“ANGELI E DEMONI” è il nuovo brano della band pugliese ESTRO distribuito da Artist First, una ballad dark pop che parla dell’ esigenza di comunicare Il dolore e la sofferenza della separazione. Luce e buio, vittime e carnefici ed appunto angeli e demoni. Il sound del brano mescola Indie Pop, Dark Pop, rock e Alternative. La cellula originale del gruppo nasce nel 2011, il gruppo è formato da Andrea alla batteria, Maurizio voce e chitarra, Simone voce e basso, Gianluca voce e chitarra. Nel 2019 si qualificano come finalisti di un concorso nazionale dedicato ad Ivan Graziani, e poi vengono decretati vincitori nazionali del “Premio Pigro 2019” con il loro brano inedito “Il vuoto dentro” nella finale svoltasi presso Casa Sanremo durante la settimana del Festival; lo stesso anno sono ospiti di Red Ronnie durante il suo show in diretta nazionale. Il comune di Bari conferisce un’onorificenza artistica alla band per il risultato conseguito a Sanremo. A Luglio 2021 pubblicano il loro primo singolo “BABY” facente parte della nuova produzione musicale della band, superando le 200 mila views su youtube e oltre 300 mila streams su spotify.
La band ha risposto alle nostre domande in questa intervista:
Dal 26 novembre è disponibile in rotazione radiofonica “SGUARDI” (PLATINUM LABEL SNC), nuovo singolo di johara presente su tutte le piattaforme di streaming a partire dal 25 novembre.
Con questo suo nuovo brano, “SGUARDI”, johara vuole trasmettere la parte più complessa e articolata del suo stile musicale e della sua scrittura, raccontando la fine di una relazione amorosa e, allo stesso tempo, tossica, in cui la protagonista trova la forza di reagire e uscirne. La vicenda narrata da johara nel nuovo pezzo è anche un accostamento metaforico delle dinamiche legate al percorso di crescita e maturazione musicale.
Il videoclip di “Sguardi” narra la storia di una ragazza nel pieno del suo processo di guarigione da una relazione finita male, rappresentata nella sua tossicità da due ballerine. La protagonista vaga in un labirinto di corridoi in cerca di se stessa, affronta il dolore di una storia d’amore ormai conclusa, ma alla fine rinasce.
Per l’occasione, le abbiamo chiesto di farci fare un giro in camera sua.
Vinile di “IGOR” di Tyler, The Creator Questo è un disco che ha influenzato profondamente il mio stile e che ho amato sin dal primo ascolto. Tyler, The Creator è uno dei miei artisti preferiti in assoluto e “IGOR” penso che sia l’album di Tyler in cui mi ritrovo di più. Lo ascolto praticamente tutti i giorni!
Piccolo Guembri Il guembri è uno strumento musicale berbero, che io non so assolutamente suonare! È uno degli oggetti nella mia camera a cui tengo di più perché mi riporta con la mente alla musica marocchina e al Marocco. Ho questo piccoletto da ormai 10 anni e, a volte, provo a strimpellare qualcosa… ma sono negata!
Scatola dei ricordi La scatola dei ricordi contiene foto, souvenir di viaggi, lettere e piccoli oggetti che sonoimportanti per me. Ogni volta che mi sento un po’ giù ed ho voglia di fare un tuffo nel passato riguardo tutte le fotografie e rileggo tutti i biglietti che ci sono dentro… mi fa sempre sentire un po’ meglio (oltre che vecchia, dato che ci sono reperti di quando avevo all’incirca un anno)!
Libri di cucina Chiunque mi conosce sa che, oltre alla musica, ho un’altra passione: il cibo! Adoro mangiare e cucinare, ma soprattutto sperimentare e provare sempre cose nuove! La cucina cinese è la mia preferita dopo quella italiana e marocchina, e ultimamente mi sono dilettata nella preparazione di alcune ricette cinesi!
CD dell’album “Celine” di Amill Leonardo Oltre ad essere un bellissimo album, questo disco ha segnato il mio debutto nel mondo della musica e potrei chiamarlo “oggetto simbolo” del mio 2020.
Esce giovedì 25 novembre 2021Porta Vescovo, il singolo di debutto di problemidifase, il nuovo progetto musicale di Samuele Zenti: un contenitore di immagini del periodo post adolescenziale, un nuovo capitolo che si compone con i messaggi importanti salvati su WhatsApp, un brano che suona come un feat tra i Massive Attack e Niccolò Fabi, chiusi in una cameretta. Pronti per questo viaggio?
Porta Vescovo racconta la difficoltà che si incontra durante una relazione quando gli intenti di entrambi sono comuni e ci si vuole bene, ma più si lotta per stare insieme, più ci si fa del male. Quando non si comprende a pieno l’altra persona, quando le debolezze di uno non si incastrano con quelle dell’altro ci si ritrova a dover fare i conti con un problemadifase. Porta Vescovo (stazione ferroviaria di Verona) è scritta per la maggior parte utilizzando i “messaggi importanti” salvati su WhatsApp e se non fosse esistito Justin Vernon il brano, probabilmente, non sarebbe mai nato.
Per l’occasione, vi abbiamo chiesto di farci fare un giro a casa sua.
VANTAGE BASS Ho cominciato a suonare il basso per caso, quando avevo 12 anni, momento della mia vita che coincide con quello in cui mi appassiono davvero alla musica. Questo è stato il mio primo vero strumento, un basso Vantage (marca ora fuori produzione) comprato per 100 euro da un amico di mio zio di cui manco ricordo il nome. Ricordo però la prima canzone imparata (With Or Without You degli U2), il mio primo insegnante (Mirko Tagliasacchi, bassista mantovano fortissimo), i primi periodi in cui collegavo i concetti, in cui capivo che purtroppo per suonare i KoRn e gli Slipknot mi sarebbe convenuto prendere un basso a 5 corde (cosa che ho fatto abbastanza presto).
CANON EOS 3000 Io e l’arte visiva stiamo appena cominciando a conoscerci, stiamo uscendo a fare aperitivo qualche volta ma non siamo mai stati grandi amici. Non ho mai fatto foto, ho abbandonato il disegno molto presto quando ero piccolo e non sono manco appassionato di film. Ultimamente sto cercando però di interessarmi, di comprendere meglio, di costruire un mio gusto personale. Ho capito che mi piacciono molto le foto analogiche (perchè sono molto originale e hipster) e ho ritrovato questa vecchia fotocamera che era dei miei genitori. Fortunatamente sono circondato da persone che sanno fare foto molto meglio di me, che mi impediscono di fare danni gravi e che mi permettono di sperimentare e buttare i miei soldi in rullini e sviluppi.
