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Indie Intervista Pop

I M.A.T. più che un trio sono la strada che porta a casa

Ci sono progetti che nascono per caso, e poi si ritrovano a crescere senza nemmeno rendersene conto: idee che salgono su dalla terra umida della periferia per distendere i rami fino al cielo, e se possibile anche più in là; ci sono canzoni che s’incollano al cuore dopo il primo ascolto, lasciando in bocca il retrogusto amarostico della dipendenza quando il brano finisce e tu sei costretto a premere play ancora una volta: è il caso, questo, di “Miele”, il primo EP dei M.A.T., trio eclettico bolognese (ma con radici sparse un po’ ovunque) che ha deciso di battezzare il proprio esordio in piena estate, quando la musica va in vacanza ma i cuori continuano ad essere bisognosi di nuove melodie da cantare.

MAT, piacere di conoscervi! Non abbiamo mai avuto l’occasione di intervistarvi sulle nostre piattaforme, quindi vi chiediamo di presentarvi ai nostri lettori! Chi sono i MAT, cosa suonano e da dove vengono?

I MAT nascono a Bologna circa due anni fa dall’incontro musicale tra Thony, desideroso di produrre alcuni testi che aveva messo da parte negli anni ed Axel, che cominciava pian piano a muovere i suoi passi nella scena musicale bolognese dopo essersi trasferito in città da Napoli. Dopo alcuni esperimenti (non troppo azzeccati in realtà) il trio viene completato da Marco, il quale propose ai due proprio un prototipo di testo che diventerà 6/06, il nostro primo singolo. Ci piace immaginarci come un collettivo di idee più che una band in senso stretto, dove ognuno porta le sue influenze e si cerca di tradurle in musica. 

Come nasce il progetto? Sembrate essere amici molto affiatati, oltre che “compagni di musica”!

La storia in realtà parte in un contesto relativamente lontano dalla musica: il calcio.

Infatti noi tre siamo stati per diverso tempo compagni di squadra in un team di calcio a 7 bolognese, ed è lì che è cresciuta poi la nostra amicizia profonda prima ancora che stima reciproca dal punto di vista musicale. 

Un fatto interessante risale proprio al primo anno in cui ci siamo conosciuti: Axel, trasferitosi da poco in città, conosceva ben poco della vita notturna di Bologna e caso volle che su suggerimento di Marco si dovesse andare ad una serata al Locomotiv (locale monumento della musica a Bologna) ed indovinate con chi? Thony, che entrambi conoscevano pochissimo, e dove? Al this is INDIE. Se non era scritto…

Una breve serie di singoli prima della pubblicazione di “Miele”, un EP che mescola carnalità e poesia con il giusto dosaggio degli elementi. Perché avete scelto proprio “Miele” come titolo del disco?

Miele è un titolo figlio di un brano che si trova all’interno dell’EP che ci sembrava il riassunto perfetto di come vogliamo che la nostra musica vi faccia sentire (che è esattamente come ci sentiamo noi, in primis). Miele rappresenta qualcosa di dolce a primo impatto ma allo stesso tempo viscoso, come a volte i rapporti possono essere, in cui è facile perdersi.

Il miele è dolce, ma costa dolore ottenerlo.

Nel vostro disco, emergono influenze varie che sembrano voler sposare insieme la ricerca aurorale da una parte e sonorità grunge e garage dall’altra: come avete lavorato al disco, e quali sono stati i riferimenti principali della vostra ricerca?

Il sound del disco è il risultato dello sforzo collettivo di tradurre in un unico prodotto quelle che sono influenze molto diverse tra loro (basti pensare che Marco vive di rap, Thony ascolta cassa diritta anche alle 7 del mattino sorseggiando un cappuccino ed Axel se ne sta a piangere giorni interi con Lana del Rey in sottofondo). Un catalizzatore fondamentale l’abbiamo ritrovato in Altrove, al secolo Marco Barbieri, che ha capito ed aiutato musicalmente a capitalizzare delle idee in una visione comune e concreta. Insomma il collante perfetto, e lo ringraziamo per questo. I riferimenti principali provengono da colui che scrive le parti musicali dei brani, Axel, e si ritrovano in band come The Cure, The libertines, la stessa Lana Del Rey e Kevin Parker dei Tame Impala oltre che The Neighbourhood, band comune a tutti e tre. 

Parlateci un po’ delle canzoni: esiste, a vostro parere, un filo rosso che collega tra loro le varie produzioni?

