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Indie Pop

Le 5 cose preferite di LaFede

“Burro al Karitè” è il nuovo singolo di LaFede, artista milanese che ha esordito il 5 settembre con il suo primo brano. Noi, per conoscerla un po’ di più le abbiamo chiesto di raccontarci quali sono le sue 5 cose preferite.

GENERE INDIE

Fonte di ispirazione in questo periodo sia come scrittura che come modo di cantare.

PIANOFORTE

Strumenti, mezzo, tasti neri e bianchi. Musica che prende forma nella realtà. Accordi e note. Lo descriverei così.

LIBERTÀ

Mente libera, di esprimersi, viaggiare, pensare ed esplorare. La parola chiave che mi ha portato a scrivere le canzoni.

SPERIMENTAZIONE

Mi piace ascoltare artisti appartenenti a diversi generi perché mi permette di sperimentare anche nella scrittura.

ACCORDI IN MAGGIORE

In questa fase della mia vita ricerco prevalentemente melodie con accordi in maggiore perché rendono l’idea di melodie con “positive vibes”.

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Indie Pop

Quella crepa dalla quale filtra la luce: è tornata Beatrice Pucci

Chi segue i miei resoconti mensili, sa bene che per Beatrice Pucci ho un debole atavico, che affonda le radici nel primo ascolto che feci di “Figli”, il suo singolo d’esordio pubblicato a maggio scorso e seguito, a distanza di qualche settimana, dalla pubblicazione di “Le colline dell’argento“, il suo disco di debutto pubblicato (e realizzato, cosa da sottolineare) da totale indipendente: un lavoro denso, pieno di spunti di riflessione musicale ed esistenziale, fatto di piccole cose che s’incastrano alla perfezione nella resa di un album che faceva del “non finito”, del “grezzo adamantino” il proprio punto di rifrazione e forza.

Ovvio, dunque, che oggi, all’uscita di “Nero”, il suo primo singolo post-disco, il cuore mi abbia sussultato in petto con la veemenza di chi sta rintanato da un po’ nell’ombra della gabbia toracica, in attesa di un refolo di luce capace di restituire nuova forza ed emozione al muscolo cardiaco; e appena ho premuto “play”, ogni nuvola si è trasformata in burrasca, sciogliendo in pianto quella coltre grigia che, da qualche tempo a questa parte, affossa le esistenze di tutti. Abbiamo bisogno del buio, per brillare: e questo, Beatrice, sembra volerlo dire con tutta la forza che ha, e allo stesso tempo con la serena accettazione di chi ha svelato un arcano, e sa che il mistero non è altro che un gioco d’ombre, in attesa di essere illuminato.

“Nero” ha la potenza catartica di qualcosa che proviene da un altrove, da uno spazio diverso rispetto a quello della quotidianità: una sorta di crepa, di fessura dalla quale – come direbbe Leonard Cohen – la luce filtra e illumina le fattezze di un giardino che è segreto solo per chi non sa cercare davvero; e allora, seguendo le linee arboree di chitarre che dettano il passo del cammino, si finisce col perdersi e volersi perdere tra gli odori di muschio e selva di quell’intricato bosco di emozioni che la vita sa offrire, a chi supera la paura del buio.

Ecco, quella paura, che oggi pare essere la grande fobia di questo nostro tempo sempre impegnato a brillare per non affrontare il timore dell’oscurità, è il farmaco che Beatrice sembra aver individuato per auto-debellare la propria infelicità: accettare che il buio altro non sia che il confine della luce, e viceversa, e che ogni gioia necessita del dolore per capire l’estensione di sé stessa, per sapere di esistere e di essere vera.

Un bel lavoro, che fa innamorare ancora di più chi già da tempo ha giurato amore alla musica di Beatrice.

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Indie Intervista Pop

Un caffé sulla laguna con Scaramuzza

Non è mica facile, e chi legge i resoconti delle mie immersioni nelle profondità della scena lo sa, non è mica facile non farsi prendere dalla “fame d’aria” quando ci si lascia naufragare – un po’ per adrenalinica curiosità, un po’ per una strana forma di personalissimo masochismo – nelle spirali vorticose del vaso di Pandora chiamato volgarmente “release friday“, girone infernale dantesco dal quale il viaggiatore sprovveduto finisce per farsi risucchiare fino all’epicentro di un tifone (della durata di qualche giorno, non che siano fatti per “durare”, i rovesci discografici di oggi…) fatto di ritornelli – se non uguali – simili e simili – se non uguali – disperazioni pop a buon mercato.

