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Elettrogruppogeno: Come si crea un videogioco a partire da una canzone

La mia ragazza è una nerd è la canzone perfetta per introdurre il pubblico al mondo dell’Elettrogruppogeno. Non è un caso quindi che la prima canzone che abbiamo deciso di registrare in studio sia proprio questa. 

Avevamo portato una demo chitarra, batteria e voce, ma grazie agli arrangiamenti di Samuele Cangi e Tommaso Giuliani (BlueMoon Rec Studio) il pezzo si è arricchito di un sound modern-retrò che si sposava perfettamente col contenuto della canzone. Una volta ascoltato il risultato finale, abbiamo avuto la folgorazione: con quel sound, quei riferimenti e quella tematica, dovevamo farne un videogioco. Nella scelta ha aiutato il fatto che Andrefuoco, quando non indossa la sua tutina, è un ingegnere informatico col sogno nel cassetto destro di fare il creatore di videogiochi. Per fortuna poi nella vita ha scelto di perseguire il sogno nel cassetto sinistro… 

Purtroppo però dalla programmazione semplice a quella specifica di videogiochi c’è un bel salto. Abbiamo quindi capito che senza dei collaboratori non saremmo andati da nessuna parte. Nello specifico dovevamo trovare degli addetti sia per la parte grafica che per lo sviluppo vero e proprio: dopo una lunga ricerca abbiamo deciso di collaborare con Veruska Ceruolo (illustrazione) e Simone Bastiani (ZilpioGaming). Andrea (l’alterego di Andrefuoco) invece ha fatto da coordinatore e direttore dei lavori, stilando le specifiche del progetto e cimentandosi quando possibile con la pixel-art. 

A quel punto abbiamo discusso l’idea iniziale: vista la quantità di citazioni esplicite e implicite nella canzone, sarebbe stato bello realizzare una sorta di platformer nella quale il protagonista avrebbe dovuto saltare a tempo di musica mentre tutto intorno a lui “succede quello che dice la canzone”. Per fortuna esistono le femmine, e Veruska (che è in effetti una femmina) ci ha fatto notare che sarebbe stato molto più efficace realizzare il videogioco dal punto di vista della ragazza, scelta che avrebbe rispecchiato meglio lo spirito della canzone (che comunque descrive una ragazza molto emancipata) e ci avrebbe fatto evitare il cliché del cavalierechesalvaladonzellainpericolo.

Dal lato grafico la difficoltà principale è stata la mole di lavoro: abbiamo infatti deciso di creare il mondo del videogioco da zero, quando generalmente la “scelta facile” è quella di utilizzare gli asset (i.e. le immagini singole) royalty-free che si possono trovare su internet. Invece no, abbiamo mantenuto la linea dura e ora possiamo dire che ci sono più pixel posizionati a mano in questo videogioco che granelli di sabbia a Livorno!

Per lo sviluppo invece la sfida più interessante che abbiamo dovuto affrontare è stata quella di far rimanere il giocatore sempre in sincronia con la canzone, infatti ci siamo accorti presto che far mantenere velocità costante al main character era impossibile se volevamo mettere un minimo di variabilità nel livello (ostacoli, terreni diagonali…). Con l’aiuto di Simone abbiamo realizzato un escamotage degno delle migliori serie TV degli anni ‘90: invece della ragazza, a muoversi in sincronia con la canzone è un punto che scorre a velocità costante chiamato PIVOT. La ragazza cerca sempre di minimizzare la distanza da questo punto, quindi aumenterà o diminuirà la velocità per tornare in sincronia con la canzone!

Vedere il gioco realizzato dopo che lo avevamo ideato quasi per scherzo anni fa è stata una grande emozione di cui siamo tutti molto soddisfatti.

