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Per conoscere Gionata dovete comporre un puzzle: la sua musica

Gionata è un cantautore, viene dalla Toscana, non abitiamo vicino e non ci siamo mai visti dal vivo, eppure, ogni volta che ascolto un suo pezzo, mi sembra di essere la persona a cui ha deciso di raccontare sinceramente la sua vita, entro in contatto realmente con quello che sto ascoltando. Durante quest’intervista provo a capire il perché e, chiacchierando, mi dice che fa quello che fanno tutte le persone che scrivono, dalle canzoni al diario segreto: si mette a nudo. Ci rifletto ed è vero, lo sento così vicino perché le sue canzoni sono sincere. Tornato dopo due anni dal suo primo Album, L’America, a metà novembre pubblica tre brani nello stesso giorno, Torno subito, Pizzeria Ex Cinema e Mal di mare. Una ventina di giorni dopo esce un altro singolo, il suo primo featuring: Il contorno, con Jesse The Faccio, noto nella scena musicale italiana soprattutto per le sue sonorità lo-fi e l’abilità nella scrittura semplice ma efficace. Ascoltando i quattro pezzi, è chiaro che sono in qualche modo collegati: raccontano delle situazioni passate, sono sinceri, parlano dell’abilità di guardarsi dentro e superare così dei blocchi o dei momenti non particolarmente facili. Il contorno, per esempio, racconta di un rapporto tossico, in cui l’autore si sente solo, usato, e si annulla per l’altra persona. Nel momento in cui riesce a dirlo a sé stesso inizia, però, il suo sforzo per tirarsene fuori. E la bellezza del pezzo è proprio nella presa di consapevolezza condivisa con tutti quelli che lo ascoltano. Come nelle sue canzoni, in questa intervista Gionata ci parla del suo umore, della sua musica e di come la solitudine diventa spesso utile per liberarsi delle cose che ci fanno stare male.

Ciao Gionata! Prima di tutto, come stai e come ti senti dopo l’uscita di quattro tuoi pezzi nuovi?

Ciao Marika, ultimamente sto abbastanza bene, grazie.

Ci sono i soliti alti e bassi quotidiani ma essere tornato a condividere musica con le persone mi ha aiutato a uscire gradualmente da un periodo buio. Spero che anche per te e per la redazione di Futura 1993 vada bene, so che è dura per tutti ed è importante non sentirsi soli in questo periodo.

A parte il tour interrotto a causa del primo lockdown, mi sembra che gli ultimi due anni non abbiano bloccato la tua vena artistica e la necessità di scrivere. Dal 2020 hai scritto soprattutto cose nuove o maggiormente ripensato e modificato testi vecchi? E com’è stato in questo periodo il tuo approccio alla musica e alla scrittura?

Ho avuto un momento di blocco, ammetto che non sapevo nemmeno se avrei continuato a pubblicare canzoni, ero proprio giù di morale.

Fortunatamente ho sfruttato questo malessere per riprendere in mano gli strumenti e scrivere, avevo così tanto da dire che sono arrivato dal mio discografico (che mi segue molto e mi ha aiutato nei periodi difficili, spronandomi) con una trentina di canzoni e decidere quali tenere non è stato semplice. Alla fine, ho scelto di scartare le cose più vecchie, era ora di lasciare andare il passato. Come sempre, canto ciò che vivo, quindi ho mantenuto l’aspetto autobiografico, cercando di toccare emozioni e sensazioni che condivido con la mia generazione, come il concetto di diventare adulto, di assumersi delle responsabilità, di prendere delle decisioni e di affrontare i cambiamenti, che tanto ci fanno soffrire quanto ci permettono di crescere.

A proposito di pezzi, Il contorno è il tuo ultimo singolo ed è anche il primo con un featuring. Quando l’hai scritto e come nasce?

Uno dei pochi brani che appartengono a un passato relativamente lontano. Lo scrissi nel 2017 e doveva far parte del mio disco d’esordio, ma alla fine lo scartammo perché non riuscii a trovare un ritornello giusto. Però mi piaceva allora tanto quanto mi piace adesso, il giro di accordi è figo. Durante il primo lockdown, quando tutti noi facevamo videochiamate lunghe, noiose e bevendo l’inverosimile (chi non l’ha fatto?), venne fuori l’argomento parlando con Jesse e gli mandai la canzone, chiedendogli, a perditempo, se gli andasse di trovarci un ritornello. Un anno dopo venne a Milano e mi scrisse. Dal momento che pioveva restammo in casa da me e dopo qualche birretta ci mettemmo a suonare. In una giornata l’abbiamo scritta e registrata.

Quindi così hai capito che Jesse the Faccio poteva essere l’artista giusto per riempire quel ‘ritornello vuoto sulla batteria’…

Jesse ha molte idee, sa adattarsi agli altri senza perdere il suo stile. Ho sempre apprezzato la sua musica e mi sono fidato, sapevo che avrebbe trovato qualcosa di figo e vicino a quello che volevo esprimere, veniamo da realtà simili e anche la sensibilità artistica si sposa bene.

Come si realizza e come si smette di essere solo ‘un contorno’ in un rapporto e quindi nella vita di un’altra persona?

È difficile, ma non impossibile. Anzitutto, secondo me, bisogna saper ascoltarci: capire i nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri valori e comprendere se sono affini alle persone di cui ci siamo circondati. Spesso ci facciamo prendere dalla paura di perdere una figura vicina a noi e ci adattiamo a lei per non rinunciare alla sua compagnia, ma trovo che sia non solo sbagliato, ma irrispettoso verso noi stessi. Quando capita di rinunciare a noi è perché siamo fragili, veniamo da un periodo duro e siamo insicuri, ma ciò non deve compromettere la nostra salute mentale e dovremmo cercare di ascoltarci sempre, per questo è importante trovare durante la settimana dei momenti per rimanere in solitudine, anche semplicemente per fare una passeggiata e stare in compagnia solo dei nostri pensieri.

Molto passato e soprattutto l’abilità di guardarsi dentro collegano tematicamente le nuove canzoni, da Torno subito a Il contorno. Immagino che per un cantautore non sia facile mettersi a nudo così tanto. Credo, però, che sia l’autenticità a rendere credibile e apprezzato il tuo lavoro e quindi, in questo caso, il gioco vale la candela. Hai a che fare con la sensazione di sentirti ‘scoperto’? E come la affronti?