Succede quindi che, boccheggiando boccheggiando, ci si imbatta in salvagenti che spesso hanno forme che non ti aspetti, come la dolcissima ballata di Scaramuzza “Sono fatto così”: il cantautore veneziano era già passato nei nostri radar, e incontrarlo di nuovo per me è stato salvifico, una manciata di settimane fa; Marco ha ridato una sistemata al suo abito migliore, e lo ha indossato con la naturalezza di chi sa che la “nudità” è il miglior vestito che possiamo desiderare.

“Sono fatto così”, le partite dell’Inter e la costante ricerca di risposte adatte alle nostre ambizioni: di questo e di altro abbiamo parlato con Marco, nell’intervista che segue.

Marco, è un piacere poterti ritrovare qui, dopo tanti mesi di assenza: ti abbiamo apprezzato, come ricorderai, con il tuo primo EP “Gli invisibili” e oggi siamo ben felici di poter parlare ancora di te. Per rompere il ghiaccio, come stai? Come stai vivendo questo roboante ritorno sulle scene? Qualcosa sembra essere cambiato, in questo tempo di “silenzio”…

Ciao ragazzi, è un piacere ritrovarvi. Sto abbastanza bene, grazie! Vivo   il periodo della pubblicazione con un po’ di stress perché ci sono sempre mille cose da fare, forse dovrei godermelo maggiormente. Ora che mi ci avete fatto pensare proverò a farlo.

Non vedo l’ora di farvi sentire anche gli altri brani perché penso questo primo disco sia stato costruito relazionando tutte le tracce.

“Gli Invisibili” ci aveva colpito, già allora, per la forte presenza del tuo timbro, che nel tuo nuovo singolo “Sono fatto così” sembra prendersi le luci della ribalta in modo ancora più forte, e melodico, lasciando meno spazio all’approccio “narrato”. Quali sono le “direzioni” che hanno guidato, in questi mesi, la tua rigenerazione artistica? C’è qualche artista/progetto in particolare al quale guardi con interesse?

Si, sentivo che in parte avevo l’esigenza di uscire dalla dimensione teatrale e narrativa e quindi la mia ricerca è stata melodica e sonora in questo disco. Penso che l’aspetto teatrale comunque farà sempre parte della mia musica ma questa volta è stato ridimensionato.

In questo momento il progetto di Apice è quello che più mi comunica nel panorama italiano, lo vedo molto vero e coraggioso. Non vuole piacere a tutti, vuole piacere a sé stesso prima di tutto. Penso poi abbia una grandissima scrittura e un bellissimo timbro.

Stai lavorando sulle tue nuove cose con il supporto di un produttore di tutto rispetto, Novecento (alias di Tobia Dalla Puppa, frontman dei Denoise e già produttore di altri nomi interessanti della scena nazionale): com’è stata fin qui l’esperienza con Tobia, e cosa ti ha colpito del suo approccio in studio?

Con Tobia ci siamo trovati bene da subito, ha capito perfettamente quello che volevo comunicare e la modalità con la quale volevo farlo. Penso che Novecento sia un produttore di enorme talento e questo si sente nella ricerca dei suoni che sono stati utilizzati nei sei brani.

Alcune canzoni sono state spogliate completamente e vestite in maniera totalmente diversa, mi sono affidato completamente a lui e questo, secondo me, ha permesso la valorizzazione del progetto.

“Sono fatto così” sembra respirare un’aria di novità che ben fa sperare per il sound del futuro; non è nemmeno un caso, o almeno a noi non sembra tale, che tu abbia deciso di inaugurare il “nuovo corso” con un brano che sa di “cuore aperto”: cosa dobbiamo aspettarci, dal tuo nuovo lavoro in studio?

Penso che ci sarà molto stupore nell’ascoltare i prossimi brani, alcuni sono molto diversi tra di loro a livello di sound, la narrativa però penso sia stata in grado di legare bene tutte le tracce.

Ci saranno brani molto terreni e altri molto più onirici.

Oggi, la scena nazionale sembra sempre più lontana dal mondo che in qualche modo sembri voler frequentare con la tua musica, un mondo fatto di canzoni dalle giuste parole oltreché dalle melodie interessanti che guarda alla canzone d’autore e ad un certo tipo di “teatro-canzone” (se pensiamo a “Gli Invisibili”); ti senti una “mosca bianca”, nel mercato di oggi, o credi che esista una milizie di cantautori capace di “riabilitare” l’interesse nei confronti del cantautorato? 

