Categorie
Internazionale

Ho scritto la biografia non autorizzata di Torchio

Fuori da lunedì 10 maggio 2021 per Ohimeme (www.ohimeme.com) il nuovo disco e primo full length solista per il cantautore di Alessandria Torchio. Un nuovo capitolo che segue il singolo omonimo e il brano Agamennone, uscito di recente. Un disco che è una sorta di autobiografia musicale che nasce dall’urgenza di raccontarsi sinceramente, e senza limiti di genere. E per l’occasione ho scritto la biografia assolutamente vera di un uomo che sussurrava al cuore dei ribelli.

Sceso nella terra dal Monte Cervino sotto forma di meteorite che poi ha generato una frana e la morte di almeno 457 bovini, Torchio inizialmente venne scoperto in fasce da un viticoltore di passaggio mentre andava a cercare gli asparagi tra i boschi. Portatoselo dietro, Torchio venne chiamato così perché crescendo tra i vigneti dove viene prodotto e imbottigliato il Monferrato passava il suo tempo libero a spiaccicare con i piedi l’uva del buon padre adottivo. Fu un simpatico nomignolo che gli fu dato, anche perché prima si pensava che il suo nome fosse Vercingetorige Rodriguez Fritz Ludwig Van Basten De la Vega, per cui aveva veramente bisogno di un nome più corto.

I primi approcci con la musica li ha avuti sentendo le bestemmie dei vicini di vigneto nel momento in cui non funzionava a loro una motosega o un trattore e, trovando le loro imprecazioni piuttosto orecchiabili, compose la sua prima canzone con il titolo “Il Signore è il mio trattore”. Sentitagli canticchiare per strada dal parroco della zona, ma intendendo male il contesto da cui ha tirato fuori il brano, Torchio venne spinto a diventare la voce bianca del coro della chiesa locale. Esperienza che si concluse prematuramente in quanto entrò in pubertà all’età di sei anni e mezzo.

In età adolescenziale comprese di essere diverso dai suoi coetanei in quanto mentre loro si abbandonavano all’iperconsumismo, lui si interessò moltissimo alla toponomastica. Tentarono di bullizzarlo in qualche modo, era troppo strano agli occhi loro, però lui si difese bene minacciandoli dicendo che da grande sarebbe diventato un assessore all’urbanistica e prefetto e la prima cosa che avrebbe fatto una volta eletto tale sarebbe stata quella di titolare le nuove strade con i nomi dei più stronzi che lo trattavano male dandogli poi dei sottotitoli decisamente creativi. Come successe al povero Sandro Pavese, bulletto di 3ªB, che divenne “Illustre coprofago” nella via intitolatagli nei pressi della Stazione di Alessandria qualche anno dopo. Gesto che costò il lavoro a Torchio quando il sindaco se ne accorse.

Decidendo da allora di non buttarsi più in lavori di ufficio, Torchio durante l’età adulta si diede al nomadismo e decise di far emergere ancora di più il suo carattere ribelle tramite le sue canzoni. Si pensa che il termine “sotto torchio”, usato quando si vuole descrivere una persona messa a dura prova durante un contesto sfiancante, sia stato creato recentemente ed esattamente poco dopo la nascita del suo progetto musicale solista. Non è un caso che tutte le persone a cui hanno assistito ad un concerto di Torchio poi siano diventate delle anarchiche rivoluzionarie che hanno sovvertito situazioni denigranti: un esempio lampante sono i No Tav che hanno avuto una consapevolezza di loro e si sono organizzati come rappresentanti di un nuovo movimento poco dopo la fine di un suo concerto in Val di Susa.

Ad oggi, possiamo dire con certezza che tutte le persone sotto Torchio hanno messo gli ideali davanti a tutto e moralmente le loro battaglie le hanno già vinte. Anche Friday for Future si è sviluppato dopo un incredibile concerto a Stoccolma in cui una fan accanita di nome Greta Thunberg rimase completamente folgorata dal suo carisma e incanalò quelle energie facendo quello che poi effettivamente ha fatto. Sotto Torchio, lei ha tenuto sotto torchio i potenti del pianeta praticamente.

