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Intervista Pop

Alla scoperta del nuovo mondo di Millepiani

E’ nato “Un mondo nuovo” per Millepiani, cantuatore toscano che negli ultimi anni abbiamo avuto modo di apprezzare. Penna da esteta, riflessioni filosofiche che si avvolgono su atmosfere che spaziano dallo space-rock alla canzone d’autore: questo è (solo in parte) Millepiani. Potevamo quindi non intervistarlo?

Cantautore che non smette di stupire, Millepiani ha da poco pubblicato “Un mondo nuovo”, il suo secondo disco: ecco, ma perché hai scelto proprio questo, come titolo del tuo lavoro?

Il richiamo al distopico “Il mondo di nuovo” di Aldous Huxley è sicuramente il primo che salta all’occhio, ma il titolo “Un mondo nuovo” può essere considerato un vero topos letterario. Nel mio caso però l’intenzione dell’opera non è distopica ma auspica una rinascita, una speranza per il futuro, una nuova consapevolezza e libertà, una nuova etica.

Raccontaci un po’ la genesi di queste canzoni: è stata una lunga gestazione quella di “Un mondo nuovo”? 

Ebbene sì, è stata molto lunga. Quando scrivo, ogni canzone è lavorata moltissimo prima di andare in produzione e rimane in cantiere anche degli anni a decantare. Ogni brano è stato scelto per il disco da una rosa molto ampia di canzoni che avevo nel mio archivio e ho cercato di trovare un equilibrio concettuale ed estetico che combaciasse perfettamente con quello che volevo comunicare. D’altro canto invece, il nucleo, le linee melodiche e i giri armonici delle canzoni sono stati creati in modo più immediato e spontaneo, prima di essere sottoposti al processo alchemico di raffinazione che richiede la stesura dei testi e degli arrangiamenti. E’ stato un viaggio molto bello e importante.   

Otto intensi brani, per un percorso che ha vissuto già diverse svolte importanti ed emozionanti, con la partecipazione a rassegne, concerti e palchi di spessore. Quali sono state, secondo te, le tappe fondamentali del tuo percorso fin qui?

Cerco sempre situazioni dove il lato culturale, etico ed estetico siano considerate importanti, sia che si tratti di un piccolo circolo, che di una piazza, sia che si tratti di un evento più grande. I live che mi hanno dato più soddisfazione sono stati comunque il Borgosound Festival di Parma e suonare per Openstage davanti al Politecnico di Milano. Il prossimo live inoltre sarà davvero speciale: in un luogo iconico di Milano che ha molto a che fare con l’arte contemporanea e una famosa scultura di Maurizio Cattelan… è una sorpresa! Seguite i miei profili social e prossimamente ne saprete di più!

Parliamo dei brani, che lasciano emergere l’intimità di una scrittura autoriflessiva e allo stesso tempo collettiva: quanto ti senti cambiato, da quando hai cominciato a scrivere le canzoni di “Un mondo nuovo”? Quanto invece continuano ad essere per te attuali?

La scrittura delle canzoni di “Un mondo nuovo” è stata un viaggio tanto personale quanto collettivo, capace di riflettere una profonda introspezione e una connessione con l’universo che ci circonda. Mi sento profondamente cambiato rispetto a quando ho iniziato questo progetto. D’altronde “panta rei” come diceva il buon Eraclito. La mia evoluzione come artista e come individuo è il risultato di un flusso costante di esperienze, pensieri ed emozioni. Ogni brano è un frammento di questo flusso, catturato in un momento preciso, ma sempre in movimento.

Tuttavia, nonostante questo continuo mutamento, c’è un nucleo di costanza nelle mie canzoni, un’essenza immutabile che volendo richiama la filosofia di Parmenide. Egli sosteneva che l’essere è statico e immutabile. In questo senso, le mie canzoni continuano ad essere attuali perché riflettono un’essenza profonda e inalterabile della mia visione del mondo. Sono ancorate a valori e sentimenti che rimangono costanti, anche se il contesto e le mie esperienze si trasformano.

In definitiva, scrivere questi brani è stato un modo per navigare tra il cambiamento e la permanenza, tra il flusso incessante delle esperienze e la stabilità dell’essere. Così, mi sento cambiato, ma al contempo ritrovo in queste canzoni una parte di me che rimane sempre la stessa, rendendole attuali e significative nel presente quanto lo erano all’inizio del loro concepimento.