Il filo rosso speriamo sia evidente all’ascolto, poiché tutti i brani sono strettamente legati alle nostre vite ed esperienze dell’ultimo anno e mezzo. Esperienze che spesso ci siamo trovati a vivere insieme, uniti da un rapporto intimo e profondo d’amicizia. Tutti i brani portano con loro immagini chiare di avvenimenti veri, quasi assolutamente non romanzati e speriamo di riuscire a comunicarli tutti con onestà. 

Non poteva che essere, quindi, un diario a cuore aperto di vita vera, comune. 

E invece, un brano al quale vi sentite più legati rispetto agli altri?

Risponderemo con tre brani per tre persone. Axel sicuramente è più legato a BDSM, Thony a Fra le tue gambe e Marco a Miele. 

Avete in previsione qualcosa per quest’estate? Presenterete il disco in live?

Magari! Per ora non abbiamo in programma nessun live, ma quando lo faremo, sarà rumoroso ed una grande festa itinerante.

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Indie Intervista Pop

Imparare ad andare “Oltre” con le canzoni di Bert

Ah, che gioia imbattersi ogni tanto in un qualcosa che – pur ricordando momenti d’infanzia, canzoni perdute nel giro degli anni e tante altre cose belle che richiamano ad una ben precisa tradizione autorale – non stucchi al primo ascolto, anzi, chiami a gran voce un secondo e poi un terzo e poi un quarto (e via dicendo) ascolto per riuscire ad entrare con efficacia nella complessità di una scrittura che, per una volta, non sembra essere pensata per il noiosissimo giro di danze della playlist di turno.

Sì, perché Bert è uno di quegli autori che, nel tempo, ha saputo dimostrare di avere un gusto e uno stile riconsocibile, certamente suffragato dalla potenza gentile di un timbro cortese ma deciso, dotato di una propria forza emotiva e poetica; lo avevamo già “intuito” in occasione di un bollettino di qualche mese fa, quando lo avevamo coinvolto nella nostra tavola rotonda mensile.

Oggi, all’alba dell’uscita del suo EP “Oltre” per Revubs Dischi, non potevamo certo perdere l’occasione di fare qualche chiacchiera con il ragazzone, che si è ben volentieri esposto al nostro tipico fuoco incrociato.

Bentrovato Bert, siamo ben contenti di poterti ritrovare dopo la pubblicazione del tuo nuovo disco per Revubs Dischi, “Oltre”. Partiamo da qui: “Oltre” in che senso, “oltre” cosa? C’è qualche confine, per Bert, da superare a tutti i costi?

Ciao! Un piacere risentirvi…

“Oltre” in realtà può assumere tanti significati, soprattutto per chi ascolta. Credo sia sempre bello lasciare un proprio spazio anche agli ascoltatori.

Per quello che mi riguarda non si tratta proprio di un confine ma di un mezzo (per me la musica) da usare per superare le proprie possibilità, le proprie paure e difficoltà.

Sembra che nelle tue canzoni ci siano destinatari ben precisi, ai quali pare tu non riesca a parlare così efficacemente come riesci a fare con le canzoni. Ecco, se dovessimo chiederti “perché scrivi?”, cosa risponderesti?

Beh, in realtà sono una persona che dice le cose in modo piuttosto “diretto” ma credo che la musica abbia un suo canale speciale per fare arrivare le cose e anche un diverso modo di poterle raccontare.

Scrivere canzoni è un bisogno primario ed è una sensazione unica di libertà.

Ma te la ricordi la prima canzone che hai scritto? Di cosa parlava?

Certo, si chiama “Sere di Luglio” ed è presente nel mio primo EP “Senza niente”.

Il contenuto è un grande classico forse: un amore non proprio corrisposto.

I cinque brani che compongono “Oltre” raccontano una sensibilità speciale, che pare non aver paura di mettersi a nudo con tutte le fragilità che contraddistinguono l’animo dell’autore. Sei contento del risultato raggiunto? Ci racconti come hai lavorato alla produzione del disco?

Si, sono molto contento. Credo che il disco si ascolti senza stancare, ed era una delle mie preoccupazioni maggiori, visti i contenuti che a volte non son proprio leggerissimi.

Per quanto riguarda la produzione, è stata completamente rivista con Altrove (Revubs Dischi), esistevano già dei pre-arrangiamenti di 4 brani su 5. Per cui ci siamo messi a lavoro, a distanza e in studio e nel giro di un anno siamo riusciti a raggiungere la forma definitiva.

Facciamo un gioco: utilizza i colori per raccontare la cinquina di brani che compongono “Oltre”!