Non si sa attualmente dove risieda: alcuni pensano che sia stato lui a creare i primi vaccini contro il covid in Germania tramite il sangue delle sue dita che fuoriesce quando suona la chitarra, altri pensano che stia proteggendo la Palestina tramite una barriera del suono creata come muro contro i razzi di Israele. Nessuno lo sa. Il suo spirito per ora è presente negli animi dei ribelli e l’unica sua traccia che attualmente alimenta il loro fuoco interiore è il suo primo album titolato “Non vi appartengo”, uscito lo scorso 10 maggio.

foto di Simone Pezzolati

Categorie
Internazionale Pop

Le 5 cose preferite dagli The Heron Temple

Esce giovedì 17 giugno 2021 (in distribuzione Artist First) Sciogliersi un po’, il nuovo singolo dei The Heron Temple. Un nuovo capitolo di cantautorato electro-pop che fonde movenze elettroniche e giri di chitarra elettrica, per chi ha sognato almeno una volta di perdersi con qualcuno che si ama, per chi ama ballare sulle canzoni tristi e per chi, forse, ama anche litigare. Scioglietevi un po’…

Non abbiamo saputo resistere, e abbiamo chiesto loro quali sono le loro cinque cose preferite.

Vincent – CASA: Durante i vari lockdown in molti hanno sviluppato un rapporto conflittuale con casa e lo capisco, ma per me è stato completamente il contrario. Prima di allora passavo davvero poco tempo a casa tra concerti, studio di registrazione e teatro. Da quando si è fermato tutto mi sono reso conto di quanto fossi fortunato ad avere una casa con un grande giardino in una delle regioni con il clima migliore del mondo. Ho scoperto che si può lavorare al computer anche seduto su una sdraio sotto il sole o semplicemente farsi una birra con gli amici sdraiati per terra con un paio di candele intorno. Ho vissuto per tanti anni all’estero ma solo ora inizio ad avere la percezione di quanto possa realmente amare la mia casa ed il senso di benessere che mi da sentire radici ben ancorate al terreno.

Vincent – HER di Spike Jonze: Ho visto per la prima volta questo film per sbaglio, credendo fosse un film leggero, di quelli da guardare prima di andare a letto. Ne sono uscito completamente rotto, non saprei dire se in negativo o in positivo. Ho trovato così tanti spunti sociali, relazionali ed emotivi che per mesi vivevo in una specie di bolla in cui rivedevo tutto quanto nella vita quotidiana. È stata una sorta di ossessione che mi feriva ed allo stesso tempo mi rigenerava. E questo dovrebbe fare l’arte nella sua forma più alta, deve turbarti ma trascinarti in uno stato di catarsi così intenso da essere liberatorio.

Valerio – L’ALCHIMISTA di Paulo Coelho: Il protagonista del romanzo è Santiago,

un pastore andaluso che ha un sogno: quello di recarsi in Egitto per raggiungere le Piramidi dove troverà un tesoro. Santiago si avventura alla scoperta del mondo, incontra tante persone, entra a contatto con diverse lingue e culture di cui non era neanche a conoscenza, a tratti vorrebbe tornare indietro, lì dove tutto ha avuto inizio e dove può sentirsi più al “sicuro”, ma dall’altro lato non riesce a resistere all’insaziabile curiosità e l’irrefrenabile tentazione di non sapere cosa gli riserverà il domani.

Un viaggio che si rivelerà a tutti gli effetti un “viaggio dentro se stesso”.

Un libro per i sognatori e che in un periodo psicologicamente pesante mi ha riempito occhi e cuore di gioia.

Entrambi – ABBEY ROAD dei Beatles: per noi Abbey Road è uno di quei dischi che significano molto di più che semplici canzoni in sequenza. A casa di Vincent spesso mettevamo su il vinile di Abbey Road mentre scrivevamo le bozze dei nuovi brani. Dal primo all’ultimo secondo c’è talmente groove, sensualità, delicatezza, genialità che reputiamo Abbey Road una fonte d’ispirazione continua e sempre rinnovata. E’ un disco avvolgente che sembra portarti su un’altra galassia aprendoti nuovi orizzonti.

Entrambi – No Diggity di Chet Faker: abbiamo scelto questa canzone perchè in qualche modo è stata un po’ la svolta nel nostro modo di suonare. Vincent è cresciuto ascoltando i grandi del passato (Rolling Stones, Led Zeppelin, Robert Johnson etc.) mentre Valerio è stato sempre propenso ad assorbire tantissimi generi diversi guardando alle nuove uscite musicali.


Categorie
Internazionale

Il lockdown secondo Gabriele Pirillo

E’ uscito in digitale (ascolta qui) e in radio “Mi chiedevo se”, il nuovo brano di Gabriele Pirillo, cantautore e chitarrista 22enne, new-entry dell’etichetta 800A Records. Questo singolo è il primo di quattro che faranno parte del suo album d’esordio, previsto per l’inizio del 2022.