“Un bagno di stelle”, prima traccia dell’LP, fa subito intuire che il tuo è un disco capace di dare centralità alla sensibilità, rappresentando in qualche modo un nuovo modo di “vivere” l’emozione. Come ci si scherma dai dolori del nostro tempo? 

Il dolore, con le sue ferite profonde, è una componente intrinseca della nostra esistenza. Tuttavia, è proprio attraverso il dolore che possiamo crescere e migliorare, trovando noi stessi e rinascendo con un nuovo ego. Come affermava Emanuele Severino, non è la meraviglia a scaturire il pensiero filosofico e a indurci a porci domande sull’essere, ma piuttosto il “trauma” del dolore dell’esistenza. Questo trauma, lungi dall’essere una condanna, è la scintilla che accende la nostra coscienza e ci spinge a esplorare le profondità del nostro essere.

Nel mio percorso artistico e personale, ho imparato che il dolore non è un nemico da evitare, ma un maestro da ascoltare. È nel confronto con le sofferenze che possiamo scoprire la nostra forza interiore e la nostra capacità di resilienza. Scrivere canzoni è stato per me un modo di dare voce a queste esperienze, di trasformare il trauma in arte e di trovare una sorta di catarsi.

“Un bagno di stelle” è una metafora di questa trasformazione. Le stelle, simboli di luce e speranza, emergono dall’oscurità del cielo notturno, proprio come la nostra sensibilità e la nostra capacità di vivere le emozioni emergono dal buio del dolore. Questa traccia, e l’intero album, rappresentano un viaggio attraverso le ombre e le luci dell’esistenza, un percorso di introspezione che ci conduce verso una maggiore consapevolezza e una rinascita interiore.

Schermarsi dai dolori del nostro tempo non significa ignorarli, ma piuttosto accoglierli, comprenderli e trasformarli. È attraverso questa trasformazione che possiamo trovare un nuovo modo di vivere l’emozione, più profondo e autentico. In questo senso, il dolore diventa una porta d’accesso alla nostra essenza più vera, un mezzo per connetterci con noi stessi e con il mondo che ci circonda.

In definitiva, “Un bagno di stelle” ci invita a immergerci nella nostra sensibilità, a confrontarci con i nostri dolori e a rinascere come individui più consapevoli e completi. È un viaggio attraverso il trauma dell’esistenza, che ci guida verso una nuova comprensione dell’essere e delle emozioni che ci definiscono.

Detto questo, “Un mondo nuovo” si presenta proprio come un antidoto, un balsamo, una via da percorrere per scegliere di essere felici. Alla fine, la felicità è una scelta, anche se questo concetto è difficile da accettare.

Felicità e dolore sono due facce della stessa medaglia. Attraverso il confronto con il dolore, possiamo trovare la forza per scegliere la felicità. “Un mondo nuovo” non offre una felicità superficiale e momentanea, ma una felicità profonda e duratura, frutto della consapevolezza e dell’accettazione delle sfide della vita.

La felicità non è un dono che ci viene concesso passivamente, ma una decisione attiva, una scelta di abbracciare la vita in tutte le sue sfumature. Come una tela bianca su cui dipingere, ogni giorno ci offre la possibilità di scegliere i colori e le forme che vogliamo dare alla nostra esistenza. Questo album è un invito a prendere in mano il pennello e a creare il nostro capolavoro, a scegliere la felicità anche di fronte alle difficoltà.

Alla fine, la vera felicità nasce dalla nostra capacità di trovare bellezza e significato in ogni esperienza, di trasformare il dolore in crescita e il trauma in saggezza. È una scelta che richiede coraggio e determinazione, ma che ci porta a vivere una vita più autentica e appagante.

“Un mondo nuovo” è un viaggio attraverso questa scelta, un cammino che ci guida verso una nuova comprensione di noi stessi e del mondo, un percorso che ci permette di trovare la nostra strada verso la felicità.

Quali sono le cose che vorresti cambiare nella discografia italiana? Immagina di avere la bacchetta magica…

Mi piacerebbe che il mondo della discografia fosse più legato alla cultura, al mondo dell’arte e della letteratura, che fosse meno vincolato ai profitti che rendono la musica a mio parere meno interessante e la appiattiscono. C’è una divergenza importante fra il panorama musicale italiano che offre tantissimo a livello qualitativo e la circuitazione mainstream che invece spesso trovo superficiale e basata sul mero intrattenimento spicciolo.

