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Intervista Pop

Le parole contano per Ciccorelli

Gabriele Ciccorelli nasce a Roma nel 1994, da sempre sensibile alle influenze storiche dei cantautori italiani. Crede che la musica sia il mezzo più potente ed immediato per trasmettere e ricevere emozioni, dei viaggi in macchina si ricordano i dischi in sottofondo, più che le destinazioni e la viabilità. Da sempre affascinato dal suono delle parole,dalle urla e dalle imperfezioni musicali. Oltre alla musica, studia recitazione, scrive romanzi, per esprimersi a tutto tondo e coccolare le parole, sottolineando la loro importanza, inventando storie e nuotare su altre realtà, che non siano necessariamente le nostre, che ogni tanto annoiano.

Dal 23 Novembre 2021 è disponibile su tutti gli store digitali, il secondo singolo della carriera artistica musicale di Ciccorelli. “Luminarie” è un brano soffice che, grazie alla particolare vocalità di Gabriele, ci abbraccia dolcemente durante l’ascolto. Dalla collaborazione con la piccola etichetta Nientedimenolab e di Rebecca Palazzolo che si è occupata della produzione del brano, distribuito da Artist First. Abbiamo fatto una chiacchierata spensierata con Gabriele per scoprire qualcosa di più sul suo mondo!

Ciao Gabriele. Iniziamo subito con le presentazioni. Parlaci del progetto musicale Ciccorelli. Da dove nasce questa spinta artistica e quali sono le tue esigenze comunicative?

Ciao a voi. Nasce tutto dalle difficoltà, soprattutto comunicative, che quando ero adolescente prendevano il sopravvento. E dall’ascolto soprattutto. Perché sono dell’idea che qualunque tipo di espressione vada in qualche modo vista prima dall’altra parte. Mi rendevo conto di ascoltare la musica mentre gli altri la sentivano e mettemo il focus sui testi dei grandi cantautori. Quindi è stato quasi naturale poi, una volta assorbito dai più grandi, provare, non ad imitarli, ma a dire la mia. Per questo a 17 anni comprai una chitarra con i soldi vinti al fantacalcio, come modo per aiutarmi a parlare, a parlarmi. E dopo tanti anni di canzoni in cameretta,ho provato a farle ascoltare a chi ne avrà voglia.

Abbiamo ascoltato anche il tuo singolo d’esordio “Manica” un brano prettamente Pop. Con “Luminarie” ti sei messo definitivamente a nudo?

È particolare proprio perché da dentro, probabilmente non lucidamente, non ho idea a quale genere ho intenzione di appartenere. Le canzoni vengono fuori sgomitando, senza progettazione e tu anche lo volessi difficilmente riesci a ribellarti a questa esplosione. Sicuramente Manica è un brano che tocca atmosfere diverse rispetto a Luminarie, abbiamo infatti pensato che potesse essere l’inizio più coerente rispetto alle canzoni che ho sempre scritto ( Una vita di storie finite prima ancora di iniziare).

Con Luminarie è stato diverso, non era in programma e anzi fino a qualche giorno prima di registrare eravamo orientati su un’altra canzone. Quando è arrivata però ho detto “è lei”, lei è la mia canzone a prescindere da tutto. È probabilmente un brano di considerazioni da uomo di mezza età, nonostante io abbia metà dell’età dell’uomo di mezza età. A prescindere da tutto, non potevo essere più sincero di così.

Cosa sono per te le luminarie? Quali sono le luci di cui non puoi fare proprio a meno?

L’idea di Luminarie nasce da una serie tv che mi ha ossessionato per anni che è “How I met your mother”, in particolare un episodio che si chiama “Sinfonia di Luminarie” in cui Robin, nel periodo di Natale, scopre di non poter avere figli ed è decisa a non raccontarlo a nessuno e Ted, senza sapere cosa la turbasse, le fa trovare a casa un gioco di luci di natale, nel buio del salotto. Senza chiederle nulla della motivazione di tanta tristezza. Da qui poi la frase “Come si trova luce al buio senza mai parlare?”

Come a sottolineare quanto sia raro nella vita fare qualcosa per qualcuno che soffre senza sapere la motivazione di tanta sofferenza. Per questo Luminarie è intesa come “Luce di speranza” che può essere una luce di natale, un Dio, una persona, una canzone, qualsiasi cosa che ci faccia stare bene senza dover spiegare il perché. Come diceva il più grande di tutti “A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io”. Ed è così, tutti hanno bisogno di carezze, anche e soprattutto chi finge con il mondo di saper nuotare bene nella propria solitudine.

