Categorie
Pop

Le 5 cose preferite di Dellamore

Esce venerdì 10 settembre 2021 Daiquiri, il nuovo singolo del più atipico dei cantautori urban, DellamoreDaiquiri è l’ultimo dei singoli estivi che vi accompagnera, con un bicchiere in mano, verso un nuovo inverno. E, da tenere a mente, dietro un bicchiere d’alcool, c’è sempre una grande storia d’amore. Daiquiri mescola pratiche giapponesi, umorismo e tensione tutto dentro uno shaker. Da servire senza ghiaccio.

Gli abbiamo chiesto di raccontarci le sue cinque cose preferite!

LA FAMIGLIA

Per chi come me vive fuori dal proprio paese, penso subentri ad un certo punto una sorta di nostalgia automatica, la quale prima veniva rimpiazzata dall’istinto altrettanto automatico del rendersi indipendenti da adolescenti. Anche la situazione attuale della pandemia penso ci abbia fatto rivalutare molto l’importanza degli affetti più vicini e cari a noi. Mi manca sempre la mia famiglia.

GLI ANIME

Mi son sempre piaciuti. Ma ultimamente sto diventando un vero e proprio OTAKU. Per esempio aspetto la ultima stagione di Attaco Dei Giganti come poche cose nella vita.

IL CIBO

Quello buono però. È una forma di amore quasi sempre corrisposta, se sai scegliere bene. Ultimamente mi son deciso infatti di provare tutti i ristoranti stellati o di alta gamma almeno una volta al mese. 

IL MARE

Da buon siciliano, non posso stare lontano dal mare. Sia di giorno che di notte. È l’unico locus amoenus che mi rasserena e che mi calma, che mi distrae e che mi svuota da tutto.

IL SESSO

Mi sono auto diagnosticato una dipendenza dal sesso tempo fa. Probabilmente è un tema poco trattato e del quale pochi ne parlano con disinvoltura. Però anche qualcosa di bello e naturale come l’amplesso amoroso può diventare un brutto vizio se vissuta in maniera sregolata. Per fortuna ora la tengo sotto controllo.

Categorie
Pop Rap

Le 5 cose preferite di Sebaa

Esce giovedì 9 settembre 2021 Happy Gospel di Sebaa (fuori per Waves Music Agency), un nuovo capitolo che ci avvicina all’uscita dell’EP di debutto Butterfly Radio. Ecco i primi minuti di quello che sarà un mondo stratificato e complesso di influenze, rigorosamente senza genere. Sebaa è dunque un rapper atipico: la musica diventa uno strumento per dire la propria, un esercizio di stile per migliorarsi. 

Al giorno d’oggi, anche grazie ai social, sembra siamo obbligati a dire la nostra. Questa sovraesposizione dell’ego mi fa passare la voglia di dare la mia opinione.Non ho l’esigenza di dire cosa penso ma mi compiaccio nel trasformare le mie idee in suono. Un Artista è un individuo la cui attività si esprime e opera nel campo dell’arte. Non vi sembra che sia una parola un po’ troppo inflazionata ultimamente? Mi risento spesso dal dire che sono un artista, per l’appunto come posso definirmi tale davanti a una tela del Mantegna, a un brano di Gaye o un testo di Kendrick. L’arte é sacrificio, e l’artista é colui che studia e dedica il suo tempo a migliorarsi in una gara contro sé stesso, sia che il miglioramento sia effimero e fine solo all’atto tecnico-pratico che il miglioramento sia “nobile” e fine alla volontà di esprime se stessi. Nessuno è un artista perché autoproclamato tale nella bio di Instagram.

Per l’occasione gli abbiamo chiesto quali sono le sue cinque cose preferite.

Swimming – Mac Miller
Negli anni ho sviluppato una vera e propria dipendenza per questo album. Da quando è uscito l’ho ascoltato tantissimo ed è stato fondamentale nella mia crescita personale ed artistica. Must have.

Kung Fu Panda / American Ganster

Non so se tra Frank Lucas e il maestro Oogway ci sia una reale connessione. Resta il fatto che questi due film li ho visti un sacco di volte e li so quasi a memoria. Sono decisamente per occasioni diverse. Kung Fu Panda è un arma segreta per risollevare un periodo no, mentre Denzel è la scelta giusta quando voglio vedere qualcosa che mi metta la grinta per prendermi tutto!