Gabriele Pirillo, artista che ha tra le sue influenze musicali Giorgio Poi, Canova e John Mayer, scatta una fotografia di “Mi chiedevo se”: “questa canzone parla di due persone che non riescono a realizzare la fine di una storia, che cadono negli stessi errori perché convinti di poter ritrovare un equilibrio. È il racconto di un amore confuso in cui non è più chiaro cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, in cui a tratti sembra tutto nitido e all’improvviso ci si rende conto di non aver capito niente.”

Per l’occasione, gli abbiamo chiesto qualcosa in più sul suo lockdown.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale?

Si, ha cambiato radicalmente la mia quotidianità. Prima dell’inizio della pandemia abitavo a Cagliari, studio Medicina lì da 4 anni ormai. Sono ritornato nella mia adorata città natale che è Palermo ma penso che da Settembre ritornerò in Sardegna! In questo periodo a Palermo ho messo un po’ più a fuoco il mio progetto musicale, mi sono riattivato mettendo su una band che mi accompagni durante i live ma anche durante le registrazioni in studio. Inoltre adesso faccio parte di una casa discografica palermitana che è 800a records, e ne sono molto contento. Penso di poter dire che la pandemia ha influito quasi positivamente nei miei piani musicali perché mi ha permesso di riprendere in mano il mio progetto musicale che durante il periodo fuori sede, a Cagliari, stava un po’ sfumando e perdendosi tra i libri e gli esami universitari.

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?

Non mi piace proprio annoiarmi, per cui cerco di farlo il meno possibile. Seguendo un percorso universitario ho un impegno costante che è lo studio ma cerco di tenermi sempre attivo: organizzo le prove con la band, vado in palestra, cerco di uscire con i miei amici nei limiti del possibile. In realtà adesso, grazie alle vaccinazioni, siamo quasi alla fine di questo periodo così strano, per cui bisogna essere positivi!

Ti ricordi la primissima quarantena? Come l’hai passata?

Per me quel periodo è stato davvero difficile ma anche uno dei più proficui musicalmente parlando. Ho registrato a casa il mio primo “mini” EP, chitarra e voce, che si chiama “Francesca”. Proprio il fatto di averlo registrato in quel periodo quando lo ascolto mi ricorda esattamente la voglia che avevo di sussurrare quelle canzoni in quel microfono, in qualche modo riuscivo a evadere dalla sensazione di vulnerabilità che penso coinvolgesse un po’ tutti in quel momento.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?

Mi chiedevo se parla di due persone che non riescono a realizzare la fine di una storia, che cadono negli stessi errori perché convinti di poter ritrovare un equilibrio. È la storia di un amore confuso in cui non è più chiaro cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, in cui a tratti sembra tutto nitido e all’improvviso si ci rende conto di non aver capito niente. Il testo deriva da un’esperienza personale, Io scrivo una canzone solo quando qualcosa mi ha scosso davvero (e questo succede pochissime volte) ma non l’ho scritta nell’ultimo anno. Anzi, per me è una canzone “vecchia” perché fa parte di una serie di brani che ho conservato per tanto tempo e che non vedo l’ora che vedano la luce!

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?

La libertà di poter uscire, viaggiare, abbracciare e baciare senza preoccupazioni, senza pensarci troppo, senza vincoli e restrizioni. Arriverà quel momento, e sarà bellissimo.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?

L’ultima serata senza coprifuoco.. no, non la ricordo ahaha

Categorie
Internazionale

5 brani per il post rottura per Angelika

Esce giovedì 20 maggio 2021 per Supersugo Dischi il singolo di debutto di Angelika dal titolo Cilekka. Un brano che è un nuovo inizio per la cantautrice classe 1998 che vanta una posizione in bilico tra it-pop al femminile e influenze urban, un brano composto di sentimenti distorti e malinconia da ballare, che si impone contro tutti gli abusi emotivi.

Cilekka nasce dalla voglia di ribellarsi ad un silenzio sofferto; è un invito a tutte le persone, uomini o donne che siano, a rifiutare ogni tipo di abuso emotivo. Un racconto tagliente ed ironico contro qualsiasi atteggiamento tossico.

Le abbiamo chiesto i suoi 5 brani preferiti per superare una rottura.