Non mi sento una mosca bianca, conosco bravissimi cantautori dei quali penso si sentirà parlare nel prossimo futuro. Sento che nelle persone ci sia il bisogno di tornare anche al testo, al poter interpretare un brano e rivedersi in esso. Non esiste un segreto, l’importante è porsi con verità senza ricercare l’approvazione di tutti. 

Penso la musica sia ciclica e che le persone abbiano il desiderio di tornare al valore.

Salutiamoci, come siamo soliti fare, con una promessa che già sai che non manterrai!

Non guarderò più partite dell’Inter.

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Indie

I segreti di Conserere: una doppia residenza artistica a Milano

In ViaFarini.Work (in via Marco d’Agrate 33, Milano) una settimana di incontri tra il collettivo di musicisti Conserere e artisti esterni, coordinato da Simone Baron (USA) e Camila Nebbia (Argentina): un workshop tradizionale si espande fino alla resa di un lavoro finale sotto forma di concerto. Dal 12 al 18 settembre.

Conserere è un collettivo autogestito e autofinanziato composto da musicisti e musiciste che fanno dell’improvvisazione il centro della propria ricerca artistica. Nato nel 2016 in risposta ad un bisogno condiviso di avere spazi e luoghi in cui potersi confrontare sul tema, Conserere vuole creare una rete di supporto, educazione e diffusione riguardo al tema della musica improvvisata.
 L’attenzione del collettivo si rivolge in particolare ad un tipo di improvvisazione fondata sull’idea di ascolto e dialogo. Non ci sono generi, sonorità o strumenti che non siano ben accetti, purché questi si integrino nel paesaggio sonoro con intelligenza e senso critico. L’idea che muove Conserere è quella che possa esistere una collettività che tutela la crescita degli individui, che a loro volta attraverso la propria crescita rendono viva e sana la comunità in cui vivono. È solo attraverso lo sviluppo di un’acuta capacità di osservazione, ascolto e analisi che è possibile prendere delle scelte consapevoli e determinanti nello stabilire la qualità del mondo in cui viviamo. Tramite la pratica dell’improvvisazione si esercita il corpo a reagire in maniera creativa e immediata a situazioni inaspettate ed estemporanee.

Non potevamo che farci raccontare qualcosa.

  1. Chi fa parte del collettivo Conserere? E come siete arrivati, nell’ormai lontano 2016, alla nascita di Conserere?

    Iniziando dalla seconda domanda, Conserere nasce a Milano come risposta ad una necessità condivisa tra musicisti e musiciste (soprattutto gravitanti attorno agli ambienti di Scuola Civica e Conservatorio, ma non solo) di avere uno spazio in cui poter praticare musica improvvisata, disciplina che purtroppo spesso in Italia, sia a livello istituzionale che non, viene trattata senza la giusta considerazione e fatica a trovare lo spazio che merita.
    Ricavato questo spazio-tempo in cui esercitare l’improvvisazione, è sorta in fretta anche la necessità di proporre attività sul territorio volte alla promozione e diffusione della musica improvvisata, proprio a fronte di voler avvicinare nuove persone e creare una scena -sia di musicist* che di pubblico- più stabile e fervida di quanto non sia ad ora. In questo senso teniamo molto al sottotitolo di Conserere, che è “Laboratorio di improvvisazione aperto alla città”.
    Fanno parte del Collettivo, ad oggi, giovani musicisti e musiciste provenienti da vari percorsi: chi studia nei Conservatori o nelle Accademie di musica, chi studia altro ma ha sempre suonato, chi si approccia alla musica da poco, chi svolge il lavoro del/della musicista a tempo pieno. Quello che accomuna queste persone tuttavia è un’estrema voglia di ascoltare e l’idea che sia possibile creare nuove forme di interazione, artistica o sociale che sia, basate sull’ascolto, la comprensione e il rispetto reciproco.
  2. Qual è la storia di uno dei membri più vecchi di questo gruppo, e quale invece quella di uno degli ultimi arrivati?