Cd fisici
Ho una modesta collezione di cd fisici e nella mia macchina si ascolta musica solo da quelli. È una passione cresciuta con gli anni. I cd sono oggetti che mi affascinano e ho cominciato a comprarli da ragazzino per il semplice motivo che i vinili costavano troppo.

Gran Crispy McBacon
Un insieme di composti chimici pensati ad hoc e che mangiati assieme sono perfetti.

Hip hop
È una cultura, è fratellanza, competizione e rispetto. Amo quello che faccio. È crescita personale.

Categorie
Indie Internazionale

Le cinque cose preferite dei Gemini Blue

Fuori dal 13 agosto “If you change your mind”, il secondo singolo dei Gemini Blue. Il duo ha messo in musica una promessa d’amore. Il sound scelto si muove tra il modern blues e i ritmi tribali. Una melodia particolare ma che permette all’ascoltatore di ricevere subito il messaggio dei Gemini Blue. In “If you change your mind” si parla d’amore riprendendo il tema dell’antichità e della donna fatale con un’invocazione mistica. Il concetto viene espresso egregiamente anche dalla copertina che è stata scelta. 

Un brano dal sapore vintage, vicino al rock’n’roll, e introspettivo. Impossibile rimanere immobili sul ritmo di “If you change your mind” e su quelle chitarre rock che strimpellano e ipnotizzano l’ascoltatore.

Per l’occasione, abbiamo chiesto loro quali sono le loro cinque cose preferite.

Le donne.

La donne per noi sono sempre state delle figure importanti e rappresentano la maggiore fonte di ispirazione e non solo quando si parla di arte! Ci hanno cresciuto e ci hanno reso le persone che siamo ora, spesso ci fanno soffrire, spesso ci fanno un male cane, ma fa tutto parte del segno meraviglioso che rappresentano. Spesso le facciamo soffrire e spesso gli facciamo un male cane e ancora più spesso l’uomo ha l’arroganza di sminuirle, che sciocco questo uomo schizofrenico del 21esimo secolo! É il mistero di fronte al quale ci pongono che ci intriga, è il mistero che impersonificano che ci affascina e nelle nostre menti abbiamo impressi i volti delle persone che ci fanno sentire a casa e spoiler: sono volti femminili.

In questi tempi di lenti e costanti cambiamenti diventa sempre più difficile capire come fare veramente del bene a queste persone, a livello sociale soprattutto. Da musicisti noi non possiamo fare altro che ascoltare e cercare di comprendere e più di ogni altra cosa non voltare mai le spalle. Donne di tutto il mondo e di ogni angolo del nostro cuore, siamo con voi e vi vogliamo bene.

Il fiume.

La natura in generale gioca per noi un ruolo fondamentale, viviamo tra laghi e monti, serpi e cinghiali, ma solo il fiume rappresenta il tempio sacro di tutto questa vita che ci circonda ed è diventato il nostro posto spirituale per eccellenza. Al fiume si riesce a scorrere con il tempo, ad assistere al suo flusso sotto forma di acqua. Ed ecco che l’attimo che prima ci apparteneva ora è perso per sempre con lo scorrere della corrente. Se poi sulle sue sponde ci si giunge con un rullante e una chitarra tutta questa energia prende forma con la musica, così è nato il nostro primo singolo The Mountain. Il fiume è suono primordiale, Il fiume è rifugio, il fiume è comprensione di se stessi, ci riteniamo fortunati ad avere un posto del genere. Ovunque andiamo e ovunque suoniamo cerchiamo di tenere impresse queste sensazioni nella testa e di rendere la nostra musica come le vibrazioni della corrente, ci saprete dire se ci riusciamo.

La luna (Oz).

La luna è il luogo dove costudisco tutti i miei sogni e tutte le mie speranze. Come lei la mia vita e le mie giornate sono costituite da fasi, alcune luminose ed altre molto oscure e negli intervalli tra queste quello che mi rimane addosso è molta stanchezza e solitudine. Alzando lo sguardo nel cielo notturno i miei occhi non l’hanno mai vista come un faro a cui richiedere aiuto o misericordia, ma come una dea che ti spinge a farcela da solo, un qualcosa che non appartiene a questo mondo, un posto da raggiungere. Da lei non avrò mai consolazione, da lei non avrò mai riparo.

È una bellissima spettatrice che col silenzio mi sussurra “ti aspetto”. Eterna fonte di ispirazione.

