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10 album italiani che forse vi siete persi nel 2023 (e che dovreste recuperare)

Siamo ormai al termine dell’anno, tempo di tirare le somme, delle playlist di fine anno, delle classifiche e di cose del genere che noi però non faremo. Quella che segue non è una classifica, una condensa del meglio di un anno che non abbiamo capito, ma un invito a recuperare qualche disco della scena indipendente, che forse vi siete persi e che potrebbero essere molto utili per riempire le cuffie durante le giornate vuote delle vostre giornate natalizie. Cominciamo?

“Come closer” dei Petra Von Kant

Quello dei Petra Von Kant è un disco di quelli che forse potreste condividere con vostro padre, quel padre rockettaro che non ha ancora Spotify, che vi faceva ascoltare i Litfiba in macchina e che ha ancora in camera tutti quei dischi progressive della vecchia guardia con quelle copertine discutibili. I Petra Von Kant, con un nuovo esordio che avvia una strada parallela al progetto dei Venus In Disgrace, esordiscono a fine ottobre con l’album “Come closer” (fuori per Lost Generation Records). Niente singoli, pochi fronzoli, niente scelte di marketing, solo la musica, come si faceva una volta. Musica che spesso non basta, tant’è che probabilmente ve li siete persi. Forse, potreste sfruttare qualche macchinata con papà o quello zio virante a sinistra, che era stato fan degli Area, per mettere su questo disco e far vivere così questa pulsante scena romana dark, oscura, intensa, che si ritrova nei localini fumosi e negli studi arrangiati a casa, e che non è mai troppo uscita dagli anni Ottanta.

Ci piacciono tantissimo per il loro essere un po’ boomer.

Una (1000Nessuna)” di Miele

E sul finire del 2023 arriva anche l’album d’esordio Miele, quel nome che forse ricorderete da qualche Sanremo passato, ma che ora ha ben poco a vedere con un disco autobiografico, di quei pensieri che hanno voglia di esplodere in musica, e non si vergognano mai di rivelarsi. Miele sembra averci fatto aspettare così a lungo per un suo full legth che, ora che lo abbiamo, c’eravamo ormai dimenticati di lei. Un disco di sussurri, derive rock con quelle chitarre trascinanti, bassi che prendono lo sterno e ci fanno ballare e parole che rimangono impresse. Un disco che funziona, ma che di fatto è un altro esordio dell’underground, di chi ha fatto pace con sé, di chi parla delle donne in modo sfacciato e sincero (e mai come in questo periodo, ne abbiamo bisogno!). Peccato, perchè il percorso di questa giovane cantautrice ce lo eravamo quasi perso, ma siamo ancora in tempo per recuperare questa piccola perla dell’underground.

Arrivato nel momento sbagliato, probabilmente. Ora che anche Maria Antonietta porta i tacchi alti e abbiamo tutti superato i trent’anni o quasi.

“Earth” di Anna Soares

Che musica e sensualità fossero una cosa solo per Anna Soares lo sapevamo già, e lo sapevamo già così bene che forse vi siete quasi persi questo (nuovo, ennesimo) terzo disco dal titolo “Earth” (fuori per Lost Generation Records). Un disco che più che ascoltato, andrebbe vissuto in un club con una rigida selezione all’ingresso: solo affamati di movenze lente, solo chi comunica con giochi di sguardi, solo chi ama il sesso che non si fa mai. Un nuovo disco per il sottofondo delle nostre cene natalizie, quelle tra amici che finiscono fumose sul divano, con le chiacchiere filosofiche e i sentimenti non corrisposti. Anna Soares si conferma una donna pop con un’oscurità esplosiva e contagiosa con un disco che forse perdiamo e confondiamo con gli altri, che sono comunque pubblicazioni abbastanza recenti, ma che non possiamo che apprezzare. Quando ci siamo stufati della banalità, ma non delle feste di Natale, forse potremmo capitare proprio qui.