“Ogni storia d’amore è accompagnata da almeno due canzoni; la prima è sicuramente quella che ci auguriamo che resti anche l’unica ovvero la canzone d’amore, quella dell’incontro, quella che parla di voi e del vostro speciale legame. La seconda canzone arriva quando la storia va in fumo ( l’augurio per tutti voi è che questa canzone non arrivi mai). Di seguito 5 canzoni che ,a mio parere, sono ideali per superare una rottura e che vi faranno ritrovare la carica giusta.”

Cry Me a River – Justin Timberlake O Micheal Bublé?

“Cosa hanno in comune Justin Timberlake e Micheal Bublè? Il primo, Justin Timberlake, nel 2002 ha lanciato nel mercato musicale una vera e propria bomba, “Cry me a River”di cui recentemente anche Jorja Smith ha fatto una meravigliosa cover acustica per la BBC Radio 1 . Justin nel brano invita la sua ex partner a piangere per lui un fiume di lacrime dopo averlo lasciato.

Micheal Bublè invece nel 2009 ha inciso una cover contenuta nell’album “Crazy Love” di un brano datato 1953 di Arthur Hamilton ( reso celebre dalla bellissima interpretazione di Ella Fitzgerald) intitolato appunto “ Cry Me a River”. Due titoli uguali per due situazioni analoghe; in sintesi un invito a pensare all’errore commesso nel perderli.”

These Boots Are Made for Walkin’ . Nancy Sinatra

“One of these days these boots are gonna walk all over you” canta Nancy Sinatra dichiarando apertamente che sarà capace di andare avanti con una certa fierezza. Se siete giù, stivaletti ai piedi e Nancy Sinatra ad alto volume.

Sorry – Madonna

Madonna canta “non voglio sentire, non voglio sapere! Ti prego di non dirmi che sei spiacente”. Un brano per tutte/i coloro che hanno l’ex al portone che chiede perdono; l’amore è cieco ma non sordo, le bugie sono, nel loro silenzio, assordanti.

I’m Good – Blaque

Un brano del 2003 del gruppo, tutto al femminile, chiamato Blaque! Non le conoscete? Potete recuperare guardando il film Honey con una giovanissima Jessica Alba come protagonista. Le Blaque cantano “ I don’t really mean a thing cause, I’m good With or without you”;un brano che vi darà una bella carica!

Womanizer (Donnaiolo) – Britney Spears

It’s Britney Bitch! Womanaizer è un iconico brano di Britney Spears uscito nel 208 accompagnato da un altrettanto iconico video-clip in cui un “povero” donnaiolo viene aggredito da una moltitudine di donne. Un brano da cantare in macchina a squarciagola, che vi farà allentare parecchia tensione.

Categorie
Elettronica Indie Internazionale Pop

Il lockdown secondo Hesanobody

Esce venerdì 30 aprile 2021 il nuovo singolo di Hesanobody per Street Mission Records (etichetta londinese distribuita da [PIAS]). Si tratta del primo nuovo estrato dal nuovo e conclusivo capitolo della trilogia di EP iniziata con The Need To Belong e The Night We Stole The Moonshine, in uscita quest’estate. Il progetto solista di Gaetano Chirico torna con il suo inconfondibile cantautorato electro-pop di respiro internazionale. The Necessary Beauty è un risveglio dopo una serie di sogni e incubi, un ritorno alla realtà che ritrova il protagonista a fare il punto della sua vita, confrontandosi con domande retoriche, inutili, che rischiano di ingigantirsi intralciando il suo cammino, una preghiera fragile per ritrovare una via che rendiamo inconsciamente impervia, auto-sabotandoci.

Gli abbiamo chiesto come ha passato il lockdown!

Come stai passando questo strano periodo, qual è la tua routine?

Sto passando questo periodo sforzandomi di renderlo il più normale possibile. La mia routine non è cambiata tantissimo, “semplicemente” molte cose che prima facevo di persona, adesso son costretto a farle da casa davanti ad un computer e qualsiasi serata con altre persone, che sia fuori o a casa, deve terminare entro un certo orario. È di sicuro alienante, anche per una persona che ama molto stare a casa come me. Più che altro a seconda del momento mi capita di vivere male e con fastidio l’impossibilità di scegliere, di avere alternative.

L’arrivo della pandemia ti ha sconvolto qualche piano? Quale? 

Li ha di certo rallentati parecchio. Già l’anno scorso ero pronto a pubblicare un singolo in primavera, ma le chiusure, le limitazioni e l’incertezza hanno bloccato qualsiasi cosa, facendomi ripensare a tutto il mio nuovo lavoro. Mi auguro in meglio!

