Conoscete ormai di sicuro Giovanni Artegiani, perché nel corso degli ultimi anni abbiamo avuto modo più volte di parlarvene e di raccontarvi la sua musica.
Giovanni, in effetti, ci è sempre piaciuto, a noi redattori implacabili, per la sua capacità di rimanere coerente ad un’idea di scrittura che nel tempo ha saputo esplorare confini diversi, ma sempre mantenendosi fedele ai suoi rigorosi parametri estetici e poetici: un dono, quello di Artegiani, che si coniuga con una predisposizione vocale interessante, grazie a un timbro che arricchisce di spessore parole scelte appositamente per depositarsi sul fondo del cuore.
Canzoni, come direbbe lui, che possano raggiungerci ovunque siamo, alla ricerca di una dimensione di intimità che diventa collettiva fin dal primo play: con uno slancio quasi un po’ blanchito,Giovanni dedica al suo amore distruttivo e allo stesso tempo angelico l’invettiva piena d’amore di “Faccia d’angelo”, che fa il paio con altri due brani, “Tu in riva al mare” e “Quando amore non è”, che provano a raccontare l’amore (in un disco che parla d’amore) in modo un po’ diverso dal solito.
Naturalmente, come per ogni cantuatore che si rispetti anche per Artegiani l’amore viene visto nel modo meno “definibile” possibile, finendo con l’assomigliare, tutto il disco intendo, ad un prisma di rifrazione attraverso il quale Giovanni proietta le sue sicurezze ma soprattutto le sue insicurezze: un tuffo in mare aperto che mozza il respiro e lascia l’ascoltatore ad immergersi verso apnee nuove, che ricordano vecchi dolori con parole diverse, finalmente giuste.
“Guardingo” diventa così un manifesto personale che ben si adatta a tutti coloro che hanno capito che abbassare la guardia può essere fatale, ma che nonostante tutto non smettono di amare con dedizione e sacrificio; “Fiore” è la dichiarazione d’amore che non ti aspetti e che giustamente dà il nome all’intero lavoro di Giovanni, spiccando per produzione pop e slancio melodico.
Un lavoro denso, frutto di anni di ricerca e dedizione, che proietta Artegiani verso un live che confidiamo possa restituire tutta la dimensione emotiva di un disco che vale, almeno quanto un “Fiore”.
Di Beca avevamo avuto modo di parlarvi giusto qualche settimana fa, all’uscita del suo singolo “Aurora”: lo stile genuino e vero dell’artista toscano ci aveva subito conquistato per spontaneità e pathos, regalandoci una buona alternativa ai singoli melensi e tutta plastica del venerdì.
Ovviamente, quando ha visto la luce, qualche settimana fa, il suo disco d’esordio ci siamo presi l’impegno con noi stessi di non perderci l’occasione di potergli fare qualche domanda: abbiamo parlato di “Conchiglie“, il suo disco d’esordio per La Rue Music Records, di amore e del mare di Viareggio; insomma, gli ingredienti sono quelli giusti per una buona chiacchierata.
Ciao Beca, piacere di ritrovarti. Ti abbiamo scoperto qualche settimana fa con “Aurora”, e subito ci aveva convinto il tuo piglio autorale capace allo stesso tempo di ammantarsi di un’ottima spinta melodica e pop. Chi è Beca, per chi ancora non lo conoscesse?
Beca è un ragazzo con una sfrenata passione per la musica, talmente sfrenata che ha avuto la malsana idea di volerla trasformare in un lavoro, e che quindi adesso sta affrontando tutte le difficoltà di un artista emergente. Beca scrive pezzi fortemente autobiografici, segnati indelebilmente da influenze proveniente dalla musica leggera e dal cantautorato italiano.
Come ti avvicini alla musica? Quali sono i primi passi che hai compiuto in questo mondo?
Il mio primo scontro con la musica è avvenuto a undici anni quando ho imbracciato per la prima volta una chitarra. Con questo strumento ho avuto degli alti e bassi durante la mia adolescenza, talvolta l’ho considerata troppo poco. Nonostante tutto però lei è rimasta lì, nel frattempo mi sono appassionato al canto e, infine stanco di relegarmi alle canzoni di altri autori, ho deciso di buttarmi nella scrittura.