VIETATO FUMARE Suonerà strano ma per un bel periodo (durante le scuole superiori) mi divertivo a rubare i cartelli. Non quelli stradali, no, semplicemente quelli stampati su fogli A4, su cui stanno scritte piccole regole di buona convivenza da rispettare all’interno della scuola. A volte anche più grandi, ma mai cose di reale valore. Non ho mai capito esattamente perchè, forse mi sembrava di beffarmi dell’autorità scolastica e di soverchiare il sistema (piccolo Sam ribelle, eri proprio un anarchico moderato!). In ogni caso, li ho ancora appesi quasi tutti in camera e mi fanno sorridere ogni volta.
LO STESSO AMORE, GLI STESSI DIRITTI Questo è un cimelio del Verona Pride 2015, la prima volta che assistevo ad una manifestazione Pride. Mi divertii davvero un mondo. Al tempo non c’erano nemmeno le unioni civili, quindi ricordo l’urgenza e la necessità di un provvedimento del genere. Mi sono sempre ritenuto un forte alleato di questa battaglia, nonostante non sia io a combatterla in prima linea, e sono contento e fiero di avere questo cartello in salotto e che nessuno in casa sia contrario.
L’OMBRA DEL VENTO Sono anni che mi frusto e mi frustro da solo perchè non leggo quanto vorrei. Quando ero più piccolo leggevo e scrivevo molto, volevo fare lo scrittore. Pian piano ho purtroppo perso l’abitudine di leggere, anche se mi è rimasta quella della scrittura, che per me è sempre stata anche una necessità.“L’Ombra del Vento” di Carlos Ruis Zafón, letto poche settimane fa, mi ha ridato delle emozioni che un libro non riusciva a darmi da tantissimo tempo. Mi ha fatto rimanere incollato alle pagine, trepidante di scoprire cosa sarebbe successo, tanto che il giorno in cui l’ho finito sono rimasto a sfogliarlo dal pomeriggio fino a notte tarda. Decisamente un buon libro da consigliare a chi vuole ricominciare a leggere.
Maschere è il singolo di debutto di Solo Pietro in uscita venerdì 3 dicembre per UMA Records e distribuito da Sony Music Italy. Il giovane cantautore ha la capacità di sciogliersi nei suoi sentimenti mentre crea melodie con il piano, catturando la luce e l’ombra del mondo e descrivendole in modo crudo e mai banale. L’impostazione lirica della sua voce non fa altro che accrescere l’emotività dei brani, delle pop ballad estremamente moderne in cui l’anima cantautorale viene cullata da chitarre e ritmi che rafforzano l’impatto emotivo del pianoforte.
“La musica mi ha dato tutto. Da quando sono bambino mi accompagna, è stata genitore, sorella, amica, psicologa, e medicina. in qualsiasi momento della mia vita, felice o triste che fosse. Così ho deciso di conoscerla meglio, meglio che potessi, fino a trasformare la mia vita in questo. La musica mi ha dato tutto. Io devo restituire qualcosa. Questo è Solo Pietro.”
Maschere è un brano dai significati profondi: descrive il disagio e le difficoltà di un’intera generazione che tenta di adattarsi e comprendere le dinamiche di una società in continuo cambiamento e giudizio, in cui ogni individuo deve mostrarsi per ciò che non è: “nel testo ho voluto trasferire il senso di inadeguatezza che ho sempre visto nella nostra società, questa necessità costante di mascherarci dalla quale si può sfuggire soltanto tramite l’accettazione e l’affetto reciproco”. Pietro si accompagna con il pianoforte e la sua voce penetrante è impreziosita dall’arrangiamento orchestrale di archi, con un’interessantissima contrapposizione tra solennità classica e moderno grazie alle sue capacità di interpretazione.
Per l’occasione, non abbiamo saputo resistere, e gli abbiamo chiesto di farci vedere camera sua!
CD di Hans Zimmer
Questo è uno dei miei dischi preferiti, le colonne sonore in generale mi fanno sempre un effetto incredibile. In modo particolare Hans Zimmer, è uno degli autori che preferisco, la sua musica riesce a mantenere una semplicità strutturata e una coerenza smisurata con le scene alle quali fa da sottofondo e spesso e volentieri mi piace avere propio questa stessa musica come colonna sonora alla mia vita.
Telecaster
La mia tele è un pezzo di me ormai, è stata un regalo dei miei nonni, e mi è arrivata propio durante la prima tostissima quarantena, è stata una fedele compagna per un sacco di ore bloccati in casa per la gioia dei vicini : ). Mi ha fatto scprire un sacco di musica che non avevo mai approfondito prima del suo arrivo. Le sono davvero grato.
Il Concone
Il Concone per me è un sacco di emozioni. È stato uno dei primi testi di canto lirico che ho studiato e rileggerlo ogni tanto mi riporta sempre un pò agli anni scors,i quando ancora ero completamente immerso nella musica classica. Per me quello a cui mi riporta questo libro rappresenta una parte della mia musica e della mia vita per cui ho voluto dargli questo spazzietto tra i miei oggetti.
Launchpad
A differenza del Concone questo strumento mirabolante mi riporta un po’ della tamarraggine che ho perso nel tempo. È un oscuro segreto, ma le mie effettive prime canzoni scritte erano super Dubstep o quando ero più tranquillo EDM di cattivissimo gusto. Passavo pomeriggi interi con gli amici in garage a scrivere i progetti per questo quadrato di 64 tasti pieno di lucine immaginandoci sui palchi del Tomorrowland insieme a Skrillex.
Demoni è un album di dieci brani per scoprire una dimensione completamente nuova della band che, messa da parte l’istintività del primo album, riesce a traghettare l’ascoltatore in un viaggio in bilico tra ragione e sentimento, spaziando tra ritmiche incalzanti, arrangiamenti cangianti e suadenti melodie. Mi ritrovo qui, superati i 30 con questo disco nelle cuffie, che mi ha fatto stare male più del dovuto, con un album subdolo e suadente che ti culla con belle linee di chitarra e testi rassicuranti, per accompagnarti alla fine alla consapevolezza più estrema: la pacchia è finita, sei un adulto, nessuno ti ama davvero, e se anche ti amasse sarebbero comunque tantissimi casini. Demoni è un disco che non dovete ascoltare se stata affrontando un trasloco, come me, e vi trovate nel cuore di un misero bilocale in periferia, se vi sentite soli e siete stufi delle pacche sulle spalle degli amici. Questo disco sarà una coltellata se vi aspettate un disco pop-rock di quelli che vi rifilava vostro padre in macchina, se pensate che le band di provincia non abbiano più drammi da raccontare e se eravate abituati ai cantautori indie.