Il videogioco è disponibile sul Play Store oppure online direttamente a questo link: https://zilpio-gaming.itch.io/la-mia-ragazza-una-nerd 

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Quanto lontano possono portare una chitarra e la pura curiosità? Ce lo racconta Francesco Morrone

La sensazione che affiora sentendo per la prima volta Le Mani, il nuovo pezzo di Francesco Morrone, è quasi quella di star ascoltando un cantastorie di altri tempi, dedito a raccontare avventure ed emozioni di persone conosciute in ogni dove. Come se fosse musica popolare, ma che non appartiene a nessun popolo. 
La canzone è composta solo da voce e chitarre, ma in sottofondo si riesce quasi ad immaginare il rumore delle onde, o il fruscio delle foglie, protagonisti del viaggio che Francesco ha iniziato quasi tre anni fa, con l’uscita del suo primo progetto, Ripartendo Adesso, e che, quasi per caso, non è mai davvero finito. 
La musica che ci regala è figlia delle esperienze crude e viscerali di un uomo che si sente a casa ovunque vada, e che trova in un foglio ed una chitarra l’unico modo giusto per raccontarne le peculiarità. 
Abbiamo avuto l’occasione di farci raccontare qualcosa di più sulla sua vita e la sua arte, e non ce la siamo fatta scappare.

Come hai deciso che la scelta giusta per te sarebbe stata quella di trascorrere un periodo della tua vita senza riferimenti geografici precisi?

In assenza di scelte ho preferito partire senza avere una meta precisa, lo spirito nomade è una parte prevalente del mio carattere, ricordo da bambino viaggi esplorativi brevi. Non credo sia solo un periodo ma una costante, ho la mia casa natale ma non mi sento veramente a casa, vagheggio, non posso controllarlo. Riconosco il mio perché di questo tanto vagare, per me è più che sufficiente.

Che rapporto hai con le terre che calpesti nei tuoi percorsi? Che sensazioni ti trasmettono?

La curiosità ha la meglio sul mio lato razionale quindi cerco in tutti i modi di scoprire la storia di un luogo, conoscere i personaggi “storici” di un paese, trovo piacere ad avere conversazioni lunghe con gli anziani, sono libri di storia viventi. Cito il lato razionale perché delle volte la mia curiosità mi mette nei guai.

Da quando hai deciso di intraprendere questo stile di vita il tuo approccio alla musica, il tuo modo di scrivere è cambiato?

È radicalmente cambiato, in origine avevo un approccio prettamente estetico, ho cambiato il mio modo di scrivere, di raccontare, di vivere la stesura di un testo. Ad oggi è strettamente legato ai viaggi, alle esperienze viscerali con anime così pure da potergli leggere la vita dagli occhi.

Il brano appena uscito, Le Mani, ha una durata importante per la media delle canzoni che siamo abituati ad ascoltare. È stata una scelta voluta?

“Abitudine” una parola che mi incuriosisce molto, è così equilibrata, bene ho cercato di rompere questo equilibrio, ho intrapreso questo viaggio con artisti che stimo e che a loro volta stimano la mia dimensione. È stata una decisione che ha seguito un flusso, avevo la canzone chitarra e voce il vestito è stato cucito dalle emozioni da uno spirito figlio di anni di viaggi, non abbiamo badato alla durata ma alla completezza del viaggio.

Nel pezzo la strumentale ha un ruolo preponderante. Nonostante la delicatezza delle chitarre, la loro presenza è imponente e abbracciano le tue parole in modo impeccabile. Come sviluppi un brano solitamente? Hai un processo definito?

Lasciatemi citare i compositori di quest’opera, che sono L’ennesimo e Andrea Principato. Le chitarre sono l’anima di questo disco e se non ci fosse stata la presenza di Andrea l’anima sarebbe stata un’anima a metà. Nella fase embrionale la canzone si sviluppa semplicemente chitarra e voce, solitamente sono immerso in luoghi isolati dove mi è più semplice essere me stesso, nudo. Sono flussi di coscienza, le canzoni, i testi esistono già dentro di me devono solo prendere forma.

Riusciresti a definirmi la tua “guerra da sfamare”?

Non mi è possibile definirla, la riconosco quando si presenta, mi soffoca. Devo continuamente alimentarla per riuscire a placarla.

Ogni artista decide di fare musica per una motivazione diversa ed estremamente personale. Qual è la tua?

Il mio perché è il viaggio, che a suo modo si manifesta in diverse forme. Un viaggio può essere un tramonto, un bicchiere di vino con uno sconosciuto che ti racconta la sua vita dal fondo del bicchiere, può essere il silenzio che ti trasporta in dimensioni inesplorate della mente.

Potrebbe risultare una domanda banale, ma nel tuo caso forse lo è meno. Dove ti vedi tra cinque anni? Pensi che questa fase della tua vita sia legata ad un momento che potrebbe terminare nel prossimo futuro?

L’unica certezza del futuro è l’incertezza, e va bene così.