Ti ringrazio, fa sempre piacere sapere che il proprio lavoro è apprezzato, anche se penso che la scrittura debba venire da un’esigenza e non da una ricerca di approvazioni. Se piace tanto meglio, ma, dal momento che questo è un lavoro “delicato”, è bene ricordarsi ogni giorno perché lo si fa, per non rischiare di arrivare a inscatolare emozioni e venderle come verdura al mercato. Quando scriviamo (uso il plurale perché mi riferisco anche a chi scrive una pagina di diario o dei pensieri sulle note del cellulare) ci mettiamo sempre a nudo altrimenti non avrebbe senso, è un po’ come parlare con lƏ psicologƏ o psicoterapeutƏ (spero di aver utilizzato bene lo schwa): se dicessimo menzogne staremmo solo spendendo soldi ed energie a vuoto e non servirebbe a niente. Quindi sì, mi sento scoperto perché, soprattutto con le ultime canzoni, ho toccato temi profondi e delicati, ma non ho paura: la mia musica a volte è come un puzzle e solo chi ha voglia di comporlo può conoscermi veramente, instaurando un dialogo con me che vada oltre il semplice “che lavoro fai?”.

Questi nuovi pezzi sono tutti più orientati verso una produzione lo-fi rispetto a quelli del primo album, L’America. Come mai questa scelta?

Come forse dissi già in passato in altre interviste, per me L’America è stato un esperimento: volevo capire se sarei riuscito a scrivere canzoni pop. Una volta constatato che sì, so scrivere canzoni pop (lo dico in modo umile ma consapevole, è bene valorizzarsi ogni tanto, senza arroganza ovviamente), ho deciso di tornare al mio background musicale, più sporco e con più chitarre (la mia figura di riferimento, sia come gusti musicali che come estetica, è sempre stata Syd Barrett). Devo ammettere di esser stato fortunato, perché questa modalità di lavoro mi ha permesso di risparmiare risorse economiche e mi ha dato l’opportunità di mettermi in gioco, registrando tutto in camera mia e seguendo la produzione in prima persona, con i miei tempi. Ho imparato tanto e vorrei continuare con questa modalità anche in presenza di major e maggiori risorse economiche.

A proposito, ci sono stati altri artisti, canzoni o album che ti hanno particolarmente ispirato per la produzione musicale dei brani?

Durante il periodo di scrittura e registrazione ho ripreso i vecchi ascolti, quelli che mi hanno segnato e che si avvicinano di più al mio gusto musicale: in particolare AM degli Arctic Monkeys, Is This It degli Strokes e gli ultimi due dischi dei Phoenix, a cui si sono aggiunti alcuni artisti più recenti come Dayglow (l’album di riferimento è Fuzzybrain).

Potrei citare altra roba, tutta internazionale (non ho praticamente ascoltato niente di italiano): Castlebeat, The Maccabees, Roar, Temples, La Femme, Tame Impala, Metronomy, Boy Pablo, Mac DeMarco, Unknown Mortal Orchestra.

Come mai l’idea di far uscire tre canzoni nuove nello stesso giorno? Ci sarà un album che conterrà questi pezzi o hai altro in mente?

La risposta a questa domanda te la darò quando ci vedremo ai concerti perché ci devo ancora pensare. È venuto fuori tutto a caso per quanto mi riguarda: c’erano diverse opzioni e quella di tornare dopo 2 anni con 3 canzoni insieme mi sembrava la più carina.

Vorrei mettere insieme tutte le canzoni che usciranno in una raccolta ma sono tante e non so ancora se saranno inserite all’interno di un disco. Mi sono concentrato così tanto sul contenuto che ho dimenticato la forma, fortuna che ci sono le etichette discografiche che ci pensano.

Passiamo allora ai concerti: ce ne sono in programma? Dal vivo pensi di suonare anche pezzi che non sono ancora usciti?

Ne ho fatto uno pochi giorni fa, il primo dopo quasi due anni di silenzio. Ero chitarra e voce e mi ci sono volute due canzoni per sbloccarmi un po’, ma alla fine è andata molto bene.

In quell’occasione ho fatto pezzi sia del primo disco che nuovi e penso di continuare così, magari con un arrangiamento diverso.

Al momento non so dirti cosa riserva il futuro, sono appena tornato, ma so che il mio team sta lavorando bene per la primavera/estate e ci vedremo in quel periodo. La cosa di cui sono più sicuro è che non suonerò mai più Frigorifero, lo dico adesso così non colgo impreparato il pubblico. Non mi vogliate male, ma non la sento nemmeno più mia.

Per il momento vi saluto, ci vediamo in giro! Ah, P.S.: mi trasferisco, dall’anno prossimo mi troverete a Bologna. Ciao!

Intervista di Marika Falcone

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C’è sempre una via d’uscita: Jesse The Faccio racconta il suo nuovo EP “Le cose che ho”

I periodi di lockdown a cui ci ha costretti questo maledetto virus hanno rivoluzionato un po’ in tutti il rapporto con l’ambiente casalingo. Alcuni, mi sentirei di dire una minoranza, si sono accorti che a casa non si sta poi così male, anzi forse si sta anche meglio che fuori. Ma per tanti, mi sentirei di dire la maggioranza, la casa, da luogo di riposo e di riparo, si è fatta gabbia da cui evadere, culla di emozioni e pensieri negativi. E, inevitabilmente, questo effetto è stato ancor più forte in chi un rapporto complicato con la casa ce l’aveva già prima che fosse obbligatorio per legge starci chiusi dentro.

È il caso di Jesse The Faccio, che dai mostri con cui ha convissuto nel periodo di lockdown della primavera del 2020 ha fatto uscire il suo lavoro forse più intimo e maturo, il nuovo EP Le cose che ho. Quattro brani in cui il cantautore padovano si mette a nudo con coraggio, affrontando tematiche profondamente personali. L’abbandono, la solitudine, la depressione, la dipendenza, l’amore, la paranoia: Jesse non ci gira più intorno e va dritto al punto, scavando a fondo, spiegandosi in maniera esplicita e diretta,intensa ed efficace. Ma va detto che, anche se nasce dal dolore e di dolore parla, questo EP lascia spazio anche alla speranza.

Abbiamo fatto una chiacchierata con Jesse the Faccio per farci raccontare meglio il suo nuovo progetto e in generale il momento che sta vivendo. Ne è uscita l’intervista che trovate di seguito. Buona lettura!

Ciao Jesse! Le cose che ho, il tuo nuovo EP, è fuori: come ci si sente?

