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Indie Intervista Pop

Angeli e Demoni: La band ESTRO ci racconta il nuovo singolo

ANGELI E DEMONI” è il nuovo brano della band pugliese ESTRO distribuito da Artist First, una ballad dark pop che parla dell’ esigenza di comunicare Il dolore e la sofferenza della separazione. Luce e buio, vittime e carnefici ed appunto angeli e demoni. Il sound del brano mescola Indie Pop, Dark Pop, rock e Alternative. La cellula originale del gruppo nasce nel 2011, il gruppo è formato da Andrea alla batteria, Maurizio voce e chitarra, Simone voce e basso, Gianluca voce e chitarra. Nel 2019 si qualificano come finalisti di un concorso nazionale dedicato ad Ivan Graziani, e poi vengono decretati vincitori nazionali del “Premio Pigro 2019” con il loro brano inedito “Il vuoto dentro” nella finale svoltasi presso Casa Sanremo durante la settimana del Festival; lo stesso anno sono ospiti di Red Ronnie durante il suo show in diretta nazionale. Il comune di Bari conferisce un’onorificenza artistica alla band per il risultato conseguito a Sanremo. A Luglio 2021 pubblicano il loro primo singolo “BABY” facente parte della nuova produzione musicale della band, superando le 200 mila views su youtube e oltre 300 mila streams su spotify.

La band ha risposto alle nostre domande in questa intervista:

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Indie Pop

Dammi tre parole #1 – Novembre

Parole, parole, parole: parole che rimbalzano contro i finestrini di macchine lanciate a tutta velocità verso il fraintendimento, mentre accanto a noi sfilano cortei di significati e di interpretazioni che si azzuffano per farsi strada nella Storia, provando a lasciare un segno. Parole giuste, parole sbagliate; parole che diventano mattoni per costruire case, ma anche per tirare su muri; parole che sono bombe, pronte a fare la guerra o a ritornare al mittente dopo essere state lanciate con troppa superficialità: parole intelligenti, parole che sembrano tali solo a chi le pronuncia, mentre chi le ascolta cerca le parole giuste per risanare lo squarcio. Parole che demoliscono, parole che riparano. Spesso, parole che sembrano altre parole, che pesano una tonnellata per alcuni mentre per altri diventano palloncini a cui aggrapparsi per scomparire da qui. Parole che sono briciole seminate lungo il percorso da bocche sempre pronte a parlare, ma poche volte capaci di mordersi la lingua: se provi a raccoglierle, come un Pollicino curioso, forse potresti addirittura risalire all’origine della Voce, e scoprire che tutto è suono, e che le parole altro non sono che corpi risonanti nell’oscurità del senso.

Parola, voce, musica: matrioske che si appartengono, e che restituiscono corpo a ciò che sembra essere solo suono.

Ogni mese, tre parole diverse per dare voce e corpo alla scena che conta, raccogliendo le migliori uscite del mese in una tavola rotonda ad alto quoziente di qualità: flussi di coscienza che diventano occasioni di scoperta, e strumenti utili a restituire un senso a corpi lessicali che, oggi più che mai, paiono scatole vuote

GALEA

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Ultimamente si parla tantissimo di generazioni (Millenials, GenZ) e penso che sia molto bello il fatto di potersi riconoscere in un gruppo di appartenenza, senza che questa classificazione comporti alcun tipo di limite alla propria identità, anzi. Un coro di tante voci, seppur diverse, è più risonante di quelle stesse voci prese singolarmente e questo facilita il raggiungimento di uno scopo comune. 

Di primo acchito associo la parola “diritti” al passato, quindi alla strada che è stata fatta per raggiungere determinati traguardi ed è strano, perché la conquista di molti diritti è ancora decisamente in corso. Forse mi viene in mente il passato perché non sarei né lucida né oggettiva parlando di un presente che si sta dispiegando davanti ai miei occhi. Spero che nel 2060 ripenserò a questo presente come a un periodo di lotta utile a delle conquiste finalmente ottenute.

Mi viene in mente Revolution 1 dei Beatles, in particolare il verso “But when you talk about destruction, don’t you know that you can count me out (in)”, come se la posizione di Lennon riguardo ai metodi violenti della rivoluzione fosse ancora incerta e dubbiosa. Il resto del testo invece è piuttosto chiaro, ma quell’in riporta il brano in una dimensione di ambiguità e indecisione in cui è facile rispecchiarsi quando ci si interroga su come una rivoluzione dovrebbe adoperare.

APICE

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

L’ordine in cui le cose mi si presentano già di per sé costituisce un viatico interessante (a mio parere, quanto meno) circa la comprensione della relazione intrinseca che esiste fra gli addendi, e circa l’innefficacia – almeno, in questo caso – della proprietà commutativa, al punto che il risultato cambia eccome a seconda del modo in cui queste parole si combinano fra loro.

Mi spiego: ogni generazione, in qualche modo, nasce nell’orizzonte predeterminato di una serie di diritti ottenuti, e di diritti da conquistare; è il mondo in cui nasciamo e proviamo ad auto-definirci che, in fin dei conti, ci spinge a capire cosa siamo e cosa non siamo, né vogliamo essere: ad ogni generazione, si lega quindi la necessità storica di rivoluzioni che, attraverso vie differenti, discendono dalla contemplazione dei diritti che esistono, ma soprattuto di quelli che ancora non ci sono. Bene, generazionedirittirivoluzione.