Te la ricordi la primissima quarantena? Come la passasti?

Chiuso in casa, per fortuna non da solo come molta gente. Con la mia ragazza ci siamo accodati alle innumerevoli persone che hanno deciso di darsi alla panificazione, ma solo dopo aver lottato per settimane alla folle ricerca del lievito.

Di cosa parla il tuo ultimo singolo? L’hai scritto nell’ultimo anno?

‘The Necessary Beauty’ è sostanzialmente una preghiera. Un’esortazione a non lasciarsi sopraffare dalle aspettative che noi stessi e gli altri riponiamo sul nostro percorso di vita, a non auto-sabotarci cercando risposte alle domande sbagliate. Ho iniziato a scriverlo nel maggio del 2019, dopo di che l’ho lasciato sedimentare fino all’estate scorsa, quando sono riuscito a trovare la veste definitiva grazie all’aiuto di Federico Ferrandina, il produttore della traccia.

Cosa ti manca più di qualsiasi cosa?

Non aver paura di abbracciare familiari e amici, ma son fiducioso si tratti solo di pazientare ancora per poco.

Ti ricordi ancora l’ultima serata che hai fatto post 22.00?

Quest’estate nella mia città natale Reggio Calabria. Ho passato diverse di serate pseudo-normali e senza limitazioni dettate da coprifuoco. Non vedo l’ora si possa tornare a farlo.

Categorie
Indie Internazionale Pop Post-Punk

Bibopolare, massaggio cardiaco per un cuore al collasso

Mica facile tornare alla vita, ricordarsi come scrivere di musica dopo così tanto tempo che non lo fai. Le bollette da pagare, gli affitti da sbarcare, il dentista da saldare e una liquidità alienante che ci sta condannando – in modo sempre più disperato e tragicamente “resiliente” – ad assumere le forme di contenitori che non si lasciano individuare ma che, ciononostante, danno una direzione sempre cangiante al nostro existere et cogitare, insomma, la frenesia di una quotidianità sempre più isterica mi ha tenuto, negli ultimi mesi, lontanissimo da quello che più amo fare: scoprire cose nuove, ascoltare musica che emozioni, dare un senso a tutto questo grigiore che attanaglia l’entusiasmo ed uccide la fantasia.

Ci voleva in effetti un disco come quello di Bibopolare – eccentrico cantastatorie (o meglio, auto-terapeuta lucano: ascoltate il suo ultimo lavoro, e capirete cosa intendo) originario di Potenza ma con base a Bologna – per farmi riprendere in mano il filo del discorso, restituendo un po’ di speme a questo corpo lasso e stanco di immondizie musicali (cit.) e di direttori artistici che sarebbero dovuti andare in pensione già quarant’anni fa (ai tempi, insomma, del celebre disco “Patriots” del grande Franco Battiato) e che invece, travestiti da novelli hipster e produttori rigenerati (Frank Zappa docet), continuano a vendere la rivoluzione a colpi di mercato.

Perché si sa, la moda di essere ribelli non smetterà mai di far arricchire editori e discografici sempre ben attenti ai bisogni dei più giovani, che altro non sono che «splendide invenzioni – come direbbe Alessandro Carrera – del XXI secolo» e – da almeno sessant’anni, quando cioè il boom economico ha scoperto il “tempo libero” – pacchetti azionari deambulanti per l’industria dell’intrattenimento.

Bibo, invece, dal bagno di casa sua (sì, quello che sentite nel disco è lo splendido riverbero naturale che si può apprezzare solo nel gabinetto della propria abitazione) ha registrato un disco diverso, che parla di tutte quelle cose che ho elencato sopra e che negli ultimi mesi mi hanno succhiato via a forza la voglia di ascoltare, di scrivere e di crederci: dall’ascolto denso e (volutamente) faticoso di “Com a na crap” – letteralmente, “come una capra” – emergono richiami alle radici e slanci verso un recupero del passato tanto retrò da sembrare futuristico, tanto originario da diventare originale.

E in effetti, “Com a na crap” è un disco che non possono capire tutti, che in playlist non finirà mai perché invece che consolare l’ascoltatore lo prende a pugni, con la crudezza di una poesia amara avvalorata dal filtro sempre malinconico e nostalgico della scelta dialettale, ben lontana qui dal populismo dello stornello o della tarantella (anche se, ben s’intende, nulla vi sarebbe stato di male in caso contrario) ma piuttosto vicino al cinismo onirico di un Trilussa (anche se qui il dialetto usato non è quello romano, ovviamente, ma il lucano).