Mi piacerebbe che la musica fosse più concepita come forma d’arte piuttosto che come intrattenimento. Ma so che questa è un’utopia. Aspetta un attimo, ma a noi piacciono le utopie! 

Bene, grazie per il tuo tempo Millepiani! E ora, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo futuro?

Grazie a te e a tutta la redazione di Perindiepoi! E’ sempre un piacere parlare con voi! 

Il mio viaggio nella musica continua e nel mio futuro ci sarà sempre, come c’è sempre stata, la voglia di scrivere canzoni e di cantarle a qualcuno, questa è una mia certezza. 

Nell’immediato sono in un periodo creativo molto fertile, sto accumulando nuove canzoni, alcune sono già praticamente pronte con musica, testi e arrangiamenti, altre sono bozze da sviluppare. Inoltre è appena uscito il video di “Fantasmi a metà” con una ballerina d’eccezione: Teresa Firmani, che danza tra i murales del centro storico di Carrara, la mia città natale. Spero che verrà apprezzato anche dagli appassionati di danza contemporanea e d’arte urbana. Anche la visione generale per il prossimo disco si sta delineando pian piano nella mia mente, come un’aurora che precede l’alba.

Quest’estate inoltre, porterò in giro le canzoni di “Un mondo nuovo” in diverse situazioni, dai piccoli locali, dove sarò solo con la mia acustica, oppure in duo con l’elettrica di Diego Colletta, a piazze più grandi, dove mi sosterrà la band nella classica formazione batteria-basso-chitarra elettrica-voce.  quindi che altro aggiungere? Grazie a tutta la vostra redazione e a presto!

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Indie Intervista Pop

Nel “MOOD-POP” di Aigì c’è tutta la musica che ti piace

Aigì, nome d’arte di Antonio Il Grande, è un nome che seguiamo, come sapranno bene i nostri lettori, ormai da diversi anni: per questo, non potevamo certo esimerci dal fare all’artista qualche domanda su “MOOD-POP“, il suo eclettico e visionario – capirete perché – album d’esordio.

Aigì, è un piacere ritrovarti con un EP. Da quanto aspettavi questo momento?

Piacere mio! Lo aspettavo da tempo, perché è la sintesi di due anni di sperimentazioni su vari fronti. Difatti abbiamo iniziato a lavorare alla canzone meno recente (Orsa Maggiore) nel febbraio del 2022.

“Mood-pop” è un lavoro denso, che a suo modo racconta con sincerità un percorso personale che può essere anche collettivo. Quanto è stato “terapeutico” per te scrivere le canzoni di questo tuo disco d’esordio?

Tanto! È come se ad ogni canzone avessi affidato il compito di custodire un’istantanea di come mi sentivo in quel preciso momento. Insieme propongono diverse sfaccettature della mia interiorità.

Raccontaci i brani: in ognuno, c’è un po’ di te (e delle tue numerose sfumature musicali) ma ce n’è uno al quale ti senti particolarmente legato?

Sono tutte canzoni-promemoria: Sbalzi d’umore mi ricorda che siamo fatti di contraddizioni, Orsa Maggiore che devo godermi il momento, Cherosene che l’amore non si piega a marchette social, Nuvole che non devo perdermi d’animo, Niente di che quanto sia importante comunicare in una relazione e Nudo/a che il sesso è un gioco senza frontiere. Orsa Maggiore direi che, oltre ad esserci legato, è un evergreen per il mio progetto.

Tra tutti, ci ha colpito la scelta di approcciare ogni brano attraverso una diversa chiave di lettura musicale, che mantiene tuttavia intatta e coerente la firma della tua penna. Ci racconti come nasce questa idea, che pare dare anche il titolo all’EP?

Nasce dal semplice fatto che mi stanno strette le etichette. Mi piace molto ibridare la mia musica arricchendola di varie suggestioni. Dopo tre singoli non proprio coerenti fra loro, mi sono detto “Sai che c’è? La mia coerenza è l’assenza di coerenza”. È nato così il concept di MOOD-POP. Poi chiaramente questo è vero a metà, perché ci sono molti elementi che ritornano.

Certamente un disco del genere, che fa della sperimentazione musicale una delle sue principali chiavi di lettura, merita due parole spese sui tuoi collaboratori… con chi hai lavorato a “Mood-pop”?