Le pecore (Jack).

Un amore estendibile agli animali in generale. Le pecore però in particolare: semplici, curiose e simpatiche. Non sempre poi bisogna avere una spiegazione per tutto. Sta di fatto che un po’ come la batteria, ovini e bovini hanno sempre avuto un effetto ipnotico su di me, sono riflessivi. Anche le formiche non son da meno, dedite al lavoro come pochi, per una regina che magari mai vedranno.

Rappresentano un po’ il pessimismo che mi porto dietro: “La più innocente passeggiata costa la vita a mille poveri vermucci, e un passo del tuo piede basta a demolire le faticose costruzioni delle formiche e a schiacciare tutto un microcosmo in una misera tomba. Ciò che mi scava il cuore è questa forza di morte che sta nascosta nell’universa natura; la quale non ha generato nulla che non debba distruggere il suo prossimo e sé.”.

Il temporale.

Il famoso bubbolìo lontano che lascia spazio all’ascolto e alla meraviglia. Sarebbe bello riuscire a riprodurre un temporale con la nostra musica.

Categorie
Indie Pop

Nello scrigno di Blumosso

Blumosso è un artista che più volte ho avuto occasione di incontrare lungo il mio cammino di recensore e ascoltatore imperscrutabile e indefesso, ma del quale ho avuto modo di parlare ancora troppo poco.

Ecco perché oggi, all’uscita di “TG” – unico lampo apprezzabile di una scena ancora evidentemente assopita, in questi primi giorni settembrini – mi è sembrata palesarsi di fronte la possibilità di colmare lacune passate, e dire la mia su un progetto che fa parlare di sé da qualche anno, riservandosi il merito di riuscire ad alzare l’asticella dell’offerta senza la pretesa di stupire pubblico e addetti al settore con effetti pirotecnici, quanto piuttosto attraverso il lusso coraggioso della semplicità e dell’urgenza. Chiavi di volta, oggi più che mai, utili a tenere in piedi la curiosità di una pletora di ascoltatori sempre più disincentivati alla curiosità da progetti privi di nerbo, e di reale “necessità” d’esistere.

Sì, perché non basta saper suonare uno strumento (oggi, in realtà, non serve neanche più) per poter “fare musica”, né saper scrivere un testo in un italiano simil-corretto (oggi, in realtà, neanche questo serve più): la differenza fra l’esecutore di un copione e l’artista sta nel fatto che al secondo il copione non serve affatto; attenzione, non è questa una condanna al “metodo” e all’artigianato, tutt’altro. Dico solo che di copioni e di brutte copie oramai più che prevedibili ne abbiamo piene le orecchie (e non solo) e che di fronte a canzoni che sanno mantenersi in piedi da sole senza pretendere alcunché che non sia la voglia dell’ascoltatore di ascoltare, beh, la differenza si sente.

Blumosso viene da un percorso che gli ha permesso, nella vita, di sperimentare più copioni (tutti esclusivamente scritti di proprio pugno) e di gettarsi in toto nell’esperienza della scrittura prima ancora che della musica, in modo totalizzante e imprevedibile; al netto dell’ascolto di “In un baule di personalità multiple” (il suo primo disco del 2018), “Di questo e d’altri amori” non può che mettere in luce l’evidente tendenza di uno spirito libero alla divergenza rispetto a sé stesso, e alle proprie comfort zone: nell’era delle playlist e del “digitaloso”, Simone riscopre la purezza di una voce che abbisogna solo di sé stessa (e al massimo, di un piano o di una chitarra) per farsi sentire, avvalorata da una scrittura che sembra intenzionata a spogliarsi del superfluo per ricontestualizzarsi nella semplicità di tre piccoli inni alle cose piccole, essenziali.

“Nordest”, “Vabeh” e “Tg” sono facce (giuste) della stessa medaglia, l’epigrafe di un sentimento e dell’esperienza di un amore che non riusciva a sentirsi contenuto in un solo brano, e che come edera rampicante ha dovuto estendersi – risalendo dalle radici di una riscoperta cantautorale di Blumosso stesso – fino alla punta delle dita di una penna completamente impegnata a decodificarsi, per ritrovarsi. I tre singoli pubblicati per Luppolo Dischi e raccolti in “Di questo e d’altri amori rivelano una coerenza che trova forza nella semplicità delle sue immagini, nell’essenzialità delle sue forme: un connubio riuscito nella protezione di uno scrigno da custodire gelosamente, prima di nuove odissee.