Vieni da Viareggio, città musicalmente e culturalmente ricca di progetti interessanti. Come vivi il tuo rapporto con la provincia? Che relazione hai con la scena della tua città, e cosa ne pensi?
Recentemente dalla Versilia sono usciti un sacco di artisti validi soprattutto nel panorama indie. Sono molto fiero del fatto che band e artisti locali, con i quali sono legato soprattutto da un rapporto di amicizia, stiano riuscendo a prendersi delle belle soddisfazioni grazie alla loro musica.
“Aurora” aveva già fatto capire al tuo pubblico che il “nuovo” Beca avrebbe dato all’elemento acquatico un valore importante… oggi “Conchiglie” conferma questa sensazione: quanto “mare” c’è, dentro il tuo album di debutto?
Il mare ha un valore centrale non solo nei miei lavori e nel mio lato artistico, ma incide tantissimo anche nella mia quotidianità. Solo la sensazione di sentire la salsedine nell’aria mi trasmette serenità e mi rendo conto di essere a casa.
Raccontaci i brani, passo dopo passo: esiste un filo rosso che li collega e li unisce, a livello concettuale?
C’è un filo conduttore che unisce i pezzi: sono tutti autobiografici, raccontano tutti diverse parti di me – le mie relazioni, le mie sensazioni e i miei percorsi mentali. Nonostante ciò, ho voluto sottolineare fin dalla scelta del titolo dell’album che ascoltarlo è come raccogliere le conchiglie sulla battigia. Certo sono tutte conchiglie, ma ognuna ti colpisce per un particolare (un contesto, una frase) che la rende diversa e speciale di fronte all’ascoltatore.
Hai lavorato con Nicola Baronti: che tipo di collaborazione è stata la vostra? Come vi siete conosciuti e avvicinati?
Ci siamo conosciuti quando venne invitato a fare il giudice al Viareggio Music Festival. Decidemmo di produrre un brano insieme e di lì nacque una collaborazione che dura tutt’oggi: con Nicola mi trovo molto bene e spero di affidare a lui anche i prossimi lavori. È una persona che fa crescere molto, sia a livello artistico che non.
Salutiamoci, ma prima rivelaci cosa farà Beca, ora che i giochi sono fatti!
Ora c’è solo una cosa da fare: suonare il disco live!
Non conoscevamo LiUK prima di questo ritorno dell’artista toscano, che dopo una buona serie di singoli decide di confermare le aspettative con un brano che diventa manifesto personale e inno liberatorio da tutte le energie negative che ci tirano verso il fondo: “Ti cerco sempre” è una promessa che si fa hit nella resa di una canzone utile a ricordarci che certe cose non finiscono mai, anche quando tutto sembrerebbe dire il contrario.
LiUK non è certo uno sbarbatello, anzi: di strada ne ha già fatta eccome il giovane cantautore, che dopo aver solcato per anni palchi e festival per una gavetta provante quanto temprante, ha deciso qualche tempo fa di intraprendere un percorso solista che nel tempo lo ha visto pubblicare una buona manciata di brani che ancora non sembrano destinati a confluire in un album; “Ti cerco sempre”, in tal senso, sembra essere la definitiva apertura al pop di LiUK, che possiede nel sue corde il lirismo giusto per fare strada nel mercato mainstream nazionale, pur dovendosela vedere con una concorrenza più nutrita e spietata (perché disperata) che mai.
“Ti cerco sempre” porta con sé la brezza dell’estate senza però dimenticare il gelo di un inverno emotivo che pare aver lasciato tracce nella penna toscana: la musica diventa così uno strumento utile a superare le tormente e le bufere del cuore, e a ricordarsi che “morire per amore” è un supplizio lento ma necessario per trarre nuove consapevolezze su sé stessi e sul proprio mondo interiore.
Sonorità disco che incontrano un mondo autorale e interiore che merita di essere scoperto: la resa finale di “Ti cerco sempre” aiuta a nutrire le aspettative verso un progetto da tenere d’occhio, perché dotato di un ottimo margine di crescita.