Ho lavorato con il mio produttore di fiducia, Octavio Laria, con cui stiamo creando un team di produzione anche per altri artisti. Andavamo al liceo assieme e in questi ultimi anni abbiamo fatto un percorso di crescita che ci ha resi veramente complementari.

AIGì, grazie per il tuo tempo, e in bocca al lupo! Quando potremo ascoltarti dal vivo?

Grazie a voi e viva il lupo! Intanto il 28 aprile sono stato al Volume (Firenze). Da maggio dovrei partire con un tour ma siamo ancora in fase di definizione. Seguitemi per rimanere aggiornati!

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Intervista Pop

Tra le strade affollate di sogni di “Urbe” di Yassmine Jabrane

Yassmine Jabrane è un’artista alla quale, da queste parte, teniamo parecchio: piglio “crossover” capace di unire la poesia di una scrittura ispirata a venature mediterranee che richiamano a sonorità perdute, la cantautrice ha finalmente debuttato con un disco che parla di identità, ricerca e voglia di reinventarsi, senza perdere naturalezza.

Cantautrice che non smette di stupire, Yassmine Jabrane ha da poco pubblicato “Urbe”, il suo primo disco: ecco, ma perché hai scelto proprio questo, come titolo del tuo lavoro?

Credo sia il più rappresentativo del progetto e dei brani che porta al suo interno! Essere in città ed essere cittadina è una parte fondamentale per me, Urbe è la mia dedica al luogo che mi ha cresciuta.

Raccontaci un po’ la genesi di queste canzoni: è stata una lunga gestazione quella di “Urbe”?

Molto, così tanto che ho pensato più volte che non sarei riuscita a condividerlo mai. C’è tanto di me, della mia storia, che a volte credo di essermi sentita forse un po’ troppo nuda scrivendo queste canzoni.

Pochi, ma intensi brani, per un percorso che ha vissuto già diverse svolte importanti ed emozionanti, con la partecipazione a premi di spessore. Quali sono state, secondo te, le tappe fondamentali del tuo percorso fin qui?

Credo sicuramente aver avuto la possibilità di cantare su palchi palchi grandi come quello di Deejay on Stage o prestigiosi come quello del Premio Lunezia.

Parliamo dei brani, che lasciano emergere l’intimità di una scrittura autoriflessiva: quanto ti senti cambiata, da quando hai cominciato a scrivere le canzoni di “Urbe”? Quanto invece continuano ad essere per te attuali?

È stato un lungo percorso, quindi inevitabilmente la risposta è si. Nonostante ciò sono sempre brani attuali per me. Credo che sia perché parlano di sensazioni più che di momenti e quindi questo li rende per me sempre attuali.

“Lady D”, il tuo ultimo singolo, aveva fatto intuire che il tuo sarebbe stato un disco capace di dare centralità alla tua sensibilità, rappresentando in qualche modo un nuovo modo di “vivere” l’emozione. Come ci si scherma dai dolori del nostro tempo? 

Francamente non ne ho idea… la mia soluzione è essere sempre circondata dalle “mie” persone. Per me non c’è nulla di più curativo di un pianto tra amici. Una vera e buona rete di supporto è un grande dono!

Quali sono le cose che vorresti cambiare nella discografia italiana? Immagina di avere la bacchetta magica…

La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo la domanda, sono nomi di artisti emergenti che spaccano eppure non hanno la risonanza che meritano, quindi direi… un grande grande festival per emergenti..?

Bene, grazie per il tuo tempo Yassmine! E ora, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo futuro?

Spero sempre più musica, sperando che l’uscita di Urbe sia solo un inizio!

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Intervista Pop

“Oltre” la mediocrità della canzone contemporanea c’è Paduano

Paduano è un nome che ci piace molto; il suo nuovo EP, “Oltre”, ci ha colpiti per la sua capacità di mettere a fuoco con lucidità ed eleganza un racconto personale che facilmente si eleva alla collettività. Potevamo, insomma, non fargli qualche domanda? Ovviamente, no.

Paduano, è un piacere conoscerti con un disco. Da quanto aspettavi questo momento?