Bibo racconta di dolori che appartengono alla mia, alla nostra generazione, irrisolti cronici a cavallo tra un passato da inadatti alla responsabilità e un futuro che ci obbliga al protagonismo, senza concedere margini di errore ad un popolo di eterni adolescenti immobilizzati dalla costante svalutazione della propria virtù, dalla disistima inflazionata da una crisi prima valoriale e poi economica, da una licenza di sopravvivenza che ci ha disimparato a vivere davvero.

Insomma, in “Com a na crap” Bibopolare racconta tutti i motivi che mi hanno spinto, come dicevo, a desistere dall’ascoltare musica nuova, dal cercare «nell’inferno ciò che inferno non è» e dal credere che possa servire a qualcosa; allo stesso tempo, nello stesso disco, si annidano tutti i motivi necessari a non smettere di resistere, a non cessare di lottare.

Sapere di non essere soli, in questa disperata trincea, fa bene al cuore rimettendolo al proprio posto, dov’è sempre stato. Qui, trovate qualche domanda fatta all’artista, che ha risposto con la sua proverbiale e serafica semplicità. Su tutte le piattaforme d’ascolto digitale, invece, trovate “Com a na crap”, il disco d’esordio di Bibopolare.

Fatevi del bene: sudatevelo; ne vale la pena.

Categorie
Internazionale

Abbiamo intervistato Papa Fral

Arriva l’estate e con essa anche i singoli più adatti alla stagione. Non fa eccezione Papa Fral, rude boy capitolino che propone una dancehall decisamente interessante e dal flow unico. “Downtown” è il suo nuovo singolo, recentemente pubblicato per Mitraglia Rec e con il quale l’artista romano non lascia dubbi sulla qualità della sua proposta. Ne abbiamo parlato con lui.

Ciao Papa Fral e grazie per il tuo tempo! Prima di tutto raccontaci com’è fare dancehall in Italia.

Grazie a voi, è un piacere per me!
Fare Dancehall in Italia a volte è tremendo, come per molti altri generi. La fatica principale è quella di riuscire a superare i dogmi dei puristi del genere che spesso storcono il naso quando il loro genere preferito viene mescolato ad altro, cosa che faccio puntualmente.
Ci sono anche numerosi lati positivi, perché essendo un genere poco esplorato nel nostro paese, almeno negli ultimi anni, rimane impresso nella mente della gente che lo sente per la prima volta, vedo questo soprattutto durante i live. È sicuramente una strada in salita, ma si balla, quindi va bene così!

Da persona e da artista, cosa ti lega a questo genere e, più in generale, alla Jamaica?

Sono le emozioni che mi legano a questo genere e quindi alla Jamaica, come ad altri posti.
Adoro quell’isola perché è riuscita a ispirare più di metà della musica mondiale, me compreso.
Dopo essere stato lì ho capito anche l’approccio autentico che la Jamaica ha con la musica e me ne sono definitivamente innamorato.

Passiamo a Downtown, il tuo nuovo singolo. Flow, testo e base pazzeschi per una traccia che potrebbe diventare davvero una hit! Da quale di questi tre elementi sei partito per farla nascere? 

Se dovessi metterli in ordine direi flow, base e testo. Avevo un flow in mente, in maniera molto vaga; quando king The Eve ha composto il riddim il testo è uscito da solo.

Pensi che il 2021 sia l’anno buono per la dancehall in Italia? O reputi si debba ancora fare parecchia strada prima che il genere diventi più main?

La musica in generale dovrà faticare anche quest’anno ovviamente e si dovrà aspettare. Se dobbiamo andare ad una dancehall per stare seduti non ha senso, questo è chiaro!


Con quale artista italiano ti piacerebbe collaborare? Senza distinzione di generi. 

Dipende, adoro fondere il mio stile con altri generi, quindi potenzialmente con quasi tutti gli artisti validi.
Mi piacerebbe sicuramente collaborare con Clementino, i Sud Sound System, Vacca ed altri. Sicuramente una combo con Brusco è uno dei miei sogni nel cassetto da sempre, ma su questo non vi dirò assolutamente nulla per ora…

Per concludere: dove possiamo seguirti per non perderci i tuoi prossimi passi?