Grazie di averci dedicato il tuo tempo ed in bocca al lupo!

Grazie a voi ragazze, siete una realtà che ha un’anima, non vi perdete nelle logiche di un mercato illogico.

 Intervista di Ilaria de Guidobaldi

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Le cinque cose preferite dei Tales Of Sound

Il 14 gennaio è uscito “Paura”, il terzo singolo dei Tales of Sound. Il trio di Vicenza, seguendo lo stile dei precedenti brani, metto a nudo le proprie fragilità in un brano molto attuale che parla proprio della paura dell’altro.  Ci scontriamo tutti i giorni con una realtà che ci sta dividendo e allontanando sempre di più dagli altri. Questo sentimento, questa paura, è come un urlo che rimbomba nelle nostre teste. I Tales of Sound non si nascondono dietro la maschera dei supereroi, tutt’altro. Il loro scopo è raccontare storie reali, di persone fragili.

La natura ci dona di uno strumento che definisce il coraggio: la paura. L’istinto che sovrasta tutti gli altri con lo scopo di preservare la specie da ogni pericolo. E se quest’istinto si manifestasse proprio in presenza della tua stessa specie? Il circuito mentale genera panico, paranoia, allucinazione dissociative.  Paura è un delirio fobico che racconta il terrore di essere umano fra umani, senza sentirsi tale. Racconta il percepirsi come inferiore, debole, sbagliato rispetto alla sfavillante massa che plastifica la propria esistenza. Il timore di essere vivo e considerarlo già una conquista. Paura è indossare un sorriso di circostanza che nasconde urla di disagio. “Pillole Acide Urlano Rabbia Asettica”, soffocati dall’inevitabilità di questa vita“, così il trio descrive il proprio brano.

Noi per l’occasione abbiamo chiesto loro quali sono le loro 5 cose preferite.

(risponde Samakruss)

Tutta la discografia di Giorgio Gaber.

Il Signor G, con le sue canzoni, mi ha spiegato come funziona il cuore. La meraviglia e lo schifo che si annida dentro le persone. Da l’inquietante “io se fossi Dio” (potente ancora oggi), dove rivedo l’antica ostilità sociale e difficile comprensione dell’uomo becero ed egoista, alla leggera “Barbera e Champagne” che ti lascia l’amaro in bocca della disparità sociale accomunata dal calcio e l’amore. Canzoni, monologhi, interventi. Nella sua carriera credo ci abbia donato tutto il suo sapere senza che fossimo pronti. Ancora inarrivabile.

Pasolini

Niente mi ha creato tanta confusione, dolore e attrazione come le opere di Pasolini. In particolare, Salò e le 120 giornate di Sodoma. Il film rende in maniera disturbante, vera e cruda la natura umana. Inutile nasconderci dietro a perbenismi di sorta, tutti si tenta di divenire persone socialmente accettabili ma allo stesso tempo tutti coltiviamo una macabra verità che nascondiamo nei più reconditi pensieri.

Doctor Who

Qualche “whovians” mi ucciderà ma, non intendo la serie classica. In particolare, con Tennants e Capaldi, Il dottore è il personaggio che, di stagione in stagione, è così umano da farci comprendere perfettamente il fatto che sia alieno. Così umano da non esserlo. Sensazione a cui a volte mi sento davvero vicino. Cuore, coraggio, decisioni, famiglia, solitudine, paura. Tutti stati emotivi che fra un viaggio spaziotemporale e l’altro, il dottore ci insegna ad affrontare. 

HellBlazer e Spawn

Fumetti che ho scoperto per sbaglio in adolescenza e che hanno rafforzato in me il concetto fluido di bene e male. Dal buon John Constantine, tabaggista spediscidemoni dal senso dello humor delizioso, ho appreso come ci siano sfere di correttezza nell’agire. Soprattutto, ho capito come la redenzione è un ottima strada da intraprendere nella vita ma che, che lo si voglia o meno, diviene nel tempo una banale pausa dal prossimo passo falso. Quindi conviene arrendersi? No, conviene provare fin che il tempo ci è concesso. Da Al Simmons, Spawn, ho imparato che fare patti con Malebolgia non è conveniente. Che devi capire per chi lavori prima di finire a guidare orde di demoni in nome del male. Che l’amore non ha dimensione o tempo, è una scelta che se vera va oltre l’eternità. Ultima cosa, anche sei brutto e tendenzialmente non buonissimo, niente ti impedisce di agire per il bene di qualcuno. Non di tutti.