Piacere mio. Dopo il primo disco pubblicato nel 2021, avevo in mano altri brani, non del tutto completi. Questo periodo è stato colmo di ricerca, ascolto e studio per cercare di avvicinarmi a sonorità diverse da cui sono attratto da qualche tempo. Poter pubblicare questo lavoro dopo qualche anno di elaborazione, è stata come una liberazione, un salpare e lasciare gli ormeggi, un nuovo punto di partenza.

“Oltre” è un lavoro denso, che a suo modo racconta con sincerità un percorso personale che può essere anche collettivo. Quanto è stato “terapeutico” per te scrivere le canzoni di questo tuo EP d’esordio? 

É stato terapeutico quanto formativo. Si può dire che alcuni di questi brani sono stati scritti insieme alla musica e alla ricerca del suono che abbiamo effettuato. Mi son ritrovato a dover cambiare modo di scrivere testi, non potendo essere prolisso, c’era la necessità di una scelta dettagliata e precisa delle parole. Poter riuscire a rendere i miei pensieri in brani diretti e allo stesso tempo esplicativi, sì questa è stata la mia terapia.

Una manciata di canzoni: perché non un disco più denso?

L’Ep presenta due brani dal carattere più pop (Buccia d’arancia e Argini), gli altri brani sono, a mio avviso, un’ottimo incontro tra canzone d’autore e  musica strumentale. La scelta di non inserire altri brani è proprio quella di non perdere la direzione che è stata presa per questo lavoro, che questi brani potessero conservare il loro spazio, senza il rischio di perdersi e confondersi in altre dimensioni.

Raccontaci i brani: in ognuno, c’è un po’ di te, ma ce n’è uno al quale ti senti particolarmente legato? 

Sono tutti brani che ho scritto nel giro di un anno, e quindi sono figli dello stesso trascorso e di emozioni e sensazioni simili fra loro. Il filo conduttore che li unisce è sicuramente quello di porsi delle domande, a cui, per certi versi, non serve neanche dare delle risposte definitive, ma domande che stimolano a guardare il proprio interno e cio’ che ci circonda da più prospettive. Posso dire per certo che Buccia d’arancia sia una dei brani a cui sono più legato, per l’intreccio melodico con il testo, e per aver provato a rendere un mio pensiero preciso e determinato avvicinabile a esperienze altrui.

Tra tutti, ci ha colpito per il suo sound “Ipermetrope”, brano dal retrogusto sperimentale che riflette in modo metaforico sul senso del tempo, e del suo inesorabile passaggio. Ci racconti come nasce questa canzone?

Un altro brano a cui sono molto legato è proprio Ipermetrope. E’ un brano che non ha la struttura classica della canzone, ma si è praticamente evoluta con l’arrangiamento. Sono molto legato al testo, che credo sia quello più personale dell’EP, ed emotivamente mi ha trasmesso tanto. E’ la presa di coscienza e la razionalizzazione della fine di un rapporto, capendo che la verità da cui a volte si cerca di scappare puo’ scaturire una delusione momentanea che il tempo trasformerà solo in un ricordo. L’arrangiamento e l’ambientazione di questo tema combaciano perfettamente ed il finale del brano sembra pian pian, tramite un vortice di archi e di synth, spostare le nuvole per far passare la tempesta.

Tutti i brani, vedono la firma di Caterina Bianco e Michele De Finis come produttore. Ci racconti come vi siete conosciuti, e com’è stato lavorare insieme?

Li ho conosciuto prima musicalmente con i progetti in cui hanno suonato e poi personalmente. Nel 2019 ero alla ricerca di un chitarrista, ed entrai in contatto con Michele, chitarrista, tra gli altri, degli EPO, band di cui sono fan. Gli feci ascoltare delle mie idee di brani e decidemmo di lavorarci insieme per arrangiarli, con l’aiuto di Caterina, che è per me tra le musiciste e polistrumentiste più brave di Napoli e non solo, ed in seguito di Antonio Dafe, sound designer e fonico di Tropico e La Maschera.

Paduano, grazie per il tuo tempo, e in bocca al lupo! Quando potremo ascoltarti dal vivo?

Siamo in fase di costruzione del live, tra poco usciranno le date dove poter sentire  questo disco dal vivo, Grazie a voi e viva il lupo.

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Indie Pop

Il primo disco di Pas Mal non è rock, ma spacca lo stesso

Niente male il disco d’esordio di Pas Mal, nome d’arte di Lorenzo Federici, volto certamente conosciuto alla scena indipendente nazionale: “Se fosse musica rock” è un concentrato di pop ben costruito e lavorato nelle fucine di La Clinica Dischi, con un occhio di riguardo per una scrittura che riesce ad essere profonda senza perdere leggerezza – come direbbe Italo Calvino.