“Aspettando Ribot” di Roberto Benatti

Ecco che vi abbiamo trovato un altro disco che forse non avreste mai scovato altrimenti. Roberto Benatti è il contrabbassista dell’Orchestra della Scala di Milano, ma quest’anno timidamente è diventato anche un cantautore. L’esigenza è molto semplice, chiudersi in casa a raccontare tutto, chitarra, voce e la complicità di Silvia: tutta la Milano che ha dato tanto, ma da cui bisogna fuggire, l’amore, i figli, il calcio e tutto il resto. Qui dentro c’è molto di De Andrè, ma anche l’urbanità indie di Dente e di quella scena che ci ha fatto compagnia negli anni Dieci. Roberto Benatti arriva qui, silenzioso e sincero, come alla fine di una cena di Natale, con quelle canzoni semplici che si cantano ancora a tavola, e che si assorbono meglio con la pancia piena. Un altro disco contro ogni logica di mercato, che non si associa a nessuna strategia o idea di comunicazione, che esiste nella sua urgenza che non fa neanche troppo rumore.

“Nevermind” di Sete

Un nuovo esordio al femminile, che inizia con ritmiche serrate, a volte vibes à la Mahmood ma senza le pose e le stratificazioni del successo, che ahimè sono inevitabili. Si può fare pop, si può derivare nella scena urban, senza camuffarsi, ma anzi esponendosi come raramente abbiamo visto questo anno. E Sete esordisce così, con un album dal titolo importante come “Nevermind” (fuori per Talento Liquido), lo stesso titolo di un disco dei Nirvana che probabilmente ci ha fatto compagnia in più di un momento buio, ad un disco che forse può avere lo stesso scopo: un manifesto generazionale di ragazze di periferia, che sono stanche, che hanno voglia di ballare, che si rasano a zero e che vivono dicendo non mi importa. La vediamo bene a duettare con Blanco, quando non riempiva gli stadi, con una voce come se fosse la stessa. Il cantautorato ha questa faccia, non possiamo farci niente se non lasciarci trascinare, inquietare, affondare nelle acciacature e vivere i nostri viaggi in metropolitana come fossimo in un club segreto quasi fuori Roma.

“Limine” dei Macadamia

Se non lo aveste capito, ci piacciono i dischi che non si classificano, che non si riescono a catalogare bene, che brillano di luce propria e non assomigliano a nessuno. Ed è il caso dei Macadamia, che dopo una serie di singoli arrivano al loro “Limine“, un piccolo inno resiliente ad una generazione che si sta disfacendo, e che si rifugia quindi in sonorità psichedeliche e cantautorali della vecchia guardia. É un disco per tutti noi ragazzi che facciamo le tre, ma che rimaniamo bravi ragazzi, che ci fermiamo cauti agli STOP e che Roma non la viviamo mai veramente. Un piccolo disco prudente, al punto giusto, che non osa troppo ma ammicca alle sonorità d’oltre oceano, che ascolta Alex Cameron e Mac DeMarco, ma anche Mina, che attinge alla sessualità estetica di Calcutta, e racconta anche di sè. Un mix cauto, che non esce troppo dai confini, ma che allo stesso è un mix unico che non avevamo mai sentito prima, e che sa di casa. A Natale, soprattutto, ci vuole!

“Invisible Pathways” di Martina Di Roma

E torniamo a Milano, insuandoci in quella scena jazz che da quando il Lume non è più attivo forse abbiamo perso. Noi che da fuori bazzicavamo i localini e le jam session, ora siamo alla Corte Dei Miracoli, una versione pettinata di quel Lume, un centro sociale che ha cambiato spesso sede e che ha lasciato una voragine di nostalgia ovunque sia stato. Una sera di queste, incontriamo Martina Di Roma che presenta dal vivo il suo esordio dal titolo “Invisible Pathways“: una diva timida, un concertino di New York ad occhi chiusi, l’autobiografia musicale ed estetica di un periodo difficile, il carisma raro di chi non cerca di apparire. Martina Di Roma è una perla rara in questo panorama musicale che vive di tormentoni, e che allo stesso tempo vediamo per sempre in questo underground scintillante, ma poco vendibile. Se avete voglia di chiudervi in un pub fumoso, immaginarvi in abiti degli anni Trenta, e lasciarvi trascinare da un piano lungo i tormenti e soluzioni emotive di Martina, siete nel posto giusto. Benvenuti.

