco degli Hertzen. L’album è stato anticipato dai singoli “Hope” e “Secret Sins” che fin da subito si sono fatte amare dal pubblico. Trendici canzoni che si muovono tra elettronica e rock. Un rock sperimentale cupo che abbraccia suoni elettronici che richiamano i synth degli anni ’80, ma rielaborati in una maniera completamente innovativa.

Gli Hertzen non seguono le regole del mercato. Si prendono il loro tempo per creare un disco senza sbavature, introspettivo e capace di suscitare emozioni nell’ascoltatore.

Come sempre, per conoscerli meglio, abbiamo chiesto a Mariangela Diella le sue 5 cose preferite.


1.    IL MIO STUDIO. Nella mia vita privata ho sempre cercato un posto, una stanza dove potermi rifugiare – “una stanza tutta per sé”, come scriveva Virginia Woolf. Ricordo che da bambina il mio posto era lungo il corridoio del motel che gestivano i miei. Cantavo lì. Ora, quel posto è il mio studio. Qui non c´è confine, non c´è frontiera, non c´è limite alla mia immaginazione. È il posto dove tutto prende vita. Dove i miei pensieri viaggiano e prendono forma. Sulla mia scrivania alcuni strumenti elettronici che rappresentano la mia indipendenza. 

2.    IL BOSCO. Sono nata al mare, ma ho provato sempre un certo fascino per i boschi, magari con foschia, in autunno. C´è tanta magia! Proprio come nei personaggi itineranti delle favole che mi raccontava mia nonna. Da bambina, quando andavo a trovarla, puntualmente, poggiavo la testa sul suo grembo, e lei cominciava a raccontarmi storie. Storie del focolare, ormai dimenticate. Le raccontava con una tale precisione che mi faceva pensare a quante volte le abbiano ripetute in passato nella sua famiglia. A scuola mi affascinavano le poesie sull´autunno, sulla neve, sul muschio. Sarà stato forse questo a condurmi verso i paesi del nord. Mi piace perdermi nei boschi, proprio come nei meandri della mia mente.

3.    RIO DE JANEIRO. Vivo all´estero, in Germania, perché sono esterofila, e lo sarà stato anche mio nonno. Mi raccontano che sia andato in nave in Sud America per lavoro. Ho capito tardi perché ci andò e tornò dopo diversi mesi. Il Brasile è magia e ti rapisce il cuore. Ho visitato diversi posti nel mondo, ma Rio de Janeiro resta per me il più bello in assoluto. Sono stata in Sudamerica nel 2018 con la mia famiglia. Una delle tappe è stata proprio Rio, dove ho potuto incontrare Marcelo, con cui poi ho creato la band. Le nostre conversazioni sulla musica popolare brasileira mi ricordano tanto la musica italiana degli anni sessanta. L´Italia e il Brasile avevano tanto in comune in quegli anni. Sento che ci tornerò molto presto. 

4.    IL BALLO. È per me estensione della musica. È forse il motivo per cui amo le percussioni, il ritmo, il groove in una canzone. Magari cerchi di nasconderlo, ma poi viene fuori nelle mie produzioni. Alla fine ci fai i conti e accetti il fatto che é tutto un pretesto e che l´unica cosa che in realtà vuoi fare è creare musica che alla fine non vedi l´ora di ballare. Come dico in una mia canzone, “but no one knows that I just wanna dance”. Avevo 5 anni e ballavo e cantavo sul balcone di casa. Da allora, in fondo, non è cambiato molto. È il modo con cui cerco di ritrovare me stessa. 

5.    LA PUGLIA.  Sono nata in Puglia, in una città del nord barese che si affaccia sull´adriatico. Ho lasciato la mia città nel 2007. Quando mi chiedono della Puglia, mi riesce difficile spiegare la sua unicità. Il cibo, i profumi, i paesaggi. Incredibile come un luogo possa entrarti dentro e forgiarti per sempre. Ma io avevo troppi sogni per non andare ad inseguirli altrove; troppo curiosa per rimanere nello stesso posto. Alla fine però, dopo diversi anni all´estero, la guardi con occhi diversi. La Puglia è casa. Forse un giorno tornerò e avrò un mio studio. Magari vicino al mare. 