Pas Mal ha un timbro che si scolpisce bene nel cuore, convincendo fin da primo ascolto della bontà di una proposta che conferma le aspettative ad ogni nuovo play: brani più arrembanti e coinvolgenti (come la hit “Vale Tutto” o “Crolla il cielo”) si sposano alla perfezione con canzoni più sommesse, che quasi assomigliano a rivelazioni fatte sottovoce al nostro cuore: lo avevamo già notato con “Asciutto”, ma potremmo dire lo stesso di “Sotto i nostri occhi”.

“Cimici”, infine, è davvero una piccola perla che racconta le insicurezze di tutti: un manifesto generazionale che trasuda tra le spire di un brano che fa degli interrogativi della vita uno stile di vita, dei dubbi e delle incertezze dei compagni di viaggio fedelissimi quanto rumorosi.

Un ottimo esordio, insomma, che merita fiducia e attenzione: fin qui, tutto bene, ora ci aspetta il futuro.

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Indie Pop

Tra le strade di “Urbe” in cerca di noi stessi: il primo EP di Yassmine Jabrane

Urbe” come città, dimensione interiore che apre le sue porte alla contemplazione pubblica, con vista sul cuore aperto di una penna sensibile, e capace certamente di spiccare nel “grigio diluvio democratico” del nostro tempo avaro di bellezza: questo è molto di più è il primo disco di Yassmine Jabrane, canta autrice romana che dopo una lunga gavetta tira le somme del suo percorso fin qui racchiudendole in quattro canzoni dal retrogusto esterofilo.

Il disco si presenta fin da subito con una compattezza di sound che rivela 1:00 direzione artistica, volta ad esaltare la timbrica espressiva e evocativa di Yassmine: quattro canzoni che rimbalzano fin da subito da un orecchio all’altro, passando dal cuore e incastrandosi nella testa grazie a strutture pop che tuttavia non al mainstream; il tutto, ben cucito addosso all’artista dal lavoro certosino di Cesare Augusto Giorgini.

Il lavoro si presenta come una riflessione a cuore aperto sulle tematiche emotive ed esistenziali che più stanno a cuore all’autrice, che senza filtri si presenta al pubblico italiano con la precisa volontà di trasformare le debolezze in forza e in nuovi punti di partenza. Così, l’ansia può diventare un’occasione di riflessione sui freni che ci imponiamo, una relazione andata male si rivela spunto di indagine riguardo al bene che davvero riusciamo a volere a noi stessi, la nostra sete di risposte risulta la cartina tornasole della nostra paura del buio: insomma, un disco che si tiene perfettamente in equilibrio fra l’opera d’arte e il manifesto terapeutico di una generazione in cerca di nuovi centri di stabilità permanente.

Yassmine dimostra di essere uno tra i nomi nomi da tenere d’occhio per questo 2024, capace di fondere insieme linguaggi apparentemente distanti ma mai così alchemicamente uniti come in “Urbe”.

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Indie Pop

“Oltre”, il nuovo disco di Paduano che prova a salvarti dalla mediocrità

Conoscete Paduano? Non ancora?

Beh, allora è arrivato il momento di rimediare alla mancanza: è uscito in questi giorni “Oltre”, il secondo disco del cantautore, conferma dell’estro poetico di una penna da seguire con molta attenzione. 

Sei tracce che si susseguono con leggerezza e profondità, provando a raccontare un mondo interiore che in Paduano si apre alla collettività, alla narrazione comunitaria: c’è una sensazione di condivisione che s’innalza dalla scrittura intima dell’artista, in un connubio riuscito fra personale e generazionale, con un occhio di riguardo per quella generazione, appunto, di trentenni in cerca di riferimenti persi tra i fumi del millenium bug, e della nostra diseducazione sentimentale (sì, di questa collettività fa parte anche il sottoscritto quindi la recensione è ancora più accorata).

Tutte le canzoni sembrano riflettere su dubbi condivisi, con parole selezionate e affilate con la lima, in linea con le pretese poetiche di una penna che sa incidere, e ricucire con attenzione: c’è una chirurgica attenzione ai dettagli, in “Oltre”, che conferma quanto di buono si muova silenziosamente nel sottobosco italiano, al riparo da riflettori che, il più delle volte, sembrano bruciare il talento come falene contro i neon.