Sicuramente sui social, Instagram, Spotify, YouTube…
Ma principalmente dovete venire ai live perché voglio vedervi tutti sotto al palco.
Rimanete in ascolto perché sta per esplodere una bomba!

Categorie
Elettronica Internazionale Pop

Le 5 cose preferite dei Low Polygon

Con un nome che fa riferimento diretto alla grafica tridimensionale – in particolare ai poligoni – i Low Polygon si pongono l’obiettivo di tradurre in musica quello che sentiresti nel tenere in mano un cubo. Da un lato dinamiche nette e affilate. Dall’altro lato, loop sia nella musica che nei testi. Una tridimensionalità che viene trasportata live con strumenti acustici ed elettronici. Low Polygon è un progetto che nasce nel 2018 a Dalmine in provincia di Bergamo. Inizialmente concepito come un progetto di musica elettronica prende nel tempo la forma di un ibrido acustico/elettronico per poter essere portato sui palchi.

Dietro Low Polygon ci sono Giorgio, Davide, Marco e Omar; un team a metà tra la musica e l’arte grafica con una concezione stilistica, sonora e artistica improntata sul concetto “low poly”.

Ecco quali sono le loro cinque cose preferite.

BABASUCCO
Eravamo all’Off Topic di Torino e Omar aveva queste bustine di “babasucco” che gli avevano dato giorni prima come energizzante con caffeina e/o ingredienti con effetti simili. L’utilizzo era semplice: busta, acqua, mescola. Sta di fatto che abbiamo deciso di testarla su Marco senza dirgli niente per vedere se effettivamente funzionasse, per essere sicuri abbiamo usato qualche busta in più. C’è da dire che Marco non è mai stato un gran fruitore di caffeina e la botta di energia si è manifestata in modo piuttosto massiccio: pochi minuti dopo averlo bevuto non riusciva a smettere di muoversi, è stato un razzo a smontare tutte le cose sul palco ed è uscito dal retro del locale facendo avanti e indietro più volte sulla via, l’effetto è durato in modo considerevole contando che nella pausa autogrill tra Torino e Bergamo è sceso dalla macchina per fare svariati giri di corsa attorno all’autogrill alle 2 di notte.

POLIZIA
Chi ci conosce sa che abbiamo sempre avuto difficoltà a descrivere il nostro genere musicale, c’è dell’elettronica ma con molti riferimenti suonati, delay piuttosto ricercati ma anche fuzz ignoranti e quando i poliziotti in un controllo di routine fuori dall’autostrada ci hanno chiesto “ah si, eravate a suonare? e che genere fate?” siamo caduti in un silenzio di riflessione che è risultato estremamente sospetto. Marco cercando di riempire il vuoto esordisce con “prima cantavamo in inglese ora cantiamo in italiano” la risposta dell’agente è stata “avete fatto bene, potete andare”; è da quel momento che abbiamo deciso definitivamente di cantare in italiano.

IL LICEO ARTISTICO PIERO PELÙ
La prima volta che siamo andati a suonare a Firenze è nata una legge non scritta interna al gruppo per cui Giorgio non può guidare.
Non c’è un vero motivo anche perchè io (Giorgio) ho sempre guidato, ma da allora nelle trasferte più lunghe sto seduto dietro e mi faccio portare, top. Mentre mi godevo il viaggio dai sedili posteriori ho convinto tutti che a Firenze ci fosse un liceo artistico dedicato a Piero Pelù. Ci piace ricordare quel momento.

IL GIOCO DI OMAR
Esiste un gioco alcolico che dopo averlo giocato nessuno ricorda più le regole e vanno riscritte, è il gioco di Omar.
Omar è l’unico che se lo ricorda: tra i nostri amici esistono molte varianti di questo gioco perché ogni volta viene ricreato, anche se onestamente ora non me le ricordo.

LA PASTA PRE CONCERTO
Alcuni la mangiano prima, altri la mangiano dopo, altri come Cesti scompaiono fino all’inizio del concerto perchè si ritira a meditare nell’angolo più isolato del locale. Insomma la abbiamo provata di tutti i tipi: calda, fredda, buona, e soprattutto dimmerda.
Nonostante l’imprevisto che il cibo svolge nel periodo tra il soundcheck e il live, questa pasta di Schrödinger è il momento che aspetti prima di salire sul palco. Contiamo di tornare presto a mangiarla e di conseguenza a suonare.