E mi ritrovo qui, in questa sera strana, in una via silenziosa, con questo dannato tram che non vuole passare: Demoni è probabilmente un disco che vuole indagare il sentimento che deriva dal sentirsi abbandonati, la responsabilità estrema che arriva quando non siamo più dipendenti da nessuno, quando siamo adulti, e incredibilmente soli. Non ci sono canzoni d’amore che tengano, quando non c’è nessuno ad ascoltarle. Avrei voluto condividere questo disco che una persona che mi ha lasciato qui, in questo bilocale, credo che ci avrebbe fatto bene, credo che avrebbe saputo comunicarci come ci sentivamo, meglio di quanto abbiamo saputo fare noi. In particolare, Tutto quello che saremo, mi ha mostrato tutte le possibilità che non abbiamo avuto e sono lì, schiaffate brutalmente dentro una canzone, con una semplicità estrema che odio tantissimo non aver saputo fare mia.
Qui dentro ci ho ritrovato i dischi dei Marlene Kuntz che mi faceva ascoltare mia madre, i Baustelle che ascoltavo io al liceo, tutti i concerti che mi sono ritrovato a fare da solo quando tutti hanno smesso di ascoltare rock e hanno cominciato a fare figli, una familiarità di una band che mi sembra di conoscere da anni. Una nostalgia infinita per un mondo che non tornerà più. Mi piace pensare che questo disco arrivi da un passato tormentato, quello adolescenziale, e che voglia ammonirmi su tutti gli sbagli che alla fine mi sono ritrovato a compiere, tutti quei demoni che ora mi porto dietro, ineluttabilmente. Un disco dedicato agli adulti che non si erano ancora resi conto di esser diventati tali, come me che neanche Zerocalcare c’era riuscito…
L’amore raccontato come lo racconta La Belle Epoque fa male, perchè affonda nella sfiducia, nelle complicità che fanno male, perchè racconta di come si possono condividere le fughe e di come la felicità è così rara che, quando arriva, sarebbe da prenderne nota.
Gabriele Ciccorelli nasce a Roma nel 1994, da sempre sensibile alle influenze storiche dei cantautori italiani. Crede che la musica sia il mezzo più potente ed immediato per trasmettere e ricevere emozioni, dei viaggi in macchina si ricordano i dischi in sottofondo, più che le destinazioni e la viabilità. Da sempre affascinato dal suono delle parole,dalle urla e dalle imperfezioni musicali. Oltre alla musica, studia recitazione, scrive romanzi, per esprimersi a tutto tondo e coccolare le parole, sottolineando la loro importanza, inventando storie e nuotare su altre realtà, che non siano necessariamente le nostre, che ogni tanto annoiano.
Dal 23 Novembre 2021 è disponibile su tutti gli store digitali, il secondo singolo della carriera artistica musicale di Ciccorelli. “Luminarie” è un brano soffice che, grazie alla particolare vocalità di Gabriele, ci abbraccia dolcemente durante l’ascolto. Dalla collaborazione con la piccola etichetta Nientedimenolab e di Rebecca Palazzolo che si è occupata della produzione del brano, distribuito da Artist First. Abbiamo fatto una chiacchierata spensierata con Gabriele per scoprire qualcosa di più sul suo mondo!
Ciao Gabriele. Iniziamo subito con le presentazioni. Parlaci del progetto musicale Ciccorelli. Da dove nasce questa spinta artistica e quali sono le tue esigenze comunicative?
Ciao a voi. Nasce tutto dalle difficoltà, soprattutto comunicative, che quando ero adolescente prendevano il sopravvento. E dall’ascolto soprattutto. Perché sono dell’idea che qualunque tipo di espressione vada in qualche modo vista prima dall’altra parte. Mi rendevo conto di ascoltare la musica mentre gli altri la sentivano e mettemo il focus sui testi dei grandi cantautori. Quindi è stato quasi naturale poi, una volta assorbito dai più grandi, provare, non ad imitarli, ma a dire la mia. Per questo a 17 anni comprai una chitarra con i soldi vinti al fantacalcio, come modo per aiutarmi a parlare, a parlarmi. E dopo tanti anni di canzoni in cameretta,ho provato a farle ascoltare a chi ne avrà voglia.
Abbiamo ascoltato anche il tuo singolo d’esordio “Manica” un brano prettamente Pop. Con “Luminarie” ti sei messo definitivamente a nudo?
È particolare proprio perché da dentro, probabilmente non lucidamente, non ho idea a quale genere ho intenzione di appartenere. Le canzoni vengono fuori sgomitando, senza progettazione e tu anche lo volessi difficilmente riesci a ribellarti a questa esplosione. Sicuramente Manica è un brano che tocca atmosfere diverse rispetto a Luminarie, abbiamo infatti pensato che potesse essere l’inizio più coerente rispetto alle canzoni che ho sempre scritto ( Una vita di storie finite prima ancora di iniziare).
Con Luminarie è stato diverso, non era in programma e anzi fino a qualche giorno prima di registrare eravamo orientati su un’altra canzone. Quando è arrivata però ho detto “è lei”, lei è la mia canzone a prescindere da tutto. È probabilmente un brano di considerazioni da uomo di mezza età, nonostante io abbia metà dell’età dell’uomo di mezza età. A prescindere da tutto, non potevo essere più sincero di così.
Cosa sono per te le luminarie? Quali sono le luci di cui non puoi fare proprio a meno?
L’idea di Luminarie nasce da una serie tv che mi ha ossessionato per anni che è “How I met your mother”, in particolare un episodio che si chiama “Sinfonia di Luminarie” in cui Robin, nel periodo di Natale, scopre di non poter avere figli ed è decisa a non raccontarlo a nessuno e Ted, senza sapere cosa la turbasse, le fa trovare a casa un gioco di luci di natale, nel buio del salotto. Senza chiederle nulla della motivazione di tanta tristezza. Da qui poi la frase “Come si trova luce al buio senza maiparlare?”
Come a sottolineare quanto sia raro nella vita fare qualcosa per qualcuno che soffre senza sapere la motivazione di tanta sofferenza. Per questo Luminarie è intesa come “Luce di speranza” che può essere una luce di natale, un Dio, una persona, una canzone, qualsiasi cosa che ci faccia stare bene senza dover spiegare il perché. Come diceva il più grande di tutti “A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io”. Ed è così, tutti hanno bisogno di carezze, anche e soprattutto chi finge con il mondo di saper nuotare bene nella propria solitudine.
Come definiresti questo brano? Una preghiera sottovoce oppure un urlo disperato?
Tra le due direi la prima. Preferisco sempre le cose sottovoce perché non arrivano all’orecchio di cento persone, magari arrivano all’orecchio di una sola persona, ma facendo un rumore assordante. Nella canzone la parte più “ disperata” è quasi una ricerca di attenzioni, come un bambino dispettoso nei confronti dei genitori, dopo la nascita della sorella più piccola. Ma poi l’idea di dare un ritornello un po’ più vellutato, è quella di voler dare un’intenzione, a chi sente di averne bisogno.