Invece Paduano riesce nel suo cono d’ombra ad illuminare tutti i punti interrogativi, lavorando al sicuro da pretese di mercato che non lo sfiorano, permettendogli – almeno per ora: non possiamo che augurargli il successo, e banchi di prova ancor più intensi per la sua “integrità” – di tirar fuori dal cilindro un’opera sincera, coerente, complessa e allo stesso tempo capace di arrivare a tutti. 

Sei canzoni che raccontano la complessità delle relazioni, dell’accettare il tempo che passa e di provare a non farsi soffocare dal turbinio del presente: un invito al silenzio, alla riflessione, a prendersi il tempo di “perdere tempo” ma in modo intelligente, con spirito autocritico e stile intellettuale. Un lavoro prezioso, che possiede i suoi slanci pop (“Argini” e “Buccia d’arancia” su tutti) senza mai perdere il contatto poetico con una materia durissima come il diamante, che traspare tra le pieghe di un disco ben prodotto e ben orchestrato. 

Una conferma su un talento da non perdere d’occhio, e nel caso da scoprire. Custodendolo con gelosa attenzione. 

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Indie Pop

La “Silhouette” di Buonforte è quella di tutti noi

Buonforte è un artista a tutto tondo, che non conoscevamo e che non abbiamo potuto fare a meno di apprezzare fin dal primo ascolto del suo disco d’esordio “Silhouette”, un lavoro denso e ben fatto, costruito sull’equilibrio efficace che separa (e unisce) pop e canzone d’autore, senza mai concedersi cali di tensione né di eleganza.

Un’opera efficace a fungere, allo stesso tempo, da manifesto generazionale e confessione personale, aprendo uno spiraglio su un’intimità fatta di piccole cose che spalancano allo stesso tempo riflessioni sui dubbi esistenziali che ognuno di noi si pone tutti i gironi: dall’amore, al senso delle cose passando attraverso la ricerca di sé stessi. E in effetti, è proprio questo che “Silhouette”, come il titolo stesso dell’album sembra volerci dire, vuole provare a fare: ridisegnare cioè i contorni di una sensibilità profonda, e allo stesso tempo desiderosa di superficie e leggerezza.

Le canzoni del disco si rincorrono incalzando l’ascoltatore in un viaggio che passa attraverso i dubbi e le certezze di Buonforte, ammantate di una musicalità che riesce a conciliare perfettamente il desiderio di ricerca poetica dell’artista con una propensione più che evidente alla melodia e al lirismo: la profondità autorale non cede il passo ad una “popizzazione” scriteriata, piuttosto è la chiave leggera scelta da Altrove (produttore di punta della scena indipendente nazionale, che ha lavorato negli anni con artisti del calibro di cmqmartina, svegliaginevra e altri) ad enfatizzare e a rendere “di tutti” il senso di un lavoro che rischiava di incagliarsi nella sua poeticità.

Silhouette”, invece, arriva al grande pubblico con immediatezza e concretezza, come solo quelli bravi davvero sanno fare: dentro, c’è la vita di Gabriele, che forse (anzi, certamente) può assomigliare alla vita di tanti, se non di tutti.

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L’ossimorico e rivelatorio disco d’esordio dei Dena Barrett

Abbiamo scoperto i Dena Barrett al loro esordio, qualche mese fa, con “Hallooween”, e non potevamo di certo non dedicare alla band toscana una manciata di righe necessarie a confermare quanto di buono era già emerso all’ascolto dei primi singoli: “Immobili a ballare” è un debutto che farà parlare di loro per qualità e quantità artistica grazie ad una track list di nove brani capace di raccontare lo smarrimento generazionale di un intero popolo di trentenni in cerca di nuovi centri di gravità permanente.

Il disco d’esordio dei Dena diventa così un manifesto collettivo che in una manciata di minuti disegna i confini di un disagio storico-culturale che sembra definire, per negazione, i tratti emotivi di una collettività persa nelle proprie insicurezze: ogni canzone diventa così una ferita aperta che aspetta di essere sanata attraverso una ricerca d’amore che, in “Immobili a ballare”, passa spesso la violenza vista come strumento di azzeramento di tutto ciò che precostituito e preconfezionato.