“glu” di Guidoboni

Quello di Guidoboni è uno di quei dischi inghiottiti dall’estate, e che prima o poi vengono rigettati, speriamo di esser parte di questo rigetto. Un cantautore da quell’età indefinita, un po’ come Fulminacci e un po’ come Paolo Nutini, un po’ come ciò che servirebbe (servirebbe davvero!) a Sanremo, e un po’ come quelle che vorremmo vedere per sempre nei sobborghi. Guidoboni ha esordito timidamente con “glu”, un racconto di provincia, di amore (e di porno!), con quei dettagli della casa dei suoi genitori, di ritorni in città che non fanno respirare, e tanta nostalgia. Un timbro del genere, in italiano, non l’avete mai sentito, fidatevi. Un disco da imparare a memoria, da urlare in macchina, anche se ovviamente i malcapitati in macchina con noi non sapranno una parola. Un disco quindi, che è moralmente necessario condividere, per urlare meglio.

“No Borders” di Altera Nexa

Non capiamo molte cose: la copertina di un disco sugli store digitali che non riusciamo neanche a decifrare, piccola e lasciata lì su Spotify. Ancora una volta, come era stato per i sopra citati Petra Von Kant, neanche un singolo che potesse accompagnarci in questo momento di alternative jazz che si può ballare. Musica e marketing non vanno d’accordo, ma scovare dischi fighi diventa abbastanza complicato così e, fidatevi, “No Borders” degli Altera Nexa è uno di quei dischi veramente fighi che avreste voluto vi facesse compagnia ancora a lungo, e che invece probabilmente sentite adesso per la prima volta, giusto in tempo per tirare le somme di questo 2023 così stratificato.

Band padovana (quella città che ha partorito Jesse The Faccio ed Ulisse Schiavo), poche ciance, solo la cattiveria di un sax che si arrabbia di malinconia crescente. Un disco strumentale bellissimo, che forse ha solo bisogno di qualche idea collaterale per emergere, magari un feat? Suggeriamo: Pietro Berselli per rimanere in zona, Marta Del Grandi per evadere ma avere a che fare con un’altra amante dei fiati, Deaf Kaki Chumpy per essere in metà di mille sul palco.

“Queer Eleison” della Croce Atroce

Concludiamo questa carrellata di dischi con un album, quello della Croce Atroce, perfetto per spezzare la boria alcolica quando il 25 dicembre sta per volgere al termine. Filastrocche musicali decisamente scorrette, autobiografiche, ritmi scanditi da un rap old school che ci introduce in un’atmosfera surreale e retrò. La Croce Atroce è l’anima del Toilet di Milano: il rossetto marcato, mai stare zitti e quest’esigenza di raccontarsi. Questo è il suo terzo disco, “Queer Eleison“, il nuovo capitolo di una battaglia che affronta qui tematiche di accettazione e religione, dove scuola e famiglia si intrecciano con i vaffanculo più sonori che abbiamo mai detto. Forse a volte è necessario far ascoltare dischi del genere a chi vogliamo comunicare qualcosa di importante, senza drammi, con la normalità di chi ama i tacchi alti e andare al lavoro la mattina senza postumi.

Grazie per questa semplicità che ci fa così ridere, e sentire anche meno soli, tra tutti noi solitari che si perdono nei buchi neri.

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Comunicato stampa

Domani esce il nuovo EP di Miele dal titolo “Una (1000Nessuna)”

É in uscita venerdì 17 novembre 2023 il nuovo disco di Miele, un nuovo capitolo dal titolo “UNA (1000Nessuna)“. Un EP multiforme, che si stratifica di generi ed influenze e risulta inevitabilmente autobiografico, un disco che nasce dall’urgenza di mettere ordine, ma che rivela che vita e ordine non possono andare d’accordo. Miele rivela e accetta così finalmente i suoi molti volti, in questo viaggio semplice e complesso allo stesso tempo, dove ogni singola canzone finisce per essere indispensabile per tutte altre

Nel processo che ha portato a questo disco, è stata la musica stessa a pretendere un costante alternarsi di suoni e silenzi, di respiri e poi di tuoni, di semina e di raccolta, così è Miele in queste canzoni, che chiedono pace e non sempre la ottengono, che provano a fare ordine senza riuscirci troppo spesso, finendo inevitabilmente per rivelare le tante sfumature che abitano dentro ogni essere umano. Canzoni che ci ricordano che alla fine anche la vita stessa è fatta di suoni e di silenzi, che a volte è normale sentirsi quasi niente, perché in fondo l’incoerenza è uno stato naturale del nostro viaggio, al quale nessuno può sottrarsi. 
 