Un film, Verde

Inadatto, Blu

Sembri magica, Rosa

Scusami, Rosso

Come me, Giallo

Ma non saprei nemmeno io il perché!

Ci riveli qualcosa che nessuno sa su Bert? Lo giuriamo, non lo racconteremo a nessuno…

Dopo questa uscita ormai non ho davvero più segreti!!! Però invito i lettori a seguirmi, sicuramente svelerò altri dettagli su di me e su “Oltre” nelle prossime settimane. 

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Pop

Tutta la libertà di Marco Scaramuzza

Di Marco Scaramuzza avevamo già avuto modo di parlare qualche tempo fa, quando aveva consegnato all’etere il suo secondo singolo “Rosa” a poche settimane di distanza dall’esordio con “Cuore di plastica”.

Già allora, ci era sembrato di aver davanti un ragazzo speciale, e se vogliamo diverso da quelli che siamo abituati ad incontrare sui rotocalchi dell’indie nazionale; Marco, in effetti, ha qualcosa di estremamente vintage non solo nella musica che propone (che si ancora saldamente ad una certa tradizione autorale che, come tutte le cose belle, è destinata a non passare mai di moda), ma sopratutto nell’approccio al modo di fare musica.

Sì, perché nell’era della perfezione geometrica di sezioni auree testo-musicali ad appannaggio dei dosaggi giusti di esperti ragionieri discografici, nel secolo avaro delle riproposizioni seriali di altrettante riproposizioni seriali, nel marasma di anonimato che ad ogni venerdì di uscite rinnova la sua (poco) eletta schiera di nuovi volontari all’oblio, Marco si erge con la serenità del totem su tutto un panorama di illusi e disillusi della musica e della discografia facendo quello che gli riesce meglio: essere sé stesso, nudo e crudo (a tratti, anche fin troppo crudo!), e facendosi alfiere di un popolo invisibile (ma presente) che lotta silenziosamente per proporre un’alternativa a tutto questo rumore.

“Gli Invisibili” è un disco che fa pensare, e questo è forse il suo più grande merito. Non è un lavoro impeccabile, sia chiaro: certe cose, e Marco forse lo sa, potevano essere curate meglio in fase di produzione, ma è innegabile che il sentimento di forte urgenza e necessità che il lavoro comunica sin da primo ascolto convince l’ascoltatore ad affezionarsi a tanta convincente imperfezione.

Volete una prova? Ascoltatevi “Libero”, e arrivati al ritornello capirete che per Marco di regole non ne esistono. Se poi avete voglia di farvi mandare in tilt il cervello, la parabola de “L’orto” è quella che fa per voi: più vite raccontate ed intrecciate come matrioske nel giro di valzer di un brano denso, ammaliante e avvolgente.

Insomma, non lasciate che Scaramuzza resti invisibile. Per noi, non lo è già da un po’.

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Indie Internazionale Pop

Ho intervistato Ponee, in un cimitero

Jo, Kid, Ipa, Role è il debut Ep di Ponee, pubblicato lo scorso 16 febbraio 2021 per UMA Records, distribuzione Sony Music Italy. L’EP rinnova quelle formule espressive pop fresche e variegate già intraviste nei primi tre singoli e definisce un nuovo capitolo dell’avventura musicale di Ponee. Quello di Ponee un disco dolce-amore, triste e allo stesso tempo ironico, un po’ come una passeggiata durante un pomeriggio soleggiato, in un cimitero. Per l’occasione, l’ho portato a fare un giro al Cimitero Monumentale di Milano, e gli ho fatto qualche domanda.

Ma il tuo nome si legge con pronuncia british che fa venire fuori una roba tipo Pony o Ponee in senso letterale italiano?
Guarda, già che uno ha il dubbio su come si pronuncia per me è un successo. Non ho ancora fatto inserire la parola nei grandi libri dell’Accademia della Crusca perciò al momento non ci sono direttive ufficiali. Io lo pronuncio “pony” ma oramai mi sto abituando a girarmi anche quando qualcuno mi urla “ponee”.

Diversi autori hanno scritto su di te e nessuno, compreso me, è riuscito a dare un solo nome al genere di musica che fai. Tu come la chiameresti?
Mi metterei anche io tra gli autori che non riescono a definirlo. Non te lo so dire; ma non tanto perchè sia affascinante non essere catalogati, ma piuttosto perchè davvero non lo so. Anche perchè tendenzialmente sono molto influenzato dagli input del momento quindi spesso vado in una direzione e a volte in un’altra, a livello musicale. Però se fossi legato, minacciato e obbligato a scegliere un genere, direi pop…forse.

