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Indie Pop

Il diritto di essere dei casinisti secondo i Diletta

Quello dei Diletta è un mondo a tinte pastello dove regna il caos, quello che avete sempre sognato: i calzini per terra, pile di libri infinite sparse ovunque, cartoline da tutto il mondo, un frigorifero cosparso di calamite. Sacro Disordine è come l’appartamento che accoglierà la nostra vecchiaia e che straborda di ricordi (fanculo al minimalismo), che contiene una vita di sentimenti e sentimentalisti, piante rampicanti che si inerpicano su tutte le pareti. Sacro Disordine è il primo album dei Diletta dove è finalmente è completamente svelato il mondo del duo lombardo, tra cantautorato ed indie pop: un disordine inevitabile e sacrosanto che è comune a tutti.

I Diletta sono un duo nato nel 2019 da un’idea di Jonathan Tupputi, voce e chitarra, e Andrea Rossini, tastiere e arrangiamenti. Da un primo approccio rock i due amici approdano a un sound più intimo e sperimentale avvalendosi prima della collaborazione di Desirée Bargna ai cori e al violoncello e successivamente di Simone Bernasconi al basso. La loro idea musicale trova compimento nel primo EP “Sacro Disordine” grazie al produttore Luca Urbani (ex Soerba, con all’attivo collaborazioni illustri fra cui Bluvertigo, Alice, Garbo e tanti altri), che dona ai Diletta quel tocco elettro-pop che stavano cercando. “Sacro disordine” concretizza il primo anno di attività passato tra prove e live nei locali del comasco, con 6 canzoni inedite, rigorosamente in italiano, a metà tra l’indie-pop elettronico e il cantautorato più intimo. La band, sostenuta da una campagna crowdfunding lanciata sulla piattaforma Ulule, ha ultimato i lavori nell’autunno del 2020 e ha pubblicato di recente i primi due singoli “Capita” e “Povera città” disponibili su tutte le principali piattaforme musicali.

Questo dei Diletta è un disco che ho avuto la fortuna di ascoltare, consumare, durante una di quelle giornate orribili che iniziano col buio, continuano con la pioggia, e finiscono con il buio, una di quelle giornate che non vedono mai la luce. Che si inizia a scrivere, a lavorare, a studiare come se fosse ancora notte, con la luce accesa anche alle undici di mattina, e non c’è scampo: bisogna restare al riparo, bisogna proteggercisi, e non fermarsi neanche un secondo. Le giornate di pioggia, che Dio ci ha donato perchè le sprecassimo, sono sfruttate fino all’ultimo secondo. Sacro Disordine, una attesa pausa di sospensione, si è rivelato un ottimo alleato: dolci parole che si intrecciano tra synth meravigliosi, che sussurrano che va bene così, che va bene anche fare un po’ schifo, che il disordine, quello mentale soprattutto, è sacro.

Un regalo a chi si sente inadatto, a chi sta affrontando una novità (un trasloco, una nuova relazione, un nuovo lavoro), qualcosa di incredibilmente bello che ci costringe ad abbandonare il nostro amato monolocale, la nostra abituale solitudine, tutto quel tempo libero che riempivamo guardando tutto quello che Netflix contiene. I cambiamenti fanno bene, ma incasinano anche tutto. Io sto affrontando tutto questo, e mi sono ritrovato nel mio Sacro Disordine che mai avrei saputo spiegare, prima dei Diletta. Un cantautorato underground di cui credevate di essere stufi, prima di ascoltarli. Non perdeteveli.

CM

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Indie

Un’opera d’arte e un racconto per entrare meglio nel mondo di “Brilla”

È da poco uscito “Brilla”, il nuovo album dei Les Enfants. Un disco che è un viaggio notturno pieno di luci e che suona come un abbraccio potente.

Sette canzoni, dall’introduttiva “Alba” alla conclusiva “Tramonto” che si mettono a nudo, perché la vita è una sola ed è stupido riempirla con accessori inutili. I Les Enfants sembrano dirci che è bene puntare dritti al cuore delle cose, dei sentimenti, dei rapporti. Siamo noi, con le nostre fragilità e le nostre meravigliose particolarità.

C’è un brano in particolare in questa raccolta che può essere considerato un po’ il manifesto dell’album: “Io e te”.

Più che una “semplice” canzone d’amore, una canzone contro l’individualismo, che racchiude al suo interno tutto un ventaglio di significati.
È la fotografia di uno di quei momenti in cui si fanno i conti con sé, quei momenti in cui – per usare le belle parole del brano – anche se” fuori sembra la fine del mondo, non si ha più voglia di stare a guardare”.

A tutti sono capitati momenti così. Attimi che segnano dei piccoli punti di non ritorno e che fanno fare alle nostre vite un balzo in avanti.
Abbiamo giocato con Marco e Francesco dei Les Enfants e gli abbiamo chiesto di parlarci di uno di quei momenti attraverso un’immagine e un breve racconto. Loro ci hanno stupito con delle opere d’arte fatte da loro!