Blumosso, Ulisse e Simone Perrone. Dal baule di personalità multiple dell’artista pugliese continuano a scappare declinazioni di se stesso capaci di non stancare, costringendo anzi l’ascoltatore ad affezionarsi ancor più ad ogni nuovo tentativo di volo.

Perché si sa, l’umanità vince sempre.

Categorie
Pop

Pietro Berselli, evidentemente sì

Quello di Pietro Berselli è il disco che ci ha accolto al rientro dalle vacanze. Ignorando totalmente il disco di debutto Orfeo l’ha fatto apposta, che pure adesso non riesco a smettere di ascoltare e di fare miei brani come Debole (senza regole), mi sono avvicinata a questo disco come fosse un’opera prima: uno schiaffo in faccia, un’autobiografia sfrontata, arrabbiata e rassegnata allo stesso tempo, stanca e incredibilmente adulta. Evidentemente no, come la sua title-track è la voce stanca di chi ha aspettato senza risultati, di chi è esausto per tutto. 

Mi sono ritrovata ad ascoltare questo album in un momento di quiete elettrica, quella in cui mi sono dovuta fare due domande sul mio percorso universitario, sulla mia relazione, un po’ su tutto insomma. Ed è stato così rasserenante scoprire di poter condividere questo peso con un cantautore del bresciano di cui non so, reciprocamente nulla. Di Pietro Berselli so che definisce i suoi brani un po’ “depre” e un po’ “passive aggresive”, un pensiero disilluso, sincero e quotidiano. Una boccata d’aria fresca in un momento di ipocrisia da social, schieramenti da Covid e mandrie di espertoni in geo-politica. Un mondo sincero, di chitarre che si intrecciano con una voce che sembra sul punto di piangere o ridere, come quando ascolti per la prima volta il tuo migliore amico su un palco di paese, lui è troppo emozionato e tu scopri che è bravissimo. 

Questo disco sistema i problemi, acquieta gli animi e ti accoglie negli infiniti viaggi di ritorno in autobus verso casa. E’ un disco che ti accoglie, che parla di provincia e di amore che si sfalda, è come Dawson’s Creek, senza i perbenismi televisivi e il senso di cringe che ti viene se qualcuno ti coglie di sorpresa alle spalle mentre stai guardando un telefilm per adolescenti. 

Vorrei aver avuto Evidentemente no al liceo, quando ascoltavo i Verdena anche se mi mettevano ansia e i Marlene Kuntz anche se non li capivo. Pietro Berselli mi avrebbe coccolata, e sicuramente lo avrei capito. 

Lasciami andare via, dove non c’è più niente. 

LB

Categorie
Pop

Ho intervistato Metcalfa, in un cimitero

Da martedì 23 marzo 2021 è fuori ovunque Siolence (titolo che viene dall’incontro tra “silence” e “violence”), il disco di debutto di Metcalfa, già anticipato dal singolo MissingSi tratta del mondo oscuro del progetto solista di Metello Bonanno, primo esponente della hybrid music, che viene finalmente svelato, che presenta un suono che mischia elettronica, influenze jazz, atipiche soluzioni timbriche e ritmiche. Lasciatevi trasportare nel mondo di Metcalfa.

SIOLENCE, un incontro tra le parole “silence” e “violence”. La scelta di questo titolo vuole tradurre in parole quello che succede all’interno del disco e le sensazioni che, si spera, possa suscitare nell’ascoltatore. Attimi di pura quiete affiancati ad elementi più ruvidi, in modo da creare un interessante connubio sonoro. 

Siamo andati a parlarne, in un cimitero.

Cos’è cambiato per te dai tempi della prima quarantena?

Onestamente? Da un lato è cresciuta la voglia di lavorare in compagnia e suonare assieme ad altre persone, mentre sul fronte strettamente personale sto trovando la solitudine estremamente affascinante, purtroppo.

Cosa pensi avrebbe dovuto insegnarci il lockdown, e che invece non ci ha insegnato?

Ad apprezzare quello che abbiamo, a dare un valore a ciò che spesso (ed erroneamente) diamo per scontato.

Questo strano periodo che abbiamo vissuto può essere utile all’ispirazione?