    Federico, uno dei fondatori di Conserere:
    “Quando nacque Conserere frequentavo le classi di jazz del Conservatorio di Milano, fresco di maturità. La curiosità e l’entusiasmo per il jazz e musica improvvisata mi spingevano a creare eventi di incontri creativi tra persone, musicisti, nei quali potersi immergere suonando, ascoltando e discutendo assieme.
    A seguito di due preziosi anni nella scena milanese jazz mi sono spostato ad Amsterdam per perfezionare i miei studi e interagire con una scena musicale creativa di respiro internazionale.
    Dopo quattro anni olandesi mi ritrovo adesso a metà tra Italia e Olanda, affiancando anche l’attività di insegnamento a quella concertista/artistica. Con l’obbiettivo di creare ponti tra musicisti di diversi luoghi e favorire lo sviluppo di un ambiente più internazionale in Italia, talvolta chiuso nel suo provincialismo…”
    Giovanni, uno dei più recenti membri del collettivo:
    “La prima volta che mi sono imbattuto nel laboratorio Conserere ho avuto la percezione che si trattasse di un ibrido tra alcune tipologie di teatro e una jam musicale allo stesso tempo. Ci è stato suggerito di ispirarsi a qualsiasi spunto sonoro ci circondasse compreso il silenzio, il tutto sottolineando il valore del rispetto reciproco. Provenendo come artista dal sound design ho trovato nel progetto: sia un modo per imparare ad allenare il suonare musica d’insieme sia pane per i miei denti poiché ho sempre adorato ascoltare per farmi ispirare senza un vero e proprio genere di riferimento. Come nella vita (e questo è uno degli ideali principali di Conserere) non è preoccupante che ci siano diversità tra le persone, l’importante è che vi sia il rispetto tra esse.”
  3. In che senso “l’improvvisazione sia come pratica di innovazione che di adattamento”?

    “Improvvisare”, in senso comune, ha la maggior parte delle volte un’accezione di ripiego su qualcosa per via di una mancanza di qualcos’altro, senza una vera conoscenza né competenza approfondita di questo qualcos’altro (“improvvisare qualcosa a una cena”, “improvvisarsi un mestiere”, etc). Questa è una pratica di adattamento, ovverosia adattare la propria attività e cercare di stare dentro in qualcosa forse di noto ma non troppo confortevole. Noi senza dubbio accettiamo questa connotazione della parola improvvisare.
    Tuttavia vogliamo anche e soprattutto usare l’improvvisazione come pratica di indagine e ricerca. Un tipo di improvvisazione che non è dettata dalla mancanza di alcunché, ma è generata anzi dalla volontà di scoperta. Scoprendo cose nuove è possibile innovare. In questo senso, come pratica di innovazione, l’improvvisazione è il mezzo che scegliamo per cercare conoscere la realtà.
  4. Esistono musicisti che non sanno improvvisare?

    In un’accezione molto larga di improvvisazione, no. Tutti improvvisiamo ogni giorno, a iniziare da quando ci svegliamo e decidiamo con cosa fare colazione, o come vestirci, o se intessiamo relazioni con altre persone. Soprattutto per quanto riguarda le relazione che le altre persone, è molto difficile prestabilirle: questo ci obbliga ad improvvisare.
    In un’accezione musicale di improvvisazione, sicuramente sì esistono musicisti che non improvvisano. Così come esistono musicisti che non leggono la musica, musicisti che improvvisano bene in uno stile ma non in un altro, musicisti che scrivono musica o musicisti che non scrivono musica. La musica è un campo vastissimo, ognuno sceglie per sé il modo in cui decide di conoscerla, studiarla, praticarla. La musica è esattamente il mondo, piena di culture e persone differenti. In tutto queste differenze e capacità o non-capacità, quello che dovrebbe contare unicamente è il rispetto reciproco e la comprensione dei percorsi altrui.
  5. E adesso?

    E adesso vi aspettiamo tutti e tutte mercoledì 14 e sabato 17 settembre, in ViaFarini.Work, via Marco d’Agrate 33, ore 21.00 per i concerti di Conserere Ensemble assieme a Simone Baron e Camila Nebbia. Ingresso gratuito a offerta libera. Saranno due concerti memorabili.
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Indie Intervista Pop

La vita è una serie di “Partenze”: dentro l’EP dei Manila

I Manila mi piacciono da quando, qualche tempo fa, arrivò in mail la proposta di “Cuore in gola”, l’ultimo loro singolo prima della pubblicazione – risalente a sole poche settimane fa: non sentitevi in colpa se ancora non li conoscete, ma non rimandate oltre il momento della scoperta! – di “Partenze”, l’EP d’esordio prodotto da Leo Caleo (ricordate “Asteroidi”? Quanto ci era piaciuta, quella canzone…).