L’abbiamo ascoltata più e più volte la nuova canzone di Maiogabri, uscita il 9 giugno, dal titolo “Senza Colori” (MIND) e non poteva passarci indifferente la sensibilità del suo autore. Abbiamo quindi pensato che un modo per conoscere l’artista sarebbe stato raccontarsi attraverso le sue cinque cose preferite, ecco quali sono!
LA SVEGLIA CON LA MUSICA
Prima cosa preferita in assoluto è la sveglia della mattina con la musica preimpostata, su questo non ci piove. E’ come se ti lanciasse il buonumore addosso e ti dicesse “tieni, fanne quello che vuoi”.
P.S. Angeli di Lucio Dalla miglior sveglia della mia vita, ve la consiglio.
LA MACCHINA DOPO IL RIFORNIMENTO
La macchina dopo il rifornimento per un buon taccagno come me è gioia pura, perché so che per un bel po’ non dovrò spendere altri soldi in benzina.
GLI ANELLETTI AL FORNO DI MIA MAMMA
E come li spieghi gli anelletti al forno di mamma? Non li spieghi. Gli anelletti al forno di mia mamma sono gli anelletti al forno di mia mamma, mi dispiace che voi non li possiate assaggiare.
LE PILE DI LIBRI
Mi piacciono da morire le pile di libri, ma anche i libri singoli ingialliti o sgualciti, consumati un po’. Mi sanno di chili di cultura pronta ad essere esplorata, mi ispirano.
L’INNAMORAMENTO
Sono un grande fan dell’innamoramento più che dell’amore, ma questa penso sia la prassi di un buon ragazzo malinconico che trova la felicità solamente nelle cose passeggere. L’amore è comunque tanta roba eh, solo non regge il confronto.
The Rootworkers, talentuosa band marchigiana, pubblicano “Dead Flower Blues” (Level Up Dischi), nuovo singolo e video. Il quartetto fa affiorare tutto il proprio talento in un pezzo che si collega direttamente con le radici del blues ma prende svolte psichedeliche, lasciando galoppare gli strumenti e la fantasia, in tutta libertà. E ci raccontano le loro cinque cose preferite.
1. La campagna
Siamo nati in campagna, ci viviamo quasi ogni giorno e ne siamo innamorati. Nessuno che rompe i coglioni, il sole sulla pelle, i grandi spazi aperti e l’aria pulita che si respira la rendono il nostro posto preferito.
2. La birra
La spremuta di luppolo è la nostra compagna di sempre. E’ una parte importante della nostra dieta, ce la portiamo in sala prove, in studio e ai live è anche più buona. D’inverno aiuta a scaldare i muscoli e d’estate rinfresca, è il nostro eco-carburante.
3. Gli strumenti
Ci scambiamo ogni giorno decine di annunci, strani modelli di chitarre, strumentazione in vendita che bramiamo di acquistare ma che non compreremo perché non ne abbiamo la possibilità, ovviamente. Anche solo a scopo ammirativo, di goduria, c’è sempre uno scambio di opinioni e ricerca di chitarre, amplificatori, mixer e strumenti particolari. D’altronde il nostro arsenale è una parte fondamentale per nostra la pasta sonora, un buon feeling e l’ estetica personale e di gruppo.
4. Il Fumé
La pasta al fumé è il nostro piatto preferito. Ogni volta che abbiamo a disposizione una cucina il nostro bassista ci prepara un ottimo fumé tutto marchigiano. E’ la nostra portata caratteristica, perfetto per rifocillarsi e per riprendere la carica.
5. I live club
Siamo amanti della musica e quasi ogni fine settimana andiamo nei live club locali che organizzano concerti. Ci piace l’atmosfera di casa che si respira, essere circondati da amici, conoscenti e bella gente che come noi è appassionata di musica. Non c’è modo migliore per passare un sabato sera che non sia andare a vedere e ascoltare gruppi indipendenti e non.
Beh, noi, a dire la verità, no: ci è capitato fra le mani in un pomeriggio redazionale di fine maggio, e sin dal primo play abbiamo sentito spandersi nell’aria una sensazione particolare, come se l’estate fosse appena esplosa sulla punta delle nostre dita e delle nostre orecchie: colpa di “Sogni da vendere”, il singolo del ritorno di Gabriele che apre la strada ad un disco che sicuramente saprà stupirci.