Certamente, la solitudine e la noia sono grandi maestri. Come tutti i limiti, portano necessariamente a vedere le cose da un punto di vista differente.

Tu, come altri artisti, hai pubblicato musica nell’ultimo anno. Come è andata?

Personalmente, bene. Non ero partito con l’obiettivo di raggiungere numeri pazzeschi, non era quello il punto. Ma sono estremamente soddisfatto e feli- ce di aver fatto uscire questo disco. Lo hanno sentito un bel po’ di persone e mi ha aperto delle strade interessanti.

Cosa pensi ci sia oggi nel futuro degli artisti?

Molta indecisione, onestamente. Fare musica seriamente richiede molto im- pegno, dedizione, concentrazione e autodisciplina. Molti purtroppo si avvicinano in modo molto ingenuo. Ma penso ci sia (fortunatamente) anche la pro- spettiva per osare di più, per provare cose nuove.

foto di Simone Pezzolati

Categorie
Indie Pop

Intervista a Nicolò Carnesi + Davide Amati

I SANTI è il nuovo singolo di DAVIDE AMATI feat. NICOLÒ CARNESI, in uscita oggi, 9 luglio, per UMA RECORDS PIRATES in distribuzione Sony Music. Questo secondo singolo, insieme a Specchio feat Matteo Alieno farà parte dell’EP in uscita a fine estate, che vedrà quattro canzoni con quattro diverse collaborazioni, svelate una alla volta. In ogni brano Davide ha voluto raccontare una parte di sé, un mood, un suono, un colore che fa parte della sua musica e della sua scrittura.
 
I SANTI è una canzone “suonata”, ricca di momenti musicali dai quali farsi trasportare all’interno di un viaggio dinamico e suggestivo. Introduzione musicale, riff di chitarra, assoli e cambi di scenario improvvisi. Il tutto all’interno della forma canzone con un ritornello da cantare a squarciagola. Il brano è impreziosito dall’interpretazione di NICOLÒ CARNESI, voce inconfondibile e cantautore tra i più apprezzati del panorama. Nel testo si alternano immagini evocative a frasi dirette, taglienti e senza filtri. Nei testi di Davide non c’è mai un’unica chiave di lettura e questa cosa combacia perfettamente con la sua musica.
 
Dopo le prime pubblicazioni (Allunga il passo, Rinascere ogni giorno, Se te ne vai, Lenzuola), in cui il giovanissimo cantautore romagnolo si è presentato al pubblico e ha svelato il suo mondo in cui convivono impertinenti canzoni pop, atmosfere chill e sognanti e malumori universali, DAVIDE AMATI ha contattato quattro artisti, legati alla sua musica da un rapporto di stima reciproca e amicizia, per produrre quattro canzoni che potessero mostrare quattro diversi volti del progetto, che saranno svelati singolarmente, traccia dopo traccia, nei prossimi mesi.

Chi sono i santi a chi fa riferimento il titolo del brano?

Assieme: è stato un flusso di coscienza. Non ho cercato fin da subito un riferimento ma sono partito dall’immagine dei santi come uno sciogli lingua. Un gioco di parole che mi ha dato il la per andare a scrivere la canzone.

Come nasce la vostra collaborazione? Come siete entrati in contatto la prima volta?

Amati: a Nicolò era piaciuta una mia canzone e mi aveva scritto. A distanza di pochi mesi, quando ho deciso di fare questo EP di featuring, ho pensato che “I Santi” sarebbe stato un pezzo nelle sue corde e così è stato. Ci siamo incontrati e ci siamo trovati bene fin da subito.

Che cosa avete in comune musicalmente parlando, e in cosa siete invece diversi?

Amati: ci piace la musica suonata, i cantautori. Nicolò ha un approccio mentale e io muscolare, ci siamo incastrati perfettamente.

Siete stati in grado di influenzarvi? Come?

Carnesi: Nel suonare insieme e nello scambiarci idee in maniera molto spontanea.

Esiste ancora una scena bolognese? Che rapporto avete con la città di Bologna?

Carnesi: Bologna è una città che ti permette di suonare e di incontrarsi tra musicisti e questo permette sicuramente delle contaminazioni che danno il via a delle scene musicali.

x Davide. Prossimi step del progetto musicale?

Per il momento posso dire che usciranno altri due featuring che andranno a completare questo ep.