Decisamente meglio. Non vedevo l’ora ed ero in ansia anche per questo. Come per molti adesso a me pare sia già finito il suo tempo ma son felice di poterlo portare in giro.

L’EP appare in generale come un prodotto più intimo e personale rispetto ai tuoi lavori precedenti. Anche solo i nomi dei brani che lo compongono, in cui spesso campeggia una prima persona singolare (Le cose che ho, Credo mi vedi, Come posso), sembrano suggerire che i riflettori siano puntati, più che sull’esterno, sull’interno e sul suo rapporto con l’esterno. Sei d’accordo, Le cose che ho ci racconta effettivamente un lato più intimo di Jesse the Faccio?

Sono pienamente d’accordo. Tutto il lavoro è proiettato verso l’interno, mi sono descritto in totale libertà, raccontato dei mesi e del rapporto con me stesso in quel periodo. Avevo forse l’esigenza di scavare più dentro di me anche nella musica, sicuramente è il mio lavoro più intimo.

È vero, la prima persona singolare fa da protagonista. Ma è anche vero che c’è sempre (o quasi) un interlocutore, una persona che è oggetto od origine di quei pensieri e quelle pare che trovano espressione nei vari brani. Quanto è generico quell’interlocutore? Avevi in mente una persona in particolare?

L’ interlocutore chiaramente c’è e per me è molto nitido, chiaro in mente. Diventa generico quando chiunque ascoltando si rivede in parte o in totale in quello che dico, in quelle sensazioni. Sia che siano rivolte verso se stessi o verso qualcun altro.

Ogni brano dell’EP ha un suo video e in ogni video c’è una costante: tu, nudo e alienato, in una qualche stanza della casa. Qual è stata l’importanza della casa nella nascita e nello sviluppo di questo progetto? Il lockdown ha giocato un suo ruolo?

Assolutamente, nasce tutto dal primo lockdown nazionale che ho passato come tutti appunto in casa, ambiente per me non sempre facile, anzi, e trovarmici costretto era molto difficile. Per questo ho anche voluto rappresentare la casa nei quattro video che accompagnano i brani, chiaramente non la casa accogliente ma quella da cui non vedi l’ora di scappare. La difficoltà di rimanere in casa e la mia situazione personale sono state la scintilla per tutto il lavoro.

Insisto sui video, perché mi sembrano restituire molto bene il mood generale dell’EP. E osservo che, quando ci sono altre persone oltre a te, l’interazione sembra sempre fredda. O addirittura, come nel caso di Che resta, tu la cerchi ma nessuno sembra vederti. È questa una delle chiavi di lettura del progetto, il muro che c’è fra te e gli altri?

Più o meno sì, o meglio forse il muro che mi metto io tra me e gli altri non riuscendo ad esprimermi. Circondarmi di persone per me è sempre stato molto importante, ma molto spesso anche se magari all’apparenza non sembrava mi sentivo comunque solo e in qualche modo distaccato. Ho cercato di accentuare questa cosa, anche per far capire meglio i testi dell’EP. Trovandomi 20 mesi fa effettivamente solo, ho ragionato molto su questo tipo di chiusura che dò per primo a me stesso e che forse non mi fa vivere in completa serenità neanche con gli altri. Ho cercato di esorcizzarla concentrandomi su questo lavoro.

Come posso (collo), brano di chiusura dell’EP, sembra per certi versi dare un barlume di speranza, indicare che forse c’è una via d’uscita da quella casa che non sai più se sia rifugio o gabbia. Anche qui ci aiuta il video, in cui finalmente, dopo alcuni minuti in cui ti vediamo nella tua camera a fumare, nudo e solo, sembra esserci una decisione improvvisa: quella di vestirsi e uscire, di evadere. Va inteso come un messaggio di speranza? Ti sembra che ci sia, questa via d’uscita?

Esattamente, sono sicuro che la via d’uscita ci sia sempre, come nel precedente disco mi sono accorto di essere abbastanza affezionato al concetto di speranza in tutto tondo. In Come posso (collo) la voglia di uscire dalla sensazione di solitudine parte forse inconsciamente già dall’arrangiamento del brano, dove il lungo strumentale prima confuso e poi sempre più soave e nitido evoca già quella sensazione di libertà. Anche il messaggio è una sorta di incentivo a reagire, a muoversi, anche se non si è propriamente convinti di se stessi o di quello che c’è fuori.

E a livello di ascolti, di influenze prettamente musicali, c’è qualcosa che ti ha accompagnato e influenzato nel periodo di stesura dei brani de Le cose che ho?

Sì, sicuramente e si parla di comfort zone musicale. Il cardine è In Rainbows dei Radiohead un po’ ovunque, ma sopratutto nel brano di chiusura. Per il resto c’è Battisti con Anima Latina, c’è il mio sempre amato Alex G e c’è una curiosità diventata mezza ossessione per Lil Peep e il suo modo di fare lo-fi, totalmente distante dal mio. Queste sono state le ossessioni da marzo a giugno 2020. Praticamente le uniche cose che ho ascoltato in quei mesi.

Sei nella playlist editoriale di Spotify “Rock Italia” con Che resta. La senti adeguata, l’etichetta di “rock” per la tua musica e per questo progetto in particolare?

(Ride, ndr) Assolutamente no, almeno a livello di produzione. Non sono un fan delle playlist e di quel modo di ascoltare musica, ma so che piacciono e forse a questo punto sono pure importanti, quindi rispetto massimo e son sinceramente felice di esserci dentro anche con un brano così. Live effettivamente pare (almeno per ora) venga più punk!

E quella di “Italia”? La tua musica da sempre è marcata da un sound profondamente internazionale, dunque viene da chiedersi: quanta Italia c’è nella musica di Jesse The Faccio, secondo Jesse The Faccio?

Effettivamente ce n’ è molto poca. Amo la nostra lingua e mi piace scrivere in italiano, però per il sound sono decisamente proiettato su altro. Quello che “va”, a parte qualche caso, non mi fa impazzire devo dire, ma ci sta che sia così. C’è sicuramente molto di più del passato, la musica italiana cantautorale diciamo “classica” mi accompagna sempre.

Nell’ultimo weekend di novembre c’è stata la festa di Dischi Sotterranei, la tua etichetta, che in un post racconti sia andata “fin troppo bene”. Quanto è stato importante tornare a suonare e farlo assieme a quella che definisci come “la famiglia più grande e bella d’Italia”?