Quante volte ti senti così distante da ciò che credevi di essere? 
Nel “non mi riconosco” ho trovato tante versioni di me che mi hanno sorpresa, a volte spaventata, altre incoraggiata.



 

Prodotto da Dwarf, mix e master di Ivan Antonio Rossi
Scritto e composto da MieleFrancesco Pietantozzi, Peppe Milia e Donato Emma

Svegliarmi” è stato co-scritto da Miele e Nava


Hanno partecipato alla realizzazione del disco: Donato Emma (drums), Peppe Milia (guitars),
Antonio Quinto Moscato (bass, synth bass), Sabrina Fiorella (backing vocals), Giuliano Lecis (Piano),
Raffaele Stefani (rec. voci), Matteo Strocchia Marco Servina (Visual/fotografia).
 

TRACKLIST

Fantasmi (intro)
Il senso di colpa
Speranza
Interminabile
Vergogna d’infanzia
Resistenza
Violenza 
Svegliami (ft. NAVA)
Balla con me


BIO:

Sono le radici e il movimento, controsenso e al tempo stesso legame, 
a far da collante tra tradizione e innovazione, 
sonorità vintage ed elettronica, musica d’autore e musica “leggera”. 
La contraddizione è l’elemento chiave presente nella musica della cantautrice.

 

Siciliana di nascita, Milanese d’adozione.

Nel 2016 partecipa al Festival di Sanremo tra le nuove proposte con il brano “Mentre ti parlo”, singolo estratto dall’EP d’esordio “Occhi” e nello stesso anno si esibisce al concerto del Primo Maggio in Piazza San Giovanni a Roma con il singolo “Questa strada”.

Nell’estate del 2016 suona nelle principali piazze d’Italia con il suo “Occhi Tour” e apre inoltre il concerto di Francesco De Gregori presso il Teatro Antico di Taormina e quello di Alvaro Soler in occasione del “Cous Cous Fest” di San Vito Lo Capo (TP)

Nel 2016 riceve il Premio M.E.I. come miglior giovane di Sanremo 2016.

Nel 2020 viene decretata vincitrice della XXXI edizione di Musicultura e si aggiudica il premio come “miglior testo” con il brano “Il senso di colpa”. Ha da poco completato la produzione del nuovo album “UNA (1000Nessuna)” in uscita venerdì 17 novembre.

https://www.instagram.com/miele.ig/

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Indie Intervista Pop

I M.A.T. più che un trio sono la strada che porta a casa

Ci sono progetti che nascono per caso, e poi si ritrovano a crescere senza nemmeno rendersene conto: idee che salgono su dalla terra umida della periferia per distendere i rami fino al cielo, e se possibile anche più in là; ci sono canzoni che s’incollano al cuore dopo il primo ascolto, lasciando in bocca il retrogusto amarostico della dipendenza quando il brano finisce e tu sei costretto a premere play ancora una volta: è il caso, questo, di “Miele”, il primo EP dei M.A.T., trio eclettico bolognese (ma con radici sparse un po’ ovunque) che ha deciso di battezzare il proprio esordio in piena estate, quando la musica va in vacanza ma i cuori continuano ad essere bisognosi di nuove melodie da cantare.

MAT, piacere di conoscervi! Non abbiamo mai avuto l’occasione di intervistarvi sulle nostre piattaforme, quindi vi chiediamo di presentarvi ai nostri lettori! Chi sono i MAT, cosa suonano e da dove vengono?