Già allora si avvertiva che la musica del quintetto toscano respirasse di una sua dimensione diversa rispetto a ciò che sul mercato pare dominare scene ridotte ormai a stanze virtuali, a contenitori di prodotti troppo spesso simili a lattine da esporre sugli scaffali di un supermercato (low cost) piuttosto che a vere e proprie “opere”: ecco perché, oggi, trovarci a parlare di “Partenze” diventa un buon antidoto alle tossine da “qualunquismo” applicato.

Abbiamo fatto qualche domanda alla band, che ben si è prestata al nostro fuoco incrociato. Buona lettura, e correte a scoprire “Partenze”.

Ciao Manila, abbiamo già avuto modo di conoscere la vostra musica qualche tempo fa, quando abbiamo selezionato il vostro nome tra le uscite calde del nostro bollettino mensile. Oggi, tornate con un EP carico di novità: quanto aspettavate questo momento, e come vi sentite, ora che il vostro disco di debutto è finalmente “fuori”?

Ciao Perindiepoi! Beh, sicuramente è una grandissima soddisfazione! Riuscir finalmente a vedere pubblicato ovunque del materiale a cui lavoravi da tempo appaga e, soprattutto, pensare che chiunque possa ascoltarlo è una bella sensazione! 

Partiamo dall’inizio, seguendo il flusso suggerito dal titolo dell’EP: da dove “parte”, il viaggio di Manila?

Il nostro viaggio parte esattamente da qui, da questo EP che segna la “fine primo tempo” del nostro cammino intrapreso con i nostri primi tre singoli. Ora ci siamo, si parte, siamo pronti a tutto.  

Tre singoli pubblicati nel giro di diversi mesi, a testimonianza di un progetto cresciuto con “lievitazione lenta”, senza fretta di nulla: è stato un processo complesso e frastagliato, oppure le tempistiche della pubblicazione erano state decise già dall’inizio?

Secondo noi, dilazionare le uscite con qualche mese di distacco può creare un po’ di hype senza far “dimenticare” alla gente che esistiamo. Poi, in effetti, quando lavoriamo a un brano, cerchiamo di dargli il massimo della cura e della dedizione e, quando ne scegliamo uno su cui lavorare, va tutto in discesa, la programmazione in genere viene sempre rispettata. 

I vostri brani raccontano, con la semplicità del pop, una condizione di eterna ricerca di un centro di gravità permanente, di un luogo che “inferno non sia”. Credete che ci sia qualcosa di “generazionale”, in tale condizione di “partenti” che “Partenze” sembra raccontare?

No, noi in realtà non vogliamo farne una questione generazionale ma più semplicemente descrivere situazioni che possono far parte della vita delle persone in generale. Ci spieghiamo meglio, nei brani contenuti nell’EP ci sono persone che non riescono a legare sentimentalmente ed emotivamente tra di loro e inevitabilmente, le loro strade si dividono. Le nostre “Partenze” personali riguardano principalmente questa pubblicazione e tutto ciò che le sta intorno, la nostra avventura musicale sia in studio che live. I nostri bagagli sono pronti, si parte, dobbiamo far sentire la nostra musica!

“Segnali” ci colpisce, perché è un brano da mood estivo che arriva però a chiudere l’estate. C’è qualche aneddoto legato ai due brani che chiudono la cinquina dei vostri inediti?

La curiosità più grande riguarda proprio il brano che vi ha colpito di più: “Segnali” nasce inizialmente come brano acustico ed è stato poi riarrangiato col tempo. L’avreste mai detto? “First reaction, shock!”

L’ultima domanda la vorremo dedicare a chi ha lavorato alla produzione dei vostri brani: Leo Caleo è infatti un nome che, da queste parti, è già passato. Ci raccontate come è stato lavorare con lui?

Leo, che sotto veste di produttore si fa chiamare “Merlo Dischi”, è una persona esplosiva e alle volte imprevedibile, ma ha dei colpi di genio che riescono a ordinare e indirizzare verso la forma definitiva di un brano, nel quale riesce sempre a inserire un po’ i gusti musicali di tutti i membri della band. Ha delle ottime intuizioni e lavorare con lui è persino divertente!

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Indie

Cosa c’è nella sala prove dei Sospesi

Esce giovedì 8 settembre 2022, in attesa di un album di debutto in uscita il 22 settembre, un nuovo capitolo firmato dai Sospesi, band lombarda che torna dall’estate regalandoci “Attitudine“, il nuovo singolo. I Sospesi sono una band alternative rock che con i propri testi si oppone alla hustle culture, alla società perfomativa e alla stigmatizzazione dell’errore. Il brano che ben si incastra con il concept dell’album in arrivo (dal titolo “Tentativi ed errori“), dedicato a chi si sente un fallimento e sta ancora scavando tra le proprie attitudini, a chi è esausto dei paragoni con gli altri, delle pressioni esterne ed interne. 