Fondamentale, chi c’era ha provato (credo) la stessa sensazione, ovvero che si può tornare a vivere, che esiste un sottosuolo musicale artistico che può fare ancora queste cose. Le band esistono ancora e hanno voglia di venire fuori e farsi sentire, le chitarre non sono morte. E poi tutta l’emozione dopo due anni effettivi di stop e limitazioni. I ragazzi di Dischi Sotterranei sono effettivamente la mia famiglia, lo sono al 100%. Sedici band in due giorni non so chi può permettersi a ora di farlo. Siamo tutti molto orgogliosi di quello che si è riuscito a fare quel weekend.

La festa di Dischi Sotterranei è stata una prima occasione per tornare a suonare, ma hai da poco annunciato anche un tour invernale per Le cose che ho. Insomma, si riparte! Sei pronto? Che risposta ti aspetti?

Prontissimo, super carico con nuovi elementi in band e veramente molta voglia di uscire. Sì sono uscite le prime date adesso, anche a seconda delle disposizioni dello Stato si capirà come continuare fino a (spero) arrivare a una bellissima e intensissima estate.


di Pietro Possamai       

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Le 5 cose preferite di Milano 84

Dopo la pubblicazione in vinile, esce finalmente con distribuzione digitale Believe per Lost Generation Records,  Monochromatic, il primo album dei  Milano 84. Da venerdì 1 ottobre 2021 troverete su tutti gli store digitali un nuovo disco che nasce dal desiderio e dalla curiosità di manipolare il sound degli anni 80 con consapevolezza e leggerezza, la scelta audace di un duo che oscilla tra italodisco e synthpop con eleganza e grooveMonochromatic vanta collaborazioni del calibro di Vincenzo Salvia (Stranger Things) e Fabio Liberatori (Dalla, Stadio), alternando le mille sfaccettature dei vocalist ai remix che miscelano il tutto con un tocco contemporaneo. 

Non abbiamo resistito, e abbiamo chiesto loro quali sono le loro cinque cose preferite.

FILM: “Profondo Rosso” di Dario Argento, visto e rivisto non si sa più quante volte, un connubio perfetto tra immagini e musica, ha lasciato un segno profondo. E Dario Argento c’è anche nella nostra “Suspiria on TV”.

Goblin – Profondo Rosso OST

CIBO: Scegliamo la pizza come rappresentante della creatività italiana e spesso associata agli eventi e alle compilation di Italo disco. Esiste addirittura un ristorante in Germania (che è il paese che ha coniato il termine) chiamato “Italo disco”; se siete dalle parti di Stoccarda ecco l’indirizzo! 

Italo Disco – Stoccarda

CITTÀ: Siamo di Roma, amiamo Milano, ma una città che musicalmente da sempre ci ispira moltissimo è Berlino. È culturalmente stimolante, e la minimal techno è spesso presente nei nostri ascolti.

Paul Kalkbrenner – Square1 ‘Berlin Calling’ Soundtrack

https://www.youtube.com/watch?v=7FvWr3q1fKM&list=PL8VhJ5cFeOcWRNbrB2A9T0VJeVjpC_PoT&index=8

DESIGN: Lo specchio “Ultrafragola” è uno storico pezzo di design, disegnato da Ettore Sottsass per Poltronova, lo abbiamo omaggiato in una delle nostre nuove canzoni, in uscita nel 2022.

Ettore Sottsass: Design Radical

VIDEOGAME: Per i videogame scegliamo quelli del Commodore 64 di cui siamo stati utilizzatori seriali e a favore del quale ci schieravamo nelle “battaglie” contro gli integralisti dello ZX Spectrum. Per citarne alcuni: Raid over Moscow, Forbidden Forest, Soccer 64 e l’intramontabile Summer Games (guarda caso uscito nel 1984!) sul cui altare abbiamo sacrificato decine di joystick! 

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Gli Anticorpi che ci salveranno la vita, li abbiamo intervistati

Esce venerdì 17 dicembre 2021 Vota Estinzione (fuori per Sunflower Records), il nuovo singolo degli Anticorpi. Un nuovo capitolo per la band sci-fi technopop formata da Giovanni Di Iacovo e Arnaldo Guido che propone con amore e convinzione l’estinzione volontaria della razza umana: un brano politico e irriverente che prende le parti di un pianeta, il nostro, ormai in fin di vita.

Il nostro pianeta è minacciato da una e una sola terribile creatura: l’uomo, parassita egoista che divora e distrugge. Inutili le vuote promesse degli imperatori della terra, e temiamo che anche la battaglia di Greta non possa prevalere se non eliminiamo il problema alla radice: estinguiamoci. Dopo aver ascoltato il nostro brano, Godzilla ha finalmente accettato la nostra proposta di candidatura a Premier per poter iniziare subito questo concreto ed efficace programma di riforme: l’estinzione. Vota Partito per l’Estinzione Volontaria della Razza Umana!

Volevamo saperne qualcosa in più!

  • Chi sono gli Anticorpi, e da cosa ci proteggono? 

Vogliamo essere anticorpi alla banalità e all’idiozia. Sintetizziamo farmaci musicali per curare i mali del mondo e anche i vostri intimi, personali, quotidiani, uno ad uno. Naturalmente abbiamo iniziato per curare noi stessi, siamo i nostri pazienti zero.  Produciamo musica elettronica veloce e intensa e piena di vitamine con testi ricostituenti e psicotropi. Vogliamo la vostra felicità facendovi far sudare sia la pelle che le idee.

  • Di cosa parla “Vota Estinzione” e in che modo è un brano ecologista?

Vota Estinzione racconta di un movimento dedito alla difesa del nostro pianeta chiamato Partito per l’Estinzione Volontaria della Razza Umana. Proponiamo con amore e convinzione l’estinzione volontaria della razza umana perché a nostro avviso questa è l’unica concreta soluzione per salvare davvero la natura e l’ambiente. Il nostro pianeta è minacciato da una e una sola terribile creatura: l’uomo, parassita egoista che divora e distrugge. Unico responsabile dei cambiamenti climatici e di ogni danno alla natura. Inutili le vuote promesse degli imperatori della terra, e temiamo che anche le più sacrosante battaglie per l’ambiente non possano davvero prevalere se non eliminiamo il problema alla radice: estinguiamoci. 

  • Cosa è cambiato nel mercato musicale dopo il Covid?  

