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Pop

Tra nostalgia e contemporaneità: come Moretti, con “nomi cose città”, costruisce un ponte tra Pavese e la nostra frenetica routine

Con nomi cose città, uscito il 18 aprile 2025 per Bradipo Dischi, Moretti firma il suo secondo lavoro discografico, confermando il talento di un autore capace di coniugare l’eredità dei grandi cantautori italiani con una sensibilità tutta contemporanea. In nove tracce, Moretti costruisce un universo narrativo che intreccia ironia e malinconia, leggerezza e profondità, in un equilibrio raro da incontrare oggi, in questi nostri giorni frenetici, dove i numeri e il successo spicciolo dei social ci costringe ed essere immediati, diretti, spesso banali, a costo della viralità di qualche secondo.

https://open.spotify.com/intl-it/album/3s70TnX7QD3kOP7ko2xhBC?si=SxiadSXxSMuil4BKVnX9SA

Fin dalle prime note è evidente il suo dialogo ideale con maestri come Roberto Vecchioni e Lucio Dalla (innegabile e apprezzata influenza): dai primi eredita la densità letteraria dei testi, dai secondi la capacità di raccontare storie personali trasformandole in emozioni universali. Ma nomi cose città non si limita a guardare al passato: è un disco profondamente radicato nel presente, nei nostri caffè solitari e nostalgici, nelle case dei fuori sede, nella solitudine intellettuale di chi si rifugia nella musica, capace di parlare la lingua di una generazione che ha perso ogni certezza ma che continua a cercare autenticità, bellezza, verità – in piccoli bagliori, come è questo disco..

Il linguaggio di Moretti è infatti diretto, quasi colloquiale, e riesce a rendere vivi anche i riferimenti più colti. Gli arrangiamenti sono volutamente essenziali: chitarre, qualche tocco di fiati, pochi effetti. Ogni suono sembra scelto con la cura di chi sa che l’emozione autentica nasce spesso dallo spazio vuoto, dal silenzio lasciato respirare. La produzione è calda e asciutta allo stesso tempo, analogica, coerente con il messaggio del disco: in un’epoca di perfezione artificiale e sovra-produzione digitale, Moretti preferisce un suono che si sporca, che traballa, che accoglie, che vive.

In questo senso, Moretti agisce come un moderno Pavese: racconta l’inquietudine, il bisogno di autenticità, la solitudine esistenziale che animava lo scrittore piemontese, ma lo fa con strumenti e sensibilità contemporanee. Come negli hipster di oggi, nella sua poetica si avverte la nostalgia di un passato forse mai esistito davvero, un culto del vissuto, dell’imperfetto, del non immediatamente consumabile. Non è un caso che anche tutta l’estetica visiva del progetto sia stata pensata per sottolineare questa coerenza: tutte le fotografie ufficiali di nomi cose città sono state scattate in analogico. Una scelta che va oltre il semplice stile vintage, diventando una dichiarazione d’intenti: cercare il vero, accettare il tempo dell’attesa, restituire dignità all’immagine imperfetta, lontana dai filtri e dalle patinature digitali.

In questo percorso di autenticità e indipendenza, Bradipo Dischi si conferma il compagno di viaggio ideale. L’etichetta milanese, lontana ancora una volta dalle logiche degli algoritmi e dalle ossessioni dei numeri che sembrano dominare la Milano musicale contemporanea, accoglie e sostiene un progetto che non chiede di essere consumato rapidamente, ma di essere ascoltato, vissuto, metabolizzato.

Tra i brani, spicca “Cesare“, uno dei singoli, omaggio delicato e struggente a Cesare Pavese. Un arrangiamento misurato, un sax che graffia senza sovrastare, parole che sanno essere leggere e pesanti allo stesso tempo: è forse il manifesto perfetto di un disco che non ha paura di mostrarsi fragile, complesso, profondamente umano.

Con nomi cose città, Moretti dimostra di essere una delle voci più interessanti e necessarie della nuova scena cantautorale italiana. Non per capacità di inseguire le mode, ma per quella, ben più rara, di costruire ponti solidi tra tradizione e presente, restituendo alla canzone d’autore il suo valore più autentico: quello di raccontare la vita, senza scorciatoie.