Marco

Una volta il mondo era tutto giallo.
Gialla la luna, gialle le macchine, gialli i vestiti, gialli i tombini.
Tutto era dello stesso colore. Un colore avvolgente, intimo, un colore che cura.
Ad un tratto Marco pensò: “ma se è tutto CURA, non c’è niente da curare!”
Così scagliò un sasso sulla finestra per rompere il giallo.
Con suo immenso stupore dalle crepe uscì un profondissimo nero che sembrava inghiottire tutti i colori.
“Ommioddio cos’ho combinato” pensò Marco – il nero ormai si stava spargendo ovunque.
Dal cielo gridò una voce “se lo dipingi su un cartone, il nero si sentirà accolto e verrà tutto dentro il dipinto, diventerà la sua casa”.
Così Marco dipinse il vetro giallo rotto su un cartone e il nero subito si ritirò dentro il quadro.
“Che fortuna, tragedia scampata” pensò Marco appendendo il quadro sul muro della sua camera.
Il mondo tornò giallo, fatta eccezione del quadro in camera sua.
Ora Marco era l’unico al mondo ad avere un profondissimo nero appeso sul muro.

Questo quadro nasce dagli scarti di un’altra opera che avevo fatto.
Questi rettangoli gialli mi servivano come modello per ritagliarne altri di diversi colori che andavano a creare una sorta di tramonto sul mare.
Quell’opera era un regalo speciale per una ragazza ma, preso dalla foga creativa decisi di utilizzare questi scarti per creare un’opera nuova.
Così pensai ad un’esplosione o a un vetro rotto e dipinsi di nero un rettangolo di cartone ed incollai i triangoli gialli sopra. Il risultato mi rese molto contento!
Questo collage per me ha tanti significati: può essere un tramonto, può rappresentare una rottura con il passato o un’esplosione di gioia.

Francesco

Riposava nella terra, morbida come un cuscino di nuvole, e chinato appena il capo scorse il suo nuovo corpo armonioso, verde e senza traccia di peluria. Si vide sbucare da una coperta di terriccio leggera. La radice, unico arto a sua disposizione, s’infittonava nel suolo. Tutto era cambiato: quello scandaglio, invisibile ai suoi occhietti, s’inabissava nelle profondità della terra.
– Che cosa mi è capitato? – pensò.
Il giardinetto di via Debussy era diventato un vortice di movimenti frenetici e di sensazioni impreviste. Ci volle un attimo per capire che era solo questione di prospettiva, la sua, che era cambiata. Il mondo era lo stesso, era lui che funzionava in un nuovo modo.
Aveva ereditato l’abitudine di guidare il suo involucro di carne come un’automobile per spostarsi qua e là, additare e addomesticare gli oggetti. Ecco, questo era cambiato. La metamorfosi compiuta. Il movimento dello sradicamento non rientrava più tra le possibilità previste dal suo codice, né l’afferrare, né il tener per sé. Ma sbocciare come una rosa, quello sì.

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Pop

Le 5 cose preferite di Pellegatta

Esce lunedì 4 ottobre 2021 per Adesiva Discografica e in distribuzione SELF Sono come suono, il nuovo secondo singolo di Pellegatta (nome d’arte per Manuela Pellegatta). Il brano è un nuovo capitolo che ci avvicina sempre di più alla pubblicazione di un nuovo album: un brano di electro-pop che suona dolce-amaro, per chi non ha timori di suonare sfacciatamente pop e di fare di Sono come suono un vero e proprio manifesto musicale, per chi ha preso qualche chilo e sta attento al colesterolo.

Il singolo, prodotto da Paolo Iafelice  già al lavoro con Fabrizio De André, Ligabue, Fiorella Mannoia – è un brano che rispecchia lo stile semplice e diretto della cantautrice che racconta“sono come suono è la sveglia delle sei, il caffè bollente che ti  tiene in pista per quattro anni, un periodo in loop e porte spazio temporali di istanti irripetibili. Il brano è stato registrato in tre momenti differenti, prima durante e dopo un trasloco, l’apri pista dell’album fluorescente. Da maggio 2020, ho deciso di concludere tutte le registrazioni del nuovo album attraverso una collaborazione a distanza insieme al produttore Paolo Iafelice e Sara Velardo alle chitarre, la squadra non si cambia”

Film da rivedere : Pomodori verdi fritti alla fermata del treno.

Mi piacerebbe fare un pigiama party con le mie amiche storiche e rivedere insieme questo film con una cofana di pop-corn. Pomodori verdi fritti alla fermata del treno è un film travolgente, parla di Evelyn, casalinga dedita al marito e alla casa, la sua felicità è confinata fra le quattro mura di una villetta nell’Alabama. Dentro a questa apparente felicità si nasconde una insoddisfazione spesso colmata dall’esigenza di mangiare cibo spazzatura davanti alla tv.  

Ogni settimana Evelyn ha  il compito di andare a trovare la zia in una casa di riposo dell’Alabama e durante le sue visite incontra Ninny “l’ammaliatrice di api” una persona speciale che da ragazza per il suo talento innato si arrampicava sugli alberi incantando le api per raccogliere il miele senza farsi pungere. Ogni settimana Ninny racconta un pezzo della sua storia e il film prende una piega del tutto inaspettata i flash back riportano ai ricordi degli anni 20, dei personaggi che ha conosciuto in giovinezza, di un ristorante vicino alla stazione del treno dove con la sua amica Ruth aveva preso in gestione. Evelyn fa tesoro delle parole della vecchina e cerca di mettere in pratica quello stesso spirito Towanda ribaltando casa abbattendo tutti quei muri che per anni non le hanno fatto vedere la sua grinta. Questo è solo un film, ma in realtà se ci pensate quante volte capita di ascoltare una storia e cambiare il proprio punto di vista sulle cose. Non posso raccontarvi tutto il film nei dettagli quindi preparatevi un barile di  pop-corn e buona visione

L’ordine 

Come in un girone dantesco, la mia punizione divina è riordinare ogni venti minuti tutti i  giochi di Gabriele. Non so come faccia a spargere a spargere per casa tutte le sue costruzioni, credo che abbia un talento naturale preso dalla sottoscritta. L’ordine è diventato una mia conquista spirituale che ogni giorno cerco di mettere in pratica  pazientemente, non solo in casa ma anche nella mia vita. Ho apprezzato il lato buono del disordine, stimola la memoria visiva e quindi per anni non ho mai perso niente, si ero disordinata ma con una memoria impressionante per ogni cosa al suo posto. Negli ultimi anni dove 80% degli oggetti non sono miei, incomincio ad avere qualche difficoltà nel ricordare e quindi in primis per un sano principio di sopravvivenza ho deciso di eliminare buona parte dei miei oggetti vestiti in disuso, tenendo l’essenziale così quando li sposto nello spazio li ritrovo con facilità. Questo vale anche per la strumentazione musicale e per il set che devo preparare per il nuovo album. 

Son la prima a credere che le persone non cambiano però posso sincerarmi con voi dicendo che dipende dal cambiamento e per me diventare mamma è stata una trasformazione, un cambio di pelle. L’ordine ha una connessione nella produzione  musicale? Non lo so sinceramente, sicuramente aiuta ad avere le idee più chiare ma spesso per creare serve anche molto caos esistenziale.

Il cibo : dal pollo di Giannasi alle Tigelle 

Il cibo che preferisco, ma soprattutto quello che mi consola dopo  momenti ti pessimismo cosmico è il pollo allo spiedo ( chiedo venia per tutti i lettori  vegani e vegetariani). Fabrizio, il mio compagno di vita, quando mi vedeva un po’ giù di morale andava da Giannasi, una rosticceria vicino a Porta Romana a Milano e per me quel gesto era una dichiarazione d’amore, altro che orecchini collanine … pollo, patatine ed insalatina . 

Qui a Modena non ho ancora trovato il mio dispensatore di felicità, ma ho scoperto il Forno Raffaello che sforna “il gnocco”   (si dice così guai dire “lo gnocco” )  Comunque ho scopeto che ci sono ben altre pietanze molto prelibate che possono palesemente sostituire il pollo come i tortellini in brodo,  tigelle e borlenghi. Sempre a livello culinario importo nel modenese “le vellutone di Manu”una  vellutata di verdure dell’orto servita con crostini di pane saltato in padella olio e rosmarino. In inverno questa pietanza è ben apprezzata e anche il mio bimbo chiede il bis quindi credo che siano davvero top le Vellutone di Manu e quando avanza TAC schiscetta e frizer. Adoro il piccante quello calabrese, Concy la mia ex coinquilina quando arrivava il pacco eravamo tutte entusiaste per tutte le leccornie che tirava fuori dallo scatolone, nell’appa era sempre una festa e la domenica ci preparavamo i Nachos con chili di provola fusa e olio piccante… Baboom.

Dagli indiani a Teheran

Mio fratello maggiore oltre ad insegnarmi a suonare la chitarra mi ha fatto vedere un sacco di film e documentari sugli indiani nativi d’America.  Un film che mi ha sempre colpito è il piccolo grande uomo un film di Arthur Penn prodotto negli anni 70   una produzione indipendente, uno dei primi film che affronta il tema dei nativi americani da un punto di vista nuovo per l’epoca. Il protagonista Jack Crabb (interpretato da Dustin Hoffman) è l’unico superstite della battaglia di Little Bighorn nel Montana. Il film inizia con Crabb ultracentenario che viene intervistato da un giovane giornalista desideroso di acquisire informazioni nuove sugli scontri tra bianchi e pellirossa.  

Il racconto percorre tutte le leggende Wester sfatando i classici miti del mondo nuovo, il pistolero Wild Bill Hickok,  il Generale Custer  e Buffalo Bill. Crabb attraversa ogni fase della sua vita facendo delle virate vertiginose e in lui mi sono sempre riconosciuta sebbene i contesti siano differenti ho fatto molte virate amando e rinnegando quello che so far meglio, cambiano in modo camaleontico ma vorrei tornare alle origini ovvero fare solo quello che mi fa stare bene senza compromessi e quindi tornare ad essere una Cheyenne nel mio spirito.  Una canzone che associo sempre a questo film è la canzone di Fabrizio De André  scritta nel 1981 “Fiume Sand Creek”. Il brano racconta della strage dell’accampamento indiano del 29 novembre del 1864. Solo dopo 136 anni il Congresso Americano riconosce colpevoli gli aguzzini della strage,  quella strage  fu l’inizio di dodici anni di guerre indiane che ebbero il loro culmine con la sconfitta del Generale Custer a Little bighorn.

L’Irlanda e le isole Aran

Ho visto poco ma di quel poco ne ho scritto molto, a 16 anni sono partita per l’Irlanda, era la classica vacanza studio, ma in quaell’occasione ho avuto la possibilità di vedere ad occhio nudo dei paesaggi incantati e le scogliere delle isole Aran . E’ stato un viaggio che mi ha dato lo stimolo per iniziare a suonare, tornando a casa in aereo mentre tutti erano assopiti ho iniziato a scrivere “scogliera” una ballata folk. Mi piacerebbe un giorno ritornare a Dublino e girare tutta l’Irlanda per la musica e soprattutto per la Guinness.

Il Caffè Bistrò a Milano

Uno dei luoghi di Milano ricordo il Caffè Bistro dove ho iniziato a suonare ha vent’anni. Ogni venerdì salivo sulla mensola del Caffè Bistrot con la chitarra e iniziavo a suonare indisturbata come se fosse camera mia. La sera con la mia Graziella andavo verso China Town precisamente in via Lomazzo. Nel locale ho lasciato la  mia dodici corde appesa. Da qualche anno il locale ha chiuso e ora c’è una lavanderia. Di quel mondo ho scritto una canzone Bacco Tabacco e Venere, in brano che racchiude tutta la storia del mio Bistrot. 

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Indie

Cosa c’è nella camera di International Washing Machines

Esce venerdì 29 ottobre 2021 LFS, il nuovo singolo di International Washing Machines.

Un nuovo capitolo per il progetto alternative rock di Matteo Scansani. Benvenuti in un mondo fuori dagli schemi, dalle mode, dalle dinamiche delle playlist e delle condivisioni. Questo progetto, sfacciato e sincero, è la follia emotiva di chi non ha ancora smesso di sognare nella propria cameretta. Questo brano è quindi una dedica a chi non ce la fa più, a chi pensa di essere arrivato al limite, a chi sta male per colpe non loro: questo è “LFS”. Il brano racconta di tre ragazzi che decidono di farla finita, di mettere un punto alla propria esistenza, non sentendosi più in grado di sopportare il peso delle scelte e dei commenti altrui. Ogni ragazzo ha una storia e delle motivazioni diverse che li porta a fare tutti la stessa scelta. La parte finale è una protesta contro il giudizio, contro chi si sente nella posizione di poter puntare il dito, contro chi è la causa del malessere delle persone definite, erroneamente, più fragili. 

La musica che fa da sfondo al tutto è un insieme di elettronica e alternative rock, con la chitarra in primo piano accompagnata da vari synth, da un basso definibile punk, e da una batteria studiata per dare il giusto movimento al pezzo. La struttura non è classica ed è molto dinamica, con momenti in cui il tutto rallenta per poi ripartire più ritmato. “LFS” rappresenta la lotta contro la superficialità del giudizio e contro l’arroganza di chi critica, di chi si sente superiore. 

Non abbiamo saputo resistere, e per l’occasione gli abbiamo chiesto di invitarci nella sua camera. Lui ci ha raccontato la storia di quattro oggetti lì presenti.

Direi di iniziare dal mio angolo preferito della camera, quello da dove nascono tutti gli arrangiamenti dei miei brani. C’è poco da dire, anche se è un angolo di una stanza, questo spazio contiene un mondo, il mio mondo, il mio modo di evadere e di guardare la realtà da un terzo punto di vista.  

Invece questo quadretto è un regalo di una mia amica. Lei fa questi disegni su legno, molto belli secondo me, e la storia dietro credo sia molto divertente: uno dei tanti pomeriggi che passavo a casa sua notai questo dipinto e subito le dissi che era veramente bello. Diciamo che solitamente i suoi disegni non sono così inquietanti, anzi, e lei non era molto contenta del risultato, appunto perché, secondo lei, troppo macabro. Mi disse che potevo portarmelo a casa, che era il disegno giusto per me. È un oggetto a cui sono molto legato sia per la sua bellezza che per la persona che me lo ha regalato, che fondamentalmente è la mia migliore amica. Se volete vedere altri suoi disegni o volete addirittura prenderne uno, la potete trovare su Instagram con il nome @d_00_dles 

Questo è un oggetto che può essere tranquillamente definito un cimelio. È un regalo che mi è stato portato da Bologna, preso in un mercatino di libri. Sono abbastanza patito dei libri, in generale, ma pensare che questo abbia vissuto così tanto è ancora più eccitante. Questa è infatti un’edizione del 1903, con la rilegatura dei fogli mai aperta. Sì, perché questi tipi di stampa di quel periodo venivano fatto fatti su fogli che poi venivano piegati in quattro e rilegati. Per leggere l’opera bisognava infatti usare un tagliacarte, ma non mi sono azzardato minimamente a tagliare neanche mezza pagina. Mi piace tenerlo come quando è appena uscito dalla casa editrice (:

Per ultimo, ma non per importanza, il poster del brano “Annarella” di uno dei miei gruppi preferiti, i CCCP.  La frase scritta invita a un momento di solitudine, condizione doverosa per alimentare i propri pensieri, per riuscire a ragionare sui propri dubbi, su quello che ci accade intorno, per mettere ordine all’interno della propria testa. Sono anche parecchio legato a questo pezzo, compagno fedele nei momenti di introspezione, di viaggio nel proprio io.

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Pop

Intervista ad Alessio Marucci: Mongolfiere è il nuovo brano

MONGOLFIERE”, è il nuovo brano del cantautore Alessio Marucci, nato dalla preziosa collaborazione con Marco Canigiula (autore anche per AnnalisaEmma Muscat e tanti altri) e Francesco Sponta (autore anche per Annalisa, ArisaAnna Tatangelo e tanti altri), e prodotto negli studi di Cantieri Sonori.

Il brano affronta il tema dalla nostalgia per qualcosa che era, ma che non è più. Percorre strade fatte di ricordi, affronta il dolore di un addio, ma spera in qualcosa di migliore che arriverà. Il punto di vista, infatti, è proprio quello di una persona immersa nel suo dolore per aver perso qualcosa che credeva importante, che intorno a sé trova solo ciò che resta, ovvero macerie; ma è serena, perché sa di aver fatto il possibile per salvare quel che poteva salvare. Il meccanismo delle mongolfiere, in un certo senso, è correlato al concetto di libertà: quando una relazione finisce, che sia un amore o un’amicizia, potrebbe essere vista come qualcosa che aiuta a ritrovarci, una sorta di liberazione da un peso che ci tratteneva a terra e che liberandocene rende più agevole il decollo della mongolfiera.

Alessio Marucci ha risposte alle nostre domande in questa intervista:

Ciao Alessio, benvenuto su Perindiepoi. Ci racconti qualcosa sul tuo progetto? “Ciao a tutti gli amici di Perindiepoi. Il mio progetto è nato diversi anni fa. La musica è sempre stata la bussola mentre tutto intorno a me cambiava. Durante un periodo un po’ particolare della mia vita avevo rischiato di perderla, per delle mie paranoie, finché non ho capito che nella vita avrei potuto fare tutto, diventare chiunque, ma lei doveva esserci sempre. Da lì nacque “Un miglio da te”, pubblicato nel 2018, che parlava proprio dell’importanza di ritrovare sé stessi. Quando il progetto è nato il periodo storico/musicale era totalmente diverso: il vero pop era ancora il genere dominante, il saper cantare, sebbene stesse cominciando a calare, era ancora un’arte apprezzata… a differenza di oggi. Ma sono molto orgoglioso di portare avanti ancora questo genere, nonostante sia passato di moda”.

Mongolfiere è il tuo nuovo singolo: com’è nato questo brano? Di cosa parla?
“Mongolfiere è una canzone che racconta la nostalgia per una relazione che finisce. Come dico
sempre “le canzoni migliori nascono da un cuore infranto”, ma il mio messaggio questa volta è nel
titolo. Se uno ci pensa, le mongolfiere non hanno nulla a che fare con la nostalgia; ma perdere
qualcuno non deve per forza essere negativo. Talvolta, può rappresentare una liberazione da un
peso che ci teneva a terra: tolto il peso siamo più liberi di decollare. E questo è proprio il
meccanismo delle mongolfiere”.

Hai collaborato con molti autori per questo tuo ultimo lavoro. Come sono nate queste collaborazioni? Come è stato lavorare con autori che hanno scritto canzoni per big della musica italiana?
“Beh, sicuramente per me è un grosso orgoglio avere al mio fianco dei professionisti di questo
calibro. La collaborazione con Marco Canigiula e Francesco Sponta è nata nel 2017, più o meno,
quando ci siamo messi al lavoro per “Un miglio da te”. Io stavo uscendo da un periodo di pausa,
cercavo la mia strada ed ho trovato loro”.


Quali sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato il tuo percorso artistico?
“Mah, io credo che ogni artista che seguo abbia qualcosa che ha influenzato il mio percorso. In
Italia penso alla tecnica vocale di Giorgia; alla agilità vocale e all’intonazione sempre perfetta,
nonché alla versatilità di Anna Tatangelo; ai testi e alla bellissima voce profonda di Tiziano Ferro…
se guardo al panorama internazionale, ovviamente, non posso non menzionare Christina Aguilera,
Demi Lovato, Bruno Mars… mi piace molto lasciarmi influenzare dalle sonorità RnB…”.

Domanda di rito: progetti futuri? Live? Magari un disco?
“Progetti futuri… tanti… ci sarà una versione acustica di Mongolfiere e le tracce per il disco ci sono.
Sarà pronto presto e ne sono davvero fiero perché, non solo è il mio disco di esordio come
cantante ed autore, ma anche come produttore. Meglio di così…”.

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Indie Internazionale Pop

Le 5 cose preferite dei Labradors

I Labradors hanno recentemente pubblicato il nuovo singolo “Anger Management Plan n°327” (You Can’t Records /To lose la track), brano che segna il ritorno del power trio milanese dopo tre anni di silenzio e che ha conquistato l’inserimento in ben quattro playlist editoriali Spotify, tre delle quali global. Un risultato inaspettato ma che premia la qualità della loro musica. 

Noi li abbiamo incontrati per chiedere quali sono le loro cinque cosa preferite.

Weezer
Weezer è il nome che più spesso viene tirato in ballo quando si parla di Labradors, per una volta non a sproposito. Li seguiamo e amiamo da sempre, anche negli anni bui in cui erano diventati un meme vivente e pubblicavano musica discutibile. Poi a un certo punto si sono anche ripresi. AMPn327 è uno dei nostri pezzi in cui la loro influenza si sente più concretamente, chitarroni e quel retro gusto grunge ma catchy as fuck.

Le inside jokes
A volte i nostri pezzi nascono da piccole stronzate che succedono nella nostra vita quotidiana, cose per cui ci prendiamo per il culo a vicenda fino a diventare gag che durano anni. A parte Filippo, che dei tre è il più equilibrato, sia Pilli che Fabrizio hanno le loro issues per quanto la mala gestione della rabbia per esempio. Leggendarie le volte in cui Fabrizio ha disintegrato un porro sul piano della cucina dopo aver constatato che la sua gatta Doris gli aveva rosicchiato il cavo delle cuffie; o quella volta in cui Pilli ha scagliato un ventilatore contro la finestra in seguito a uno scazzo di coppia. Sì, quello stesso ventilatore sulla copertina di AMPn327.

“Worry” di Jeff Rosenstock
Raramente un album ci ha messo d’accordo totalmente come questo capolavoro. Jeff è un artista eccezionale e più o meno nel periodo in cui uscì “Worry” abbiamo avuto la fortuna di fare due date con lui in Italia (torna Jeff!), grazie ai nostri amici Sarah e Raffaele di Grasparossa Events. La sua influenza si è fatta sentire per tanto tempo dopo quelle date e nella linea vocale di AMPn327 abbiamo voluto omaggiare il suo modo un pò scriteriato di cantare.

“Teenage Sister”
Anche se cambiamo spesso stile nei nostri pezzi, ogni tanto ci piace mantenere una sorta di fil rouge con qualcosa che abbiamo fatto in passato. La reference per il nostro ultimo pezzo per quanto riguarda il sound è stata…un altro nostro pezzo: “Teenage Sister” sull’album “Growing Back” del 2013. Uno dei pezzi più croccanti che abbiamo mai fatto, non suonava come nient’altro su quel disco (che pure era molto croccante)e non è mai più uscito dalla nostra scaletta live.

L’aggettivo “croccante”
Qualcuno recentemente ci ha fatto notare che lo usiamo molto spesso, forse troppo. E’ così. Ci piace tantissimo. Croccante. Con il nostro nuovo singolo, poi, casca proprio a fagiolo.

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Pop Rap

Marasmo e le malinconie da fuorisede

Mi ricordo quando sono andato a vivere da solo. Mi ricordo che pensavo di essere più avanti rispetto ai miei coetanei, sapevo caricare una lavastoviglie, fare una lavatrice e addirittura stirarmi una camicia, salvo poi scoprire che la casa dove sono capitato a Milano non aveva lavastoviglie, la lavatrice era diversa da quella che conoscevo io e non c’era neanche il ferro da stiro e, come se non bastasse, nessuno mi aveva mai insegnato ad accendere un calorifero. La mia esperienza da fuorisede si preannunciava un vero disastro: e poi c’era quella ragazza, a cui non ho mai chiesto di uscire salvo poi trovarmela in casa perchè usciva con il mio coinquilino, avevo sempre freddo, sempre fame, eppure stavo ingrassando, mi vestivo malissimo e non avevo amici. Andavo ai concerti da solo, ogni tanto mi piazzavo in un bar col computer a studiare sperando che qualcuno venisse a parlarmi e tutta una serie infinita di situazioni che grazie a Dio sono finite. Pensavo di essere uno scemo, di essere l’unico al mondo che non era in grado di integrarsi, e che avrei sempre vissuto con il marchio di fuorisede sulla fronte. Poi è passato tutto, senza che me ne accorgessi, ed ho scoperto anche fuorisede di marasmo.

Questo è disco è la raccolta delle esperienze di uno studente lontano da casa che si ritrova a dover fare i conti con i nuovi incontri, con i legami passati e con quelli che si creeranno. Ogni brano è una vicenda, ed ogni vicenda è legata a quella del brano successivo, in una sorta di loop continuo delle fasi che ognuno, nella condizione di fuorisede, si ritrova a vivere. L’arrivo, il sentirsi fuori posto, l’ultima notte prima di partire. Il tutto è la metafora per parlare delle relazioni: il conoscersi, il capire che qualcosa non va, l’addio. Per poi cambiare città e ricominciare da capo.

marasmo ci porta alle cene infinite con amici casuali che noi fuorisede abbiamo fatto tutti solo per tenerci compagnia, amici di cui non ricordiamo neanche il nome, che sono svaniti subito dopo quella improbabile riunione a cui ne è seguita subito un’altra, quelle cene in cui abbiamo parlato delle nostre avventure romantiche a cui seguivano le nottate al telefono con gli amici di sempre, quelli veri, che però ci sembravano sempre più lontani, e la solitudine immensa che solo un fuorisede può comprendere. Che poi non è facile capire che quando sei un fuorisede hai fame d’amore, di compagnia, di calore, di sentirti a casa, un rifiuto è una tragedia e ogni parola un regalo immenso.

Si apre tutte con le sincopi di ssmn, con il miglior Dutch Nazari che possiamo ricordare, seguono le immersioni di fuori, e la solitudine immensa di cui è fuori dal mondo, un brano pop su cui si può ballare, che si può urlare in macchina, ma che fa anche molto male, come male, la terza traccia, il brano della mattina dopo. Scumm è dedicata a chi sta cercando di andare avanti, a chi vuole voltare pagina. Chiude tutto mrs2l, un bagno di malinconia.

Questo disco è una catarsi per tutti quelli che vogliono tornare a casa.

CM

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Internazionale Pop

Scoprite la radio rap di Sebaa

Che poi è davvero strano, perchè per me un disco rap è sempre stato la colonna sonora per fare un casino della Madonna durante una festa illegale durante la quarantena, per riempire gli spazi vuoti, per non sentire la noia, per tenere il ritmo di lavoro costante, qualche volta ci è scappato anche un limone con qualcuno con cui non sapevo di cosa parlare. Un disco rap non è mai stato intimista per me, non mi è mai successo di ascoltare un disco etichettato come urban o come rap e sentirmi meglio anzi, la tensione saliva sempre, era un innesco a far succedere qualcos’altro. In sintesi: non ho mai ascoltato un disco rap per stare da solo, prima di Butterfly Radio di Sebaa.

Quello di Sebaa è un disco d’esordio strano, stratificato di influenze. Lo dobbiamo chiamare rapper, perchè di fatto fa rap, però si muove su binari diversi da quelli a cui siamo abituati ascoltando Graffiti Pop su Spotify, diversi da tutto ciò che troviamo in classifica: Sebaa gioca con il soul, con il gospel, compone canzoni pop che ti si annidano nel cervello, mascherandole da brani rap. Uno spaccato di una scena che non conoscevamo, quella del nord d’est italiano, che non è coatta come quella romana, che non se la tira come quelli di Milano, che non gioca a fare la colonna sonora di Gomorra come succede al sud. Sebaa, è strano, folle, sfacciatamente sincero e incredibilmente segnante.

Un nuovo mondo stratificato e complesso di influenze, rigorosamente senza genere. Sebaa è dunque un rapper atipico: la musica diventa uno strumento per dire la propria, un esercizio di stile per migliorarsi. Solitamente in un programma radiofonico vengono trasmessi brani di artisti diversi dello stesso genere. In questo caso però, tutto si ribalta: l’artista è uno solo e i generi e le influenze cambiano di brano in brano.

Butterfly Radio si apre con Happy Gospel, come la migliore delle domeniche mattina, quando hai dormito un’ora in più per il cambio dell’ora e hai ancora una schiera di amici che si sono insediati nel salotto, sono già svegli da ore e non fanno che spadellare pancake, tutto bello finchè non ti rendi conto che in realtà vuoi stare da solo. Segue feel blue, che forse essere single non è più una figata, ormai da molti mesi. Segue Ritornare bambini è un’immersione subacquea nella memoria, Radio Interlude è la pausa per andare in bagno e chiamare gli amici per il cinese di stasera, Costellazioni il migliore dei viaggi in treno notturni. Sample Love il chiassoso riassunto di tutto.

Auguro a James Blake di scoprire Sebaa e innamorarsene.

CM

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Pop

Le 5 città del cuore di Christian Baroni

Una rivincita non soltanto di tipo sentimentale, ma anche personale; un’autentica rivalsa verso tutto ciò che cerca di buttarci a terra: questo il cuore pulsante del nuovo singolo di CHRISTIAN BARONI, dal titolo “TUTTA MIA LA CITTÀ”, cover dell’omonimo brano dell’Equipe 84. Ciò che l’artista vuole trasmettere all’ascoltatore tramite questo brano è la consapevolezza di poter reggere l’urto contro ogni colpo e di riuscire a ripartire ogni volta, a prescindere da ciò che ci circonda.

«Ho scelto questo brano come mio secondo singolo perché è parte di me da sempre – spiega il giovane artista a proposito della nuova release – Mi ha dato consapevolezza e forza in vari momenti della mia vita. Portarlo come seconda uscita è motivo di grande orgoglio e responsabilità da parte mia»

Per l’occasione abbiamo chiesto all’artista di raccontarci le sue 5 città del cuore:

Roma è la città in cui sono nato. Roma è la città in cui vivo. Roma è tante cose. Così criticata sotto alcuni punti di vista, ma così meravigliosa da toglierti il fiato dopo ogni passo fatto in qualsiasi strada ti trovi. Ti abbraccia e ti porta con sé in un viaggio che percorre un lasso di tempo di più di due millenni e mezzo. E questa storia te la fa pesare tutta non solo per il passato, quanto per quello che ha ancora da dare. Perché Roma è infinita ed immensa sotto tutti i punti di vista. Descriverla in tante parole è riduttivo, bisognerebbe inventarle. Ma non serve, ci pensa già lei. Basta aprire gli occhi e lasciarsi trasportare dal suo incanto.  

Firenze è un amore a prima vista. Non sai spiegarti come, ma già dal primo sguardo ti rapisce e non ti dà altra scelta che adorarla smisuratamente. Fa venire il mal di testa dalla bellezza che emana in ogni piazza, in ogni via percorsa tra la gente. E l’arte, la letteratura, i musei, la storia. Credo di aver lasciato un solco nella Galleria degli uffizi per quante volte ho fatto avanti ed indietro. Mi scuso, ma credo di essere più che giustificato. Il Duomo è meraviglioso, ma Piazza della Repubblica vista dall’alto in serata scusate, ma ho ancora i brividi sulla pelle.  

Londra è svegliarsi una mattina di fine ottobre, bere il tuo thé, scaldarti nella coperta e accorgerti che sei al 7 luglio. Amo l’autunno e di conseguenza non posso che adorare tutto ciò. Londra è il moderno fuso a quello stile Vittoriano che sa tanto di favola. Una città multiculturale a livelli massimi: ristoranti, negozi, bancarelle. Puoi trovare un qualsiasi cibo, oggetto che provenga da qualsiasi parte del mondo. La musica nei locali fino a tardi; pub sempre pieni di persone che sembrano vivere in una festa perenne e magari trovare gli stessi la mattina dopo, per strada in giacca e cravatta giorno dopo giorno. Londra è tutto e l’estremizzazione di tutto. E non serve passeggiare per la già nota Piccadilly. Basta respirare, guardarsi intorno in un qualsiasi punto della città e vedere un mondo intero racchiuso in una metropoli. 

Amboise non è sicuramente uno di quei posti super famosi di cui tutti conoscono l’esistenza. Non è neanche una metropoli, anzi. È un piccolo paese nel Centro – Valle della Loira in Francia. È tutto molto magico, quasi surreale con questi castelli, paesaggi per cui sembra quasi di guardare una sequenza di cartoline una dopo l’altra. Il centro storico soprattutto di sera, si trasforma in un qualsiasi film ambientato in una Francia di inizio 900 tra sale da the, bistrot e quelle luci calde che rendono un’atmosfera molto romantica. La prima volta sono capitato lì per sbaglio, ma dopo cinque minuti pensavo già a tutte le volte che ci sarei riandato. Forse un pezzo del mio cuore ancora galleggia lì sul bordo della Loira. Spero di poterlo andare a salutare al più presto. 

Lisbona è quella che tra le mie città preferite è più particolare, quasi strana. Ho un rapporto di amore e sofferenza verso lei. Molto legato forse a questioni personali. Ma la cosa che più mi piace sono proprio le persone. Ho sempre avuto un rapporto splendido con ogni ragazzo/a portoghese conosciuti lì, mantenendo anche amicizie a distanza molto belle. Proprio per questo ho potuto conoscere e visitare la città a fondo. Molto italiana sotto certi punti di vista, molto fredda in altri. Ho questo feticismo nel girare la notte per capire quanto una città mi colpisca profondamente e parlando per estremi, piazza del commercio ed il quartiere antico hanno un fascino tanto grande e differente tra loro che quasi dimentichi di essere nello stesso luogo.  

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Casto ci ricorda che è tutto “Okay”

Atmosfere elettroniche, beat che sembra provenire da una galassia lontana, stiamo parlando del nuovo singolo di Casto che grida al mondo che è tutto “Okay”. Cantato in collaborazione con rckt e Illvminate, il nuovo singolo pubblicato il 24 ottobre per Awary Records e The Orchards è stata lanciata in orbita e sta girando già all’impazzata.

Lo abbiamo conosciuto con il suo singolo d’esordio “Weekend”, in cui Casto ci raccontava cosa voleva dire per lui sentirsi come se fosse sempre un fine settimana e ora possiamo continuare ad ascoltare una sua nuova produzione che dimostra quanto l’artista abbia voglia di sperimentare, mescolare insieme generi e sonorità elettroniche, e perché no, anche voci e stili di altri artisti. La tripletta Casto, rckt e Illvminate ha saputo dare i suoi frutti: “Okay” è uno di quei brani che oltre a trasmetterti le good vibes, ti fa anche ballare e lasciarti andare.

“è tutto okay” continuiamo a ripeterci nella mente e con questo pensiero nel cuore ci fortifichiamo ogni giorno, spronandoci a fare sempre di meglio. Forse è proprio questo il messaggio che Casto vuole dare ai suoi ascoltatori, e forse è proprio questo il motto che lo accompagna nella vita. Noi vogliamo sperare che sia così.