Categorie
Indie Internazionale Pop

Le 6 giornate storte di Adelasia

Esce venerdì 28 maggio 2021 per Sbaglio Dischi (distr. The Orchard) il nuovo singolo di Adelasia dal titolo Giornata Storta. Un nuovo capitolo che segue l’uscita del suo album di debutto 2021 pubblicato alla fine dell’anno scorso.   Giornata storta è un brano che si impone come un singolo estivo per chi, un po’ come tutti, vive continuamente giornate storte, psicodrammi e amori non corrisposti, e riesce comunque a riderne e a lasciar correre. Ironia e malinconia convivono qui con sussurri, riverberi e atmosfere subacquee. 
 
“Giornata storta è un piccolo atto d’amore verso se stessi, è guardare le cose che ti accadono con distacco e riuscire a vederle per quello che sono, delle piccole gocce in un mare di eventi. La mia è stata solo una giornata storta: lui scappava da me e quindi il sole alla fine l’ho inseguito io e inseguendolo in macchina è nata questa canzone. Ogni evento che mi accade, se lo uso come pretesto per scrivere una canzone, assume un colore più bello. A questo brano sono particolarmente affezionata: c’e stato un lungo periodo quest’anno in cui non riuscivo a scrivere, non ero ispirata e questo mi frustrava molto poi fortunatamente quel giorno in macchina ho iniziato a canticchiare melodie ed è nato questo brano che consiglio di ascoltare proprio in macchina, finestrini spalancati e vento in faccia.”

Gli abbiamo chiesto di elencarci le sue 5 giornate storte.

Al ristorante mi succede spesso di ordinare qualcosa ma di ricevere un altro piatto o di non ricevere proprio nessun piatto.

Mi piace andare in bici ma spesso mi esce la catena e arrivo nei posti sporca di grasso ovunque.

Prendersi il diluvio in motorino

Quando lavoravo nei ristoranti mi è successo più volte di mettere il detersivo per i piatti nella lavastoviglie e di inondare la pedana di schiuma.

Al casello entri nella corsia telepass ma il telepass non ti funziona


Andarsi a tagliare i capelli e portare come reference una foto di bella hadid ma uscire dal parrucchiere con i capelli dei Cugini di campagna.


 

Categorie
Internazionale

Chi (e cosa) è IL COSA, lo iato dell’elettronica lo-fi italiana

Buon ritorno per IL COSA, che in “Iato” mette alla prova l’assopita capacità d’ascolto del pubblico italiano con un disco coraggioso, che non vuole ammiccare ad altro che non sia l’urgente ricerca di libertà creativa del suo autore.

IL COSA è il nome d’arte di Ilario Promutico, bassista e musicista elettronico ciociaro di stanza a Bologna. Passa gli anni dell’adolescenza coltivando l’interesse per l’arte e la cultura underground – in tutte le sue varie sfaccettature: fumetto, post-punk, grindcore, writing, hacking; dopo essere stato attivo in molteplici progetti musicali di stampo post-rock, dal 2011 intraprende una ricerca personale estetica imperniata sulla sperimentazione (di stampo eminentemente elettronico) di nuove sonorità e nuove pratiche creative: campionatori e sintetizzatori diventano pian piano padroni della sua scrittura, rimanendo particolarmente legato al dub industriale e alla bass music britannica. Un coacervo di influenze che, in effetti, emergono con prepotenza anche in “Iato”, “fumetto” musicale che certamente sarebbe piaciuto al mitico Prof. Bad Trip (nome d’arte del compianto Gianluca Lerici, grande fumettista ligure) e che di certo fa compiacere gli amanti di un certo tipo di “cultura alternativa” che oggi rischia di rimanere schiacciata sotto il peso della trasformazione radicale subita dal concetto di “indipendenza” negli ultimi dieci anni.

IL COSA è, infatti, più indie di tanti che oggi potreste trovare all’apice delle playlist editoriali dedicate al genere, reclamando per sé stesso la libertà di fare quello che gli pare. Sei tracce filtrate attraverso modificazioni diverse, contaminate da influenze che vanno dalla trap al lirismo lisergico della prima scena indipendente italiana; “Razza di idiota” restituisce un testo infuocato alle strumentali “Black Box” e “Nullipotent”, senza per questo preservarsi dalla livellazione distorcente di “Che non può essere salvato” e contribuendo a dare all’ascoltatore la sensazione di trovarsi al centro di un vortice risucchiante.

Un buon ritorno, che conferma l’attitudine alla sperimentazione di un artista eclettico, da scoprire.