Questa canzone è un’analisi personale, pura osservazione alle situazioni quotidiane sociali, non è una critica. Non mi piace chi nella musica vuole spiegarti come sia la vita e non potrei mai farlo io. Vuole essere speranza nelle mie intenzioni, non un modo per condividere il dolore.
Parlaci del team che ti sta accompagnando in questo percorso musicale.
Il migliore. Nientedimenolab. Sono ragazzi per bene, che hanno cercato fin dal primo momento di capire cosa volessi dire, con pazienza, entusiasmo ed esperienza. La cosa più importante nella musica è la condivisione e non parlo delle piattaforme social (anche se pure quelle..) ma del confronto, della voglia di migliorare e di crescere insieme, senza necessariamente andare in una direzione più “facile” ma mantenendo unicità, che a prescindere se bella o brutta, è la tua e quella di ogni persona che scrive qualcosa. Il brano poi è stato prodotto da Rebecca Palazzolo, che è stata super paziente con me e con tutte le mie invereconde fisime, che già ho nella vita, pensa nella musica.. Che te lo dico a fa’!
Oltre alla musica, sappiamo che hai scritto anche un libro. Ci vuoi raccontare qualcosa?
Manco a dirlo è un libro pieno di musica e manco a dirlo l’ho scritto quando stavo al terzo rewatch di quella serie lì (prima o poi me ne libererò). È una storia di tutti i giorni con un linguaggio non da tutti i giorni. Parla di questo ragazzo che ha sempre cercato “La donna della mia vita” ma in modo ossessivo, una sorta di missione. Solo che lui a differenza di Ted non è proprio il tipo che ti fa trovare le luminarie a casa se sei triste. Anzi a dirla tutta è anche un po’ stronzo. E questo libro si lega perfettamente alla musica, perché poi anche qui non c’è un vero e proprio genere, potrebbe essere rosa, ma anche commedia, una spruzzata di erotico, un po’ di dramma che sta sempre bene e una cifra di parolacce. Vai a capì.. diciamo un libro indie pop dai…che inizia e finisce con due canzoni dei Radiohead.
Salutiamoci con un consiglio per i lettori. Come districarsi e rimanere a galla in questi tempi poco inclusivi?
Mah…stanno tutti in fissa con il paddle ultimamente. Mi tocca provare pure a me. A parte gli scherzi, non sono granché bravo a consigliare, faccio già un gran casino di mio. Quello che posso dire è sempre e solo “musica”. Nella mia vita, a prescindere dalla domanda ,la risposta è sempre “Musica”. Sono tempi veloci, sta diventando tutto liquido.
Io sono dell’idea che la musica sia un grande strumento di rifugio, farla ma anche e soprattutto ascoltarla. Che è diverso sentirla. Una canzone, nel mio mondo ideale, non può mai essere un sottofondo musicale nella pausa pranzo. Una canzone è un messaggio e per capire se sia quello giusto per noi, dobbiamo cercare con forza di comprenderne ogni angolo. A prescindere da quale canzone. Anche la canzone più spensierata del mondo può salvare una vita. E ci vorrebbe una maggior attenzione, a partire dall’ educazione scolastica. Dicono semplificando “I ragazzi di oggi ascoltano solo musica di merda” ed io non sono d’accordo. I ragazzi di oggi ascoltano la musica che hanno a disposizione, se nessuno gli fa ascoltare i grandi cantautori del passato, se nessuno gli spiega quei testi, come possono appassionarsi di quella musica li? La bellezza nasce dalla conoscenza, senza conoscenza si fa quello che si può. Io a scuola odiavo il flauto e avevo insufficiente in Musica, forse se invece che farci suonare il flauto tutti insieme (Io suonavo in playback), ci avessero fatto leggere un testo di Dalla, De Andrè, Battisti/Mogol, fatti ascoltare, spiegando, forse forse avrei iniziato a suonare prima la chitarra e non avrei fatto tutto quel casino per vincere il fantacalcio.
Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.
Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.
Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote.
GALEA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Ultimamente si parla tantissimo di generazioni (Millenials, GenZ) e penso che sia molto bello il fatto di potersi riconoscere in un gruppo di appartenenza, senza che questa classificazione comporti alcun tipo di limite alla propria identità, anzi. Un coro di tante voci, seppur diverse, è più risonante di quelle stesse voci prese singolarmente e questo facilita il raggiungimento di uno scopo comune.
Di primo acchito associo la parola “diritti” al passato, quindi alla strada che è stata fatta per raggiungere determinati traguardi ed è strano, perché la conquista di molti diritti è ancora decisamente in corso. Forse mi viene in mente il passato perché non sarei né lucida né oggettiva parlando di un presente che si sta dispiegando davanti ai miei occhi. Spero che nel 2060 ripenserò a questo presente come a un periodo di lotta utile a delle conquiste finalmente ottenute.
Mi viene in mente Revolution 1 dei Beatles, in particolare il verso “But when you talk about destruction, don’t you know that you can count me out (in)”, come se la posizione di Lennon riguardo ai metodi violenti della rivoluzione fosse ancora incerta e dubbiosa. Il resto del testo invece è piuttosto chiaro, ma quell’in riporta il brano in una dimensione di ambiguità e indecisione in cui è facile rispecchiarsi quando ci si interroga su come una rivoluzione dovrebbe adoperare.
APICE
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
L’ordine in cui le cose mi si presentano già di per sé costituisce un viatico interessante (a mio parere, quanto meno) circa la comprensione della relazione intrinseca che esiste fra gli addendi, e circa l’innefficacia – almeno, in questo caso – della proprietà commutativa, al punto che il risultato cambia eccome a seconda del modo in cui queste parole si combinano fra loro.
Mi spiego: ogni generazione, in qualche modo, nasce nell’orizzonte predeterminato di una serie di diritti ottenuti, e di diritti da conquistare; è il mondo in cui nasciamo e proviamo ad auto-definirci che, in fin dei conti, ci spinge a capire cosa siamo e cosa non siamo, né vogliamo essere: ad ogni generazione, si lega quindi la necessità storica di rivoluzioni che, attraverso vie differenti, discendono dalla contemplazione dei diritti che esistono, ma soprattuto di quelli che ancora non ci sono. Bene, generazione–diritti–rivoluzione.