Abbiamo deciso di andarli a disturbare nella loro sala prove, ed ecco cosa ci hanno mostrato.

l foglio con scritto “Salvini Merda”.
l’8 giugno 2019 abbiamo suonato all’Andalo Rock in apertura ad Edda.
Salvini era diventato vicepresidente del consiglio dei ministri dall’inizio del mese e aveva già chiuso i porti e respinto navi cariche di esseri umani.

Il frigo pieno di birre sottomarca: è il carburante della nostra tristezza. Ogni sorso ti fa pensare a quanto la tua permanenza in questo mondo sia approssimativa. E’ anche la nostra moneta di scambio e il kit di benvenuto: se passi da noi sai che puoi trovare sempre un caffè e una birretta fredda oltre che 5 amici con cui piangere. Il frigo con le birre, sempre puntualmente rifornito e ordinato, è anche la cosa che fa sentire la nostra saletta una seconda casa dove puoi suonare, arrabbiarti, confrontarti e trovare un posto sicuro dove poterti rifugiare.

Le sedie di plastica: strumento fondamentale della convivenza in saletta. Hanno sorretto i nostri corpi per molti anni finchè, un giorno, all’improvviso hanno deciso di cedere una ad una in modo sequenziale al peso delle nostre membra. Questo avvenimento oltre ad aver scaturito ilarità e problemi articolari ci ha fatto riflettere sulla fragilità delle cose che amiamo: di come un giorno sono forti alleati per il nostro benessere e poi, d’improvviso, si rompono lasciandoti quel vuoto sconfinato da colmare (e il mal di schiena per 3 settimane).

L’umarell 3D:
É il manager della band, il membro in più. È sempre presente, in ogni registrazione, prova o live da quando suoniamo. Il nostro spirito guida: stanco.

Lo sgabello Ikea:

Parte 1 di un kit per porre fine alle sofferenze o detta meglio “ci serviva per un video…ci servirà per il futuro”

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Indie

Le comete silenziose dei Van Dyne

Incredibile come tantissimi dischi usciti all’inizio dell’estate poi inevitabilmente si perdano nel marasma di impegni, progetti e sentimenti che quel periodo assorbe come poche altre cose. Quando inizia giugno, siamo già proiettati su settembre, tutto ciò che accade in mezzo non è che un limbo: è per questo che d’estate spendiamo i soldi che non possiamo permetterci, che ascolti musica che non ascolteresti mai durante il resto dell’anno (io per primo mi sono sorpreso a cantare Calcutta con gli amici in macchina), ma poi arriva settembre, il primo settembre, e tutto deve tornare inevitabilmente alla normalità. Ed eccomi che di nuovo, affamato e stanco, ho scavato di nuovo nei dischi che mi sono stati inviati, tutti quelli inviati e che tristemente avevo lasciato andare.

Comete è il capitolo definitivo per la band di Bologna che tra sonorità di respiro internazionale che, allo stesso, forti influenze derivanti dalla tradizione cantautorale, mi avrebbero offerto la più malinconica delle estati. E tutto inizia con Senza Peso, che in realtà è anche il titolo di un album immortale dei Marlene Kuntz e ora ho voglia di riascoltarlo, e in realtà le influenze sembrano arrivare anche da quel periodo, quello dei primi anni Duemila in Italia, dove Verdena e urla sotto palco condivano la nostra adolescenza. I Van Dyne sono per noi, che nel frattempo siamo cresciuti, e difficilmente ci siamo scontrati ancora con quella voglia di farci male.

Vi mancheranno tutte le vostre ex, avrete voglia di correre sotto la pioggia, sarete felici di riabbracciare settembre e tutta la musica seria che vi siete persi, perchè questo è un piccolo disco speciale e doloroso che non dovreste lasciare andare.

CR

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Indie Intervista Pop

Imparare ad andare “Oltre” con le canzoni di Bert

Ah, che gioia imbattersi ogni tanto in un qualcosa che – pur ricordando momenti d’infanzia, canzoni perdute nel giro degli anni e tante altre cose belle che richiamano ad una ben precisa tradizione autorale – non stucchi al primo ascolto, anzi, chiami a gran voce un secondo e poi un terzo e poi un quarto (e via dicendo) ascolto per riuscire ad entrare con efficacia nella complessità di una scrittura che, per una volta, non sembra essere pensata per il noiosissimo giro di danze della playlist di turno.

Sì, perché Bert è uno di quegli autori che, nel tempo, ha saputo dimostrare di avere un gusto e uno stile riconsocibile, certamente suffragato dalla potenza gentile di un timbro cortese ma deciso, dotato di una propria forza emotiva e poetica; lo avevamo già “intuito” in occasione di un bollettino di qualche mese fa, quando lo avevamo coinvolto nella nostra tavola rotonda mensile.

Oggi, all’alba dell’uscita del suo EP “Oltre” per Revubs Dischi, non potevamo certo perdere l’occasione di fare qualche chiacchiera con il ragazzone, che si è ben volentieri esposto al nostro tipico fuoco incrociato.

Bentrovato Bert, siamo ben contenti di poterti ritrovare dopo la pubblicazione del tuo nuovo disco per Revubs Dischi, “Oltre”. Partiamo da qui: “Oltre” in che senso, “oltre” cosa? C’è qualche confine, per Bert, da superare a tutti i costi?

Ciao! Un piacere risentirvi…

“Oltre” in realtà può assumere tanti significati, soprattutto per chi ascolta. Credo sia sempre bello lasciare un proprio spazio anche agli ascoltatori.

Per quello che mi riguarda non si tratta proprio di un confine ma di un mezzo (per me la musica) da usare per superare le proprie possibilità, le proprie paure e difficoltà.

Sembra che nelle tue canzoni ci siano destinatari ben precisi, ai quali pare tu non riesca a parlare così efficacemente come riesci a fare con le canzoni. Ecco, se dovessimo chiederti “perché scrivi?”, cosa risponderesti?

Beh, in realtà sono una persona che dice le cose in modo piuttosto “diretto” ma credo che la musica abbia un suo canale speciale per fare arrivare le cose e anche un diverso modo di poterle raccontare.

Scrivere canzoni è un bisogno primario ed è una sensazione unica di libertà.

Ma te la ricordi la prima canzone che hai scritto? Di cosa parlava?

Certo, si chiama “Sere di Luglio” ed è presente nel mio primo EP “Senza niente”.

Il contenuto è un grande classico forse: un amore non proprio corrisposto.

I cinque brani che compongono “Oltre” raccontano una sensibilità speciale, che pare non aver paura di mettersi a nudo con tutte le fragilità che contraddistinguono l’animo dell’autore. Sei contento del risultato raggiunto? Ci racconti come hai lavorato alla produzione del disco?

Si, sono molto contento. Credo che il disco si ascolti senza stancare, ed era una delle mie preoccupazioni maggiori, visti i contenuti che a volte non son proprio leggerissimi.

Per quanto riguarda la produzione, è stata completamente rivista con Altrove (Revubs Dischi), esistevano già dei pre-arrangiamenti di 4 brani su 5. Per cui ci siamo messi a lavoro, a distanza e in studio e nel giro di un anno siamo riusciti a raggiungere la forma definitiva.

Facciamo un gioco: utilizza i colori per raccontare la cinquina di brani che compongono “Oltre”!

Un film, Verde

Inadatto, Blu

Sembri magica, Rosa

Scusami, Rosso

Come me, Giallo

Ma non saprei nemmeno io il perché!

Ci riveli qualcosa che nessuno sa su Bert? Lo giuriamo, non lo racconteremo a nessuno…

Dopo questa uscita ormai non ho davvero più segreti!!! Però invito i lettori a seguirmi, sicuramente svelerò altri dettagli su di me e su “Oltre” nelle prossime settimane. 

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Indie Internazionale Intervista Pop

Respiro è l’EP d’esordio di Rea

Rea, dopo la partecipazione all’ultima edizione di Amici, pubblica “RESPIRO” l’EP d’esordio disponibile su tutte le piattaforme digitali da venerdì 8 luglio per Vertical Music Records.

Le 6 tracce di questo lavoro inaugurano un percorso inedito che si discosta dalla produzione più mainstream dei pezzi presentati nel pomeridiano di Maria De Filippi per andare verso lidi più ricercati e personali. Per raccontare il viaggio dell’ultimo anno di Rea, è stata realizzata un’ cortometraggio di presentazione, visibile al seguente link.

Un concept album incentrato sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta,  dove dominano le strade di Bologna a fare da scenario di incontri e sguardi che si incrociano, vicoli che rappresentano i costanti bivi che ci troviamo a dovere imboccare per trovare la giusta direzione a ogni ambito della nostra vita.

Abbiamo chiesto a REA di rispondere alle nostre domande:

Il tema centrale è l’adolescenza, come è stata la tua?

“Travagliata, alti e bassi come per tutti. Sono sempre stata molto curiosa di fare nuove esperienze”.

La frase che ritieni sia la migliore per riassumere l’intero Ep e perché?

“Cosa ne pensi di una nuova vita?. È una frase contenuta in Respiro.E riassume secondo me molto bene il concetto chiave dell’ep ovvero il cambiamento”.

Sei reduce dal sold out nella tua Bologna, dove ti eri esibita anche per presentare in anteprima questo Ep. Che risposte stai ricevendo dai tuoi fan?

“Molto positive, le persone che mi seguono sono super attente a tutto quello che faccio e dico, riescono a cogliere dettagli che magari neanche ho detto e questa cosa è super”.

Concerti e progetti futuri?

“Ho fatto diversi concerti tra giugno e inizio luglio, mi sono presa 10 giorni di vacanza e adesso torno in studio, ci sono dei progetti in ballo ma non voglio anticipare molto. Continuate a seguirmi per rimanere aggiornati”.

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Indie Post-Punk

Cosa c’è nella camera di Luca Gemma

É uscito giovedì 30 giugno 2022 per Adesivadiscografica “Nè santo nè killer“, il nuovo singolo di Luca Gemma. Un nuovo capitolo che è il secondo brano, dopo “Sul precipizio” (pubblicato a fine aprile), ad anticipare il nuovo album che uscirà a settembre. È un pezzo lunare e un po’ marcio in cui un basso distorto, un piano elettrico ostinato e le percussioni minimali della strofa sfidano gli archi distesi, la chitarra acustica e un beat elettronico creato da Paolo Iafelice – che ha mixato il disco – sul ritornello. La canzone si regge su questa tensione che si scioglie in una coda strumentale in cui il fischio prende il posto della voce: quello è il duello finale! 

Sì, perché “Né santo né killer è un duello tra il buono e il brutto e cattivo che convivono in (quasi) ognuno di noi, è un’anima divisa in due che si ricompone solo grazie alla musica e alla natura, magnifiche e ‘inutili’ cose nell’era dell’utile, con il loro potere salvifico. Perché, come dice il ritornello, ‘la nostra più grande fortuna è stata l’idea di chiudere nelle canzoni violenza e paure’, in attesa della ‘grazia che fiorisce quando meno te lo aspetti’. 

Noi come sempre, abbiamo approfittato per fare un salto a casa sua!

‘Everybody’s gonna need a ventilator’ è la frase che chiude le strofe di ‘Ventilator blues’ dei Rolling Stones, da ‘Exile on Main Street’. È un mantra fuori moda e fuori tempo nell’era dell’aria condizionata, ma non per me, perché LA PALA SUL SOFFITTO DELLA CAMERA DA LETTO è l’oggetto più prezioso in questa stagione a Milano.I’m gonna need a ventilator!

Questo PIANOFORTE Römhildt Weimar è un vecchietto tedesco di 102 anni ma ha un suono da ragazzo, squillante e profondo. È lo strumento musicale che più ho voluto e l’ho trovato da un restauratore di Milano che l’aveva acquistato da un anziano nobiluomo con la passione del gioco d’azzardo che gli aveva portato via quasi tutto. Era l’ultima cosa da vendere in un appartamento ormai svuotato, mi disse. Spero gli abbia portato fortuna.

Questalibreria affollata, come si vede, contiene un sacco di cose belle e importanti per noi in questa casa. Ma lascio la ribalta a ELVIS, un regalo della mia compagna, perchéin fin dei conti (he) has (never) left the building!

Poi c’è un antico BANCO DA FALEGNAME dei primi del 900 appartenuto a mio nonno Pietro e al suo laboratorio a Prati, a Roma, a suo figlio Sergio, fratello di mia madre, anche lui ebanista, poi arrivato ai miei genitori e a mio padre che lo ha restaurato e ripulito e infine a me, a Milano. Su quel tavolo io c’ho fatto un sacco di musica e di canzoni. Quel legno ha un gran bel suono!

CHI è il nome di questa LAMPADA di Artemide degli anni 60 che mi lega e mi rimanda alle tante case in cui ho vissuto con mia sorella e i miei genitori tra Roma, Ivrea, Karlsruhe in Germania e Milano, resistendo a mille spostamenti e traslochi.