Guarda non siamo tanto esperti di mercati quanto di farmacie. Dal punto di vista della farmacia musicale questa fase della pandemia ha solo peggiorato le persone intensificando tutte le loro paturne, traumi, paure e anche la produzione musicale l’abbiamo vista molto ripiegata su se stessa, senza sangue senza coraggio. Dobbiamo tornare a guardare negli occhi la vita. A questo proposito, i vostri videoclip sono un ottimo collirio! Godeteveli su youtube!

  • Siete attenti alla musica che passa in televisione, da Sanremo a X-Factor? Avete mai pensato a una vostra partecipazione ad un talent? 

Adoriamo i talent, li seguiamo tutti e vorremmo partecipare a tutti, solo che nel pianeta da cui proveniamo ci sono solo talent per sterminare galassie nemiche, talent per impiantare peni biomeccanici che cantino nei momenti di noia reciproca, o talent per teletrasportarsi gli uni all’interno degli altri per fare feste a sorpresa. Purtroppo non abbiamo talent musicali.

  • Quali sono i prossimi passi per il progetto? 

Stiamo lanciando il nuovo tour in tutta Europa  per l’Ep Vota Estinzione, e abbiamo per San Valentino un regalo per tutti gl’innamorati: un bel brano sul Poliamore, ma può darsi che ci estingueremo tutti un po’ prima!

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L’inizio della BDSM Music, Anna Soares e il suo “Sacred Erotic”

Mi piacciono sempre i dischi che sembrano dare inizio a qualcosa di nuovo, in qualsiasi senso. Mi ricordo la prima volta che ho ascoltato un disco degli Arctic Monkeys (forse ero in prima superiore), e sapevo che quel momento avrebbe segnato per sempre la mia vita: avrei preso una posizione musicale, quella alternativa rispetto a quello che ascoltavano tutti gli altri, e avrei portato magliette ridicole con nomi di band che non avevo mai visto dal vivo. Whatever People Say I Am, That’s What I Am Not ha cambiato per sempre le cose, c’è un definitivo prima e dopo. Non so dicendo che Anna Soares centri qualcosa con gli Arctic Monkeys, ma con i cambiamenti sì e i nuovi inizi sì: Anna Soares ha unito definitivamente sesso e musica nel più elegante dei modi, con una sensualità esplicita e mai volgare che mi era sinora sconosciuta. Questo disco mi ha fatto venir voglia di amare, tantissimo, e questa voglia è davvero pericolosa per tutti i nerd davanti al computer che finiscono a leggersi le recensioni dei dischi.

Anna Soares ci porta in un mondo oscuro e vibrante, dove l’elettronica si fonde con i brividi sensuali di parole sussurrate che ci fanno sentire a disagio se, come me, state ascoltando questo disco in pubblico, su un treno diretto alla stazione di Scandicci (Firenze). Mi sento osservato, esposto, in difetto: la sicurezza estrema che Anna Soares si porta dietro con un carisma non indifferente, che ci dà il pieno controllo per avere il controllo su di lei nelle fantasie sessuali che la musica di Sacred Erotic inevitabilmente scatena. La BDSM Music, finora mondo sconosciuto, forse sta qui, nell’immergerci in questo vortice di sensazioni dove siamo completamente sottomessi al volere di Anna Soares che, ossimoricamente, ci dà il pieno controllo.

La cantautrice e producer, madre della BDSM Music, crea un percorso che celebra la sacralità dell’universo sessuale, toccando tematiche come la sapiosessualità, l’ipnosi erotica, dominazione e sottomissione, la potenza dello spirito femminino, la connessione intima che porta all’evoluzione interiore. Ogni brano compone un universo sonoro a sé, toccando trip hop, future garage, elettronica cantautorale, senza mai chiudersi in degli schemi predefiniti, sia vocalmente che a livello compositivo.

Questo disco suona come il sentirsi a disagio in una stanza dove tutti si stanno divertendo, come un sorriso forzato ad una di quelle serate dove avremmo voluto sempre essere presenti, di un mondo lontano e altolocato di cui noi non facciamo parte. Come quella volta che mi ritrovai, sempre al liceo, a bere una birra con Miles Kane e non riuscii a dire una parola, tornato a casa ero comunque l’uomo più felice del mondo. Sacred Erotic è così: un mondo sconosciuto, un nuovo inizio, un nuovo genere musicale, un mondo immersivo che ci fa sentire strani, e bisognerebbe davvero indagare su questa stranezza e che risulta infine bellissimo. Speriamo davvero che possa esserci presto un seguito.

CM

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Viaggio negli abissi di Caspio

C’era un periodo, nell’immediata post adolescenza, in cui mi ero fissato con i White Lies (no, caspio non c’entra necessariamente con i White Lies, state calmi): tristezza infinita, sintetizzatori, Dr. Martens che mi toglievo solo se dovevo andare a dormire, sguardo languido mentre mi aggiravo nei corridoi dell’università. Insomma, ascoltare i White Lies a ripetizione mi aveva fatto diventare un ventenne triste con la vita in bianco e nero, pochi mesi più tardi mi sono fissato con i Tame Impala e ho cominciato a portare dei pantaloni a zampa d’elefante. Tutto questo per dire che ciò che ascoltava tendeva ad influenzarmi, e se mi fissavo con un gruppo post-punk finivo per deprimermi. Poi son cresciuto, ho preso la mia prima busta paga, ho cambiato casa e non mai più chiesto un autografo o attaccato un poster in camera di una band musicale. Forse è strano, ma come si ama la musica da adolescenti, di un amore esclusivo e totalizzante, è qualcosa che si perde, e non torna più.

Quando ho ascoltato il nuovo EP di caspio (fugit, fuori per Le Siepi Dischi), sono stato male, come stavo male in quelle serate infinite passate a studiare, bombardandomi il sonno con volumi altissimi. Quello di caspio è un mondo elettronico oscuro, dove scorrono parole che scuotono e mi hanno fatto ricordare com’era, quel periodo in cui un disco poteva rovinarti la giornata. fugit è un concentrato brevissimo dove convivono rotture, assoluti e malinconie. Un brutto quarto d’ora per chi pensava di avere una vita monotona che non potesse essere scombussolata da un play su Spotify.

fugit è un’autobiografia con valenza universale, brani che raccontano momenti diversi, generazioni che passano: un tempo che ha cambiato tutte le carte in tavola, un tempo per le decisioni, un tempo che scandisce il ritmo sonno-veglia, un tempo presente e un tempo futuro. Un tuffo nel passato, non nel passato musicale, nel tuo passato che pensavi di aver sepolto dopo anni di maturità e responsabilità: in fondo siamo e rimaniamo adolescenti che ascoltano i White Lies. I brani contenuti in fugit sono eterogenei, confondono generi, sonorità e stile. Sono stati scritti in tempi – ed ecco il tempo che ritorna – diversi. 