La musica

In un verso scrivevo “la musica è mia madre, ed io ho peccato d’incesto”. Non riesco a spiegarlo troppo bene. Posso solo dire che nel mio caos interiore la musica si allinea al mio animo a seconda del periodo storico. Come amica non mi ha mai deluso, l’ho sempre trovata lì vicino a tenermi la mano nella gioia e la tristezza. Come amante è decisamente una peripatetica. Può toglierti il fiato come abbandonarti e riprenderti quando vuole. Quando fa l’amante, non ho volontà. Come madre, mi rigenera con qualità di umano diverse. Come se mi buttasse in un turbinio di genesi perenne riportandomi a nuova vita dopo 3 minuti di qualche frammento di se stessa.

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I Listrea hanno pubblicato un disco che è un vero e proprio thriller psicologico

Era dai tempi dei Verdena che non mi innamoravo così di una band, in un modo così viscerale e sincero. Mi ricordo ancora com’era andata: era il periodo di Emule e ci si passava intere discografie su pesantissimi hard disk che facevano il giro di Milano passando da uno zaino all’altro. In uno dei momenti più fortunati in cui l’hard disk toccò a me ci trovai dentro Il suicidio dei samurai, e lì cambio tutto. Mi ricordo come quel disco, più che una serie di file che mi tenevo nel mio iPod, era diventata la colonna sonora di quel 2004 così complicato (come tutti gli anni passati al liceo). L’angoscia di quello che stavo vivendo si mischiava alle chitarre di Alberto Ferrari e mi soffocava ogni volta che partiva Luna. Inutile dire che i Verdena sono tra le mie band preferite, anche oggi.

Con i Listrea e il loro album di debutto Formicolio è andata più o meno allo stesso modo, un disco che arriva quasi per caso, e quest’ansia generale causata dai tormentoni estivi di Sanremo che finalmente esplode alle prime note di Steso in carmine. I Listrea, con una maturità musicale incredibile, mischiano più genere, in un frullatore che sta per esplodere. Non è stata una settimana facile questa in cui ho ascoltato Formicolio, perchè la nebbia, il freddo milanese e l’angoscia di questi testi surreali tendono a conquistarti e a non lasciarti più andare. Ho vissuto in un thriller psicologico popolato dalle persone della mia vita, dai visi distorti e la voce falsata. Formicolio è un incubo ad occhi aperti, di quelli dilatati che tengono il pubblico in tensione fino al colpo di scena. Formicolio è il cinema di Gaspar Noè ambientato in Brianza, il più allucinato dei numeri di Dylan Dog.

Mi mancava sentirmi così, mi mancava trovare un disco in grado di turbarmi, un disco che nasce nell’intimità più estrema di una cameretta, perchè sembra quasi che i dischi da cameretta non esistano neanche più. Durante quest’ultima estate infatti, la band lombarda, inizia la scrittura di un nuovo nucleo di canzoni, registrate e prodotte completamente in home recording l’inverno stesso. “Formicolio” svela quindi un disturbante mondo che ci riporta nei locali sotterranei e nel cuore della scena musicale underground: un mondo nostalgico che mischia elementi di noise, psichedelia e progressive e che ora, dopo una pandemia globale, ci sembra fantascientifico e sconosciuto. Da non perdere per nessun motivo al mondo, mi ha salvato dal periodo di Sanremo.

CM

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Cosa c’è nella camera di Raele

Esce giovedì 20 gennaio 2022 per Le Siepi Dischi e in distribuzione Believe Digital rame“, il singolo che segna l’inizio del nuovo percorso di Rachele Marinelli come raele. Questa canzone è una lettera d’amore scritta di getto, un primo capitolo di un disco in uscita nel 2022, un brano scritto su un treno sincero che suona come il più caldo dei colori. 

Noi per l’occasione siamo stati a casa sua, ed ecco cosa ci ha mostrato!

L’utilità del camino in camera mia? In sette anni che abito a Roma non l’ho mai acceso e con gli anni, è diventato un ripostiglio per le mie cianfrusaglie e il mio altarino dei ricordi… ma andiamo a vederli meglio. 