Ma è anche vero che pare intellettualmente disonesto considerarci meritevoli di qualcosa che non ci siamo conquistati, ed è anche vero che viviamo nell’era di un post-modernismo (se non di una post-contemporaneità: siamo già nel “futuro”, per alcuni…) che sembra averci dato più risposte semplici e perentorie che domande capaci di solleticare il dubbio, attivando la complessità del pensiero: tanti diritti ci precedono, e forse è proprio questo che ci ha allontanato dal concepire la rivoluzione come un appuntamento inevitabile con la Storia; l’ordine diritti–generazione–rivoluzione è fallace, oggi, perché l’ultimo addendo diventa spessa superfluo, o quanto meno si rivela un fatto di posa e di retorica stantia, e quanto mai generazionale. Ecco, questo è quello che oggi mi pare essere, spesso e volentieri, il rapporto tra le parole designate quanto meno nella contemporaneità. Credo che quello della rivoluzione sia una ginnastica a cui ci si allena attraverso la negazione, ma quella vera, e che tante battaglie a volte finiamo col combatterle solo perché ci piace “giocare alla rivoluzione“: andare fino in fondo, poi, è merito di pochi – forse, di quelli che davvero si sentono “negati” di qualcosa, perché il dolore degli altri è sempre dolore a metà e per quanto tu ti possa impegnare ad empatizzare con le ferite altrui non sarà mai come avercele incise nella carne. Punto.
Quello che oggi trovo essere l’ordine più efficace a sparigliare le carte credo sia Rivoluzione, Diritti, Generazione: credo alla forza di rottura di un atto violento (non tanto – o non solo – nelle modalità, ma negli effetti), che possa determinare diritti nuovi da cui possano prendere forza nuove generazioni di pensiero, prima ancora che di persone. Sperando che la nostra, di generazione, non se ne stia a guardare mentre qualcun’altro la sorpassa a sinistra (o peggio ancora, a destra), ma se anche fosse così poco importa: la Storia fa sempre il suo corso, e il precipitare degli eventi è necessario alla definizione di nuovi mondi.
MILELLA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Con Generazione mi viene in mente Kurt Cobain; da adolescente pensavo fosse un “poeta”, ma crescendo ho scoperto che se ti ammazzi dopo aver “professato” determinate cose, sei solo un ciarlatano.
Diritti e Rivoluzione invece, sono due facce della stessa medaglia; una medaglia pesante per i tempi che corrono, una medaglia che a quanto pare e a quanto visto in parlamento in questo momento storico, in molti non vogliono indossare.
FLORIDI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Generazione:
This is my generation, baby
Cavolo se sono un fottutissimo nostalgico, non so se capita spesso anche a voi ma io in preda a chissà quale ragione reale spesso pronuncio la seguente frase “sarei voluto nascere negli anni 60/70, ma mi andavano bene anche gli anni 80” ora a dirla tutta, in realtà, per 5 mesi sono un figlio degli anni 80, ma poco conta… m’interrogo spesso sul perché se scavo nel profondo, io, fino in fondò non mi riconosca in questa generazione, le risposte sono talmente tante e talmente articolate che la mia autoanalisi termina con un’emicrania alienante, i soliti dubbi e un gin tonic in più sul conto del mio povero fegato. Comunque siamo una generazione fondamentalmente sola, con riferimenti sempre meno a fuoco e obiettivi che tendiamo a credere facilmente raggiungibili e che per la legge di Murphy puntualmente non si realizzeranno, ma allo stesso tempo siamo testardi e vogliosi di provare a cambiare qualcosa
Diritti:
Raga, mi sembra di essere tornato al primo anno di università, quando forte dell’impegno politico che avevo esercitato negli ultimi due anni di liceo come rappresentate d’istituto mi apprestavo a scegliere Giurisprudenza come facoltà definitiva per la mia vocazione, quella di diventare un PM pronto a stravolgere le regole del gioco, pronto a scendere in campo in favore dei più deboli, mi ero ripromesso che mi sarei incaricato solo di cause giuste, ma ripensandoci bene questo è anticostituzionale, quindi la mia folgorante carriera magistrale è durata più o meno 4 stagioni. Però a quel tempo ho capito una grande verità per me, che scrivere canzoni (cosa che facevo già da qualche anno) poteva farmi abbracciare qualcuno che soffriva come me, poteva far arrivare la mia voce, il mio pensiero ovunque ci fosse qualcuno pronto ad accoglierlo poteva permettermi di dire la mia su armonie semplici o complesse, sapeva mettermi a nudo e sostenere cause alle quali tenevo.
Rivoluzione:
Dici che vuoi una rivoluzione
Bene, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Mi dici che è evoluzione
Bene, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Ma quando mi parli di distruzione,
sai che non puoi contare su di me
Non sai che andrà tutto bene?
Dici che hai una soluzione concreta
Bene, sai
A noi tutti piacerebbe vedere il tuo piano
Mi chiedi un contributo
Bene, sai
Stiamo facendo quello che possiamo
Ma se vuoi denaro per gente con pensieri di odio
Tutto ciò che posso dire è: fratello, devi aspettare
Non sai che andrà tutto bene?
Quando penso alla parola rivoluzione le mie sinapsi creano subito uno Swipe Up, anzi no, un link in evidenza, connesso a questa canzone e alla sua potenza espressiva. Mamma mia i Beatles.
FRANCESCA MORETTI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Oggi fortunatamente queste tre parole si sentono nominare spesso. Stiamo vivendo un periodo in cui è molto più frequente sentir parlare di diritti rispetto a prima, specialmente grazie ai social. Credo che la mia generazione sia molto più avanti rispetto a quelle precedenti, soprattutto quando si tratta di temi come omotransfobia, femminismo, razzismo, ambientalismo. Spesso ci chiamano gioventù bruciata, quando invece bisognerebbe solo lasciarci spazio e lasciarci fare. Magari la rivoluzione è più vicina di quanto sembri.
MARSALI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Non mi reputo un’attivista incallita, vi dico la verità, ma sicuramente sono sempre stata una persona che si è schierata o esposta nelle varie situazioni della vita per “dire la sua”. Credo che la nostra generazione, quella dei social intendo, abbia molti più strumenti rispetto ai giovani di venti anni fa per far sentire la sua voce e per sensibilizzare anche le fasce di età più adulte su dei temi che prima erano dei grandi taboo. Il tempo scorre veloce e io stessa a venticinque anni a volte mi sento indietro rispetto a certe innovazioni di pensiero ma questo non deve farci paura, la nostra piccola grande rivoluzione, anche nei confronti della musica, deve essere l’empatia, il sapersi mettere nei panni dell’altro, il vedere non sempre quelli attorno a noi come dei nemici da buttare giù ma magari come compagni di viaggio storti in questo storto pianeta. I diritti ci spettano è vero, non vanno meritati, ma dobbiamo dimostrare almeno di saperli gestire.
DAVIDE BOSI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
La musica accompagna da sempre le ‘nuove’ e le ‘vecchie’ generazioni che si susseguono nel tempo.
Ricordo quelli che più di altri hanno avuto la sensibilità di combattere per i diritti dei più deboli, degli ultimi (Bob Dylan, John Lennon, Joan Baez per citarne alcuni).
Penso alle opportunità che la musica ha di farsi portavoce della lotta per la libertà e uguaglianza fra le generazioni e il loro tempo.