E l’intento dell’autore è esattamente quello di far percepire all’ascoltatore che ogni cosa ha un suo tempo, un suo momento. La copertina dell’EP rappresenta sia la diversità dei brani, sia l’idea di una stratificazione temporale: è, infatti, lo shot di una bacheca pubblicitaria in cui il tempo ha logorato l’immagine di superficie lasciando intravedere tutte quelle sottostanti, diverse tra loro, sovrapposte, che a loro volta ne erano state la copertina. È lo spaziotempo di un luogo qualunque, in cui il tempo è trascorso lasciando le sue tracce, in cui il tempo è fuggito, lasciando dietro di sé il ricordo di qualcosa che ormai non c’è più e lisciando la superficie per fare spazio a qualcosa di nuovo. Qualcosa come fugit.

caspio ci promette che non è la fine, e non mi rimane che aspettarlo.

CM

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Nascosti dietro a petali di papaveri | Recensione di Entrambi, Il Corpo Docenti

Ci sono momenti nella vita in cui la sensazione di sentirsi fuori posto viene accentuata da un gesto, da una parola, da uno sguardo. Ci si sente a disagio o inadeguati in ciò che si sta facendo e si vorrebbe cambiare, differenziarsi dagli altri o mollare tutto e andarsene, convinti che sia la cosa migliore da fare. È una fase che attraversiamo tutti prima o poi, per alcuni rappresenta addirittura lo status di default e non sempre si decide di combatterlo o di uscirne. Spesso ci si rifugia dietro delle maschere, talvolta senza nemmeno esserne consapevoli, mossi dalla voglia di non omologarsi. È da questo tipo di pensieri che prende spunto Entrambi il nuovo singolo de Il Corpo Docenti uscito giovedì 28 ottobre e distribuito da Believe Music Italia. Come anticipa il titolo parte da una situazione di dualità, nonostante ciò che sentiamo raccontare dalla band riguardi più un percorso personale e un rapporto con sé e gli altri, più che la relazione tra due individui specifici. 

Il Corpo Docenti sono BenzoFede e Luca, un bresciano, un livornese e un modenese. Quello che potrebbe sembrare l’inizio di una barzelletta è invece l’origine di una bellissima storia, nata tra i boccali di birra del Maga Furla, ci svelano i ragazzi. Benzo (Lorenzo Manenti) voce e chitarra della band, Fede (Federico Carpita) al basso e Luca (Luca Sernesi) alla batteria. Alle spalle un EP, Scivoli, e un primo disco, Povere Bestie (gennaio 2020) prodotto da Divi de I Ministri; nel presente due uscite freschissime: Sottotitoli ed Entrambi; release seguite dalla stessa direzione artistica.

“Saremo morti prima di sembrare noi stessi” riassume molto bene il messaggio del brano. La delusione data dal non avere mai piena coscienza di sé mista alla consapevolezza che a condividere questa sensazione siamo entrambi: noi e gli altri. Temi che ci riportano alla testa letterati e filosofi del passato; il pezzo è un viaggio tra le maschere di Pirandello e uno Schopenhauer che trattava dell’insoddisfazione perenne dell’essere umano. Interrogativi che attanagliano spesso le nostre menti e in questo caso sono provocati dalle parole della band. Il Corpo docenti non perde l’attitude underground che caratterizzava i primi lavori, ma si arricchisce di nuove sonorità più pulite, tipicamente new wave, ed evolve in quello che potremmo definire un punk più beverino, che di conseguenza non storce il naso davanti a qualche synth. 

Da menzionare anche la struttura dei cori, posizionati nei punti giusti e in grado di avvolgere l’ascoltatore; è quasi come se fosse la nostra coscienza a parlarci e a consigliarci di lasciare da parte tutto ciò che serve, per essere felici.

Anche la cover del brano incarna la sensazione di solitudine che viene approfondita nel testo. Due individui che nascondono i propri volti dietro ai petali di un papavero, nella speranza di non essere visti dall’altro. Il tratto di Margherita Morotti si fonde alla perfezione sulla penna di Lorenzo Manenti e riassume le sensazioni del brano con un artwork in pieno stile Corpo Docenti. Margherita infatti accompagna la band già dai tempi di Povere Bestie e racconta le vibes dei brani attraverso le sue illustrazioni e grafiche.

Nell’attesa di scoprire cosa ci riserverà la band nei prossimi mesi ci riproponiamo di andare a sentirli dal vivo nelle prossime date:

  • 06 novembre al Circolo Arcipelago di Cremona
  • 19 novembre al Ziggy Club di Torino
  • 02 dicembre a Mare Culturale Urbano a Milano

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Internazionale

La festa di Dischi Sotterranei mi ha salvato la vita

Che poi io non ce la faccio neanche più. A star dietro alle mille uscite settimanali, a capire di cosa parlano tutti, a cercare di riconoscere il volto della copertina di Scuola Indie e tutto il resto. Essere un musicofilo nel 2021 è davvero un casino. Ed è passato qualche anno da quando la realtà di Dischi Sotterranei, che in un periodo dove tutti si stupiscono di quanto sia incredibilmente creativa ARIETE (che poi nulla in contrario, sono stato anche a un suo concerto a Bergamo e mi sono innamorato della ragazza che poi mi ha riportato in stazione e non mi ha più risposto su Instagram), partoriscono un progetto come quello dei Post Nebbia: contro ogni regola, contro tutti, sempre. E quindi eccomi lì, qualche giorno fa, a prendere un treno per Padova per due giorni di musica firmati Dischi Sotterranei, due giorni di cui mi è piaciuto tutto tranne: il fatto che i bagni del cso Pedro erano abbastanza hardcore e mi sono scoperto vecchio e schizzinoso, il fatto che non sia riuscito a mangiare la pizza neanche una volta, il fatto che sia già finita.

MIVERGOGNO!