LV

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Comunicato stampa Pop Rap

Dentro il paradiso “artificiale” di SONORUGGIERO (feat. Mavie)

“Artificiale” è il nuovo singolo di SONORUGGIERO feat. Mavie, uscito venerdì 25 aprile 2025 (distribuzione ADA Music). ​Partendo dal simbolismo baudelairiano SONORUGGIERO realizza una traccia ricca di pathos e coinvolgimento emotivo con la sua ormai abituale capacità di mettersi a nudo, senza aver paura di raccontare i propri demoni. La collabo con Mavie è la ciliegina sulla torta che aggiunge verve al brano.

Foto: Antonio Nelli

Queste le parole con le quali il cantautore presenta la canzone:
«Nel brano SONORUGGIERO spiega come non riesca più a sentire emozioni e vere connessioni, andando verso la perdizione totale. L’incontro con Mavie dà vita a uno scambio intenso, quasi terapeutico, dove le voci si intrecciano e si cercano.
Il titolo è un richiamo diretto a Baudelaire e al suo Paradiso Artificiale: la voglia di evasione, l’esaltazione dei sensi, la realtà che si deforma… ma anche la consapevolezza che certe fughe portano solo più lontano da sé stessi.
Il videoclip racconta visivamente questo smarrimento interiore. Tutto inizia con SONORUGGIERO solo nella sua stanza, mentre prende delle pillole per staccarsi dalla realtà e sprofondare in un sonno profondo. Da lì comincia il sogno: si ritrova catapultato in una villa maestosa, surreale, quasi sospesa nel tempo. Lì assume un’altra identità, il suo alter ego, apparentemente ricco e soddisfatto, ma in realtà sempre più disorientato.
Tra stanze infinite, specchi che non riflettono nulla e luci che accecano più che illuminare, appare Mavie: non come figura reale, ma come la sua coscienza, la voce che cerca di riportarlo a galla. È un confronto muto, ma carico di senso. Alla fine, SONORUGGIERO si risveglia nel suo letto. Il sogno si spezza, la villa svanisce, la coscienza tace. Rimane solo la delusione del ritorno alla realtà. E così, senza dire nulla, ritorna a dormire. Ritorna a perdersi.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
SONORUGGIERO, all’anagrafe Vincenzo Ruggiero, nasce a Bari il 5 Marzo del 2001.
Fin da piccolo il suo legame con la musica è viscerale; inizia a scrivere all’età di quindici anni raccontando le sue verità più intime e cupe e parlando di temi familiari e sentimentali.
Negli ultimi due anni inizia ad avere le prime esperienze live e, dopo alcuni anni di scrittura e ricerca, pubblica il suo primo brano “MATTO DA LEGARE” nato dalla fusione con David Ice, producer della scena Rap e Urban Italiana, ottenendo l’ingresso in top 100 di EARONE della classifica radio.
Successivamente rilascia il brano “Cabriolet” – che vede sempre la direzione artistica di David Ice – grazie al quale riceve diversi apprezzamenti e consolida il suo status nella stampa di settore.
Nel 2024 presenta i suoi brani sul palco di Spaghetti Unplugged a Milano, dove conquista il consenso del pubblico e si aggiudica la prima posizione nella serata.
La scorsa estate pubblica il singolo “SOLO TONIGHT” (sempre con il fido David Ice) che è tuttora nella playlist “Tendenze R&B” di Apple Music.

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Fonte: Costello’s Agency

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Pop

Pellegatta ci regala un disco libero, sfacciato, personale e profondamente necessario



Con Orbita, uscito il 7 marzo 2025, Pellegatta firma un’opera che conferma la sua maturità artistica e prende una posizione netta: la musica – soprattutto quella fatta dalle donne – può (e deve) essere libera dalle dinamiche di mercato. È un disco che osa, che non chiede il permesso di esistere, e che proprio per questo colpisce e convince. Pellegatta è così: che non si inserisce in nessuna scena pre-esistente, che non si associa a nessun giro, a nessun locale, a nessun precedente, questo disco è un fulmine a ciel sereno, violento e improvviso, che va ascoltato prendendo un respiro profondo, e che non assomiglia a niente che sta circolando attualmente.