Ma è anche vero che pare intellettualmente disonesto considerarci meritevoli di qualcosa che non ci siamo conquistati, ed è anche vero che viviamo nell’era di un post-modernismo (se non di una post-contemporaneità: siamo già nel “futuro”, per alcuni…) che sembra averci dato più risposte semplici e perentorie che domande capaci di solleticare il dubbio, attivando la complessità del pensiero: tanti diritti ci precedono, e forse è proprio questo che ci ha allontanato dal concepire la rivoluzione come un appuntamento inevitabile con la Storia; l’ordine dirittigenerazionerivoluzione è fallace, oggi, perché l’ultimo addendo diventa spessa superfluo, o quanto meno si rivela un fatto di posa e di retorica stantia, e quanto mai generazionale. Ecco, questo è quello che oggi mi pare essere, spesso e volentieri, il rapporto tra le parole designate quanto meno nella contemporaneità. Credo che quello della rivoluzione sia una ginnastica a cui ci si allena attraverso la negazione, ma quella vera, e che tante battaglie a volte finiamo col combatterle solo perché ci piace “giocare alla rivoluzione“: andare fino in fondo, poi, è merito di pochi – forse, di quelli che davvero si sentono “negati” di qualcosa, perché il dolore degli altri è sempre dolore a metà e per quanto tu ti possa impegnare ad empatizzare con le ferite altrui non sarà mai come avercele incise nella carne. Punto.

Quello che oggi trovo essere l’ordine più efficace a sparigliare le carte credo sia Rivoluzione, Diritti, Generazione: credo alla forza di rottura di un atto violento (non tanto – o non solo – nelle modalità, ma negli effetti), che possa determinare diritti nuovi da cui possano prendere forza nuove generazioni di pensiero, prima ancora che di persone. Sperando che la nostra, di generazione, non se ne stia a guardare mentre qualcun’altro la sorpassa a sinistra (o peggio ancora, a destra), ma se anche fosse così poco importa: la Storia fa sempre il suo corso, e il precipitare degli eventi è necessario alla definizione di nuovi mondi.

MILELLA

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Con Generazione mi viene in mente Kurt Cobain; da adolescente pensavo fosse un “poeta”, ma crescendo ho scoperto che se ti ammazzi dopo aver “professato” determinate cose, sei solo un ciarlatano. 

Diritti e Rivoluzione invece, sono due facce della stessa medaglia; una medaglia pesante per i tempi che corrono, una medaglia che a quanto pare e a quanto visto in parlamento in questo momento storico, in molti non vogliono indossare.

FLORIDI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Generazione:

This is my generation, baby

Cavolo se sono un fottutissimo nostalgico, non so se capita spesso anche a voi ma io in preda a chissà quale ragione reale spesso pronuncio la seguente frase “sarei voluto nascere negli anni 60/70, ma mi andavano bene anche gli anni 80” ora a dirla tutta, in realtà, per 5 mesi sono un figlio degli anni 80, ma poco conta… m’interrogo spesso sul perché se scavo nel profondo, io, fino in fondò non mi riconosca in questa generazione, le risposte sono talmente tante e talmente articolate che la mia autoanalisi termina con un’emicrania alienante, i soliti dubbi e un gin tonic in più sul conto del mio povero fegato. Comunque siamo una generazione fondamentalmente sola, con riferimenti sempre meno a fuoco e obiettivi che tendiamo a credere facilmente raggiungibili e che per la legge di Murphy puntualmente non si realizzeranno, ma allo stesso tempo siamo testardi e vogliosi di provare a cambiare qualcosa

Diritti:

Raga, mi sembra di essere tornato al primo anno di università, quando forte dell’impegno politico che avevo esercitato negli ultimi due anni di liceo come rappresentate d’istituto mi apprestavo a scegliere Giurisprudenza come facoltà definitiva per la mia vocazione, quella di diventare un PM pronto a stravolgere le regole del gioco, pronto a scendere in campo in favore dei più deboli, mi ero ripromesso che mi sarei incaricato solo di cause giuste, ma ripensandoci bene questo è anticostituzionale, quindi la mia folgorante carriera magistrale è durata più o meno 4 stagioni. Però a quel tempo ho capito una grande verità per me, che scrivere canzoni (cosa che facevo già da qualche anno) poteva farmi abbracciare qualcuno che soffriva come me, poteva far arrivare la mia voce, il mio pensiero ovunque ci fosse qualcuno pronto ad accoglierlo poteva permettermi di dire la mia su armonie semplici o complesse, sapeva mettermi a nudo e sostenere cause alle quali tenevo.

Rivoluzione:

Dici che vuoi una rivoluzione

Bene, sai

Tutti noi vogliamo cambiare il mondo

Mi dici che è evoluzione

Bene, sai

Tutti noi vogliamo cambiare il mondo

Ma quando mi parli di distruzione,

sai che non puoi contare su di me

Non sai che andrà tutto bene?

Dici che hai una soluzione concreta

Bene, sai

A noi tutti piacerebbe vedere il tuo piano

Mi chiedi un contributo

Bene, sai

Stiamo facendo quello che possiamo

Ma se vuoi denaro per gente con pensieri di odio

Tutto ciò che posso dire è: fratello, devi aspettare

Non sai che andrà tutto bene?

Quando penso alla parola rivoluzione le mie sinapsi creano subito uno Swipe Up, anzi no, un link in evidenza, connesso a questa canzone e alla sua potenza espressiva. Mamma mia i Beatles.

FRANCESCA MORETTI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Oggi fortunatamente queste tre parole si sentono nominare spesso. Stiamo vivendo un periodo in cui è molto più frequente sentir parlare di diritti rispetto a prima, specialmente grazie ai social. Credo che la mia generazione sia molto più avanti rispetto a quelle precedenti, soprattutto quando si tratta di temi come omotransfobia, femminismo, razzismo, ambientalismo. Spesso ci chiamano gioventù bruciata, quando invece bisognerebbe solo lasciarci spazio e lasciarci fare. Magari la rivoluzione è più vicina di quanto sembri.

MARSALI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Non mi reputo un’attivista incallita, vi dico la verità, ma sicuramente sono sempre stata una persona che si è schierata o esposta nelle varie situazioni della vita per “dire la sua”. Credo che la nostra generazione, quella dei social intendo, abbia molti più strumenti rispetto ai giovani di venti anni fa per far sentire la sua voce e per sensibilizzare anche le fasce di età più adulte su dei temi che prima erano dei grandi taboo. Il tempo scorre veloce e io stessa a venticinque anni a volte mi sento indietro rispetto a certe innovazioni di pensiero ma questo non deve farci paura, la nostra piccola grande rivoluzione, anche nei confronti della musica, deve essere l’empatia, il sapersi mettere nei panni dell’altro, il vedere non sempre quelli attorno a noi come dei nemici da buttare giù ma magari come compagni di viaggio storti in questo storto pianeta. I diritti ci spettano è vero, non vanno meritati, ma dobbiamo dimostrare almeno di saperli gestire. 

DAVIDE BOSI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

La musica accompagna da sempre le ‘nuove’ e le ‘vecchie’ generazioni che si susseguono nel tempo. 

Ricordo quelli che più di altri hanno avuto la sensibilità di combattere per i diritti dei più deboli, degli ultimi (Bob Dylan, John Lennon, Joan Baez per citarne alcuni).

Penso alle opportunità che la musica ha di farsi portavoce della lotta per la libertà e uguaglianza fra le generazioni e il loro tempo.

IL GEOMETRA

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Ho idee molto confuse rispetto a tutto ciò che mi circonda ormai. Non ho un’opinione forte su niente. Attualmente, in questo preciso momento storico, non mi appassiona alcuna tematica che non sia legata ai vini naturali, ai ristoranti recensiti della guida Michelin e ai film di Carlo Verdone del periodo compreso tra il 1983 e il 1995. Quindi, effettuate tali premesse, posso affermare senza troppo imbarazzo che la prima cosa che avverto ascoltando queste tre parole è un leggero senso di fastidio.

Provo fastidio per me stesso, per la miseria delle connessioni associative che si sviluppano nella mia mente all’ascolto di questi vocaboli (ti accorgi/di come vola bassa la bassa la mia mente? / è colpa dei pensieri associativi / se non riesco a stare adesso qui…).

E così, la parola “generazione” mi fa pensare a tutti quei termini di più o meno recente coniazione, come “generazione x”“generazione z”“boomer”“millenials”, che si leggono negli articoli di Vice o nei meme, con significati per me sempre volto vaghi e/o post-ironici.

La mia generazione, quella cresciuta negli anni ’90 insomma, dovrebbe essere sulla rampa di lancio della genitorialità, della fascinazione per gli investimenti immobiliari, del progressivo decadimento fisico che si manifesta attraverso la comparsa – sui propri profili social – delle fotografie sfocate di grassissimi pasti domenicali, serviti in approssimative teglie di alluminio, preparati con l’irrinunciabile collaborazione del proprio partner, che di solito coltiva anche un piccolo orto. Entrambi indossano vestaglie. E ascoltano i podcast di Barbero come grande momento di accrescimento culturale condiviso. Io non ho figli, vivo in albergo e mangio bresaola e broccoli bolliti per 5 giorni alla settimana.

La parola diritti mi fa pensare a moltissime cose fastidiose e inopportune. Potrei scriverle, perché la mia opinione non è affatto influente e anche se esprimessi dei concetti aberranti (ammesso che ne sia in grado), passerei comunque inosservato. Ma preferisco comunque non rischiare. In ogni caso, per molti anni ho ripetuto a memoria la solita filastrocca tale per cui “in un paese in cui non sono garantititi i diritti sociali, i diritti civili diventano dei privilegi”, o qualcosa del genere. È una filastrocca che mi piace ancora. Quando la recitavo, in tutti questi anni, provavo un enorme senso di autocompiacimento. Per fortuna, in tutti questi anni, nessuno mi ha mai chiesto di argomentare con maggiore grado di analisi il mio assunto. Sarebbe stato molto imbarazzante.

La parola Rivoluzione mi fa pensare a un compito in classe di storia avente per tema la Rivoluzione d’Ottobre, svolto in quarto superiore. Presi nove e ne ero molto orgoglioso. Tuttavia, all’epoca, ero uno studente pigro e discontinuo, senza nemmeno il fascino che solitamente si accompagna a questo archetipo di liceale. Immagino fu anche per questo che la docente si sentì in dover di ammonirmi, innanzi a tutta la classe, ricordandomi che “una rondine non fa primavera”. Credo che quell’episodio contribuì molto nella mia attitudine a ridimensionare metodicamente tutto ciò che in vita mia è stato associabile al successo. Quello stesso giorno tornai a casa, staccai il poster di Che Guevara da sopra al letto e ne appesi uno di Bruno Tabacci

SCICCHI

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Vedendo scritte queste parole mi viene in mente appunto, di quanto l’Italia abbia bisogno di una rivoluzione, di quante persone ne abbiano bisogno per continuare a vivere e per un futuro migliore. Io nella mia generazione ci credo, abbiamo molto più a cuore i pari diritti rispetto a chi invece sta al governo ora, guardate che fine ha fatto il DDL ZAN, oppure quante poche persone si sono presentate al senato durante il discorso contro la violenza sulle donne, 8 su 630. Noi, vogliamo il cambiamento, vogliamo un paese libero da pregiudizi e paure, vogliamo pari diritti senza distinzioni di sesso, orientamento o colore della pelle, vogliamo la normalità… e vuoi o non vuoi se non sarà ora, tra qualche anno le persone sedute su quelle sedie non ci saranno più e ci saranno persone più competenti (spero) verso i diritti umani.

UTAH 

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

Se ci dite “generazione” ci viene in mente l’ansia, ansia di dover dimostrare sempre qualcosa, ansia perché non sappiamo più aspettare. In un mondo in cui ormai tutto è a portata di mano vogliamo tutto e subito.

I diritti sono scale, sono ponti, sono tutto ciò che è utile per passare oltre.

I diritti sono Martelli che spaccano un muro, sono persone che gridano dietro quel muro, sono persone che abbattono un muro.

Rivoluzione è un termine forte, un’arma a doppio taglio. La rivoluzione, quella vera, bisogna avere il coraggio di pensarla ma soprattutto la determinazione di portarla avanti.

Se cerchi la rivoluzione, guardati attorno.

SEBASTIANO PAGLIUCA

Tutto quello che ti viene in mente se ti dico: “Generazione, Diritti, Rivoluzione”.

C’è una splendida canzone di Gaber, uscita nel 2001 che dice: “La mia generazione ha perso”. Ecco, la mia non è mai scesa in campo. E se non è mai scesa in campo allora la nostra è stata davvero una rivoluzione mancata, un occasione perduta per far riconoscere diritti tuttora repressi.

Sarà che non so bene a quale generazione appartengo: sono una sorta di ibrido cresciuto correndo per le strade di un paesino dove cellulari, computer e ogni altro congegno elettrico era visto come sacro e intoccabile per i bambini e ora sono immerso in un mondo in cui non si può e non si vuole vivere se non attraverso uno schermo.

Tra le battaglie per i diritti che la mia generazione ha perduto a tavolino, come esponente di un mondo, quello del lavoro nella musica, così sofferente e scopertosi senza alcuna tutela negli ultimi due anni, penso anche ai diritti d’autore, imbrigliati e mortificati in uffici di burocrati che ti accolgono sulle loro poltroncine come banchieri a cui stai per chiedere un mutuo.

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Indie

Il Corpo Docenti ci consiglia qualche canzone bagnata e poco sobria

Dopo averli ritrovati con il singolo Sottotitoli, da subito presenza costante nella playlist Rock Italia di Spotify, a quasi due anni dall’uscita del loro album d’esordio Povere bestie (gennaio 2020) i ragazzi de Il Corpo Docenti fanno doppietta con un nuovissimo brano intitolato Entrambi. Anch’esso prodotto da Divi de I Ministri, Entrambi vede la band perlustrare campi musicali fino ad ora per lei inesplorati, con gli arrangiamenti che calzano una forte componente new wave inedita per Il Corpo Docenti.

Entrambi è una canzone che la band stessa definisce “bagnata e poco sobria”. Per capire meglio questa definizione ci siamo fatti raccontare dal trio milanese che cosa sia una canzone “bagnata e poca sobria”, e quali altri brani possano rientrare a pieno titolo in questa ambita (e mabigua) categoria.

Oltre a Entrambi, che ci ha dato lo spunto per questa piccola lista, abbiamo scelto le canzoni più significative dei nostri momenti “bagnati e poco sobri”, quelle che ci fanno scendere una lacrimuccia o cantare a squarciagola di ritorno dalle nostre date. Non avendo la benché minima idea di come dividerle equamente in “bagnate” e “poco sobrie” abbiamo fatto quello che ci riesce meglio: andare completamente a caso.

I Ministri – Sabotaggi

Per la categoria “canzoni poco sobrie” iniziamo con Sabotaggi visto che è quella che mette sempre d’accordo tutti e tre, che non manca mai e viene urlata con quel poco di voce che rimane appena saliamo in macchina per i ritorni a casa a notte fonda.

Bugo – Quando impazzirò

Ci ricordiamo benissimo il periodo in cui uscì Quando impazzirò perché fu un mese prima del lockdown (circa) e a ogni data che facevamo la sentivamo almeno quattro o cinque volte, sempre – o quasi – in situazioni poco sobrie. 

The Cure – Homesick

Parlando invece di momenti “bagnati”, Luca ha un aneddoto per Homesick: un giorno stava tornando a casa e, trovandosi nel bel mezzo di un diluvio, parcheggiò la macchina poco vicino la porta di ingresso. Dato che la pioggia non accennava a diminuire decise di tirare giù il sedile e godersi questa canzone. Purtroppo la canzone finì prima del temporale e il nostro si bagnò lo stesso. Fine aneddoto non molto interessante.

Cigarettes After Sex – K.

Altro brano per momenti “bagnati” è sicuramente K. che consigliamo vivamente di ascoltare da soli, quando piove e – perché no? – quando si ha in corpo una modesta dose di alcol.

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Indie Intervista Pop

Mangla ci racconta “Non mi va più”

“Non mi va più” è il debut single di MANGLA ( Gianluca Manglaviti), una canzone che parla di tutte quelle cose che ti porti dietro quando finisce una storia , quelle cose che ti ritrovi sempre nella tasca della giacca quando esci e ti muovono ancora qualcosa dentro il petto. “Non mi va più” è una di quelle frasi che diciamo sempre quando finisce una storia.

Il brano è un alternarsi di momenti sonori dove, l’energia del beat si intreccia alle ritmiche elettroniche e ai synt, in un mix di influenze indie e pop.

Gianluca Manglaviti è un giovane cantautore romano. Mangla è un “pezzetto” del suo cognome, abbreviativo che usano anche i suoi amici, compagni e professori.Di giorno è uno studente di giurisprudenza, di notte scrive canzoni accompagnato sempre da Ettore, il suo bulldog francese. 

MANGLA ha risposto alle nostre domande in questa intervista:

https://www.youtube.com/watch?v=e7wgi9lhWDw

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Indie

L’etichetta Dischi Sotterranei farà una festa a Padova, abbiamo parlato con loro

3 giorni, 3 palchi e più di 15 tra concerti e dj set fino a tarda notte. La Festa di Dischi Sotterranei avrà finalmente luogo, dopo una pandemia globale e le difficoltà del settore, dal 26 al 28 novembre a Padova: la resistenza musicale della provincia finalmente riunita, una linea up d’eccezione.

Ogni giorno vedrà un aperitivo con ingresso gratuito presso la Casetta Zebrina e con relativo concerto acustico showcase. La serate del venerdì e sabato saranno al CSO Pedro, dalle 21:30 con una carrellata di 6-7 band a sera e dj set fino a tarda notte, a cui seguirà un brunch domenicale, ancora ad ingresso gratuito, in Casetta Zebrina. I biglietti per gli eventi @ CSO Pedro saranno disponibili a 10 euro solo in cassa per la serata singola, 15 euro per il venerdì e il sabato. 

Qui trovate tutte le info:
www.dischisotterranei.com
https://www.facebook.com/events/4535659893123828

Noi ne abbiamo parlato anche con loro:

  1. Qual è il problema della scena musicale italiana secondo voi?

Innanzitutto bisognerebbe capire cosa s’intende per scena musicale italiana. Se parliamo della scena indipendente, che è quella nella quale operiamo noi, facciamo comunque fatica a definire con chiarezza cosa la delimiti ma soprattutto cosa la tenga insieme. Possiamo raccontare i problemi che viviamo noi nella quotidianità di avere un’etichetta, perchè non ci sentiamo di poter parlare in riferimento a un’entità appunto così fumosa nei contorni. In Italia si fa sicuramente troppa fatica a proporsi nel mercato internazionale, qualche realtà che lavora in questo senso c’è ed è utilissima, ma si tende troppo a concepire l’Italia come un sistema chiuso. Naturalmente oggi c’è il problema della carenza di locali di una dimensione medio piccola dove gli artisti possano crescere senza suonare gratis e rimanere per questo in ambito amatoriale, questo è un tema enorme e sfaccettato che ha radici culturali, sociali ed economiche ben precedenti alla pandemia ma che la pandemia ha fatto emergere chiaramente. Inoltre oggi c’è una pericolosa tendenza a valutare i numeri (stream, follower) sopra al valore oggettivo di un progetto musicale e ai risultati reali che gli artisti conseguono dal vivo. Insomma c’è tanto da lavorare per conseguire dei risultati ma non ci piacciono le sfide facili!

2. In questo periodo dove sembra che l’unica cosa importante sia la corsa all’algoritmo e alle playlist Spotify, voi come vi comportate a riguardo?

Ci muoviamo in direzioni diverse contemporaneamente, da una parte “anti-algoritmiche” e da una parte cerchiamo di sfruttare al massimo le possibilità moderne per portare un’alternativa alle proposte più mainstream. Ad esempio abbiamo artisti (vedi Laguna Bollente) che non sono presenti nelle maggiori piattaforme come Spotify, ma che si sono fatti conoscere esclusivamente attraverso YouTube, Soundcloud e Bandcamp. Non per questo snobbiamo o evitiamo di lavorare con le piattaforme digitali classiche, anzi ci dedichiamo molto tempo. L’approccio al mondo della distribuzione digitale che portiamo avanti è il più possibile organico evitando playlist esterne per “pompare i numeri” dei nostri artisti, per assicurargli una crescita naturale e graduale. Lavoriamo a stretto contatto con i nostri distributori digitali raccontandogli tutte le attività che facciamo come etichetta e le attività promozionali specifiche per ogni nostro artista, di base cerchiamo di creare un rapporto umano anche con chi distribuisce la nostra musica. Questo richiede molto più tempo e non dà risultati immediati, ma ad ora iniziamo ad avere ottime risposte dalle piattaforme che ci dedicano spazi e visibilità sulle playlist editoriali sempre maggiori. La più grande soddisfazione di lavorare in questo modo e che i numeri che hanno i nostri artisti sono reali ed assumono tutto un altro valore; ad esempio, un Jesse the Faccio che fino all’ultimo disco VERDE aveva 3000 ascoltatori mensili ha fatto un tour di oltre 50 date in tutta Italia, mentre vedo artisti da 100.000 ascoltatori mensili che si ritrovano a fare 6 date all’anno (ovviamente sto esagerando, ma rende l’idea).

3.Una festa a fine novembre. Cosa accadrà?

A marzo 2020 la prima cosa che ci è saltata a causa della pandemia è stata proprio la festa di Dischi Sotterranei, che organizziamo ogni anno. A distanza di quasi due anni finalmente è giunto il momento di recuperare e faremo le cose in grande, il 26-27-28 novembre a Padova. Abbiamo deciso di far suonare tutti gli artisti del nostro roster attuale. Tutti i giorni  ci sarà uno showcase ad orario aperitivo e ad ingresso gratuito presso Casetta Zebrina e poi la festa si sposterà al CSO Pedro dove si esibiranno su due palchi 15 band e 2 DJ-set. La domenica ci si trova nuovamente in Casetta Zebrina, che vedrà un brunch di ripiglio seguito da un talk. Sarà una grande festa per gli artisti in primis, mai ne abbiamo radunato così tanti in un weekend. Anche per noi è un’occasione unica di vederci fisicamente, cosa che è stata tanto difficile per tutti questi mesi. Insomma ci sono tutte le premesse per una situazione straordinaria.

4. Che cos’hanno in comune gli artisti del vostro roster?

L’attitudine. Musicalmente non ci diamo nessun limite, ma nel modo di fare le cose, nelle intenzioni, nelle velleità e nell’approccio a fare musica capiamo subito se c’è sintonia e quando si incontrano modi di pensare simili, nascono delle belle sinergie.

5. Come siete sopravvissuti alla pandemia? 

Soffrendo. E la sofferenza non è certo finita. Se pensiamo a cosa avrebbero potuto raccogliere dal vivo senza restrizioni alcuni nostri artisti in termini di riscontro ci viene ancora da piangere. Nella nostra dimensione i tour rimangono uno strumento insostituibile per promuovere i dischi e far crescere gli artisti. Nel frattempo le istituzioni sono intervenute togliendo (non tutte) le restrizioni ma in tanti casi è già tardi: tanti locali hanno chiuso o non possono permettersi di esporsi economicamente sufficientemente per sostenere cachet da professionisti. 

Abbiamo messo in stand by alcuni dischi ma la musica diventa vecchia velocemente oggi, per cui siamo stati costretti a pubblicare alcuni lavori senza poterli promuovere come si deve. Abbiamo stretto i denti e speriamo di poter recuperare presto, che le persone a cui ci rivolgiamo abbiano la stessa voglia di recuperare musica e occasioni che abbiamo noi.

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Indie Pop

Le lacrime di Parrelle

E’ fuori da qualche giorno l’ultima fatica di Parrelle, artista che fa parte del roster dell’etichetta indipendente romana Luppolo Dischi. Dal 12 Novembre è presente su tutti i Digital Stores grazie alla distribuzione di Artist First. Si tratta del settimo singolo negli ultimi tre anni ed una cosa è restata indelebile, anche dopo diverse release: l’anima fragile di Parrelle. Chi dice che non bisogna offrire il nostro lato più debole alle intemperie di questa vita? Chi ha deciso che le piccole onde di malinconia e di dolore, che si nascondono nell’anima, non vanno condivise con chi non ci conosce personalmente?

Si tratta di rischiare. Di lanciarsi nel vuoto con un paracadute che altre volte non si è aperto, e ci ha fatto schiantare al suolo, rompendoci in mille pezzi, come un vaso di cristallo. Oppure di tuffarsi da una scogliera altissima, chiudendo gli occhi, aspettando che l’impatto con l’acqua, resistente come un muro, ci lasci scampo, e ci permetta di emergere nuovamente. Per respirare aria, a pieni polmoni.

“Alla fine siamo tutti un po’ masochisti. Alla fine siamo tutti perennemente ossessionati da un qualcosa, un qualcuno, che ci farà male, ma che speriamo possa farci stare bene. Ed anche il più cinico, il più introverso, il “senza cuore”, un cuore eccome se ce l’ha, e magari batte ancora più forte, e se ne frega del giudizio degli altri, delle consuetudini: farà male ok, pazienza, ma quegli attimi in cui rischierà tutto, saranno tra i più belli della sua vita.”

Artwork by Alyssa Sermidi

mifacciomaleok” è il nuovo singolo di Parrelle in collaborazione con L.E.D., altro giovane della scuderia Luppolo Dischi, che come un attore di Hollywood fa un cameo di poche scene, regala al brano quel pizzico di malinconia in più ( come se già non bastava quella presente ihih ) e completa un viaggio di tre minuti tra auto flagellazione e un filino di speranza, di fiducia in sé stessi. Il tutto, perfettamente cucinato dalla produzione di Ayellow, altro astro nascente della scena musicale indipendente.

BIO

“Vivo a Boscoreale, paese in provincia di Napoli con gli occhi sul Vesuvio, in una strada che porta il nome di “Via Parrella” al singolare, ma che nel corso degli anni, grazie al dialetto, viene comunemente definita al plurale: “abito ai Parrelle”; da qui nasce il mio nome d’arte, la strada dove abito, perché ovunque mi porterà la musica non dovrò mai, e dico mai, dimenticare da dove sono partito, le mie radici.
Nella vita faccio il fisioterapista alla luce del sole, e l’artista quando scende la notte, ed è più facile chiudersi nei propri spazi e lasciar parlare la musica. Le prime orecchie ad ascoltare le mie canzoni sono quelle lunghe e affusolate di Snoopy, che insieme al divano compongono la platea di tutte le mie demo”

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Indie Pop

Il diritto di essere dei casinisti secondo i Diletta

Quello dei Diletta è un mondo a tinte pastello dove regna il caos, quello che avete sempre sognato: i calzini per terra, pile di libri infinite sparse ovunque, cartoline da tutto il mondo, un frigorifero cosparso di calamite. Sacro Disordine è come l’appartamento che accoglierà la nostra vecchiaia e che straborda di ricordi (fanculo al minimalismo), che contiene una vita di sentimenti e sentimentalisti, piante rampicanti che si inerpicano su tutte le pareti. Sacro Disordine è il primo album dei Diletta dove è finalmente è completamente svelato il mondo del duo lombardo, tra cantautorato ed indie pop: un disordine inevitabile e sacrosanto che è comune a tutti.

I Diletta sono un duo nato nel 2019 da un’idea di Jonathan Tupputi, voce e chitarra, e Andrea Rossini, tastiere e arrangiamenti. Da un primo approccio rock i due amici approdano a un sound più intimo e sperimentale avvalendosi prima della collaborazione di Desirée Bargna ai cori e al violoncello e successivamente di Simone Bernasconi al basso. La loro idea musicale trova compimento nel primo EP “Sacro Disordine” grazie al produttore Luca Urbani (ex Soerba, con all’attivo collaborazioni illustri fra cui Bluvertigo, Alice, Garbo e tanti altri), che dona ai Diletta quel tocco elettro-pop che stavano cercando. “Sacro disordine” concretizza il primo anno di attività passato tra prove e live nei locali del comasco, con 6 canzoni inedite, rigorosamente in italiano, a metà tra l’indie-pop elettronico e il cantautorato più intimo. La band, sostenuta da una campagna crowdfunding lanciata sulla piattaforma Ulule, ha ultimato i lavori nell’autunno del 2020 e ha pubblicato di recente i primi due singoli “Capita” e “Povera città” disponibili su tutte le principali piattaforme musicali.

Questo dei Diletta è un disco che ho avuto la fortuna di ascoltare, consumare, durante una di quelle giornate orribili che iniziano col buio, continuano con la pioggia, e finiscono con il buio, una di quelle giornate che non vedono mai la luce. Che si inizia a scrivere, a lavorare, a studiare come se fosse ancora notte, con la luce accesa anche alle undici di mattina, e non c’è scampo: bisogna restare al riparo, bisogna proteggercisi, e non fermarsi neanche un secondo. Le giornate di pioggia, che Dio ci ha donato perchè le sprecassimo, sono sfruttate fino all’ultimo secondo. Sacro Disordine, una attesa pausa di sospensione, si è rivelato un ottimo alleato: dolci parole che si intrecciano tra synth meravigliosi, che sussurrano che va bene così, che va bene anche fare un po’ schifo, che il disordine, quello mentale soprattutto, è sacro.

Un regalo a chi si sente inadatto, a chi sta affrontando una novità (un trasloco, una nuova relazione, un nuovo lavoro), qualcosa di incredibilmente bello che ci costringe ad abbandonare il nostro amato monolocale, la nostra abituale solitudine, tutto quel tempo libero che riempivamo guardando tutto quello che Netflix contiene. I cambiamenti fanno bene, ma incasinano anche tutto. Io sto affrontando tutto questo, e mi sono ritrovato nel mio Sacro Disordine che mai avrei saputo spiegare, prima dei Diletta. Un cantautorato underground di cui credevate di essere stufi, prima di ascoltarli. Non perdeteveli.

CM

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Indie

Un’opera d’arte e un racconto per entrare meglio nel mondo di “Brilla”

È da poco uscito “Brilla”, il nuovo album dei Les Enfants. Un disco che è un viaggio notturno pieno di luci e che suona come un abbraccio potente.

Sette canzoni, dall’introduttiva “Alba” alla conclusiva “Tramonto” che si mettono a nudo, perché la vita è una sola ed è stupido riempirla con accessori inutili. I Les Enfants sembrano dirci che è bene puntare dritti al cuore delle cose, dei sentimenti, dei rapporti. Siamo noi, con le nostre fragilità e le nostre meravigliose particolarità.

C’è un brano in particolare in questa raccolta che può essere considerato un po’ il manifesto dell’album: “Io e te”.

Più che una “semplice” canzone d’amore, una canzone contro l’individualismo, che racchiude al suo interno tutto un ventaglio di significati.
È la fotografia di uno di quei momenti in cui si fanno i conti con sé, quei momenti in cui – per usare le belle parole del brano – anche se” fuori sembra la fine del mondo, non si ha più voglia di stare a guardare”.

A tutti sono capitati momenti così. Attimi che segnano dei piccoli punti di non ritorno e che fanno fare alle nostre vite un balzo in avanti.
Abbiamo giocato con Marco e Francesco dei Les Enfants e gli abbiamo chiesto di parlarci di uno di quei momenti attraverso un’immagine e un breve racconto. Loro ci hanno stupito con delle opere d’arte fatte da loro!

Marco

Una volta il mondo era tutto giallo.
Gialla la luna, gialle le macchine, gialli i vestiti, gialli i tombini.
Tutto era dello stesso colore. Un colore avvolgente, intimo, un colore che cura.
Ad un tratto Marco pensò: “ma se è tutto CURA, non c’è niente da curare!”
Così scagliò un sasso sulla finestra per rompere il giallo.
Con suo immenso stupore dalle crepe uscì un profondissimo nero che sembrava inghiottire tutti i colori.
“Ommioddio cos’ho combinato” pensò Marco – il nero ormai si stava spargendo ovunque.
Dal cielo gridò una voce “se lo dipingi su un cartone, il nero si sentirà accolto e verrà tutto dentro il dipinto, diventerà la sua casa”.
Così Marco dipinse il vetro giallo rotto su un cartone e il nero subito si ritirò dentro il quadro.
“Che fortuna, tragedia scampata” pensò Marco appendendo il quadro sul muro della sua camera.
Il mondo tornò giallo, fatta eccezione del quadro in camera sua.
Ora Marco era l’unico al mondo ad avere un profondissimo nero appeso sul muro.

Questo quadro nasce dagli scarti di un’altra opera che avevo fatto.
Questi rettangoli gialli mi servivano come modello per ritagliarne altri di diversi colori che andavano a creare una sorta di tramonto sul mare.
Quell’opera era un regalo speciale per una ragazza ma, preso dalla foga creativa decisi di utilizzare questi scarti per creare un’opera nuova.
Così pensai ad un’esplosione o a un vetro rotto e dipinsi di nero un rettangolo di cartone ed incollai i triangoli gialli sopra. Il risultato mi rese molto contento!
Questo collage per me ha tanti significati: può essere un tramonto, può rappresentare una rottura con il passato o un’esplosione di gioia.

Francesco

Riposava nella terra, morbida come un cuscino di nuvole, e chinato appena il capo scorse il suo nuovo corpo armonioso, verde e senza traccia di peluria. Si vide sbucare da una coperta di terriccio leggera. La radice, unico arto a sua disposizione, s’infittonava nel suolo. Tutto era cambiato: quello scandaglio, invisibile ai suoi occhietti, s’inabissava nelle profondità della terra.
– Che cosa mi è capitato? – pensò.
Il giardinetto di via Debussy era diventato un vortice di movimenti frenetici e di sensazioni impreviste. Ci volle un attimo per capire che era solo questione di prospettiva, la sua, che era cambiata. Il mondo era lo stesso, era lui che funzionava in un nuovo modo.
Aveva ereditato l’abitudine di guidare il suo involucro di carne come un’automobile per spostarsi qua e là, additare e addomesticare gli oggetti. Ecco, questo era cambiato. La metamorfosi compiuta. Il movimento dello sradicamento non rientrava più tra le possibilità previste dal suo codice, né l’afferrare, né il tener per sé. Ma sbocciare come una rosa, quello sì.

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Indie

Cosa c’è nella camera di International Washing Machines

Esce venerdì 29 ottobre 2021 LFS, il nuovo singolo di International Washing Machines.

Un nuovo capitolo per il progetto alternative rock di Matteo Scansani. Benvenuti in un mondo fuori dagli schemi, dalle mode, dalle dinamiche delle playlist e delle condivisioni. Questo progetto, sfacciato e sincero, è la follia emotiva di chi non ha ancora smesso di sognare nella propria cameretta. Questo brano è quindi una dedica a chi non ce la fa più, a chi pensa di essere arrivato al limite, a chi sta male per colpe non loro: questo è “LFS”. Il brano racconta di tre ragazzi che decidono di farla finita, di mettere un punto alla propria esistenza, non sentendosi più in grado di sopportare il peso delle scelte e dei commenti altrui. Ogni ragazzo ha una storia e delle motivazioni diverse che li porta a fare tutti la stessa scelta. La parte finale è una protesta contro il giudizio, contro chi si sente nella posizione di poter puntare il dito, contro chi è la causa del malessere delle persone definite, erroneamente, più fragili. 

La musica che fa da sfondo al tutto è un insieme di elettronica e alternative rock, con la chitarra in primo piano accompagnata da vari synth, da un basso definibile punk, e da una batteria studiata per dare il giusto movimento al pezzo. La struttura non è classica ed è molto dinamica, con momenti in cui il tutto rallenta per poi ripartire più ritmato. “LFS” rappresenta la lotta contro la superficialità del giudizio e contro l’arroganza di chi critica, di chi si sente superiore. 

Non abbiamo saputo resistere, e per l’occasione gli abbiamo chiesto di invitarci nella sua camera. Lui ci ha raccontato la storia di quattro oggetti lì presenti.

Direi di iniziare dal mio angolo preferito della camera, quello da dove nascono tutti gli arrangiamenti dei miei brani. C’è poco da dire, anche se è un angolo di una stanza, questo spazio contiene un mondo, il mio mondo, il mio modo di evadere e di guardare la realtà da un terzo punto di vista.  

Invece questo quadretto è un regalo di una mia amica. Lei fa questi disegni su legno, molto belli secondo me, e la storia dietro credo sia molto divertente: uno dei tanti pomeriggi che passavo a casa sua notai questo dipinto e subito le dissi che era veramente bello. Diciamo che solitamente i suoi disegni non sono così inquietanti, anzi, e lei non era molto contenta del risultato, appunto perché, secondo lei, troppo macabro. Mi disse che potevo portarmelo a casa, che era il disegno giusto per me. È un oggetto a cui sono molto legato sia per la sua bellezza che per la persona che me lo ha regalato, che fondamentalmente è la mia migliore amica. Se volete vedere altri suoi disegni o volete addirittura prenderne uno, la potete trovare su Instagram con il nome @d_00_dles 

Questo è un oggetto che può essere tranquillamente definito un cimelio. È un regalo che mi è stato portato da Bologna, preso in un mercatino di libri. Sono abbastanza patito dei libri, in generale, ma pensare che questo abbia vissuto così tanto è ancora più eccitante. Questa è infatti un’edizione del 1903, con la rilegatura dei fogli mai aperta. Sì, perché questi tipi di stampa di quel periodo venivano fatto fatti su fogli che poi venivano piegati in quattro e rilegati. Per leggere l’opera bisognava infatti usare un tagliacarte, ma non mi sono azzardato minimamente a tagliare neanche mezza pagina. Mi piace tenerlo come quando è appena uscito dalla casa editrice (:

Per ultimo, ma non per importanza, il poster del brano “Annarella” di uno dei miei gruppi preferiti, i CCCP.  La frase scritta invita a un momento di solitudine, condizione doverosa per alimentare i propri pensieri, per riuscire a ragionare sui propri dubbi, su quello che ci accade intorno, per mettere ordine all’interno della propria testa. Sono anche parecchio legato a questo pezzo, compagno fedele nei momenti di introspezione, di viaggio nel proprio io.

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Indie Internazionale Pop

Le 5 cose preferite dei Labradors

I Labradors hanno recentemente pubblicato il nuovo singolo “Anger Management Plan n°327” (You Can’t Records /To lose la track), brano che segna il ritorno del power trio milanese dopo tre anni di silenzio e che ha conquistato l’inserimento in ben quattro playlist editoriali Spotify, tre delle quali global. Un risultato inaspettato ma che premia la qualità della loro musica. 

Noi li abbiamo incontrati per chiedere quali sono le loro cinque cosa preferite.

Weezer
Weezer è il nome che più spesso viene tirato in ballo quando si parla di Labradors, per una volta non a sproposito. Li seguiamo e amiamo da sempre, anche negli anni bui in cui erano diventati un meme vivente e pubblicavano musica discutibile. Poi a un certo punto si sono anche ripresi. AMPn327 è uno dei nostri pezzi in cui la loro influenza si sente più concretamente, chitarroni e quel retro gusto grunge ma catchy as fuck.

Le inside jokes
A volte i nostri pezzi nascono da piccole stronzate che succedono nella nostra vita quotidiana, cose per cui ci prendiamo per il culo a vicenda fino a diventare gag che durano anni. A parte Filippo, che dei tre è il più equilibrato, sia Pilli che Fabrizio hanno le loro issues per quanto la mala gestione della rabbia per esempio. Leggendarie le volte in cui Fabrizio ha disintegrato un porro sul piano della cucina dopo aver constatato che la sua gatta Doris gli aveva rosicchiato il cavo delle cuffie; o quella volta in cui Pilli ha scagliato un ventilatore contro la finestra in seguito a uno scazzo di coppia. Sì, quello stesso ventilatore sulla copertina di AMPn327.

“Worry” di Jeff Rosenstock
Raramente un album ci ha messo d’accordo totalmente come questo capolavoro. Jeff è un artista eccezionale e più o meno nel periodo in cui uscì “Worry” abbiamo avuto la fortuna di fare due date con lui in Italia (torna Jeff!), grazie ai nostri amici Sarah e Raffaele di Grasparossa Events. La sua influenza si è fatta sentire per tanto tempo dopo quelle date e nella linea vocale di AMPn327 abbiamo voluto omaggiare il suo modo un pò scriteriato di cantare.

“Teenage Sister”
Anche se cambiamo spesso stile nei nostri pezzi, ogni tanto ci piace mantenere una sorta di fil rouge con qualcosa che abbiamo fatto in passato. La reference per il nostro ultimo pezzo per quanto riguarda il sound è stata…un altro nostro pezzo: “Teenage Sister” sull’album “Growing Back” del 2013. Uno dei pezzi più croccanti che abbiamo mai fatto, non suonava come nient’altro su quel disco (che pure era molto croccante)e non è mai più uscito dalla nostra scaletta live.

L’aggettivo “croccante”
Qualcuno recentemente ci ha fatto notare che lo usiamo molto spesso, forse troppo. E’ così. Ci piace tantissimo. Croccante. Con il nostro nuovo singolo, poi, casca proprio a fagiolo.