Entro al centro sociale occupato (ecco la CSO per chi, straniero in terra padovana come me, se l’è chiesto tante volte) con il cappotto tirato su fino alle orecchie, le scarpe di tela rigorosamente estive inzuppate e gli Orange Car Crash che fanno già un casino speciale, di quelli a cui non ero più abituato, di quelli che mi ricordano il 2019 e mi fanno venire la nostalgia di tutto quello che ho perduto in questi due anni, anni in cui sono invecchiato, in cui cominciano a farmi schifo i bagni sporchi, anni che nessuno mi ridarà più indietro. Birre, un freddo boia, le pizze che mi dicono tutti che sono buone (non riuscirò mai a mangiarle perchè ogni volta mi accorgerò di non avere cenato alle 2 inoltrate), libri ovunque, due palchi, gente che poga con la mascherina (essere ribelli rispettando le regole mi commuove e mi affascina), una gioia immensa. Palco piccolo, la follia ordinata di Vipera, palco grande i Vanarin, che sanno di casa e mi mancavano tantissimo.

Palco piccolo il post punk dei Kick, sarebbero piaciuti a quella ragazza che non mi ha più risposto su instagram, palco grande i New Candys già visti a Milano qualche giorno fa, ma qui la gente si abbraccia, si limona felice pensando quanto siamo cazzo fortunati che stiamo vedendo un concerto vero tutti vicini che volendo possiamo anche pogare malissimo, e il pogo malissimo arriva sul palco piccolo con gli Halley DNA che quasi qualcuno ci rimette qualche costola sputata fuori come in un film di Tarantino (sicuramente ritrovata il lunedì, quando qualcuno si sarà messo d’impegno a ripulire il cso Pedro), palco grande a ballare fino a tardi con quei pazzi dei Planet Opal. Non mi sono sentito solo neanche un momento, neanche quando ho chiamato un taxi per tornare a casa di quell’amico di mio padre che mi ha ospitato sul suo divano e tutti continuavano a spingermi da una parte all’altra. Padova ti vuole rapire e portare a ballare, a tutti i costi.

Michele Novak, Dischi Sotterranei

Sabato. Mi sveglio alle 2 del pomeriggio, leggo che c’è uno showcase dei Giallorenzo in un bar ma me lo perdo in pieno perchè non riesco a capire come arrivarci a piedi da dove sono io (sono anche un po’ pigro comunque, non prendetemi per scemo). Mi mangio le mani quando poi ritrovo delle storie su instagram di due miei conoscenti che invece erano lì. Finisco di nuovo al Pedro, mi innamoro di MIVERGOGNO! perchè si sente come mi sento io, e di nuovo palco piccolo Baobab!, una voce bellissima e libera di una ragazza che mi tormenterà, immenso Pietro Berselli che ritrovo dopo una data sempre a Bergamo, in tutto lo splendore che merita e un pubblico che conosce a memoria ogni suo brano, il benvenuto a te caro mio. Visconti & The Giallorenzos con quel rock, amore e svastiche, Jesse The Faccio che mancava come l’aria che più che un live ci regala una psicoterapia collettiva e catartica. Palco piccolo con i Laguna Bollente, surreali e con un attaccamento malsano per gli Oro Ciok, Post Nebbia: mia piccola rivelazione dell’anno, ma non di quest’anno, di tutti gli anni a venire, che mi ricorda che si può essere giovani e amare le chitarre, non vedo l’ora di poter dire io quella volta lì, c’ero.

Un DJ set di cui mi ricordo poco perchè finisco a bere con un gruppo di sconosciuti sotto la pioggia. Questi due giorni mi hanno portato ad una dimensione vera, quella dove ci si può toccare, quella dove ci si può scontrare, dove si possono conoscere persone nuove anche se si è sudati da far schifo, dove ci si può ubriacare senza venire giudicati, quella dove si vive di musica e quella dove ci si emoziona davvero. Perchè, e mi spiace dirlo, di come ci si sentisse a con certo di Jesse The Faccio io, dopo tutto questo casino globale, me n’ero dimenticato, e per qualche mese ho persino creduto che i concerti non mi mancassero davvero, non come l’andare a mangiare fuori o al baretto con gli amici. Stupido me, la musica dal vivo mi mancava come l’aria fresca, mi son sentito come quando si trattiene il respiro a lungo, per poi ritrovarsi affannati e respirare di nuovo. Così.

Che a non respirare a lungo, finisce che si muore.

Grazie.

Pietro Berselli

CM

foto di Simone Pezzolati, con pellicole Lomography

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Internazionale

Nicolaj Serjotti presenta il suo nuovo singolo “Toc x3 Freestyle”

Nella provincia di Milano gli artisti emergenti spuntano come funghi. Com’è naturale, per uno di realmente valido ce ne sono forse un centinaio di decisamente passabili. Questi ultimi molto spesso sono l’imitazione di questo o quell’altro big che già domina le classifiche, così da presentarsi in partenza senza un’identità propria. E poi ci sono quelli forti, quelli che ti rimangono in testa perché hanno un loro immaginario efficace e riconoscibile, uno stile originale e coerente (ma non necessariamente sempre uguale a se stesso) e qualcosa da comunicare. Nella loro musica e nel loro personaggio c’è qualcosa che, al netto di sacrosante influenze e contaminazioni, gli appartiene al 100%.

Uno di questi è senza dubbio Nicolaj Serjotti, nome d’arte di Nicolò Ceriotti. Classe ’98, è originario di Busto Garolfo, in quella grigia provincia milanese che fa da sfondo alle sue canzoni e in particolare al disco d’esordio Milano 7, uscito ormai quasi un anno fa per Virgin/La Tempesta.

Una penna elegante, capace di restituire fedelmente i pensieri e gli scenari che abitano la testa di un ragazzo che, nel suo essere comune, è fuori dal comune. Fuori dal comune perché evita la superficialità, ma non disdegna la semplicità. Fuori dal comune perché nei pezzi è il mood stesso che vuole trasmettere ad essere protagonista, non tanto uno specifico personaggio o argomento. Fuori dal comune perché dimostra che non occorre una vita da film per porsi le giuste domande ed avere qualcosa da raccontare.

Nicolaj Serjotti sta tornando e ce lo racconta bene con Toc 3x Freestyle, un singolo uscito di recente che anticipa l’arrivo di un nuovo disco “molto diretto, anche se pieno di stranezze”. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui per saperne di più.

Ciao Nicolò, permettimi di aprire con una domanda di rito: come stai?
Non male? Credo.

A fine novembre il tuo primo disco, Milano 7, spegnerà la sua prima candelina. Che rapporto hai sviluppato con la tua opera prima in questi mesi che ci separano dalla sua uscita? Lo senti ancora tuo al 100%?