Abbiamo ascoltato il tuo ultimo ep Jo, Kid, Ipa, Role. I testi delle tue canzoni esplodono con una certa espressività, le abbiamo trovato belle incazzate, dai. Da dove ti viene fuori tutto sto tormento?
In realtà mi fa davvero piacere che – nonostante il sound non troppo sad – ci abbiate colto delle sfumature di “tormento”. Diciamo che tendenzialmente sono abbastanza allegro nella apparenza quotidiana e quindi mi piace usare la vena creativa per sfogare quello che non sfogo in altre situazioni. Di base sono uno insoddisfatto nel profondo, perciò mi viene spontaneo scrivere quello che non va, piuttosto che quello che va; mi coinvolge di più.

Nei tuoi ultimi brani parli un sacco degli effetti dell’emergenza pandemica sulle persone. Quali sono i cambiamenti – sia nel piccolo che nel grande – che ti aspetti di più quando questa situazione si riassesterà? 
Diciamo che ogni giorno ho nuove opinioni e nuove sensazioni a riguardo; in questo esatto momento sono in una fase di leggero scoraggiamento. Forse una delle cose che più mi colpisce è questo continuo cambiamento di approccio alla pandemia, soprattutto da un punto di vista mentale. Faccio fatica a decifrarne gli effetti sulla mente delle persone e credo che in molti facciano fatica a decifrarsi. Io per esempio per un periodo ho avuto la difficoltà a percepire il tempo e lo spazio, come fossi in un luogo metafisico. Spero che tutto questo porti in qualche modo a una maggiore attenzione a quelle che sono le necessità e i bisogni che fanno bene non solo al fisico ma anche alla psiche; perchè è forse la cosa di cui si parla meno.

Come stai vivendo Milano in questo periodo? Pensi che torneremo mai alla Milano di prima o senti che si è rotto qualcosa?
La sto vivendo in un modo davvero strano perchè faccio cose ma non so il perchè. Già prima era un po’ così ma ora mi è più difficile applicarmi al massimo su determinate cose perchè è sempre poco chiaro se determinati piani potranno essere attuati o no. Considera che io lavoro anche nel mondo degli eventi come organizzatore, per cui mi capita di lavorare a progetti che neanche so quando e se potranno essere fatti. Dopo diverso tempo inizia a essere pesante, però sono fiducioso sul fatto che certe necessità sono proprio parte di noi e quindi anche tutto quello che riguarda il mondo di musica, spettacoli, teatri inevitabilmente chiederà e troverà soluzioni per ripartire.

Anticipazioni su progetti futuri?
Ora come ora sto lavorando molto in studio, sto scrivendo tantissimo e sto ampliando le collaborazioni. In generale ti posso dire che la volontà è quella di sviluppare il progetto “Ponee” su più fronti, andare oltre a l’aspetto prettamente musicale. In questa creazione di contenuti a 360 gradi mi sto affidando, oltre ai vari collaboratori, a due realtà molto interessanti: Ohana Studio e Superfluo Project.

foto inedite di Simone Pezzolati

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Indie Pop

Tutto nasce dalle emozioni : Intervista a Graman

È uscito il 27 Novembre su tutte le piattaforme digitali “Anedonia” il primo album del cantautore campano Graman. Sette canzoni prodotte da Stefano Bruno (già al fianco della band Riva) , frammenti d’anima messi insieme per raccontare una storia sincera, un racconto senza censure e senza paura. Il filo conduttore di questo lavoro è l’anedonia, cioè l’incapacità di provare piacere o soddisfazione. Una sorta di “anestesia locale” che spesso è un passo indispensabile per sanare le ferite prodotte dalla fine di una relazione. Una sorta di disintossicazione sentimentale che ci permetta di elaborare nuove routine, ricostruire la nostra identità e sanare il nostro autoconcetto. 

“Tutto nasce dalle emozioni: ogni volta scrivo spinto da una forte emotività. Ad ispirare il titolo una chiacchierata con mio fratello che è stato capace sintetizzare in un’unica parola il micidiale mix di sensazioni che mi tormentava.” 

L’EP anticipato dal singolo “Telecinesi” si muove tra sonorità urban e indie pop, con testi immediati e diretti, che riservano però un lato romantico e nostalgico. Un songwriting in grado di stilizzare una proposta semplice ma che mette l’attenzione sulla sensibilità e sull’esigenza espressiva dell’artista. 

In occasione dell’uscita del suo primo abum per Aurora Dischi, noi di Perindiepoi abbiamo fatto qualche domanda a Graman.