Prodotto da Paolo Iafelice e distribuito da The Orchard, Orbita è un concept album che esplora la trasformazione, il cambiamento e l’imprevisto. Le sonorità si muovono tra strumenti acustici e influenze elettroniche, espandendo la forma-canzone con naturalezza e modernità. Il cantautorato di Pellegatta non è per questo anacronistico: è radicato nella tradizione, ma parla con la lingua del presente, con i synth che ci avvolgono e ci conducono come se un’amica, Pellegatta, ci accompagnasse per mano nella sua vita.



È un disco profondamente personale, che ti dà l’impressione di conoscerla davvero. Ascoltando Orbita, si entra nel suo mondo interiore con discrezione ma senza filtri. Ogni brano è un frammento di vissuto condiviso, un invito a guardare da vicino, senza paura. 

In un panorama musicale che spesso impone alle donne di aderire a canoni precisi – estetici prima ancora che sonori – Orbita è un gesto di rottura. È l’opposto del percorso, ad esempio, di cantautrici come Annalisa, che hanno scelto una svolta pop e un’immagine più sexy per ottenere maggiore visibilità. Pellegatta invece dimostra che si può essere femminili e libere senza doversi per forza sessualizzare, e che l’autenticità è una forma potentissima di forza.

E proprio questa autenticità è un atto politico. In un mondo che ancora tende a silenziare, addomesticare o modellare l’espressione femminile secondo logiche commerciali, Orbita sceglie un’altra via: quella della libertà, della complessità, della voce piena. È un gesto artistico, ma anche sociale e culturale, di rivoluzione timida.

Le collaborazioni con Sara Velardo (chitarre) e Francesca Sabatino in arte LAF (cori), unite all’artwork curato da Giulia Tondelli e alle fotografie di Enrico Maria Bertani, costruiscono un universo coerente e curato, dove ogni elemento è parte di un racconto unitario, quella di Pellegatta, con la sua urgente autobiografia musicale.

Orbita è un disco necessario, lo ribadiamo, per chi cerca nella musica verità, libertà, intimità. È la prova che un altro modo di fare cantautorato – più umano, più diretto, più libero – è non solo possibile, ma urgente.

LV

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Intervista

I leimannoia rompono il silenzio (e qualche tabù): intervista

Con il loro secondo singolo “Tuo Padre”, i leimannoia scardinano con ironia feroce e groove i tabù più resistenti della borghesia italiana. Tra spritz e giarrettiere, il pezzo è una fotografia disturbante e divertita di quelle verità che si annidano nei silenzi familiari, nei bar di provincia e nei salotti troppo ordinati per essere sinceri. Ci hanno raccontato come nasce la loro dissonanza musicale, perché la provincia non è solo sfondo ma coprotagonista, e cosa succede quando il nonsense incontra il teatro dell’assurdo. Spoiler: il delirio è appena cominciato.

Avete scelto un tappeto musicale radiofonico, quasi spensierato, per un testo che invece affonda le mani nella sabbia sporca. Quanto vi diverte questa dissonanza? Pensate sia anche un modo per dire che la musica leggera può trattare temi “pesanti”?

La dissonanza nasce dall’unione di idee che appartengono ad ognuno dei componenti della band. Crediamo che uno dei “superpoteri” della musica sia proprio quello di permettere di associare un mood musicale a testi che “canonicamente” verrebbero accompagnati in maniera diversa. Quindi perché non sfruttare questo potenziale?

C’è una forte atmosfera “provinciale” nella canzone, fatta di bar, rituali ripetitivi e verità mai dette. Cosa rappresenta per voi la provincia italiana? È solo sfondo o vero e proprio personaggio?