Brani come “Usami” e “Criminale” raccontano con delicatezza pop la forza erosiva di schemi di pensiero capaci soltanto di limitare le nostre libertà, i singoli pubblicati tracciano invece il filo rosso di una narrazione che vuole essere volutamente provocatoria ed esplosiva, attenta a non filtrare alcun tipo di messaggio ma piuttosto renderne efficacemente il livello poetico attraverso una calibrata scelta di parole e immagini.

La figura femminile occupa uno spazio importante all’interno di un disco che, nella sua contemporaneità, non poteva certamente prescindere da determinate narrazioni ma soprattutto dalla necessità di modificarle: la donna diventa così specchio e allo stesso tempo silenzio assordante per uomini in cerca di protezione e affetto, anche laddove la dimensione relazionale sembra avviarsi a pieghe patologiche in linea con le dinamiche del nostro secolo brutale.

Un disco quindi che racconta l’attualità attraverso il richiamo a linguaggi e stili capaci di raccordare il rock alternativo degli anni anni anni 90 con la migliore scuola d’autore italiana: un melpot riuscito che conferma l’attitudine degna di nota di una band da non perdere d’occhio.

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rock

Tra i Clash e il Belpaese c’è il porto sicuro di LEHAVRE

Vi piace la musica che sale dalle cavità della terra, ricordando ai vostri piedi come si fa a tenere il ritmo? Il suono lontano di mille esplosioni nel cielo di Londra, mentre da un’auto che passa si sente l’eco del primo disco dei Clash? Vi piace pensare che anche il rocker più duro può nascondere un cuore tenero?

Allora, non avete altro da fare che sintonizzarvi sulle frequenze dei LEHAVRE, neonato progetto campano con non poca gavetta alle spalle e una forte necessità di correre dietro ad un tempo che fugge: “Come i Clash” è il biglietto da visita di una band che non puoi perdere di vista.

Ciao, LEHAVRE! Partiamo dalle domande semplici: da cosa deriva il vostro nome d’arte?

La ricerca del nome è l’aspetto che ci ha tormentato di più. A un certo punto c’erano le canzoni, c’era il progetto intero e persino un live alle porte, ma mancava il nome. Poi è arrivata l’illuminazione. Un film di Aki Kaurismäki, un gioco da tavolo, un porto sicuro, una squadra di calcio che in modo rocambolesco raggiunge la serie A francese. Erano tutti segnali. Alla fine quel nome, così musicale e imponente, era sempre stato sotto i nostri occhi.

Raccontateci qualcosa di voi, in modo da far scoprire ai nostri lettori chi siate. Come nasce il progetto?

Mentre tutti scrivevano canzoni in cameretta noi, impossibilitati ad uscire per il lock-down, non avevamo nulla da dire. Se non vivi non scrivi. Quando tutto è tornato alla normalità l’urgenza di scrivere canzoni è stata troppo forte, quindi io e il batterista (Marco e Lorenzo) abbiamo raccolto i cocci del precedente progetto (Kafka Sui Pattini) e abbiamo formato un gruppo nuovo, accogliendo a bordo un altro Marco. Per rispondere alla tua domanda, il progetto nasce in modo eruttivo: dovevamo buttare fuori quello che avevamo covato silenziosamente per due anni.

Avete uno stile che fonde il pop punk dei primi duemila con un ottimo gusto retrò: quali sono i vostri principali riferimenti musicali?

Arctic Monkeys per sempre. 

“Come i Clash” esplicita un approccio che sembra volersi fare manifesto: come nasce la canzone? E perché avete deciso di partire proprio da qui?

Niente ti descrive meglio di ciò che ami. E ciò che ami lo omaggi. Come i Clash è una dichiarazione d’amore, oltre che di intenti. Quale miglior modo di presentarsi al mondo se non dire “hey, ecco dove voglio arrivare ed ecco come ho intenzione di riuscirci” mentre alzi il volume della distorsione.

Sembrate però allo stesso tempo dei romantici, oltre che dei “dinamitardi”… dobbiamo aspettarci anche ballad più malinconiche, dai vostri futuri passi discografici?

Sicuramente, probabilmente non saranno ballad nel senso canonico, ma i prossimi singoli affronteranno tematiche più introspettive. 

Grazie del vostro tempo e a presto! Vi vedremo dal vivo, prima o poi?

Più prima che poi.