Come definiresti questo brano? Una preghiera sottovoce oppure un urlo disperato?

Tra le due direi la prima. Preferisco sempre le cose sottovoce perché non arrivano all’orecchio di cento persone, magari arrivano all’orecchio di una sola persona, ma facendo un rumore assordante. Nella canzone la parte più “ disperata” è quasi una ricerca di attenzioni, come un bambino dispettoso nei confronti dei genitori, dopo la nascita della sorella più piccola. Ma poi l’idea di dare un ritornello un po’ più vellutato, è quella di voler dare un’intenzione, a chi sente di averne bisogno. 

Questa canzone è un’analisi personale, pura osservazione alle situazioni quotidiane sociali, non è una critica. Non mi piace chi nella musica vuole spiegarti come sia la vita e non potrei mai farlo io. Vuole essere speranza nelle mie intenzioni, non un modo per condividere il dolore. 

Parlaci del team che ti sta accompagnando in questo percorso musicale.

Il migliore. Nientedimenolab. Sono ragazzi per bene, che hanno cercato fin dal primo momento di capire cosa volessi dire, con pazienza, entusiasmo ed esperienza. La cosa più importante nella musica è la condivisione e non parlo delle piattaforme social (anche se pure quelle..) ma del confronto, della voglia di migliorare e di crescere insieme, senza necessariamente andare in una direzione più “facile” ma mantenendo unicità, che a prescindere se bella o brutta, è la tua e quella di ogni persona che scrive qualcosa. Il brano poi è stato prodotto da  Rebecca Palazzolo, che è stata super paziente con me e con tutte le mie invereconde fisime, che già ho nella vita, pensa nella musica.. Che te lo dico a fa’!

Oltre alla musica, sappiamo che hai scritto anche un libro. Ci vuoi raccontare qualcosa?

Manco a dirlo è un libro pieno di musica e manco a dirlo l’ho scritto quando stavo al terzo rewatch di quella serie lì (prima o poi me ne libererò). È una storia di tutti i giorni con un linguaggio non da tutti i giorni. Parla di questo ragazzo che ha sempre cercato “La donna della mia vita” ma in modo ossessivo, una sorta di missione. Solo che lui a differenza di Ted non è proprio il tipo che ti fa trovare le luminarie a casa se sei triste. Anzi a dirla tutta è anche un po’ stronzo. E questo libro si lega perfettamente alla musica, perché poi anche qui non c’è un vero e proprio genere, potrebbe essere rosa, ma anche commedia, una spruzzata di erotico, un po’ di dramma che sta sempre bene e una cifra di parolacce. Vai a capì.. diciamo un libro indie pop dai…che inizia e finisce con due canzoni dei Radiohead.

Salutiamoci con un consiglio per i lettori. Come districarsi e rimanere a galla in questi tempi poco inclusivi?

Mah…stanno tutti in fissa con il paddle ultimamente. Mi tocca provare pure a me. A parte gli scherzi, non sono granché bravo a consigliare, faccio già un gran casino di mio. Quello che posso dire è sempre e solo “musica”. Nella mia vita, a prescindere dalla domanda ,la risposta è sempre “Musica”. Sono tempi veloci, sta diventando tutto liquido. 

Io sono dell’idea che la musica sia un grande strumento di rifugio, farla ma anche e soprattutto ascoltarla. Che è diverso sentirla. Una canzone, nel mio mondo ideale, non può mai essere un sottofondo musicale nella pausa pranzo. Una canzone è un messaggio e per capire se sia quello giusto per noi, dobbiamo cercare con forza di comprenderne ogni angolo. A prescindere da quale canzone. Anche la canzone più spensierata del mondo può salvare una vita. E ci vorrebbe una maggior attenzione, a partire dall’ educazione scolastica. Dicono semplificando “I ragazzi di oggi ascoltano solo musica di merda” ed io non sono d’accordo. I ragazzi di oggi ascoltano la musica che hanno a disposizione, se nessuno gli fa ascoltare i grandi cantautori del passato, se nessuno gli spiega quei testi, come possono appassionarsi di quella musica li? La bellezza nasce dalla conoscenza, senza conoscenza si fa quello che si può. Io a scuola odiavo il flauto e avevo insufficiente in Musica, forse se invece che farci suonare il flauto tutti insieme (Io suonavo in playback), ci avessero fatto leggere un testo di Dalla, De Andrè, Battisti/Mogol, fatti ascoltare, spiegando, forse forse  avrei iniziato a suonare prima la chitarra e non avrei fatto tutto quel casino per vincere il fantacalcio.