Categorie
Internazionale Pop

Quello che ho capito ascoltando il primo disco di Adelasia

Prendete Malika Ayane, passatele una canna accesa, regalatele tutti gli album di quegli artisti che si sono ispirati a Mac DeMarco e vi verrà fuori Adelasia. Nata dall’unione del nome Adele + Asia, Adelasia è proveniente dall’Italia e non dall’Asia come il nome tende a far pensare. Il suo album uscito da poco, 2021, ha quelle sonorità un po’ pop un po’ psych che fa capire che lei è l’artista perfetta per quegli ascoltatori a cui piace chillare di brutto. No di certo per quei pazzi schizzati che preferiscono rompersi la schiena con il duro lavoro, ‘sti malati di mente folli scellerati. È sicuramente una delle voci femminili più interessanti del panorama italiano, ma anche asiatico se fosse nata in Asia come il nome fa pensare truffaldinamente.

Il suo percorso artistico è iniziato quando una stella è caduta dal cielo una notte di San Lorenzo di tanti anni fa. Vedendola, Adelasia ha espresso il seguente desiderio: “Ti prego stella cadente fammi diventare una stella del cinema”. Purtroppo quel giorno la stella cadente fu piuttosto sorda perché era troppo concentrata a cadere e sentì “Ti prego stella cadente fammi diventare un’asticella del cinema”. Inizialmente le parve un po’ strano come desiderio, ma decise comunque di esaudire quella commossa richiesta. Così una notte Adelasia si svegliò improvvisamente e si accorse di essere diventata un’asticella del cinema, precisamente una barra metallica che poneva un limite di altezza per gli spettatori più alti di due metri e mezzo nella provincia a statuto speciale di Bolzano, dove le persone là sono tutte alte.

La disperazione iniziale per la sua condizione divenne ad un certo punto rassegnazione: era diventata un fottuto oggetto di metallo, cosa mai poteva succederle? Non aveva gambe, non aveva braccia, era bloccata con delle viti, mannaggia. Si era abituata all’idea oramai. Poi accadde l’impensabile: cinema chiusi in tutto il mondo per l’emergenza pandemica, non avrebbe mai visto più nessuno lì dentro e non avrebbe più esercitato la sua funzione per chissà quanto tempo, quindi si disperò nuovamente appena capì che era diventata un fottuto e inutile oggetto di metallo. Una tragedia.

Le lacrime di quei giorni echeggiarono tra le sale vuote del cinema di Bolzano e furono talmente disperate che le immagini delle locandine presero vita. Come in Una Notte al Museo, esatto. Un impietosito Ezio Greggio uscì dalla locandina di Lockdown all’Italiana e si diresse verso quelle urla di pianto disperate chiedendosi “È lui o non è lui? Cerrrrrrto che è lui” pensando di ritrovare Enzino Iacchetti in overdose da coca tristissimo e tritatissimo. E invece no, non era lui, ma Adelasia, l’asticella del cinema che piangeva. Adelasia si calmò non appena vide Ezio Greggio. Ezio Greggio non si fece tante domande, però rimase molto incuriosito da quella barra metallica parlante.

“Ti prego Ezio Greggio aiutami a scendere da qui” ed Ezio Greggio ubbidì, vivamente colpito. Una volta raccontata la sua storia, Adelasia gli chiese di aiutarla per farla ritornare una persona vera ed Ezio Greggio le disse che lo avrebbe fatto volentierissimo. Così, aggrappata da Ezio Greggio, Adelasia venne portata fuori dal cinema. Direzione: l’ospedale. Il piano era quello di farsi collegare al sistema neuronale di un cadavere per riacquisire le capacità motorie di una persona vera. Ce la faranno i nostri eroi?

Purtroppo no, perché Ezio Greggio una volta uscito dal cinema venne investito da un camion e Adelasia rimbalzò sull’asfalto fino a conficcarsi su un cumuletto di terra poco fuori dalla strada. Nessun umano sarebbe mai passato di lì, le macchine procedevano troppo veloce. Ezio Greggio morì sul colpo e sparì con una nuvoletta di vapore espirando con un delicatissimo “Ciao Amici di Striscia…”, mentre Adelasia rimase conficcata per sempre su quel cumuletto di terra. Da allora, ogni volta che il vento la colpisce, produce un suono soave che da asticella del cinema l’ha fatta diventare un’asticella della musica. Fu così che iniziò ufficialmente il suo percorso artistico.