Una vecchia polaroid dei miei genitori: ho sempre amato conservare i ricordi, soprattutto le foto, perché immortalano dei momenti finiti impossibili da riprodurre. Mi piace imprimerli in una polaroid e custodirli lì per non farli spegnere.  Mi ricordano di me, di quei piccoli pezzetti che ho lasciato indietro e che, abbracciati in una foto, posso ritrovare sempre allo stesso posto.

Cosa scontata ma mai banale: la mia prima chitarra. Non le ho mai dato un nome e solo adesso mi sto pentendo di non averlo fatto; quindi ho appena deciso che si chiamerà Gisella. Tengo molto a lei, dal primo momento in cui l’ho vista in una vetrina di Napoli me ne sono innamorata immediatamente. Non so se vi è mai capitato di vedere qualcosa o qualcuno ed esserne attratti magneticamente, il classico colpo di fulmine. Ecco, con lei è successo proprio così e da quel momento non mi ha più lasciata.

Il regalo perfetto in un momento catastrofico: questo vinile, come la persona che me l’ha regalato, è stata la mia salvezza, fonte d’ispirazione e di conforto in un periodo buio della mia vita. 

Over the rainbow: Cosa c’è di più sorprendete di un arcobaleno? Per me rappresenta il cambiamento, la speranza in un futuro in cui la diversità sia considerata una ricchezza, la rinascita di chi ha avuto il coraggio di accogliersi e amarsi per come si è. Ogni sera, prima di addormentarmi, questa lampadina mi ricorda quanto sia importante la mia libertà di amare chiunque io voglia amare. 

Chi sa che cos’è questo? E’ proprio lui, il Kazoo. Questo fantastico strumentino mi è stato regalato da una cara amica e mi ha accompagnata per le strade di Stoccolma e Roma nel mio periodo da Busker. La curiosità e la gioia negli occhi dei bambini che si fermavano ad ascoltarmi, i centinaia di passanti di cui incrociavo gli sguardi, mi hanno spronata a proseguire il mio percorso artistico e a diventare oggi raele.

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“Come Serpenti” è il debutto di Hermes

Disponibile dal 5 gennaio, “COME SERPENTI”, il singolo d’esordio di HERMES distribuito da ADA Music Italy. Il brano, prodotto da Alessandro Landini e masterizzato da Marco Ravelli ( Pinguini tattici nucleari, Iside, Chiamamifaro), racconta di una relazione ormai arrivata al capolinea, e di quanto a volte può essere difficile accettare e superare la paura che la fine di un rapporto comporta.

Il sound mescola rnb, indie pop e it pop. Un brano uptempo dove ritmiche funky delle chitarre sostengono un groove ballabile e catchy. Hermes è Christian Cotugno, giovane cantautore classe 2000. Si approccia al mondo della musica e dalla danza sin da bambino e la sua musica racconta la “generazione z” e le loro storie d’amore con ironia ed un pizzico di leggerezza. Nel 2021, dopo diverse esperienze musicali, inizia a lavorare al suo primo EP anticipato dal brano “Come serpenti” edito da Aurora Dischi Publishing e distribuito da ADA Music Italy.

Hermes a risposte alle nostre domande in questa intervista:

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Il battesimo astrale di Carla Grimaldi

In occasione dell’uscita del suo primo singolo da solista, “Nebula”, abbiamo fatto qualche domanda alla violinista e musicista (da anni sul palco con Blindur) Carla Grimaldi, che battezza il suo debutto in solitaria con un brano dedicato all’osservazione dei cieli, metafora di una ricerca esistenziale (oltreché musicale) che non vuole fermarsi alla punta del proprio naso.

Carla Grimaldi, una vita sui palchi e oggi ti metti in proprio. Era da tanto che covavi la necessità di una tua affermazione solistica oppure è un qualcosa che è nato da poco, questo tuo slancio solitario? 

Con Blindur sono sempre stata estremamente libera di esprimermi e di sperimentare con il mio strumento nell’ambito della musica folk alternativa, della quale sono una grande fan, ma la mia passione per le Amiina e per i Sigur Ròs mi ha spinta verso l’esplorazione di nuovi orizzonti musicali. È da qui che nasce la mia scelta di avviare una carriera solista, che non si discosta in realtà così tanto dall’estetica musicale di Blindur. Ho voluto mettermi alla prova, capire compositivamente fin dove potevo spingermi, lavorando su idee accumulate negli anni ma lasciate a fermentare. In generale comunque, direi che ho sempre fantasticato intorno all’ idea di un mio progetto solista, tutto incentrato sugli archi e sull’elettronica, e sono molto felice di aver finalmente iniziato!