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Un bagno di stelle (e riflessioni cosmiche) per il nuovo singolo di Millepiani

Alessandro è un cantautore di quelli veri, duri e puri, che sanno come comportarsi di fronte alla dispersione di senso del pop italiano: costruendo, con le parole, nuovi ponti capaci di collegare pensieri e pubblico in un nuovo simposio degno della tradizione della canzone d’autore, mantenendo una propria originalità che non sconfina mai nella ripetizione autoreferenziale. 

Sì, perché se c’è una cosa che possiamo dire di Millepiani, noi che ne seguiamo le mosse ormai da tempo, è che l’artista carrarese non si è mai seduto, non si è mai ripetuto nella ricerca ossessiva di nuove chiavi per aprire porte che sembrano chiuse ermeticamente dall’interno. C’è uno slancio filosofico, in Millepiani, che avvicina Sgalambro e Roversi, filosofia orientale e mistica occidentale, scienza e rappresentazione; una costante e ossessiva ricerca, come dicevamo prima, di svelamento e allo stesso tempo di preservazione del mistero che ammanta il mondo delle cose e delle idee. Insomma, quella di Millepiani è un’opera musicale che sconfina e straborda con l’entusiasmo del bambino – o del poeta. 

Aveva già saputo mostrarci la via maestra del suo operare, il nostro Millepiani, con il suo disco d’esordio, “Eclissi e Albedo”, seguito poi da “Krakatoa”: con “Un bagno di stelle”, l’artista toscano lascia detonare tutta la forza evocativa di una scrittura che non si contiene, anzi, cola giù dal contenitore e sembra non adattarsi ad alcuna forma specifica; la produzione, curata dal team di La Clinica Dischi, mantiene il proprio slancio pop/mainstream creando un ossimoro affascinante. La canzone riesce così a diventare un viaggio che conduce al centro della notte, o meglio, nel cuore pulsante dell’eterna domanda che ogni uomo finisce con il farsi, di fronte al rapimento della vita e della grandezza dell’universo: perché, qui e ora?

C’è una linea che sembra collegare tutte le pubblicazioni di Millepiani, e che qui si trasforma in un filo rosso che lega al cuore la necessità di tenere d’occhio uno dei progetti certamente più complessi e allo stesso tempo fascinosi della scena contemporanea. 

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Cosa c’è nella camera di Ascari

É in uscita venerdì 28 aprile 2023 su tutte le piattaforme digitali per Gelo Dischi “Disco nostalgia“, il nuovo singolo di Ascari. Si tratta del secondo singolo dell’artista estratto dall’album d’esordio in uscita a maggio, “Italien*. Il brano, il cui testo è co-firmato dall’artista e da Kaballà, è stato concepito e realizzato interamente nel 2020 durante il primo lockdown, cosa che si può evincere dal senso di inesorabile ripetizione del giro armonico e dal testo delle strofe, che parlano di un giovane adolescente che si confronta con un mondo interiore costellato di paura e solitudine, e la sensazione di un mondo esteriore che sta bruciando o andando in pezzi.

Il testo di “Disco Nostalgia“, specialmente nei ritornelli (unico momento di apertura dalla claustrofobica “discoteca” sia a livello testuale che musicale), trae liberamente ispirazione da Il Giovane Holden (The Catcher in the Rye di J. D. Salinger, 1951), i due autori del testo hanno immaginato di scrivere una sorta di lettera-testamento spirituale a un giovane Holden di oggi, intrappolato nella proprio isolamento e nel senso di impotenza che spesso sperimentano le giovanissime generazioni di questo attuale decennio. La discoteca pertanto non è soltanto un luogo metafisico di alienazione (richiamo al titolo dell’album, Italien*), ma anche una chiara indicazione musicale dell’omaggio alle hit dance degli anni ’70-’80 e a Giorgio Moroder.

Come nel caso del singolo precedente, la sonorità del brano è composta prevalentemente da sintetizzatori analogici, elemento molto presente nella poetica di Ascari, che si combinano nel ritornello con la tromba (interpretata dal giovanissimo e talentuoso Gianluca Cucco, strumentista che già da anni collabora con Ascari) e in tutto il brano con la batteria di Sebastiano De Gennaro (Calibro 35, 19’40’’); entrambi gli interpreti sono presenti in altri brani dell’album.