Categorie
Pop

Caspio ci consiglia 5 brani atipicamente estivi

Esce giovedì 10 giugno 2021bilico, il nuovo singolo di caspio (tutto rigorosamente minuscolo), fuori per Le Siepi Dischi e in distribuzione Believe, qui caspio manda un chiaro messaggio intergenerazionale: non sprecate la vita sull’orlo di un baratro.

In “bilico” c’è una coppia – giovane o vecchia, poco importa – che non riesce a risolversi, che non riesce ad uscire dal loop delle dinamiche che la stanno avvelenando piano piano. Verrà il momento di prendere una decisione, ma un affetto malato ritarda la scelta. Di giorno in giorno, di anno in anno, fino, quasi, ad odiarsi, a non riconoscersi più. Tutto l’amore che c’è stato e che ancora si percepisce in lontananza, tutta la reciproca conoscenza (“Oggi è un’altra domenica / non t’è piaciuta mai”) si è trasformato in un gorgo di sentimenti negativi da cui sembra impossibile uscire. Recriminazioni, colpevolizzazioni, bugie diventano le caratteristiche di una coppia che non sa affrontare la sfida della solitudine. E qui interviene la voce dell’autore che libera, che lascia andare, cadere, perché a volte l’unica soluzione è quella di buttarsi nell’oscurità di un futuro che non puoi sapere come sarà. Ma che potrebbe anche essere migliore. Perché poi quello che conta è affrontare, sempre e comunque. Scontrarsi con le proprie idee, con gli effetti delle proprie scelte. Buttarsi nel vuoto, se ciò serve a cambiare qualcosa.  Precipitare per ritrovare se stessi.

Visto che ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine delle vacanze, gli abbiamo chiesto 5 brani atipicamente estivi.

Ho scelto, con non poca fatica, le mie cinque canzoni atipicamente estive. Le ho scelte perché pur non essendo frizzantine, allegre, solari, come il periodo richiede, sono legati a momenti e situazioni che, invece, lo sono eccome.

GINEVRA – Metropoli
Scoperta durante il primo concerto post-lockdown. Se, quindi, ero già contento di sentire di nuovo musica dal vivo, scoprire questa ragazza piena di talento, in una sera di fine estate, in mezzo ad un vigneto, mi ha fatto ritrovare la fiducia nell’umanità.

The National – Quiet Light
A luglio 2019 ho assistito all’ultimo concertone dal vivo pre-pandemia. I The National sono forse il mio gruppo preferito, quindi, quando li ascolto, sono contento come quando a giugno c’è ancora la riga del sole, sul mare, alle dieci di sera.

Niccoló Fabi, Max Gazzè – Vento d’estate
Nonostante il titolo, è la canzone più atipicamente estiva che ci sia. Parla dell’estate in un modo nuovo: le caratteristiche tipiche che fanno dell’estate la stagione più felice e spensierata, in Vento d’Estate, diventano i suoi difetti.

Phoebe Bridgers – Garden song
La sensazione che mi trasmette è quella che precede l’estate. Potrebbe essere la canzone del mio personale maggio, quando tutto si prepara ad esplodere.

Foals – Exits
Consumata la scorsa estate, è stata la colonna sonora del risveglio. In termini assoluti.

Categorie
Indie Internazionale Pop

Quello che ho capito ascoltando il primo album di Neverbh

Non ho saputo resistere e ho fatto un track by track del primo disco di Neverbh.
zero miracoli è il nuovo album di Neverbh, in uscita il 21 maggio per UMA Records, in distribuzione Sony Music Italy. È stato anticipato dai singoli: moon, vai o resti, ehi dimmi e byebye (feat Tamì) e ora insieme agli altri inediti si presenta come un racconto, ogni canzone è una fotografia di un momento preciso ed è associata a un simbolo, uno storytelling visivo oltre che cantato. Questo disco rappresenta l’ultimo anno di crescita e di ricerca dell’artista veronese, dove ritornelli pop, venature elettroniche e sonorità lo-fi esaltano la sincerità del suo songwriting: autentico, sussurato e delicato.
 