I MAT nascono a Bologna circa due anni fa dall’incontro musicale tra Thony, desideroso di produrre alcuni testi che aveva messo da parte negli anni ed Axel, che cominciava pian piano a muovere i suoi passi nella scena musicale bolognese dopo essersi trasferito in città da Napoli. Dopo alcuni esperimenti (non troppo azzeccati in realtà) il trio viene completato da Marco, il quale propose ai due proprio un prototipo di testo che diventerà 6/06, il nostro primo singolo. Ci piace immaginarci come un collettivo di idee più che una band in senso stretto, dove ognuno porta le sue influenze e si cerca di tradurle in musica. 

Come nasce il progetto? Sembrate essere amici molto affiatati, oltre che “compagni di musica”!

La storia in realtà parte in un contesto relativamente lontano dalla musica: il calcio.

Infatti noi tre siamo stati per diverso tempo compagni di squadra in un team di calcio a 7 bolognese, ed è lì che è cresciuta poi la nostra amicizia profonda prima ancora che stima reciproca dal punto di vista musicale. 

Un fatto interessante risale proprio al primo anno in cui ci siamo conosciuti: Axel, trasferitosi da poco in città, conosceva ben poco della vita notturna di Bologna e caso volle che su suggerimento di Marco si dovesse andare ad una serata al Locomotiv (locale monumento della musica a Bologna) ed indovinate con chi? Thony, che entrambi conoscevano pochissimo, e dove? Al this is INDIE. Se non era scritto…

Una breve serie di singoli prima della pubblicazione di “Miele”, un EP che mescola carnalità e poesia con il giusto dosaggio degli elementi. Perché avete scelto proprio “Miele” come titolo del disco?

Miele è un titolo figlio di un brano che si trova all’interno dell’EP che ci sembrava il riassunto perfetto di come vogliamo che la nostra musica vi faccia sentire (che è esattamente come ci sentiamo noi, in primis). Miele rappresenta qualcosa di dolce a primo impatto ma allo stesso tempo viscoso, come a volte i rapporti possono essere, in cui è facile perdersi.

Il miele è dolce, ma costa dolore ottenerlo.

Nel vostro disco, emergono influenze varie che sembrano voler sposare insieme la ricerca aurorale da una parte e sonorità grunge e garage dall’altra: come avete lavorato al disco, e quali sono stati i riferimenti principali della vostra ricerca?

Il sound del disco è il risultato dello sforzo collettivo di tradurre in un unico prodotto quelle che sono influenze molto diverse tra loro (basti pensare che Marco vive di rap, Thony ascolta cassa diritta anche alle 7 del mattino sorseggiando un cappuccino ed Axel se ne sta a piangere giorni interi con Lana del Rey in sottofondo). Un catalizzatore fondamentale l’abbiamo ritrovato in Altrove, al secolo Marco Barbieri, che ha capito ed aiutato musicalmente a capitalizzare delle idee in una visione comune e concreta. Insomma il collante perfetto, e lo ringraziamo per questo. I riferimenti principali provengono da colui che scrive le parti musicali dei brani, Axel, e si ritrovano in band come The Cure, The libertines, la stessa Lana Del Rey e Kevin Parker dei Tame Impala oltre che The Neighbourhood, band comune a tutti e tre. 

Parlateci un po’ delle canzoni: esiste, a vostro parere, un filo rosso che collega tra loro le varie produzioni?

Il filo rosso speriamo sia evidente all’ascolto, poiché tutti i brani sono strettamente legati alle nostre vite ed esperienze dell’ultimo anno e mezzo. Esperienze che spesso ci siamo trovati a vivere insieme, uniti da un rapporto intimo e profondo d’amicizia. Tutti i brani portano con loro immagini chiare di avvenimenti veri, quasi assolutamente non romanzati e speriamo di riuscire a comunicarli tutti con onestà. 

Non poteva che essere, quindi, un diario a cuore aperto di vita vera, comune. 

E invece, un brano al quale vi sentite più legati rispetto agli altri?

Risponderemo con tre brani per tre persone. Axel sicuramente è più legato a BDSM, Thony a Fra le tue gambe e Marco a Miele. 

Avete in previsione qualcosa per quest’estate? Presenterete il disco in live?

Magari! Per ora non abbiamo in programma nessun live, ma quando lo faremo, sarà rumoroso ed una grande festa itinerante.