ILGEOMETRA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Ho idee molto confuse rispetto a tutto ciò che mi circonda ormai. Non ho un’opinione forte su niente. Attualmente, in questo preciso momento storico, non mi appassiona alcuna tematica che non sia legata ai vini naturali, ai ristoranti recensiti della guida Michelin e ai film di Carlo Verdone del periodo compreso tra il 1983 e il 1995. Quindi, effettuate tali premesse, posso affermare senza troppo imbarazzo che la prima cosa che avverto ascoltando queste tre parole è un leggero senso di fastidio.
Provo fastidio per me stesso, per la miseria delle connessioni associative che si sviluppano nella mia mente all’ascolto di questi vocaboli (ti accorgi/di come vola bassa la bassa la mia mente? / è colpa dei pensieri associativi / se non riesco a stare adesso qui…).
E così, la parola “generazione” mi fa pensare a tutti quei termini di più o meno recente coniazione, come “generazione x”, “generazione z”, “boomer”, “millenials”, che si leggono negli articoli di Vice o nei meme, con significati per me sempre volto vaghi e/o post-ironici.
La mia generazione, quella cresciuta negli anni ’90 insomma, dovrebbe essere sulla rampa di lancio della genitorialità, della fascinazione per gli investimenti immobiliari, del progressivo decadimento fisico che si manifesta attraverso la comparsa – sui propri profili social – delle fotografie sfocate di grassissimi pasti domenicali, serviti in approssimative teglie di alluminio, preparati con l’irrinunciabile collaborazione del proprio partner, che di solito coltiva anche un piccolo orto. Entrambi indossano vestaglie. E ascoltano i podcast di Barbero come grande momento di accrescimento culturale condiviso. Io non ho figli, vivo in albergo e mangio bresaola e broccoli bolliti per 5 giorni alla settimana.
La parola “diritti” mi fa pensare a moltissime cose fastidiose e inopportune. Potrei scriverle, perché la mia opinione non è affatto influente e anche se esprimessi dei concetti aberranti (ammesso che ne sia in grado), passerei comunque inosservato. Ma preferisco comunque non rischiare. In ogni caso, per molti anni ho ripetuto a memoria la solita filastrocca tale per cui “in un paese in cui non sono garantititi i diritti sociali, i diritti civili diventano dei privilegi”, o qualcosa del genere. È una filastrocca che mi piace ancora. Quando la recitavo, in tutti questi anni, provavo un enorme senso di autocompiacimento. Per fortuna, in tutti questi anni, nessuno mi ha mai chiesto di argomentare con maggiore grado di analisi il mio assunto. Sarebbe stato molto imbarazzante.
La parola “Rivoluzione” mi fa pensare a un compito in classe di storia avente per tema la Rivoluzione d’Ottobre, svolto in quarto superiore. Presi nove e ne ero molto orgoglioso. Tuttavia, all’epoca, ero uno studente pigro e discontinuo, senza nemmeno il fascino che solitamente si accompagna a questo archetipo di liceale. Immagino fu anche per questo che la docente si sentì in dover di ammonirmi, innanzi a tutta la classe, ricordandomi che “una rondine non fa primavera”. Credo che quell’episodio contribuì molto nella mia attitudine a ridimensionare metodicamente tutto ciò che in vita mia è stato associabile al successo. Quello stesso giorno tornai a casa, staccai il poster di CheGuevara da sopra al letto e ne appesi uno di BrunoTabacci.
SCICCHI
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Vedendo scritte queste parole mi viene in mente appunto, di quanto l’Italia abbia bisogno di una rivoluzione, di quante persone ne abbiano bisogno per continuare a vivere e per un futuro migliore. Io nella mia generazione ci credo, abbiamo molto più a cuore i pari diritti rispetto a chi invece sta al governo ora, guardate che fine ha fatto il DDL ZAN, oppure quante poche persone si sono presentate al senato durante il discorso contro la violenza sulle donne, 8 su 630. Noi, vogliamo il cambiamento, vogliamo un paese libero da pregiudizi e paure, vogliamo pari diritti senza distinzioni di sesso, orientamento o colore della pelle, vogliamo la normalità… e vuoi o non vuoi se non sarà ora, tra qualche anno le persone sedute su quelle sedie non ci saranno più e ci saranno persone più competenti (spero) verso i diritti umani.
UTAH
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
Se ci dite “generazione” ci viene in mente l’ansia, ansia di dover dimostrare sempre qualcosa, ansia perché non sappiamo più aspettare. In un mondo in cui ormai tutto è a portata di mano vogliamo tutto e subito.
I diritti sono scale, sono ponti, sono tutto ciò che è utile per passare oltre.
I diritti sono Martelli che spaccano un muro, sono persone che gridano dietro quel muro, sono persone che abbattono un muro.
Rivoluzione è un termine forte, un’arma a doppio taglio. La rivoluzione, quella vera, bisogna avere il coraggio di pensarla ma soprattutto la determinazione di portarla avanti.
Se cerchi la rivoluzione, guardati attorno.
SEBASTIANO PAGLIUCA
Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.
C’è una splendida canzone di Gaber, uscita nel 2001 che dice: “La mia generazione ha perso”. Ecco, la mia non è mai scesa in campo. E se non è mai scesa in campo allora la nostra è stata davvero una rivoluzione mancata, un occasione perduta per far riconoscere diritti tuttora repressi.
Sarà che non so bene a quale generazione appartengo: sono una sorta di ibrido cresciuto correndo per le strade di un paesino dove cellulari, computer e ogni altro congegno elettrico era visto come sacro e intoccabile per i bambini e ora sono immerso in un mondo in cui non si può e non si vuole vivere se non attraverso uno schermo.
Tra le battaglie per i diritti che la mia generazione ha perduto a tavolino, come esponente di un mondo, quello del lavoro nella musica, così sofferente e scopertosi senza alcuna tutela negli ultimi due anni, penso anche ai diritti d’autore, imbrigliati e mortificati in uffici di burocrati che ti accolgono sulle loro poltroncine come banchieri a cui stai per chiedere un mutuo.
Lo scorso 19 novembre è uscito il nuovo singolo di Pietro Gandetto dal titolo Another planet,pezzo che anticipa l’uscita di un disco che vedrà presto la luce. Il cantautore, originario di Alessandria ma milanese d’adozione, ci regala un brano dal sound internazionale dove l’amore è anche un pretesto per affrontare tematiche di stretta attualità che ci riguardano tutti: il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. Un brano che ispira positività e cambiamento in un connubio tra sonorità vintage anni ’80, dal sapore quasi dance, e suoni contemporanei più minimalisti ed evocativi, in una sintesi ben riuscita tra strumenti suonati e linee elettroniche. Un viaggio in un futuro ideale, in cui “l’altro pianeta” diventa il rifugio di una storia d’amore, che sulla terra viene messa in discussione dall’incerto futuro del pianeta.