Lo riascolto sempre volentieri, ma sicuramente lo sento mio più come un ricordo che come un qualcosa di attuale. Senza Milano 7 non sarebbe successo quello che è successo dopo, e adesso abbiamo chiuso un progetto nuovo che per me rappresenta davvero un passo avanti. Musicalmente, a livello visivo ma anche proprio per quanto riguarda il mio modo di rapportarmi a quello che faccio.

E mentre Milano 7 sta per compiere un anno, torni a far parlare di te con un nuovo singolo, Toc 3x Freestyle. Nel pezzo dici “nelle tasche è da un paio di mesi che ho un disco già pronto”. Dobbiamo aspettarci che presto esca dalle tue tasche e veda la luce?

Assolutamente sì. Facciamo scadere il 2021 e poi lo facciamo uscire, stiamo lavorando agli ultimi dettagli ma è davvero tutto pronto.

Toc 3x Freestyle si distingue anche e soprattutto per le sue sonorità profondamente rap, con barre crude sputate su un beat che picchia come un martello. Questo cambio di sound è qualcosa che caratterizzerà tutto il disco o è riservato solo al singolo che lo introduce?
Diciamo che Toc x3 non anticipa niente, se non che ho deciso che volevo rappare di più. Quindi sì, sarà un disco più strettamente rap, ma declinato in varie sfumature e con tante sonorità. Senza mezzi termini, molto diretto anche se ricco di stranezze.

La copertina del singolo mostra il tuo volto riflesso nello specchio mentre maneggi un rasoio elettrico. Quest’immagine ha a che fare metaforicamente con la volontà di dare un taglio al passato e scrivere una nuova pagina del tuo racconto? O sto solo facendo correre troppo la fantasia?
Da ragazzini praticavamo spesso l’arte del taglio en plein air in qualunque posto. Una volta nella neve con 5 gradi, un’altra in centro città. Quindi un pomeriggio mi è tornato in mente, ho scritto a Christian e abbiamo scattato. In generale direi che più che dare un taglio al passato, stiamo rifinendo sempre di più il processo.

La produzione di Toc 3x Freestyle è di Fight Pausa, tuo ormai fedele compagno di viaggio dal 2018. Sarà tra i protagonisti anche del nuovo disco?
Più che protagonista. Ha curato la produzione di tutti i pezzi e abbiamo sviluppato insieme l’idea sonora del progetto, come direzione e come scelte in itinere.

Prendendo in prestito le parole di Caparezza, il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Sei d’accordo? Senti la pressione di doverti confermare o vivi questa sfida con serenità?
Penso che sia difficile se con il primo disco sei diventato famoso. Io sono ok, sto già pensando al terzo, me la vivo più come un processo di evoluzione artistica e per ora mi sento in miglioramento. Ne riparliamo quando avrò superato il mio prime, lì forse mi preoccuperà fare un disco.

Quando non è indaffarato a fare musica, che musica ascolta Nicolaj Serjotti? Quali artisti lo ispirano e lo influenzano di più in questo periodo?

Tanti. Sintetizzo nei tre dischi che sto ascoltando di più ultimamente: 
Mount EerieNo Flashlight
21 Savage, Metro Boomin – SAVAGE MODE II

Injury Reserve By the Time I Get to Phoenix

Dopo due estati di sedie, distanziamenti e mascherine, la musica dal vivo come eravamo abituati a conoscerla sta finalmente ripartendo. Quanto ti manca il palco? Sei pronto a tornarci?

Vorrei riscoprirlo, perché alla fine il mio primo disco è uscito mentre eravamo in quarantena quindi non ho avuto troppe occasioni di suonarlo live. Però a settembre ho aperto il concerto di Generic Animal al Magnolia ed è stato pazzesco. Non vedo l’ora di riuscire a girare e soprattutto di portare questi nuovi pezzi dal vivo.

Di Pietro Possamai

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Internazionale Post-Punk

Le 5 cose preferite dei Viboras

I Viboras hanno recentemente pubblicato il nuovo disco “Eternal” (Ammonia Records). Un lavoro che sprigiona energia da ogni nota e che piacerà a tutti i fan del punk rock ma anche a chi nella musica ricerca la carica giusta per affrontare la vita. Abbiamo chiesto loro di dirci quali sono le 5 cose che preferiscono.


Rancid

Tutto inizia da loro o meglio tutto inizia ancora da loro. Non hanno inventato il punk ma hanno fatto in modo che il meglio dell’attitudine si combinasse con la modernità e il rispetto per il passato. Per noi restano un punto di partenza sempre attuale, il primo trittico della loro carriera ci ispira ancora oggi, se ascoltate bene tra le tracce di Eternal li troverete sicuramente


Animali

Molti dei nostri pezzi parlano di amicizie sincere e a volte perdute. Molti di questi amici sono i nostri amatissimi animali, esseri che hanno sempre molto da insegnare ai bipedi. Inoltre come band e singoli sosteniamo alcune associazioni senza scopo di lucro che difendono animali in gravi difficoltà e oggetto di violenza spesso per il triste uso che si fa in vari modi dei loro corpi.

Tatuaggi

Ci caratterizzano, in particolar modo i traditional, al punto che da sempre ne facciamo uno stile di vita. Non li abbiamo solo sulla pelle ma anche  nelle nostre canzoni. Fiori, figure sacre, spine, serpenti, cuore e sangue sono tra le nostre figure ricorrenti. Per noi rappresentano tutta la sofferenza ma anche la rivalsa che si può avere nei confronti di una vita che ti ripaga solo se ci credi fino in fondo. Scrutate la copertina di “Bleed Eternal” (vinile che unisce i due ep) disegnata da Irene mentre ascoltate “My Fate” e capirete.


Dal Tramonto all’alba

Un film che ci ha segnato. Un concentrato di tamarraggine in cui ci identifichiamo completamente a partire dalla bifasicità della storia. Un concentrato di Pulp, vampiri e mariachi incazzati. La track portante del film (ricordate l’entrata di Salma Hayek) di Tito & Tarantula completa una storia in cui ci vediamo a pieno. Viboras e Dal tramonto all’alba? Ma certo!

Maculato

Ma quanto ci piace, sta bene ovunque! Calze, tracolle, giacche, chitarre e tutto ciò in cui si può inserire. Ovviamente rigorosamente falsissimo perché come si è già dedotto siamo animalisti convinti. Stranamente non lo abbiamo mai usato per un artwork, probabilmente sta bene ovunque ma non su una cover…o forse si. Si vedrà!