Siamo stati in camera sua, ed ecco cosa ci ha mostrato.

Premessa: la mia vita è recentemente saltata in aria, per cui mi sarebbe risultato difficile reperire 5 oggetti di casa, non avendo una vera e propria casa al momento. Allora ho deciso di presentarvi i 5 oggetti che per me al momento è essenziale avere accanto al letto (esclusi gli psicofarmaci), fotografati direttamente sulla coperta. Così, nudi e crudi.

BORRACCIA PER L’ACQUA

 Bevo litri di acqua al giorno. Non so quanti, ma molti.

LIQUERIZIA

Il rimedio a ogni male, del corpo come dello spirito.

ALTOPARLANTE PORTATILE BLUETOOTH

Dopo anni in cui ho fatto davvero fatica a concedermi momenti di ascolto di musica per il puro piacere e non per lavoro o ricerca, mi sono finalmente riappropriato del gusto dell’ascolto per l’ascolto, il che significa poter essere a letto, sotto la doccia, mentre si cucina, e non necessariamente attaccati alla scrivania e ai super monitor audio che uso per lavorare. 

Allora omnia licet: questo minuscolo affare spara alla grande e sembra abbastanza indistruttibile.

SIGARETTA ELETTRONICA RICARICABILE (GUSTO TABACCO)

Droga per non fumatori occasionali che decidono di diventare dipendenti dalla nicotina ma non vogliono le controindicazioni della combustione tipo il raschio alla gola (terribile per cantare).

MASCHERA DI BATMAN

E perché no?

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La psicanalisi on the road a cura di Henry Beckett | Recensione

Henry Beckett è uno di quei nomi che per un po’ aveva rimbalzato nell’underground milanese, nutrendosi di tutti quegli ascoltatori dai gusti filo-americani che cercavano quei concertini che sembrano usciti da un romanzo di Charles Bukowski o Jack Kerouac. Ed è assurdo come chi era stato anche al Miami di qualche anno fa, poi sia sparito dalla scena milanese, per poi riaffiorare con un disco bellissimo, perdendo però negli anni tutto quel pubblico che avrebbe potuto apprezzarlo. Henry Beckett, da quel lontano 2017 in cui si era imposto tra i songwriter di Milano, sembra aver voluto iniziare di nuovo, da zero, con nove tracce contenuto in questo “Riding Monsters“.

Ed immaginatevi proprio così, su un treno con tutta la vostra roba, uno di quei treni vecchi che ci aveva fatto vedere Jim Jarmush in Dead Man, che attraversano gli Stati Uniti e tutte le situazioni più assurde che possiate immaginare. Questo disco è un viaggio introspettivo e autobiografico, il cui intento è quello di scarnificare un morto fino a trovargli l’anima: una sofferenza passata, una rinascita, Bruce Springsteen, Ryan Adams e tutta quell’estetica legata alla Beat Generation che i ragazzi come Henry Beckett, maglietta bianca e stivaletti, non riescono proprio a togliersi di dosso.

Un disco che è giusto che sia uscito adesso, in queste giornate confuse dove un giorno usciamo con il cappotto e la sciarpa, e quello dopo prenotiamo le vacanze al mare, in questi momenti dove lavoriamo tutto il giorno, ma viviamo il ponte del 25 aprile come l’unica fuga dalla realtà che abbiamo a disposizione. In molti chiedono ad Henry Beckett, che nella vita reale là fuori si chiama Raffaele, come mai usi l’inglese per la sua musica, ma il punto è proprio questo: essere estranei, essere diversi, essere liberi lavorando davanti al proprio computer, sentirsi nel Wyoming anche se siamo sul Lago di Garda, l’inglese ci porta in posti lontani, ci fa scappare così lontano che neanche riconosciamo dove siamo arrivati. L’italiano ci avrebbe fatto sentire a casa, ma qui some people get lost.

In sintesi: un disco da ascoltare con tutti gli amici che non si sono mai legati all’indie italiano, che odiano Calcutta e che non vi hanno mai accompagnato ad un concerto. Un disco per guardarsi dentro e rinascere, un disco per sentirsi abbastanza bene da poter ricominciare, un po’ come ha fatto Henry Beckett a cui auguriamo il meglio.