Oltre ad essere un cantautore, Pietro Gandetto esercita anche la professione di avvocato e per questo motivo, cogliendo l’occasione dell’uscita del suo nuovo brano, abbiamo parlato con con lui del climate change e gli abbiamo chiesto 4 soluzioni o proposte di legge per salvare il nostro pianeta.
Questo è quello che ci ha detto:
Mentre la crisi climatica peggiora vistosamente e gli effetti dei cambiamenti climatici sono ormai visibili a tutti, gli artisti scendono in piazza per dire la loro e sensibilizzare il loro pubblico. Negli ultimi cinquant’anni la tematica ambientale è stata oggetto di molte canzoni, e ogni artista ha a modo suo portato avanti questa importante battaglia contro il cambiamento climatico con l’arma più potente a sua disposizione, la propria voce.
A modo mio, ho contribuito a questa causa con il mio ultimo singolo uscito il 19 novembre, Another Planet, che trovate su tutte le piattaforme di streaming (https://lnk.to/AnotherPlanet). Quando ho deciso di trattare questo tema così delicato, essendo io anche un avvocato, ho letto alcuni libri, come La Nazione delle Piante di Mancuso, che mi hanno aperto un mondo, e ho cercato i cantanti che avevano affrontato il tema. In questo modo sono riuscito a identificare alcuni macro-filoni, associando le possibili soluzioni al problema del climate change con alcune canzoni che mi hanno particolarmente colpito.
La prima cosa da fare per ridurre il disastro che si sta consumando ai danni del nostro Pianeta sarebbe evitare di far finta che il problema non ci riguardi: molte persone se ne fregano del fatto che, per esempio, l’innalzamento della temperatura globale di 2°C sarebbe già sufficiente per trasformare la nostra Terra in un mondo irriconoscibile. Per informare e sensibilizzare le persone, gli artisti hanno un’arma in più che è proprio l’arte, che ha il potere di arrivare alle persone in maniera più diretta. Per esempio, in Another Planet affronto il tema da un’angolazione particolare. Parlo di due persone che si amano, ma faticano a trovare un luogo in cui vivere, perché la Terra sta bruciando e il cielo sta cadendo (I know the Earth is burning, I know the sky is falling). Parlo di Venezia che sta andando sott’acqua mentre le persone ridono a una festa (People Laughing at dinner, Venice going underwater) pensando che questo sia un problema che non le riguarda.Volevo trattare il tema con un pezzo allegro ed energetico come è Another Planet e sono andato alla ricerca di sonorità anni ‘80 un’epoca dove il benessere economico e sociale si rifletteva anche nella musica. Non volevo associare un messaggio apocalittico, perché credo che non siamo ancora al punto di non ritorno. Così è nata la canzone.
Una seconda soluzione da adottare subito è l’introduzionedella Carbon Tax, cioè la tassa sulle emissioni di Co2 penalizzando così le industrie più inquinanti. In Italia è stata introdotta alla fine degli anni ’90 con l’articolo 8 della legge n. 448 del 23 dicembre 1998, ma mai realmente attuata. Di questo parla per esempio Neil Young nel suo album “Colorado“, registrato durante una notte di luna piena, a 2667 metri di altezza, in uno studio alimentato principalmente da pannelli solari. Nei suoi testi Young attaccata l’economia capitalista e il sistema industriale ed energetico accusandoli di aver prodotto un’enorme quantità di anidride carbonica per oltre un secolo. A causa loro i livelli di CO2 sono i più alti mai registrati negli ultimi 800mila anni e stanno aumentando a un ritmo che non ha precedenti.
Un’altra strada è abolire gli allevamenti intensivi di animali. Se si eliminassero o almeno si riducessero il consumo di latticini e carne bovina, e ci orientasse verso cibi proteici alternativi (non per forza dobbiamo diventare tutti vegani), anche la nostra salute migliorerebbe, senza parlare dei risvolti etici e ambientali. Di questo parla Paul McCartney nel brano Looking for changes: l’ex Beatles, convinto vegano e da sempre sostenitore dei diritti degli animali, ha pubblicato nel 1993 il brano Looking for changes per sensibilizzare il pubblico su questo tema così delicato. Il pezzo in questione è contenuto nell’album pubblicato da McCarney nel 1993 come solista, Off The Ground. L’artista invita a un cambiamento che riguarda proprio il modo di trattare e sfruttare intensivamente gli animali, e non risparmia termini crudi e violenti nel testo del brano.
Si dovrebbe poi bloccare la cementificazione di suolo fertile. Il cemento crea il fenomeno delle isole di calore, aumenta le emissioni e provoca il disboscamento (anche se è in bioedilizia) di intere aree sradicando le piante che invece assorbono l’anidride carbonica e sono quindi la nostra salvezza. Sarebbe meglio ristrutturare o ricostruire (in modo ecologico) gli edifici esistente. Bisognerebbe evitare di costruire nuovi parcheggi, nuove strade e autostrade che attirano nuovo traffico. Di questi temi parla – indirettamente – Billie Eilish: nei suoi luoghi di infanzia in California, gli incendi provocati dall’intensificarsi del disboscamento dovuto alla cementificazione sono all’ordine del giorno, suo fratello e produttore Finneas O’Connel ha infatti ribadito chiaramente in un’intervista che All the good girls go the hell parla di cambiamento climatico: le erbe che si seccano più velocemente per l’aumento delle temperature causano l’aumento della velocità di propagazione degli incendi spesso provocati dall’uomo.
La letteratura pop in materia è numerosa, così come lo sono i comportamenti sostenibili che tutti dovremmo mettere in pratica da subito per rendere la nostra casa più vivibile e preservarla, ma anche per salvare noi stessi, perché la Terra ci sta dicendo chiaramente che non ci vuole più. Non basterebbero altre 1000 canzoni per far cambiare idea a tutti, ma se il compito dell’arte, oltre che intrattenere, è anche farsi portavoce di messaggi e concetti più alti, sono orgoglioso di aver messo la mia voce a servizio di una causa importante.
Fuori da venerdì 15 ottobre per Visory Indie (distr. Believe) l’ultimo singolo di Inghy, cantautrice romana classe 1996. Circolo vizioso è un pezzo dalle sonorità delicate ed avvolgenti con cui l’artista ci racconta la sua esperienza con un amore tossico e distruttivo, un brano per incoraggiare i suoi ascoltatori a rimettere insieme i cocci della propria vita e andare avanti a testa alta. La produzione del brano è stata realizzata con la collaborazione di rebtheprod e Sala.