C’è un’atmosfera particolare, magica, nelle trame musicali di Buonforte: canzone d’autore al servizio di un’idea di pop che possa essere riflessione esistenziale, rifugio sicuro e spazio d’espressione libero e di tutti; un’alchimia riuscita fra estremi diversi, che trovano il proprio equilibrio sul filo di un brano che tende la mano a chiunque ancora non abbia trovato la risposta che cerca a domande che sembrano moltiplicarsi ininterrottamente. Che sia il dubbio, la risposta che stiamo cercando?
Buonforte mette in piedi un brano che non perde la sua matrice acustica, anzi, esalta le scelte di scrittura poetica di una penna fatta per creare spazi e ricucire ferite: un’esplosione di colori aggrappati alla trama di una chitarra acustica, che guida le danze di una ballad dal retrogusto filosofico che racconta i dubbi e le paure di tutti noi, sospesi tra i sogni che vorremmo realizzare e una realtà che il più delle volte ci costringe a non guardare, per non svegliarci dal sonno delle nostre coscienze.
Un lavoro ben fatto, che ci permette di puntare i riflettori su un progetto da tenere d’occhio, e da valorizzare. Ottima scoperta di questo venerdì.
Da Blonde, e già il nome ha in sé qualcosa di luminoso, e allo stesso tempo pregno di un certo tipo di mistero – e se vogliamo, di oscurità. Perché non c’è luce senza buio, e solo nella tempesta più estrema è possibile capire l’importanza dei porti sicuri che ci siamo lasciati alle spalle, salutando le nostre certezze per lanciarci alla rincorsa di un orizzonte sempre più distante, man mano che proviamo ad afferrarlo; questo, in fondo, pare essere il significato di un brano come “Sabato sera”, singolo che annuncia il ritorno di una penna fine, educata e decisa ad impugnare la musica come fosse il bisturi necessario ad un’operazione a cuore aperto salva-vita.
Un brano ibrido, che ambienta il proprio ostinato riflettere tra le luci strobo del sabato sera, relegando ad un angolo, pensierosa, la sensibilità di Da Blonde, cantautrice napoletana con un disco all’attivo (“Parlo ai cani“, 2020) e una capacità sorprendente di mantenersi in funambolico equilibrio fra canzone d’autore e cavalcata disco-pop – come ha fatto in “Sabato sera”.
Potevamo esimerci dal dedicare qualche domanda a Daniela? Beh, ovviamente no: quando l’odore di buono ci passa sotto il naso, non possiamo far altro che provare a sfamarci di bellezza; che di questi tempi, tocca fin troppo far la fame.
Daniela, bentrovata su Perindiepoi. Abbiamo l’abitudine di fare questo piccolo “giochino” con tutti i nostri ospiti, per inaugurare le nostre conversazioni: se dovessi scegliere tre aggettivi capaci di raccontare chi è Da Blonde, più uno aggiuntivo che proprio non ti appartiene, quali sceglieresti?
Ciao a tutti. Se dovessi descrivermi con tre aggettivi direi riflessiva, attenta e sincera. Una cosa che proprio non mi sento di essere è opportunista.
Il tuo è un progetto particolare, che nel corso degli anni ha saputo evolvere il proprio linguaggio: c’è qualcosa che non è mai cambiato, in mezzo alla tormenta, in tutti questi anni?
Credo la voglia di trasmettere qualcosa sia una costante dall’inizio a oggi, la voglia di comunicare e di toccare in qualche modo chi ti ascolta. Fare musica è una sfida costante prima con me stessa e anche la voglia di fare sempre qualcosa di nuovo non è mai cambiata.
Qualche anno fa, mentre il mondo si fermava, tu pubblicavi il tuo disco d’esordio: che ricordo ti ha lasciato, quel momento?
I giorni in cui è stato pubblicato “Parlo ai cani” mi hanno lasciato, nonostante l’atmosfera surreale, bellissimi ricordi. Ho voluto il disco con tutte le mie forze, ero motivatissima, ho investito personalmente e curato ogni aspetto, credo di non essere mai stata così fiera di me prima di allora.