 “zero miracoli ha un doppio significato. Da un lato, quando qualcosa finisce non puoi aspettarti che torni indietro, non devi appenderti con ossessione a un miracolo, ad un ritorno. Quel che avevi è stato perso, e devi andare avanti, nel bene e nel male. Dall’altro, nella vita devi combattere per prenderti i tuoi sogni. Non puoi aspettarti che accada il miracolo. Devi stringere i denti e lottare. Il senso è che spesso credere ai miracoli è limitante, perché ci porta ad avere poca fede in noi stessi, ci sediamo e speriamo che le cose accadano. Invece siamo noi a farle accadere.” Neverbh


Neverbh – nome che sta per Never Boycott Heinz, proprio perché il ketchup dell’Heinz è proprio bono – è un giovane appassionato di salse della marca americana Heinz. Nella vita fa anche l’artista, ma questo aspetto passa in secondo piano: ha provato a far combaciare le due cose e infatti ha pubblicato un album, Zero Miracoli, per sottolineare la pochezza e l’aridità della vita senza salse Heinz. “Ti ho scritto una canzone dimmi che ne pensi”, termina così il primo brano riferendosi al suo panino con mostarda Heinz. Magari i panini potessero parlare, eh.

[ Intro ]

Nella canzone successiva c’è questo rapporto difficile con i prodotti di questo noto marchio, sottolineando come quando Neverbh se ne va dalla sua hamburgeria di fiducia lui comunque pensa sempre a loro, alle salsine Heinz. Anche quando torna a casa, o sulla luna, lui comunque pensa a loro.

[ Moon ]

“La vita un po’ ci odia ma soltanto quando è giorno, che di notte siamo luce che colora questo mondo” qua invece sottolinea che la corretta consumazione della salsa barbecue è preferibile di sera perché durante il giorno può dare acidità. Inoltre, è un po’ affranto qua perché non sai mai se scende o no la salsina dalla bottiglietta: se premi non scende e quindi spesso è giusto arrabbiarsi con questo packaging maledetto che separa il loro amore.

[ Vai o Resti ]

Non a caso, se nel brano precedente Neverbh si incazzava perché non capiva se la salsina scendeva o no dalla bottiglietta, in questo nuovo brano c’è una terribile consapevolezza: la fine della salsina Heinz. Lo struggimento dell’artista si sente tanto, è un grido di dolore che fa un sali e scendi emozionale velocissimo e che purtroppo non può essere fermato ma solo affievolito con parole dolci di ricordo.

[ Ho Pianto Un Fiume ]

Con la canzone successiva, il ricordo diviene nostalgia. “Giuro che mi manchi un po’”, e cos’altro potrebbe dire per affievolire un dolore così atroce, mesto e privato? La perdita di una persona cara fa meno male rispetto alla sensazione che si prova quando finisce la maionese Heinz: questo è quello che cerca di dire Neverbh.

[ Manchi un Po’ ]

Dopo la fase della tristezza, c’è la fase della rabbia. Come è possibile che se ne è andata senza avvertire? Era piena la bottiglietta fino a due giorni fa! Questo è quello che ha pensato l’artista, potevano anche mettere un sensorino sulla bottiglietta che lo avvertisse della dipartita a breve, e invece no. Finita così, senza dire nulla, senza neanche un messaggio, niente.

[ Dirupo ]

Passano i giorni e passa il dolore, la rabbia e tutto il resto. Ormai le salsine Heitz sono un lontano ricordo: adesso c’è una nuova fissa, il digestivo Brioschi. Lui sì che poteva far passare quell’acidità di stomaco causata proprio dalle salsine Heitz. Talmente in fissa che ora Neverbh voleva dire “Never Brioschi’s Hopeless”. Dio mio come è tutto più bello senza quelle merdose salsine Heitz.

Però… Però quel vuoto dentro rimane. E si fa sentire.

[ Calmo – Bye Bye ]

Neverbh sottolinea spesso nei suoi brani come le cose che capitano per caso alla fine si rivelano essere sempre quelle più belle, come gli capitò di rivedere di sfuggita i fagioli Heinz, con la salsina al pomodoro… Dio mio Heinz, quante facce hai? L’approccio timido sugli scaffali del supermercato diviene amore verace una volta a casa. Si è riaccesa la fiamma: fagioli sul forno a microonde, fagioli sul lavandino, fagioli sul tavolo, fagioli sul letto. E tutto questo solo per riassaporare una nuova salsina Heitz, che riempie la pancia e riempie il cuore. Da allora Neverbh tornò con il suo nome originale, Never Boycott Heinz, conscio del fatto che quell’amore sarebbe durato per sempre questa volta.

[ Ehy, Dimmi – Miracoli ]