Ci piace molto prendere spunto da situazioni di vita quotidiana, e spesso ci troviamo a descrivere scene che ci fanno molto ridere. Questa dimensione per noi è necessaria nella scrittura di tutti i brani.

La produzione è molto curata, eppure la voce mantiene un tono volutamente grezzo, sporco, quasi strafottente. Come lavorate questo contrasto in studio? È una decisione che nasce da pancia o da testa?

Intanto grazie mille. In fase di scrittura in studio non ci mettiamo dei paletti, spesso e volentieri succede che si intreccino idee musicali/testuali di ognuna delle teste di questa band. Quindi inizialmente direi che è una decisione di pancia, a cui vengono associate decisioni di testa in fase di chiusura del pezzo.

Tra i versi emerge anche una figura femminile che “non ci crede ma spera in lui”. Quanto c’è di sentimentale, sotto tutta questa provocazione?

Questa strofa vuole far vedere l’altro della medaglia della situazione descritta nel pezzo. È importante che tutti i personaggi all’interno di un nostro brano abbiano il loro spazio per esprimere idee, pensieri ed emozioni in merito alle situazioni che stanno vivendo.

Tra funk, punk, indie e hip-hop: se doveste inventare un nome per il vostro genere musicale, che nome gli dareste? E cosa non potrà mai mancare in un pezzo dei leimannoia?

Il nostro nome nasce come risposta per chiunque ci chieda che genere di musica facciamo; noi rispondendo educatamente diciamo “lei m’annoia”. In un nostro pezzo non può mancare la commistione di diversi generi accostata a storie prese dalla vita quotidiana dei contesti che viviamo.

Immaginate questa canzone portata su un palco, in forma teatrale. Che tipo di scena sarebbe? Minimalista, esagerata, comica, tragica? Chi interpreterebbe il padre?

Innanzitutto vorrei conoscere il regista scellerato che decide di riprodurre il brano in chiave teatrale. Scherzi a parte, credo ci divertirebbe molto questa situazione. Onestamente non riesco a non pensare ad una riproduzione in stile teatro dell’assurdo, mi viene in mente “Waiting for Godot” di Samuel Beckett, ad esempio.

Ora che avete messo sul tavolo una narrazione così potente e disturbante, dove vi porterà il prossimo passo? State già lavorando a qualcosa che spinga ancora oltre i vostri limiti (o quelli dell’ascoltatore)?

Direi che il delirio è appena cominciato, stiamo lavorando, purtroppo per voi, ad altri pezzi che non vediamo l’ora di farvi sentire.

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Comunicato stampa Elettronica Pop Rap

Con “fuckboy” Myricae mette le cose in chiaro

“fuckboy” è il nuovo singolo di Myricae, uscito venerdì 11 aprile 2025. Una voce che spacca e una penna carismatica al servizio di una sperimentazione musicale che guarda alla contemporaneità: questa è Myricae. Si apre un nuovo capitolo della sua estetica sonora in costante trasformazione e attendiamo i prossimi passi con devozione.

Photography: Erica Bellucci @fuqtheslice @visioni_parallele
Styling: Virginia Carillo @golden_virginia
MUA: Miriam Tigre @_miriamtigre_
Nails: Maria Luce Venturi @marialuceventuri

Queste le parole con le quali l’artista presenta la traccia:
«”fuckboy” non è un’accusa, ma una satira cinica dell’ecosistema digitale e del fuckboy inteso non solo come individuo, ma anche come fenomeno sociale che può trascendere il genere. È una dissezione chirurgica dei pattern relazionali moderni che ne rivela i meccanismi più crudi. Il brano si muove su una dicotomia estrema: un beat martellante e viscerale che si dissolve in un ritornello etereo, dove synth sospesi accompagnano una dichiarazione brutale. Un cortocircuito sonoro ed emotivo che esalta il contrasto tra attrazione e repulsione, ironia e nausea, desiderio e rifiuto.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
Myricae è un’identità in transito, una voce che rifiuta di essere confinata da definizioni statiche, trasformandosi costantemente. Vive la musica come un processo catartico, un dialogo continuo con il suono che diventa mezzo di esplorazione di sé. Dopo una formazione classica e, in seguito, al conseguimento della laurea in songwriting, il suo percorso si allontana dalle convenzioni accademiche per abbracciare la sperimentazione, portandola a immergersi nelle strutture dell’elettronica.