Poi, un silenzio durato anni, e oggi il ritorno sulle scene con un brano che sembra porsi allo stesso tempo in continuità e in rottura con il passato: per quanto mantieni il piglio pop e melodico degli esordi, è il tuo approccio alla scrittura che pare essersi fatto più “grave”, quasi solenne a momenti. Crescere, forse, vuol dire anche imparare ad incassare i colpi della vita?
Lo spero proprio, sicuramente crescere vuol dire affrontare sempre nuove sfide, alle quali spesso non sei preparato, ti porta a nuove domande, nuove risposte, cambi di prospettiva. Cerco di essere più fedele possibile a quello che sento e credo sia inevitabile che il mio linguaggio cresca insieme a me.
Ogni canzone cela una ferita da rimarginare, o almeno così pare per la musica di Da Blonde: cosa si cela, in questo caso, dietro a “Sabato sera”?
“Sabato sera“ è stato scritto in un periodo che mi ha messa molto alla prova, mia madre ha avuto problemi di salute e mi è sembrata la cosa più grande che abbia mai dovuto affrontare , in certi momenti è stata così dura che mi sembrava che ogni cosa per cui avevo provato entusiasmo prima non avesse più senso. Uscire e divertirsi sembravano appartenere a un’altra vita, il sabato non era diverso da tutti gli altri giorni e raccontare questa voglia di leggerezza in questo pezzo è stato liberatorio ed è stato anche il modo di tornare alla mia vita.
Raccontaci anche del tuo rapporto con Blindur, e di come avete lavorato insieme sul brano: la mano dell’autore napoletano si avverte, ma di certo ad uscirne potenziata non può che essere l’impressione di avere davanti una cantautrice a tutti gli effetti…
E’ stato estremamente interessante e piacevole lavorare con Massimo De Vita e Luca Stefanelli, ci conosciamo da qualche anno, stimo molto entrambi. Lavorare a un brano insieme è un incontro di mondi diversi ed io sono sempre affascinata da quello che può nascere, credo che abbiano saputo dare vita al suono perfetto per questa canzone, qualcosa che facesse venire voglia di ballare e emozionasse allo stesso tempo.
E ora, cosa vedi davanti a te? Quest’estate potremo ascoltare la tua musica dal vivo? Cosa c’è in programma?
Ci sono un po’ di brani a cui sto lavorando, con diversi produttori, uno soprattutto a cui sono legatissima, ma non vi svelo altro, preferisco sia una sorpresa.
SANGUE NEL SANGUE è il nuovo singolo di Luca De Gregorio, scritto insieme a Esposito. Una power ballad dal retrogusto malinconico che racconta del rapporto con il padre e della mancanza della perdita di chi ci ha cresciuti. Noi abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui, ecco cosa ci siamo detti!
Ciao Luca e benvenuto! Sangue nel sangue è un brano sofferto e di forte impatto, racconta il rapporto con tuo padre. Quale ricordo vuoi regalarci del vostro legame?
Ciao, grazie mille a Voi per questa chiacchierata.
Non è stato facile raccontarsi. Questa canzone è il primo capitolo, la prima dedica insieme ad un altro brano che poi chiuderà il cerchio. Entrambe le canzoni abbracceranno l’intero progetto al quale sto lavorando. “Sangue Nel Sangue” sarà anche il titolo del mio Ep.
Non è solo il racconto di un rapporto padre-figlio, è anche una “donazione di midollo osseo” in un periodo di malattia. È il sangue di un figlio che torna al padre, per rinascere. È una battaglia, un inferno che continua a bruciare dentro di me giorno dopo giorno. È stato ed è un momento della mia vita mai risolto. Sento sempre gridare qui dentro. C’è sempre questa canzone che bussa alla porta e non posso far altro che aprire e farle fare un giro ovunque io sia. Quando chiudo gli occhi, lo vedo e lo sento suonare seduto al pianoforte di casa. Questo credo sia il ricordo più bello perché in quel momento ho scelto di sposare la Musica. È lui che me l’ha fatta scoprire. È a lui che devo tutto e come dicevo prima, l’intero progetto Ep porta il suo nome con questa canzone.
l brano vede la firma anche di Esposito, come è nata la collaborazione e cosa apprezzi della sua musica?
È stata una combinazione fortunata di conoscenze e amici in comune nel settore musicale. Mi era già capitato di ascoltare i suoi lavori ed ero colpito soprattutto dalla sua scrittura. Quel giorno per me all’inizio non è stato facile perché per la prima volta mi sono messo a nudo e ho provato a condividere la mia storia con un altro Artista. Dopo pochi minuti mi sono reso conto dell’immenso cuore, l’immensa sensibilità di Diego e che qualcosa di bello stava nascendo. Apprezzo di lui soprattutto la Verità, nella parola e nel suo stile musicale. Credo sia una cosa difficile da trovare. Per me è molto importante.
C’è un altro artista con cui ti piacerebbe collaborare o per cui vorresti scrivere, se sì chi? In questo momento no. Continuo a lavorare al mio Ep, agli altri brani cercando sempre di crescere, studiare e maturare affinché la mia Verità e Identità Artistica siano sempre definite al meglio. Sia dal punto di vista musicale-sonoro che testuale. Con Diego mi piacerebbe molto tornare a collaborare.
Hai alle spalle una partecipazione a The voice, quanto ha contribuito alla tua maturazione artistica?
È stato un periodo breve ma ricco di emozioni: un treno che è passato, in cui ho cercato di raccontare me stesso attraverso quelle esibizioni, nonostante non abbia potuto far ascoltare i miei inediti.
Sono passati tanti anni ormai e artisticamente il mio approccio musicale, il sound soprattutto del mio progetto Cantautorale, sono radicalmente cambiati. Sono state scelte stilistiche personali maturate nel tempo e non grazie a quella esperienza televisiva.
Posso dire però che sicuramente il programma ha contribuito a farmi scoprire il contesto di un palcoscenico diverso, quello televisivo, per niente semplice. Mi ha messo per la prima volta alla prova dentro i suoi ritmi serratissimi, dove ho cercato di tenere sempre i nervi saldi.
Cosa dobbiamo aspettarci da te dopo questo bel singolo?
Grazie in primis del Vostro ascolto e di questa opportunità.
È uscito da poco il video ufficiale del singolo su Youtube e sicuramente posso dirvi che dopo aver ultimato il progetto Ep, l’idea futura è certamente la formazione della band per consolidare il sound e portare le mie canzoni in giro.
FANTASMI è il primo singolo della band omonima “FANTASMI” disponibile in streaming da venerdi 21 aprile e distribuito da INgrooves Music Group. Il brano è nato nella cantina di uno dei tre componenti della band, quando ancora il trio non si era formato. Un ritornello in testa e un giro di chitarra di accordi in fa.
La canzone racconta la storia di una persona bloccata dalle proprie paure, come se fosse inseguita dalla sua stessa ombra. Ma quando si accorge che quelle paure sono nella sua testa, comincia a volare e a raggiungere i propri obiettivi. Sonorità Indie/Dream Pop che mescolano l’onirico e la malinconia. La band si ispira ad artisti del ramo indie della musica italiana, come Gazzelle, Calcutta e BNKR44, ma con uno sguardo anche al panorama internazionale Current
Abbiamo chiesto alla band di rispondere alle nostre domande:
1- Ciao parlateci un po’ del vostro progetto musicale?
Nasciamo dall’unione tra il duo Broken Keytar: Filo e Cate, un progetto (piano, chitarra e due voci) che puntava sulla musica di strada, e Gan, produttore parmigiano che precedentemente ha collaborato con artisti come ‘I Segreti’. Il progetto si forma in maniera molto spontanea: ci siamo conosciuti ad un corso di produzione musicale, Gan, incuriosito da un singolo (“I timidi non dormono mai”) che i Broken avevano pubblicato indipendentemente su Spotify, ha proposto di incontrarci per ascoltare le altre canzoni che avevamo scritto. Lo stile di scrittura, l’emotività e l’atmosfera sognante e malinconica dei testi hanno rapito Gan, da quel momento abbiamo iniziato a lavorare a 6 mani sulle canzoni.
2- Fantasmi è il vostro primo singolo, ci raccontate come è nato e di cosa parla?
Fantasmi nasce nella cantina di Filo quando il trio non era ancora formato.Dopo poco tempo lo abbiamo subito proposto a Gan e abbiamo deciso di lavorarci insieme, è stato uno dei primi pezzi su cui abbiamo lavorato e abbiamo sentito una magia in quello che stavamo facendo. La canzone racconta la storia di una persona assillata dalla paura. È talmente tanta che è immobilizzato. Ad un certo punto però si accorge che le paure erano solo nella sua testa e comincia a volare.Il destino ha voluto che proprio sul muro sotto casa di Gan ci sia un fantasmino disegnato che ha dato poi il nome e logo al progetto.
3- Quali sono le vostre influenze musicali più importanti?
Spaziamo molto ed i gusti sono ovviamente molto comuni, ascoltiamo principalmente artisti come Gazzelle, Vasco, Jovanotti e bnkr44. Gan è molto influenzato da artisti provenienti dal mondo anglofono, vedi Blur, Gorillaz, Strokes e Current Joys.
4-Cosa ne pensate dell’attuale scena musicale? Con quali artisti vi piacerebbe collaborare
Siamo molto contenti che ci sia più spazio per i giovani anche se da indipendenti e solamente con mezzi propri è difficile.Però ci piace molto lavorare in maniera indipendente perché le canzoni le costruiamo a nostro piacimento ed in totale libertà.Come detto prima ci piacciono molto Gazzelle, Calcutta, Cosmo, ecc… Ovviamente collaborare con uno di questi sarebbe un sogno, al di là di questo pensiamo che nelle collaborazioni sia fondamentale avere la stessa visione sulle cose, quindi ci piacerebbe collaborare con chiunque faccia musica nel modo in cui la facciamo noi.
5-Progetti per il prossimo futuro?
A breve uscirà un altro singolo che farà parte di un EP che uscirà in autunno.Abbiamo molte canzoni su cui stiamo lavorando, da un EP si potrebbe anche passare ad un album, chissà.
Noi Nube abbiamo imparato a conoscerlo e apprezzarlo fin dai suoi esordi con Revubs Dischi, giovane etichetta spezzina che nel tempo ha lanciato diversi talenti musicali interessanti, facendo spesso da trampolino verso nuove mete; come nel caso del cantautore piemontese, che dopo un disco d’esordio che ha convinto per identità di scrittura e sound torna oggi sulla cresta della scena indipendente nazionale con un singolo fresco, e diverso, per La Clinica Dischi: “chissenefrega” è uno slancio liberatorio che parte dallo stomaco e raggiunge il cervello, invitando l’ascoltatore a liberarsi da giudizi e pesi esterni.
Un cambio di passo, quantomeno di direzione, che segna l’approdo ad un sound più sbarazzino ed elettronico rispetto alle curve dream-pop dell’inizio, aprendo la strada a novità stilistiche che non ti aspetti, ma che finiranno col convincerti a primo play.
O almeno, a noi è successo così per “chissenefrega”, e non potevamo esimerci dal provare a parlarne con il diretto interessato.
Nube, torni con un singolo che segna, a nostro parere, una nuova fase del tuo percorso. E’ così?
Sì, sicuramente. Sono in una fase di nuovo inizio dove sto imparando a scoprirmi maggiormente e anche di sperimentazione.
“Chissenefrega” abbraccia un’elettronica spinta, con un testo che pare essere fortemente liberatorio. Come nasce il brano?
Il brano nasce con l’idea di scrivere qualcosa di diverso e personale rispetto al solito brano d’amore. Ho cercato di scrivere con ironia e liberazione senza seguire i soliti schemi.
Dietro la canzone, sembrano celarsi riferimenti diversi rispetto a quelli che hanno “guidato” il tuo disco d’esordio. E’ così? Cosa stai ascoltando ultimamente?
In realtà i miei ascolti cambiano di continuo, cerco sempre nuove ispirazioni. Ultimamente ho ascoltato un po’ più di Indie Rock come i 1975, Dayglow e Mehro.
Quali sono le cose delle quali non hai ancora imparato a “non fregartene”? Quelle che, insomma, anche se non dovrebbero farti male continuano a perseguitarti?
Onestamente sto imparando a fregarmene di tutto perché tanto non ha senso stare a pensare troppo.
Siamo molto curiosi di poterti ascoltare live: c’è qualche appuntamento in programma?