Si tratta di un pezzo puramente autobiografico e, per questo motivo, abbiamo chiesto all’autrice di darci 5 consigli per guarire da una relazione tossica:
5 consigli per uscire da una relazione tossica? Di solito sono abbastanza brava a dare consigli, però questa domanda, devo dire la verità, mi ha un po’ messo in crisi. Il fatto è che è un argomento talmente vasto. Perché una relazione è tossica? Può esserlo per mille motivi… ed io che consigli potrei mai dare? Alla fine (e per fortuna) ne ho vissuta solo una di relazione così.
Quando si è talmente presi da una persona, non ci si capisce più niente, diventi scemo, ma proprio scemo! Non vedi, non ragioni, per questo secondo me è necessario avere qualcuno che ogni tanto ti ricordi che il tuo mondo deve essere basato su te stesso e su nessun altro. Si tratta di sano egoismo, di amor proprio. E se tu che stai leggendo, non hai nessuno che ti ricordi questa cosa, spero che queste parole possano servirti a qualcosa. A volte dimentichiamo di amarci, perché concentriamo tutto il nostro amore su un’altra persona… ma secondo me, prima o poi, è inevitabile accorgersi di quello che sta succedendo.
Tu guardati allo specchio un istante, domandati se ti stai dando tutta l’importanza che meriti, e poi agisci in base alla tua risposta! Dopo averle provate tutte, una volta toccato il fondo, ci sono due possibilità: o rimani giù, o torni su, anche con difficoltà, perché nessuno dice che sia semplice, però torni su. Come dice il grande Lucio Battisti :“che non si muore per amore è una gran bella verità, perciò dolcissimo mio amore, ecco quello che da domani mi accadrà: io vivrò senza te”
Quindi credo che il mio primo consiglio sia proprio questo: provale tutte, tocca il fondo se è necessario a ricordati di amare te stesso! Un’altra cosa fondamentale sono gli amici, quelli veri intendo, non l’amico del bar! Gli amici ci salvano la vita! Prima di fare l’ultimo gesto “d’amore” per il mio circolo vizioso, ero con i miei amici, hanno provato in tutti i modi a dirmi di non andare. Se non gli avessi dato ascolto, forse starei ancora in quella stessa situazione. Però poi sono stati presenti, e non è stato necessario dare troppe spiegazioni, è bastata la loro presenza, capire che ero importante per qualcuno e trovare la pace e la leggerezza nelle risate e nelle birre insieme a loro, nelle piccole cose della vita, che sono le più importanti! Sono stata fortunata!
Il secondo consiglio mi sembra chiaro: affidiamoci a chi ci ama veramente!
Mi sembra doveroso dare la giusta importanza alle passioni! La musica mi ha aiutato tanto! Scrivere questo brano è stata una liberazione. Dal momento in cui ho iniziato a mettere nero su bianco, ho iniziato veramente a realizzare cosa mi stesse succedendo. Ogni parola che scrivevo era un pezzetto di sofferenza lasciata indietro. Quindi mi sento di dire: aggrappiamoci alle nostre passioni, ai nostri sogni , a quello che sappiamo che ci fa stare bene. Anche se difficile, sforziamoci!Concentriamoci su ciò che è veramente importante per noi. Mi sento di consigliare di imparare ad amare se stessi e portarsi rispetto!
Penso che sia fondamentale per uscire dalle situazioni dolorose che la vita ci presenta. Penso anche che questo sia un valore che si apprende con il tempo, piano piano. Un valore che ci dovrebbero trasmettere fin da bambini, al quale dobbiamo essere educati. Se non hai imparato ad amarti, se nessuno te l’ha insegnato, se da solo non sai da dove iniziare, fatti aiutare! Non dobbiamo mai vergognarci di chiedere aiuto, siamo essere umani e come tali abbiamo bisogno di altre persone per sopravvivere e tirare avanti! Fidarsi degli altri è molto difficile in un mondo come il nostro, in cui tutto va velocissimo e ognuno pensa alle proprie cose, un mondo che a volte sembra così superficiale. Però c’è sempre qualcuno che ci somiglia, disposto ad andare oltre la superficie. Crediamo nelle persone !
Nessuno ha mai capito veramente bene cos’è l’amore, neanche chi pensa di essere innamorato! È un concetto così astratto, difficile da interpretare. Se cerchiamo su internet l’etimologia della parole AMORE, è strettamente collegata a sensazioni di desiderio, passione, attrazione. Sensazioni apparentemente positive, ma che possono diventare deleterie, se non gestite bene. Secondo me, l’amore è una cosa bellissima, e come tale, dovrebbe trasmetterci sensazioni bellissime… quando notiamo che iniziano a diventare pesanti, iniziamo a farci qualche domanda!
Nel video per il suo nuovo singolo S.E.R.E.N.A., il cantautore romano Moderno si ritira in eremitaggio in un casolare abbandonato del Seicento, in fuga dalla società contemporanea. Durante il ritiro spirituale, trascorso tra letture ed esercizio fisico, l’artista scopre però che non potrà trovare la propria rinascita nell’isolamento o nei libri, ma nel buttare le lenti che distorcono la realtà e tornare a guardare le cose per quello che sono: imperfette sì, ma in mutamento. Ci siamo fatti consigliare da Moderno i cinque brani ideali da “portare con sé” in un eremitaggio.
Rodriguez – Cause
Ho scoperto questo cantautore grazie al docu-film Sugar Man. Storia di un emarginato, di un uomo anonimo, resa romantica da questa chitarra acustica e da questa voce calda e trainante che racconta. È la colonna sonora ideale di chi cerca una propria identità. Da ascoltare quando il sole è alto.
Soko – We Might Be Dead Tomorrow
La sentirei al tramonto o mentre sto cercando di studiare le stelle. Come dice una persona molto importante per me, questa canzone è come il “sollievo dopo aver pianto”, una riflessione, sorridendo, sul senso dell’esistenza.
Nick Murphy – I Work for the Universe
È un po’ così che mi sento quando mi faccio da parte. Sto lavorando per un ri-equilibrio personale e quindi un ri-equilibrio delle forze che spingono da una parte all’altra quest’universo, verso il suo destino naturale. Più c’è equilibrio, più il sistema rimane in piedi, in armonia, e balla un lento.
Touché Amoré – Come Heroine
“From peaks of blue / Come heroine / And I’m just a risk / A colossal near miss / Prone to resist what is best for me”. Ci vuole anche un po’ di rabbia e di distorsione, nei momenti più cupi in cui devi toglierti da dentro scogli e scorie dannose. Un pezzo liberatorio.
Franco Battiato – Io chi sono?
Io sono. Ma io “chi sono?” È sufficiente citare il Maestro: “qui non si impara niente, gli stessi errori, inevitabilmente, da sempre, come sempre. Però in una stanza vuota, la luce si unisce allo spazio. Sono una cosa sola”.
Potete guardare qui sotto il video di S.E.R.E.N.A: