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In piedi sopra il mare accanto a Digiovanni

Consocete Digiovanni? Non ancora? Beh, inutile dirvi che se siamo qui a chiedervelo è perché non potete più rimandare: una settimana, il cantautore livornese ha pubblicato un singolo d’esordio che ci ha fatto tornare a ben sperare sulla musica d’autore nazionale, e di certo non potevamo esimerci dal rivolgergli qualche domanda.

Digiovanni, è un piacere averti con noi! Allora, il tuo è un percorso che comincia anni fa e vanta collaborazioni importanti: come mai hai deciso di esordire solo adesso?

Ciao! Piacere mio di essere qui su Perindiepoi!

In effetti quello attuale non è un vero e proprio esordio. Lo è come cantautore ma prima di Digiovanni c’era una band che ha fatto i suoi passi: un disco, le finali di Sanremo Giovani, tanti locali italiani, le finali di Sanremo Giovani, un passaggio sul palco del Teatro Ariston e un Tour a New York (“The Manhattan Clubs Tour”) in cui ho avuto la fortuna di suonare la mia musica inedita in italiano nei club più importanti di Manhattan. 

Nel mentre ci sono state anche tante collaborazioni con artisti e persone incredibili come Gary Lucas, Steve Sidwell, la Metropole Orkest ma soprattutto Vinicio Capossela, con cui continuo ad essere in contatto. 

Quindi, come vi dicevo, non è un vero e proprio esordio. Mi piace più chiamarlo… la seconda prima volta.

Raccontaci un po’ di te: chi è Digiovanni?

Digiovanni è la parte di me che vuole avere una identità più cantautoriale rispetto al passato. Quindi Digiovanni nasce dalla scrittura della musica e dei testi. Io non potrei essere, però, Digiovanni senza Alessio Macchia, non solo il bassista in studio e nei live, ma soprattutto un mio carissimo amico e grande punto di appoggio. 

Sei di Livorno, terra di grandi artisti e cantautori. Come vivi il rapporto con la tua città? 

Musicalmente il rapporto con la mia città è…strano. Mi piace citare proprio Vinicio Capossela: “Livorno dà gloria soltanto all’esilio e ai morti la celebrità”. E’ così. 

A Livorno l’arte si respira e si vive per le strade. Tantissimi dipingono, tantissimi suonano. C’è un detto che dice “A Livorno, il peggior portuale suona il violino coi piedi” qui c’è il fascino e la condanna. Proprio per questo, e per lo spirito labronico, nessuno da soddisfazione a nessuno. Puoi aver fatto le cose più grandi ma a Livorno tutto svanisce in tre parole: “de, ecco lui…”. 

Livorno ha i pregi e i difetti di una città di provincia. Se poi provi a proporre qualcosa fuori dai cliché cittadini…. aiuto. 

Però amo follemente la mia città, non potrei vivere da nessuna altra parte. E poi c’è il mare.

Parliamo di “In piedi sopra il mare”: il tuo debutto appare come una vera e propria preghiera a te stesso, come un promemoria di qualcosa che non ti devi dimenticare di fare. E’ così?

“In piedi sopra il mare” è una via di fuga, la ricerca spasmodica di qualche breve momento di pace. 

La vita e le cose che succedono ti spingono molto a spegnere, a non pensare, essere sempre razionale. La quotidianità è tremenda, alienante. A un certo punto ho iniziato a sentire che mi mancava qualcosa, ho iniziato a non sentirmi più realmente me stesso, quello che conoscevo. Non c’è malinconia del passato nel brano ma la voglia di cercare di ritrovare una sensazione ben precisa che da troppo tempo non sento più addosso: la spensieratezza. Quello stato d’animo in cui puoi permetterti per qualche istante di non sentire il tempo sul polso e smettere di pensare, proprio come quando si sta “In piedi sopra il mare”

Con chi hai lavorato al brano? 

Ho la fortuna di lavorare con un gruppo di persone splendide che credono e si impegnano nel progetto. Mi fa piacere salutarli e ringraziarli tutti pubblicamente. 

Musicalmente, oltre che con Alessio Macchia, “in piedi sopra il mare” ha avuto la produzione di Andrea Pachetti (già produttore/collaboratore di artisti come Emma Nolde, Zen Circus, Bobo Ronderlli, Dente, ecc….). Senza di lui il brano non avrebbe mai potuto essere come è. E’ stato davvero prezioso. 

Mi fa piacere salutare e ringraziare anche gli altri musicisti che hanno registrato “In piedi sopra il mare”: il “geometra”, grande tastierista degli Zen Circus, e Simone Padovani, fantastico batterista che ha collaborato/collabora con grandi artisti come Bobo Rondelli, Emma Nolde e molti altri.

E ora? Quali saranno i prossimi passi di Digiovanni?

Intanto mi godo questa uscita che sta riscuotendo davvero un gran bel riscontro. Poi faremo altre cose fino a gennaio in cui uscirà il nuovo album. 

Quindi non vi allontanate troppo! Ci saranno molte altre novità!

Grazie per avermi ospitato, a presto!

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Indie Pop

Cosa c’è nella camera di Clemente Guidi

In occasione dell’uscita del nuovo EP di Clemente Guidi, “Sfumature”, per Panico Dischi, gli abbiamo chiesto di farci entrare nella sua cameretta che poi è anche la sua home studio, dove nascono i brani, tra cui quelli che compongono il suo ultimo disco.

Ecco come la descrive:

Camera mia, il mio piccolo home studio, tra un letto e le sembianze di una piccola bottega. Per me la camera è sempre stato un luogo “laborioso”. Sarà perché è lo spazio in assoluto più intimo e personale che puoi avere in una casa?! Non so, ma c’è una magia che a me succede solo lì, tanto che ormai camera non è un posto fisso, ma uno spazio fisico e mentale che mi porto dietro ogni volta che muovo i miei progetti.

La tastiera MIDI

Non ho grandi strumenti, ma quel che mi interessa è saper trasformare le mie idee con immediatezza e naturalezza. Un pezzo alla volta per trovare la mia dimensione.
La mia cameretta nasce a casa da un microfono e una chitarra. In Danimarca scopro cos’è una tastiera MIDI, poi ritorno a casa e inizio a darmi ancora più da fare. Di nuovo impacchetto e ora tutto è qui con me a Milano, dove una volta ancora ho ricreato il mio angolo preferito.

La scrivania
Partendo dalla struttura, ecco il primo: il mio tavolo di lavoro. È una vecchia scrivania che fece mio padre a mano e rimase per tempo un po’ nascosta in casa. Era utilizzata ma un po’ di passaggio, non era curata granché da nessuno. L’ho caricata in macchina ed eccola con me a Milano. Io sono innamorato di questo legno, mi ricorda l’artigianalità delle cose e l’arte del fare.

La lampada

La seconda cosa è la lampada. Creare uno spazio caldo mi tranquillizza e mi fa sentire tutta l’atmosfera che ricerco quando spazio tra suoni e parole. La posso alzare e spostare e creare la luce che mi va.

Una pianta

Immancabile pianta. Una monstera che è una tra le verdi che più mi incanta e mi rimanda sempre a Lanzarote e alle pareti di questa pianta che cresce selvaggia tra l’acqua e le grotte dell’isola. Sa di verde casa e di speranza.

Carta e penna

Scritte, bozze, disegni, linee o forme che mi passano per la testa. Avere carta e penna è l’inizio di ogni progetto. È un gesto fisico così lieve che deve essere un must creativo. Porti quel che porti!

Lele l’ukulele

Passo e chiudo con Lele l’ukulele. Queste quattro corde sono sempre pronte, non sai mai suonarlo abbastanza bene ma è sempre un grande tentatore. Lo puoi prendere come per giocare, non ti impegna. E poi magari ti ritrovi che hai un motivetto nella testa e devi correre a rinchiuderti un intero pomeriggio perché non deve sfuggirti quella fischiettata che ti rimbalza a destra e sinistra nella testa.

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Lupofiumeleggenda: (Dialoghi italiano) è il primo ep da solista

“(Dialoghi italiano)” è il titolo del primo ep solista di Nicolò Verti, in arte Lupofiumeleggenda. L’ep sviluppa il concept del “dialogo”, inteso come necessità. Un dialogo non necessariamente verbale, ma fatto anche di contatto e sguardi, connessioni, emozioni. Lupofiumeleggenda si presenta come autore di canzoni, canzoni pop, proponendo un lavoro che mantiene le radici nella tradizione della musica “leggera” italiana (in particolare per quanto riguarda la “forma canzone” e l’approccio alla scrittura del testo) cercando allo stesso tempo di applicare soluzioni di metrica, linguaggio e scelte sonore provenienti da generi e artisti più internazionali. Anticipato dai singoli Troppi Anni, AXL e DOPE, alle tracce già pubblicate si aggiungono i brani “Amateur” e la focus track “Nuova luce”. Chiude il disco, “Ho bisogno di te”, una canzone acustica dall’atmosfera più intima.

Abbiamo fatto qualche domanda a Lupofiumeleggenda:

  1. Ciao è da poco uscito “Dialoghi italiano” ci racconti un po di questo tuo primo lavoro da solista e del tuo nuovo progetto musicale?

Ciao a tutti intanto!

DIALOGHI parla della necessità di comunicare. Il titolo, preso in presto dal mondo della pornografia, gioca su un concetto un po’ beffardo e paradossale: nel 2023, le persone trovano eccitante il dialogo, ancora e più che mai.

L’anno scorso mi sono trovato 30enne, con un lavoro e senza una band. Giuro che mi sentivo perso.

Poi ho pensato che dare seguito alle mie passioni dipende solo da me e adesso siamo qui a spingere sul progetto.

2. Come mai la scelta del nome d’arte “Lupofiumeleggenda”?

Lupofiumeleggenda era il nome della mia vecchia Band.

Lo avevamo scelto perché noi siamo gente di campagna, molto legata alla natura, ai suoi ritmi, ai suoi segreti. 

Quando ci siamo sciolti ho deciso di tenere il nome perché oggi dice molto sul “dove voglio andare”

E poi penso non lasci indifferenti, o piace o non piace, però si fa notare😂

3. Questo primo lavoro è incentrato sul concept del dialogo e della connessione tra le persone, cosa ti ha portato a questa scelta?

È una consapevolezza maturata spontaneamente, canzone dopo canzone.

Mi sono accorto che intimità e dialogo sono le cose di cui ho più bisogno….lo leggo ogni volta dentro ciò che scrivo

Ho pensato che forse, anche per gli altri è così…da qui il concept

4. Quali sono le tue influenze musicali più importanti? A quali artisti ti sei ispirato per produrre questo EP?

Wow, un treno di artisti

Per testi e melodie per me esiste solo Vasco, ma dire “ispirato a Vasco” è blasfemia pura, quindi passo

Sul sound ti posso dire Post Malone, Dayglow, DIIV, Surf Curse….ed Emanuele Santona, il mio musicista preferito

5. Venendo da una lunga esperienza con una band quali sono state le principali differenze nel lavorare come solista? 

Intanto ho scoperto che solista è un concetto sbagliato…la musica non è vero che si fa da soli

Io ho condiviso tutto con Santona ad esempio. 

Di certo mia, è la responsabilità globale delle cose che dico. 

C’è la mia faccia insomma!

Sono un emergente però per me questo è importante

Non mi ha obbligato nessuno ad espormi, è una mia scelta, per cui devo dargli un peso.

6. Cosa ne pensi dell’attuale scena musicale? Con quali artisti ti piacerebbe collaborare 

Per me spacca!

In America ti dico Del Water Gap (gli ho anche chiesto un feat via mail, mi ha risposto…dice di no, ma è stato super carino)

In Italia un botto di gente, ma voglio dirti tre emergenti della mia città (Parma): Alberi noi, Taha e Supo….

Dico questi solo per affinità musicale col mio progetto, ma anche gli altri spaccano.

C’è fermento in zona

7. Progetti per il prossimo futuro?

Eh un bel po’

Sto registrando nuovi brani con un bel produttore romano, scrivo con Santona, dal 2024 le date e in mezzo a tutto questo sto diventando Papà

Un bel casino la musica e la vita, ma tanto la musica è la vita quindi…

A presto! LFL

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Indie Pop

Cosa c’è nella home studio di PIER

Questi sono 5 angoli del vecchio appartamento di famiglia che Pier nel corso degli anni sta trasformando sempre più in uno studio di registrazione.

“È una cosa molto folle e nerd che si è cominciata a realizzare durante la quarantena quando, con tutto il tempo libero a disposizione, ho potuto fare oltre 1000 saldature e costruire una cinquantina di pannelli per il trattamento acustico. In pratica ho creato un sistema per collegare tutte le stanze alla regia (che si trova in cucina) e si può registrare musica da qualunque punto della casa (manca solo il bagno…hehe). Mi è sempre piaciuta l’idea di produrre musica in un ambiente domestico che mettesse a proprio agio le persone, senza la “soggezione” di stare in studio…c’era a disposizione a costo zero questo posto fantastico a 100 metri dal mare e a 30 minuti dalle montagne, e così non ho potuto resistere e ho costruito questo piccolo sogno a cui ogni giorno sto aggiungendo un piccolo tassello! Vi porto dentro.” (Pier)

IL DESK

Questa è la mia scrivania. Ho portato un mio progetto a un falegname di fiducia e lui l’ha realizzata esattamente come volevo! Poi ho installato i rack negli spazi appositi di fianco allo schermo: per accenderli, prima ero costretto a scendere ogni volta sotto la scrivania e fare un processo scomodissimo per attaccare e staccare le spine alla corrente una ad una, poiché nessuno di questi aggeggi è dotato di interruttore. Per rendere rapido questo processo, li ho attaccati a delle ciabatte di corrente smart e dato loro i nomi dei 4 Saiyan di Dragon Ball Z, ora per accenderli mi basta dire “ok google! Accendi Goku, Vegeta, Nappa e Radish” ed è fatta. In fondo un compressore chiamato Goku è una figata atomica. Ci sono anche anche altri dispositivi tra cui un onorevole menzione va al reamp box che ho chiamato Tensing…purtroppo sarebbe impossibile ora fare tutto l’elenco, ma immagina il mio orgoglio nerd che esplode ogni volta.

IL PIANO

Questo è di sicuro l’angolo più emotivo. Quello che vedete è il piano su cui ho imparato a suonare ed è con me fin da quando ero solo un cinquenne. Cioè avevo 5 anni, si può dire cinquenne? Boh. Comunque, sopra al piano potete invece ammirare il Modular Dio, un Synth che ho assemblato pezzo pezzo nell’arco degli anni e con cui si possono ottenere suoni Super Sayian, sempre per citare il manga con cui sono cresciuto. E per non perdere neanche un istante di ispirazione ho insegnato a Google che se dico “sono ispirato!” lui deve accendere tutte le luci attorno al piano con determinati colori e a bassa intensità, in modo che io possa suonare in quest’ambiente soffuso. È bello avere uno schiavo e non sentirsi neanche in colpa visto che questo è digitale e non potrebbe neanche accorgersi di esserlo…hehe

LABBAITA

Questa è la baita ma va scritto tutto attaccato perché il mio soprannome storico è Labbè (la bestia) e quindi se la bè è labbè, la baita è labbaita. È un pezzo di muro che non c’era in questa stanza e che ho costruito assieme a mio padre. Il progetto in corso è appenderci delle lettere di legno e scrivere proprio “LABBAITA”, come se fosse un insegna, e in più voglio metterci un bel po’ di piante. Il legno mi mette tranquillità da sempre e quindi ne ho voluto un po’ nella stanza dove sto dormendo, poi ci ho appeso la tv creando un bell’angolo da gaming. Questo perché nella mia “visione” sfidarsi a FIFA a fine lavoro prima di dormire è un processo importante al pari di registrare le voci. Non si può prescindere. Solo giocando a FIFA conosci davvero la persona per cui stai producendo. O al massimo Tekken.

LA SALA

Questa è una parte che ha richiesto tanto lavoro di trattamento acustico (e c’è ancora un bel po’ da fare) e veramente tante saldature per fare un collegamento adeguato alla cucina/regia. Appendere i pannelli al soffitto è stato super stancante, però…è valsa la pena! Non so quanti brani sono stati prodotti qui dentro, quante vite ho toccato e mi hanno toccato attraverso la musica, quanti amori sono passati di qua. È bello vivere in prima persona la crescita dai primi lavori ad oggi, con una serie di piccole soddisfazioni che sono sempre più frequenti tra inserimenti in playlist editoriali di Spotify, Amazon e Apple, vittorie di concorsi, collaborazioni importanti.

LA CUCINA

Questa infine è la cucina. Il mio si chiama BAR44 Home Studio perché il primo “studiolo” domestico l’avevo creato nella mia stanza in Via Baretti 44 quando vivevo a Torino, e dato che il primo seme era stato piantato lì ho voluto portarlo con me e farlo crescere a Pescara dove vivo ora. Visto che c’era questo “bar” in mezzo al nome, ho aggiunto in cucina questa penisola con degli sgabelli alti ed è stato un vero tocco di classe per la regia. Mentre si produce, c’è chi cucina, chi mangia, chi prende il caffè, e per questo si crea la magia di “sentirsi a casa”. Spero tanto che questa mia piccola oasi venga sempre più conosciuta perché ogni brano qui è un’esperienza unica sia per me e che per chi viene!

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Cosa c’è nella camera di Adriano

Si intitola “Panico Mentale” ed è il nuovo EP di Adriano, uscito lo scorso 29 settembre. Prodotto da Andrea Normanno (Cratere Centrale, Ketama 126), il nuovo lavoro di Adriano tocca i colori tenui dell’autunno pur restando legato alla spensieratezza estiva. Sfumature funky si mischiano all’attenzione per la poetica cantautorale.

Noi siamo entrati nella sua camera per farci mostrare cinque dei suoi oggetti più iconici e che meglio lo rappresentano.

Il primo oggetto che vi mostro è il mio sketchbook. In realtà ne ho tantissimi ormai, sparsi in tutta la stanza, e sono quanto di più intimo credo di possedere. Oltre a disegnarci su, sono una raccolta dei mie pensieri, idee, canzoni, sogni, dubbi e appunti. Spesso li rileggo e rielaboro testi che avevo scritto.

Il secondo oggetto è “Storie di ordinaria follia” di Bukowski. Non sono solo i racconti che contiene che per me hanno significato, ma anche cosa rappresenta questo libro per me. Non ero un grande lettore prima che me lo regalassero, è stato il primo che ho letto dall’inizio alla fine, e da lì la mia passione per la lettura è cresciuta sempre di più. Inoltre mi ricorda di finire le cose e di non lasciarle a metà.


Il terzo oggetto è questo bellissimo regalo. È una stampa d’autore che rappresenta lo spettro sonoro di “Vieniconme”, il primo brano che ho pubblicato. Mi è stata regalata da amici a me cari (che poi sono diventati anche i miei produttori) con cui è nata un’importante collaborazione che ha dato il via al mio progetto musicale. È come se fosse il punto zero di questo percorso.


Il quarto oggetto è quello più divertente, forse. Mi è stato regalato per i miei 23 o 24 anni da un mio grande amico. Sono un fan, non troppo sfegatato, di “Star Wars” e questa action figure di Darth Vader, nonostante il suo aspetto cattivo, mi rassicura: mi dà l’impressione di essere un protettore: sorveglia la stanza e porta delle good vibes.


Ed eccoci alla fine, il mio quinto oggetto è questo pothos che porto sempre con me in qualsiasi casa in cui mi trasferisco. Mi fa stare bene avere un po’ di natura accanto mentre lavoro o compongo nuova musica. Inoltre arreda la stanza e ha una bella posa.

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La nuova canzone d’autore ha residenza in “Via Giardini” e vive con Chiara Effe

C’è una forma, una modalità di fare le cose che continua a conquistare chi sa ancora ascoltare con il cuore, prima ancora che con le nostre orecchie sempre più intasate da fin troppo bitume, in questa contemporaneità che fa assomigliare la scena nazionale sempre più ad una discarica di plastica e catrame discografico.

Sì, perché nonostante la narrazione collettiva di questo mercato malato di superficialità cerchi di raccontare ogni giorno l’inadeguatezza della canzone d’autore di fronte all’endemica e drogata incapacità d’ascolto del pubblico nazionale (come se, poi, la responsabilità fosse solo del pubblico, e non anche di chi spesso fa proprio questi proclami esaltati travestiti da malinconici epitaffi), la verità è che esiste una risacca resistente che non smette di cercare musica che sappia “dire” e non solo “chiacchierare”, capace di rendere più che sensata la ricerca poetica del cantautore – direi quasi salvifica, necessaria. 

E’ il caso, questo, del secondo disco di Chiara Effe, cantautrice cagliaritana con la testa tra le nuvole (nel miglior significato dell’immagine: da lassù si vede tutto in modo assai più distinto…) e il cuore ben piantato nella sua terra fatta di sacrificio e amore, dura come il sasso e indomabile come il mare; e forse sono queste le parole più adatte per raccontare un album che raccoglie 12 piccole perle che stanno sul palmo di una mano, ma finiscono col prendersi presto tutto il braccio e anche oltre, come un prurito che finisce con l’arrivare al centro del petto senza dimenticarsi di stomaco e cervello. 

Un ritorno che mette a tacere il brontolio di uno stomaco a digiuno dal 2014, anno del debutto di Chiara con “Via Aquilone”, a mappare l’inizio di un viaggio che ora si sposta poco più in là, in “Via Giardini”: la città emotiva è la stessa ma le canzoni sembrano cresciute dentro un ventre più maturo, capace di aspettare il momento giusto per dare alla luce un “figlio” tenace e purissimo come il diamante. 

C’è l’eco della musica d’autore che vale, nelle dodici canzoni di Chiara, che dopotutto è stata premiata negli ultimi anni con diversi premi intitolati ai grandi cantautori della storia musicale nazionale, quasi ad ufficializzare una staffetta che l’artista ha raccolto nel tempo condensandola nella risposta di “Via Giardini”, album sospeso tra leggerezza (che non è superficialità, come direbbe un grande scrittore) e ricerca di una profondità che in alcuni brani diventa abissale, con tinte talvolta più ironiche (“Non son buono” o “Il colore della mia città”) e altre volte più compassate e nostalgiche (“La ballata del mare” o “Via Serpentara”); c’è un manifesto poetico meraviglioso come “La danza delle parole”, e in generale l’amore trasuda da ogni traccia: un amore per le cose, per le persone, per la vita come meravigliosa occasione non da perdere, in tutte le sue sfaccettature, anche quelle più fosche. 

C’è una sensazione che non si stacca dalla pelle, dopo aver fatto un giro in “Via Giardini”: esiste un posto bellissimo, in Italia, dove la musica che merita resiste ed esiste ancora. Ed è qui, in questa alcova nascosta, che sembra avere residenza Chiara Effe.

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I M.A.T. più che un trio sono la strada che porta a casa

Ci sono progetti che nascono per caso, e poi si ritrovano a crescere senza nemmeno rendersene conto: idee che salgono su dalla terra umida della periferia per distendere i rami fino al cielo, e se possibile anche più in là; ci sono canzoni che s’incollano al cuore dopo il primo ascolto, lasciando in bocca il retrogusto amarostico della dipendenza quando il brano finisce e tu sei costretto a premere play ancora una volta: è il caso, questo, di “Miele”, il primo EP dei M.A.T., trio eclettico bolognese (ma con radici sparse un po’ ovunque) che ha deciso di battezzare il proprio esordio in piena estate, quando la musica va in vacanza ma i cuori continuano ad essere bisognosi di nuove melodie da cantare.

MAT, piacere di conoscervi! Non abbiamo mai avuto l’occasione di intervistarvi sulle nostre piattaforme, quindi vi chiediamo di presentarvi ai nostri lettori! Chi sono i MAT, cosa suonano e da dove vengono?

I MAT nascono a Bologna circa due anni fa dall’incontro musicale tra Thony, desideroso di produrre alcuni testi che aveva messo da parte negli anni ed Axel, che cominciava pian piano a muovere i suoi passi nella scena musicale bolognese dopo essersi trasferito in città da Napoli. Dopo alcuni esperimenti (non troppo azzeccati in realtà) il trio viene completato da Marco, il quale propose ai due proprio un prototipo di testo che diventerà 6/06, il nostro primo singolo. Ci piace immaginarci come un collettivo di idee più che una band in senso stretto, dove ognuno porta le sue influenze e si cerca di tradurle in musica. 

Come nasce il progetto? Sembrate essere amici molto affiatati, oltre che “compagni di musica”!

La storia in realtà parte in un contesto relativamente lontano dalla musica: il calcio.

Infatti noi tre siamo stati per diverso tempo compagni di squadra in un team di calcio a 7 bolognese, ed è lì che è cresciuta poi la nostra amicizia profonda prima ancora che stima reciproca dal punto di vista musicale. 

Un fatto interessante risale proprio al primo anno in cui ci siamo conosciuti: Axel, trasferitosi da poco in città, conosceva ben poco della vita notturna di Bologna e caso volle che su suggerimento di Marco si dovesse andare ad una serata al Locomotiv (locale monumento della musica a Bologna) ed indovinate con chi? Thony, che entrambi conoscevano pochissimo, e dove? Al this is INDIE. Se non era scritto…

Una breve serie di singoli prima della pubblicazione di “Miele”, un EP che mescola carnalità e poesia con il giusto dosaggio degli elementi. Perché avete scelto proprio “Miele” come titolo del disco?

Miele è un titolo figlio di un brano che si trova all’interno dell’EP che ci sembrava il riassunto perfetto di come vogliamo che la nostra musica vi faccia sentire (che è esattamente come ci sentiamo noi, in primis). Miele rappresenta qualcosa di dolce a primo impatto ma allo stesso tempo viscoso, come a volte i rapporti possono essere, in cui è facile perdersi.

Il miele è dolce, ma costa dolore ottenerlo.

Nel vostro disco, emergono influenze varie che sembrano voler sposare insieme la ricerca aurorale da una parte e sonorità grunge e garage dall’altra: come avete lavorato al disco, e quali sono stati i riferimenti principali della vostra ricerca?

Il sound del disco è il risultato dello sforzo collettivo di tradurre in un unico prodotto quelle che sono influenze molto diverse tra loro (basti pensare che Marco vive di rap, Thony ascolta cassa diritta anche alle 7 del mattino sorseggiando un cappuccino ed Axel se ne sta a piangere giorni interi con Lana del Rey in sottofondo). Un catalizzatore fondamentale l’abbiamo ritrovato in Altrove, al secolo Marco Barbieri, che ha capito ed aiutato musicalmente a capitalizzare delle idee in una visione comune e concreta. Insomma il collante perfetto, e lo ringraziamo per questo. I riferimenti principali provengono da colui che scrive le parti musicali dei brani, Axel, e si ritrovano in band come The Cure, The libertines, la stessa Lana Del Rey e Kevin Parker dei Tame Impala oltre che The Neighbourhood, band comune a tutti e tre. 

Parlateci un po’ delle canzoni: esiste, a vostro parere, un filo rosso che collega tra loro le varie produzioni?

Il filo rosso speriamo sia evidente all’ascolto, poiché tutti i brani sono strettamente legati alle nostre vite ed esperienze dell’ultimo anno e mezzo. Esperienze che spesso ci siamo trovati a vivere insieme, uniti da un rapporto intimo e profondo d’amicizia. Tutti i brani portano con loro immagini chiare di avvenimenti veri, quasi assolutamente non romanzati e speriamo di riuscire a comunicarli tutti con onestà. 

Non poteva che essere, quindi, un diario a cuore aperto di vita vera, comune. 

E invece, un brano al quale vi sentite più legati rispetto agli altri?

Risponderemo con tre brani per tre persone. Axel sicuramente è più legato a BDSM, Thony a Fra le tue gambe e Marco a Miele. 

Avete in previsione qualcosa per quest’estate? Presenterete il disco in live?

Magari! Per ora non abbiamo in programma nessun live, ma quando lo faremo, sarà rumoroso ed una grande festa itinerante.

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Indie

Si può salvare il mondo con un disco? Forse sì, vi parliamo dei Radio Tahuania

Incomincia con una parola inventata (anzi due), “Kuru Lalla” il nuovo album dei Radio Tahuania, formazione campana con attinenze sonore e ideali che fanno riferimento soprattutto al Sudamerica.  Otto canzoni sui ritmi di cumbia, contaminati però da rock elettrico che da una parte può far pensare un po’ a Santana, dall’altra si tuffa faccia avanti in mondi psichedelici, senza perdere però mai il contatto con le radici, profondamente abbarbicate alla giungla amazzonica. 

C’è un sogno di fratellanza che contamina e unisce le canzoni dei Radio Tahuania, che parlano spesso di giovani (“La nina”, “Chicos”) e che fanno una musica giovane e antica insieme, fitta di significati ma anche di sonorità profonde, miste, sovrapposte. 

Ogni canzone è una piccola giungla, in questo album che però non richiede il machete per entrare: anzi basta appoggiare l’orecchio a terra per sentire arrivare ritmi e flussi sonori interessanti e importanti, sempre capaci di cambiare le carte in tavola senza richiedere troppi sforzi all’ascoltatore.  A volte si inseguono idee aeree, come in “Volarà”, a volte si avanza pancia a terra come ne “La vida”. A volte invece semplicemente si sale su un “Motocar” e si vede dove porta la strada, ammesso che ce ne sia una da seguire. In ogni caso queste canzoni sono movimento, non necessariamente frenetico, ma a stare ferme non pensano proprio. 

“Kuru Lalla”, espressione inventata, significa “voglio un foglio bianco per disegnare un sogno”. Del resto se hai di fronte un foglio bianco puoi inventare un mondo, una parola, un significato, oppure otto canzoni come quelle di un album coerente anche se sempre pronto ad accogliere variazioni di percorso.  Si può salvare il mondo con un disco? Direi di no. Però si può sollevare qualche sopracciglio per quello che si canta e per quello che si scrive. Il tentativo dei Radio Tahuania va in questo senso, e si direbbe che l’obiettivo è centrato. 

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Annusa “Fiore” di Artegiani e scoprirai il profumo della nuova canzone d’autore

Conoscete ormai di sicuro Giovanni Artegiani, perché nel corso degli ultimi anni abbiamo avuto modo più volte di parlarvene e di raccontarvi la sua musica.

Giovanni, in effetti, ci è sempre piaciuto, a noi redattori implacabili, per la sua capacità di rimanere coerente ad un’idea di scrittura che nel tempo ha saputo esplorare confini diversi, ma sempre mantenendosi fedele ai suoi rigorosi parametri estetici e poetici: un dono, quello di Artegiani, che si coniuga con una predisposizione vocale interessante, grazie a un timbro che arricchisce di spessore parole scelte appositamente per depositarsi sul fondo del cuore.

Canzoni, come direbbe lui, che possano raggiungerci ovunque siamo, alla ricerca di una dimensione di intimità che diventa collettiva fin dal primo play: con uno slancio quasi un po’ blanchito, Giovanni dedica al suo amore distruttivo e allo stesso tempo angelico l’invettiva piena d’amore di “Faccia d’angelo”, che fa il paio con altri due brani, “Tu in riva al mare” e “Quando amore non è”, che provano a raccontare l’amore (in un disco che parla d’amore) in modo un po’ diverso dal solito.

Naturalmente, come per ogni cantuatore che si rispetti anche per Artegiani l’amore viene visto nel modo meno “definibile” possibile, finendo con l’assomigliare, tutto il disco intendo, ad un prisma di rifrazione attraverso il quale Giovanni proietta le sue sicurezze ma soprattutto le sue insicurezze: un tuffo in mare aperto che mozza il respiro e lascia l’ascoltatore ad immergersi verso apnee nuove, che ricordano vecchi dolori con parole diverse, finalmente giuste.

“Guardingo” diventa così un manifesto personale che ben si adatta a tutti coloro che hanno capito che abbassare la guardia può essere fatale, ma che nonostante tutto non smettono di amare con dedizione e sacrificio; “Fiore” è la dichiarazione d’amore che non ti aspetti e che giustamente dà il nome all’intero lavoro di Giovanni, spiccando per produzione pop e slancio melodico.

Un lavoro denso, frutto di anni di ricerca e dedizione, che proietta Artegiani verso un live che confidiamo possa restituire tutta la dimensione emotiva di un disco che vale, almeno quanto un “Fiore”.

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Indie Intervista Pop

Se premi play su “Conchiglie” di Beca puoi sentire la voce del mare

Di Beca avevamo avuto modo di parlarvi giusto qualche settimana fa, all’uscita del suo singolo “Aurora”: lo stile genuino e vero dell’artista toscano ci aveva subito conquistato per spontaneità e pathos, regalandoci una buona alternativa ai singoli melensi e tutta plastica del venerdì.

Ovviamente, quando ha visto la luce, qualche settimana fa, il suo disco d’esordio ci siamo presi l’impegno con noi stessi di non perderci l’occasione di potergli fare qualche domanda: abbiamo parlato di “Conchiglie“, il suo disco d’esordio per La Rue Music Records, di amore e del mare di Viareggio; insomma, gli ingredienti sono quelli giusti per una buona chiacchierata.

Ciao Beca, piacere di ritrovarti. Ti abbiamo scoperto qualche settimana fa con “Aurora”, e subito ci aveva convinto il tuo piglio autorale capace allo stesso tempo di ammantarsi di un’ottima spinta melodica e pop. Chi è Beca, per chi ancora non lo conoscesse?

Beca è un ragazzo con una sfrenata passione per la musica, talmente sfrenata che ha avuto la malsana idea di volerla trasformare in un lavoro, e che quindi adesso sta affrontando tutte le difficoltà di un artista emergente. Beca scrive pezzi fortemente autobiografici, segnati indelebilmente da influenze proveniente dalla musica leggera e dal cantautorato italiano.

Come ti avvicini alla musica? Quali sono i primi passi che hai compiuto in questo mondo?

Il mio primo scontro con la musica è avvenuto a undici anni quando ho imbracciato per la prima volta una chitarra. Con questo strumento ho avuto degli alti e bassi durante la mia adolescenza, talvolta l’ho considerata troppo poco. Nonostante tutto però lei è rimasta lì, nel frattempo mi sono appassionato al canto e, infine stanco di relegarmi alle canzoni di altri autori, ho deciso di buttarmi nella scrittura.

Vieni da Viareggio, città musicalmente e culturalmente ricca di progetti interessanti. Come vivi il tuo rapporto con la provincia? Che relazione hai con la scena della tua città, e cosa ne pensi?

Recentemente dalla Versilia sono usciti un sacco di artisti validi soprattutto nel panorama indie. Sono molto fiero del fatto che band e artisti locali, con i quali sono legato soprattutto da un rapporto di amicizia, stiano riuscendo a prendersi delle belle soddisfazioni grazie alla loro musica.

Aurora” aveva già fatto capire al tuo pubblico che il “nuovo” Beca avrebbe dato all’elemento acquatico un valore importante… oggi “Conchiglie” conferma questa sensazione: quanto “mare” c’è, dentro il tuo album di debutto?

Il mare ha un valore centrale non solo nei miei lavori e nel mio lato artistico, ma incide tantissimo anche nella mia quotidianità. Solo la sensazione di sentire la salsedine nell’aria mi trasmette serenità e mi rendo conto di essere a casa.

Raccontaci i brani, passo dopo passo: esiste un filo rosso che li collega e li unisce, a livello concettuale?

C’è un filo conduttore che unisce i pezzi: sono tutti autobiografici, raccontano tutti diverse parti di me – le mie relazioni, le mie sensazioni e i miei percorsi mentali. Nonostante ciò, ho voluto sottolineare fin dalla scelta del titolo dell’album che ascoltarlo è come raccogliere le conchiglie sulla battigia. Certo sono tutte conchiglie, ma ognuna ti colpisce per un particolare (un contesto, una frase) che la rende diversa e speciale di fronte all’ascoltatore.

Hai lavorato con Nicola Baronti: che tipo di collaborazione è stata la vostra? Come vi siete conosciuti e avvicinati?

Ci siamo conosciuti quando venne invitato a fare il giudice al Viareggio Music Festival. Decidemmo di produrre un brano insieme e di lì nacque una collaborazione che dura tutt’oggi: con Nicola mi trovo molto bene e spero di affidare a lui anche i prossimi lavori. È una persona che fa crescere molto, sia a livello artistico che non.

Salutiamoci, ma prima rivelaci cosa farà Beca, ora che i giochi sono fatti!

Ora c’è solo una cosa da fare: suonare il disco live!