Tra l’altro, “Nebula”, il tuo brano d’esordio, vede la collaborazione artistica con Massimo De Vita (Blindur), con il quale hai condiviso gran parte della sua e della tua esperienza musicale. Eppure, il linguaggio utilizzato qui è ben diverso rispetto a quello di Blindur: esiste una continuità tra ciò che è “Nebula” e il percorso da cui vieni? Oppure il brano è una “rottura” con tutto ciò che lo precede?

Dal punto di vista estetico, sicuramente “Nebula” rappresenta una sorta di rottura con quello che è l’immaginario sonoro di Blindur, in quanto lontana dall’universo folk-rock-alternativo e più vicina ad un immaginario post-classico. Quest’ultimo, è un mondo al quale mi sono avvicinata negli ultimi anni, principalmente ascoltando artisti quali Olafur Arnalds, Rob Moose e Amiina, ma anche grazie alla mia collaborazione con Manuel Zito, pianista e compositore, con il quale ho collaborato per la colonna sonora del documentario “Le Soldat”, con la regia di Davide Bongiovanni. Io e Manuel siamo inoltre tra gli artisti coinvolti nel “The Outlaw Ocean Music Project”, un progetto molto ambizioso del giornalista Ian Urbina (New York Times, National Geographic), volto a denunciare tutte le azioni illegali che coinvolgono gli oceani. Vi faccio però un piccolo spoiler dicendo che l’atmosfera generale di “Nebula” si potrà ritrovare nelle prossime uscite di Blindur,  programmate per il 2022! Quindi teneteci d’occhio! In generale comunque, sono convinta che ogni artista sia influenzato da tutto ciò che suona e che ascolta, e per quanto mi riguarda Blindur è un progetto che mi ha formata e continua a formarmi come musicista, quindi direi che esisterà sempre una continuità tra i miei lavori e Blindur.

“Nebula” è un concetto, prima ancora che un brano, che oggi ci chiama ad alzare lo sguardo, e a capire quanto siamo piccoli e destinati a scomparire. Il brano, con le sue sfumature eteree, aiuta effettivamente il viaggio a farsi concreto. Ma come nasce il tuo esordio, e perché hai deciso di chiamarlo “Nebula”?

Il mio esordio è legato alla mia formazione scientifica, e al fatto che le Scienze Naturali sono per me grandissima fonte di ispirazione sia quando compongo che quando suono. Da qui mi è piaciuta l’idea di dare al brano un nome scientifico che richiamasse al concetto di “nascita”: “Nebula” è infatti il nome scientifico delle nebulose, la materia da cui si formano le stelle.  

Pur essendo allergici alle categorie e ai generi, è evidente che “Nebula” non rientra esattamente nei canoni del “pop”, eppure possiede qualcosa che lo rende estremamente melodico e “popolare”. Quale ritieni che sia, oggi, il destino della musica strumentale e come definiresti il tuo brano d’esordio?

Rispetto alla musica strumentale, la definirei un Universo in espansione. Questo perchè sempre più artisti hanno side projects strumentali, e perchè la musica strumentale sta acquistando un ruolo sempre più importante nella nostra quotidianità, diventato rifugio emotivo spesso, e assumendo ruoli importanti anche nel mondo visual e cinematografico. Definirei “Nebula”  un brano pop nell’immaginario, nella melodia e nella struttura, con un carattere classico legato all’orchestrazione.

Tra l’altro, pare esserci un concept ben preciso che collega il tuo esordio con quello che verrà, e sopratutto con l’outfit studiato per te da APNOEA. Ti va di spiegarci un po’ il tutto?

APNOEA è un giovane brand napoletano con il quale condivido importanti ideali. I due fondatori Pina Pirozzi ed Enzo Della Valle utilizzano materiali non convenzionali e giacenze di magazzino per la realizzazione dei capi, con l’intento di porre l’accento sulla questione sostenibilità e rispetto per l’ambiente, due temi per me molto importanti. Inoltre, propongono abiti sizeless, senza taglia, secondo il tentativo di far aderire un abito non al corpo, ma alla personalità di chi lo indossa, lanciando a mio avviso un importante messaggio di inclusività nel mondo della moda. Questi presupposti, insieme alla straordinaria bellezza dei loro capi, mi hanno totalmente colpita, non capita facilmente di sentirsi così affini artisticamente ed ideologicamente, e da lì la volontà di collaborare. Tra l’altro, vi svelo che “Nebula” è solo l’inizio della nostra collaborazione! I brani che seguiranno andranno ad affrontare il tema del Climate Change, ed io ed APNOEA stiamo già lavorando a nuove idee per i prossimi outfit. 

Salutiamoci con un proverbio delle tue parti, che sia di buon auspicio per questo 2022 già zoppicante!

Dicette ‘o pappice vicino ‘a noce, damme ‘o tiempo ca te spertose” (Disse l’insettino alla noce, dammi il tempo che ti buco). Credo che sia un proverbio di ottimo auspicio: credici, lavora sodo, persevera e, piano piano, arriverai al tuo obiettivo!

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Marchi ci consiglia 5 film del cinema queer

Gennaio di Marchi è una ballad intimista di genere Pop. Si apre come una piano-song con rimandi alla tradizione della musica d’autore italiana e si sviluppa gradualmente con steel guitar, synth e percussioni avvicinandosi alle sonorità dell’indie-rock contemporaneo. Prodotta da MarchiAlexanderWoodbury (Street Clerks) e AndreaCola (Sunday Morning) presso lo StoneBridge Studio di Cesena.

Il video che lo accompagna è ambientato negli anni ’30 tra le montagne innevate della Val di Mello e vede protagonisti di una scampagnata romantica d’altri tempi Antonio e Pietro, due amici che vivono intimamente la scoperta del loro amore. Il videoclip è diretto da Giovanni Iavarone ed è prodotto da Francesco De Giorgi per la Nostos Production. È un breve racconto cinematografico di taglio intimista che ritrae con sguardo poetico ed evocativo i frammenti di una giornata felice nelle vite dei protagonisti. Il cast  è composto da Michele Piccolo, Pietro Gambacorta e Marchi. Le riprese si sono svolte tra la Lombardia (Sondrio) e il Lazio (Roma, presso il Museo Agostinelli). 

Per l’occasione, abbiamo chiesto a Marchi di consigliarci 5 film del cinema queer che tutti dovrebbero vedere:

HAPPY TOGHETER, di Wong Kar-wai

Due innamorati pieni di tormento che si prendono a botte dall’inizio alla fine del film. Ho amato questa regia sensibile e di vera avanguardia che indaga questo amore borderline con l’occhio umano di chi soffre insieme ai protagonisti. Un film d’autore contemporaneo dal sapore antico, romanticismo senza fronzoli sentimentali. 

BEAUTIFUL THINGS, di Hettie Macdonald

Uno dei film più teneri e più semplici ch’io abbia mai visto sul tema della scoperta, dell’amore e dell’amicizia che si trasforma. Un film per la tv di metà anni ’90 che purtroppo in Italia non ha visto quasi nessuno. Uno dei finali cinematografici più belli di sempre, da groppo in gola col sorriso. 

BELLI E DANNATI, di Gus Van Sant

Avrò avuto dieci anni, lo vidi in terza serata nella piccola tv della mia cameretta, in segreto, al buio, mentre dormivano tutti. Una visione carbonara! Ricordo ancora la paura di essere scoperto. Se guardi questo film senza innamorarti di River Phoenix già dalla prima inquadratura c’è qualcosa che non va.

AMICI, COMPLICI, AMANTI, di Paul Bogart

Scoperto in pandemia, un film divertentissimo e toccante uscito nel mio anno di nascita, il 1988. Soltanto negli anni 80 si riuscivano a scrivere dei film così profondi e leggeri allo stesso tempo. Anne Bancroft è di un’incredibile sensibilità nell’incarnare le resistenze di una madre che non comprende l’omosessualità del figlio senza per questo negargli il suo amore. Attenzione perché si ride e soprattutto si piange.

A WONG FOO, GRAZIE DI TUTTO! JULIE NEWMAR, di Beeban Kidron

I machi più machi di Hollywood degli anni ‘80 e ‘90 in versione drag queen che si mettono in viaggio su una Cadillac per sfrecciare verso Hollywood e concorrere all’elezione di “Miss Drag Queen dell’anno”… può bastare?! Lezioni di vita apparentemente banali impreziosite da un umorismo quasi toccante e da un’eleganza impeccabile. Ricordo di averlo visto da bambino seduto sugli sgabelli del ristorante dei miei genitori, in attesa che finissero di lavorare. Magico.

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Il mondo oscuro di Tigri, a tinte pastello

Sono giorni difficili dove non faccio altro che passare da un disco all’altro alla ricerca di qualcosa che mi colpisca davvero. Ho la casa che è un casino, e non faccio altro che finire su dischi indie dell’est Europa, sperimentazioni incredibili, mondi inascoltabili, sono in un periodo di crisi mistica dove nulla sembra appassionarmi e, ve lo dico sinceramente, son finito a cercare l’assurdo, l’ambient rumena e i canti popolari marocchini reinterpretati in chiave elettronica, il gruppo indie degli amici dell’Erasmus e i consigli assurdi del sito più infognato dell’internet. Niente, ero solo nel mio monolocale come non lo sono mai stato. George Orwell diceva che i libri che più ci piacciono in realtà sono quelli che parlano di qualcosa che già conosciamo, quelli che parlano di noi, forse è così anche per i dischi, ed è per questo che Serenata Indiana di Tigri mi ha conquistato come nessun altro in questo periodo di sovrabbondanza.

Un nuovo capitolo definitivo per il progetto indie-pop da Milano che vuole indagare sulle varie declinazioni dell’amore. Il titolo dell’album è rubato da una poesia di Eugenio Montale che parla della corrosione dei rapporti umani quando vengono insidiati da ciò che non ci conosce. analizza la relazione uomo-donna e la spersonalizzazione delle identità che sorge nei rapporti. 8 brani (+1 interludio strumentale) che ruotano attorno al tema dell’amore nelle sue svariate declinazioni: sacrale, casuale, illusorio, salvifico, distruttivo, totale. È il tentativo di emergere dal chiaroscuro che l’amore evoca e al tempo stesso il desiderio di abbracciarlo.

Quello di Tigri è un mondo patinato che nasconde la tristezza più profonda del mondo, un mondo sospeso dalla pandemia dove una voce rauca ci conduce all’interno di ciò che non vorremmo mai vedere, i patetici individui che siamo tristemente diventati: l’amore che potrebbe salvarci è un sentimento complesso e troppo vario da poter accogliere, e Tigri non fa che raccontarcelo nelle sue 9 personalissime tracce che lui stesso descrive come un riassunto delle cose che non potevo dimenticare. E Serenata Indiana diventa quindi un manifesto generazione per tutti noi poveri stronzi, che siamo in stasi, ad aspettare.

Passerà un po’ prima che riesca a liberarmi da questa serenata indiana.

CM

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Cosa c’è nella camera di UNO

24 ore è il debut single di UNO per Epic Records Italy / Sony Music Italy, disponibile in digital, streaming e radio dal 3 dicembre. Prodotto da Alessandro Landini e Walter Babbini, il brano parla di una relazione dove entrambi i partner non riescono a lasciar andare un rapporto che non funziona più, nonostante sappiano porti solo a delle conseguenze negative. Tutti i discorsi non fatti, gli effetti del silenzio e delle parole mai dette: sono tante le parole che non diciamo ogni giorno, che la paura o l’orgoglio bloccano sulla punta della lingua. Paura del giudizio, paura di non saper gestire le conseguenze, paura di ferire.

Siamo stati in camera sua per l’occasione, ed ecco cosa ci ha mostrato!

La mia chitarra è sempre stato il buco nero dove entro del tutto ogni volta che faccio musica.
Passavo e passo tuttora tantissime ore suonando e cantando pezzi.

La mia piccolissima collezione di libri che piano piano cerco di allargare.
Passo moltissimo tempo a leggere,è molto produttivo soprattutto per la scrittura successivamente.
Mi aiuta molto con la creatività per lo scrivere e riflettere.

Il mio pc oramai è un compagno fidato che mi accompagna da un po di anni.
Dentro questo computer c’è ancora la primissima canzone che abbia scritto.
Lo uso tutt’ora per registrare nuovi pezzi e lavorare su nuove idee

Il mio microfono che durante la quarantena mi ha salvato in quanto sono riuscito comunque a lavorare sui pezzi nuovi e registrare direttamente da camera mia,in quanto non si poteva uscire.