Nel 2024 debutta con “FALENE”, un singolo che non si limita a introdurre il suo universo musicale, ma lo frantuma, lo dissolve e lo ricompone in un flusso continuo di elettronica oscura, pop e pulsazioni hyper. L’instabilità diventa il fulcro della sua estetica sonora – un equilibrio instabile che non cerca punti fissi, ma si nutre della trasformazione.

Con “fuckboy”, l’artista apre un nuovo capitolo della sua evoluzione: un brano immerso in ritmi vertiginosi e synth eterei, che amplifica la sua inclinazione all’iperbole e al paradosso, spingendo ancora oltre i confini della sua immaginazione sonora. Per Myricae, ogni brano è solo l’istantanea temporanea di qualcosa che sta già scivolando altrove.

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Fonte: Costello’s Agency

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Comunicato stampa Elettronica Pop

“Tropical Eyes” è il manifesto di Camelia

“Tropical Eyes” è il nuovo singolo di Camelia, uscito martedì 8 aprile 2025. Un brano in perfetto equilibrio tra cantautorato e dancefloor: l’intimità della solitudine e l’intensità dei momenti condivisi, il synth-pop e i rimandi a “Crying at the Discoteque”, i rave e Berlino in testa. Un’autentica summa del nuovo corso di Camelia.

Foto: Laura Bianchi Foto

Queste le parole con le quali l’artista presenta la traccia:
«”Tropical Eyes” è un brano ballabile che parla di come ci si possa sentire soli in una discoteca circondati da molte persone e di come la gente attorno possa scomparire mentre ci si perde nel proprio sentire. Tra tutta la gente ci si può però ritrovare in uno sguardo, degli occhi in cui riconoscersi.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
Arianna Casano, in arte Camelia, cresce nella provincia ligure e nel 2021 lancia il suo primo progetto musicale solista, spinta dalla necessità di comunicare tramite musica la sua interiorità. Camelia è un’artista e cantautrice di 25 anni che, con la collaborazione del produttore Edo Nocco, scrive brani che viaggiano tra melodie pop e sonorità elettroniche. Le ultime trovano ispirazione dai suoi viaggi all’estero, in particolare dal suo periodo trascorso in Germania, luogo chiave per le storie di alcuni suoi testi.
Il suo ultimo singolo si intitola “Birra” feat. Davide Diva.
Attualmente è al lavoro per l’uscita del suo primo EP, in collaborazione con Costello’s Agency.

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Fonte: Costello’s Agency

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Indie Pop

Cosa c’è nella camera di GIONATA

Con “Voglio sorridere un po’”, Gionata torna con un brano che è grido e carezza allo stesso tempo.

In bilico tra fragilità e rabbia trattenuta, il cantautore lucchese scava nell’inquietudine generazionale, cercando nella sofferenza una chiave di lettura per capirsi meglio. Il ritornello è una richiesta estrema di sentirsi vivi, mentre l’arrangiamento essenziale e sincero, nato tra le mura di casa, rafforza l’intimità del pezzo.

Per conoscerlo meglio, abbiamo deciso di farci invitare a casa sua, e ci siamo fatti raccontare la storia di qualche suo oggetto.

Negli ultimi 7 anni ho cambiato 4 città e quasi 10 case. Trasloco dopo trasloco, ho imparato a lasciarmi indietro molti oggetti, rinunciando alla loro presenza nella nuova casa in cui andavo ad abitare. Alcuni, però, mi hanno accompagnato – e probabilmente mi accompagneranno – in ogni nuova dimora in cui prendeva vita il mio piccolo mondo. Oggetti che semplicemente decorano l’ambiente, altri di svago, oltre agli strumenti musicali. Più che un “cosa c’è nella mia stanza” dunque, è un “cosa mi porto dietro quando trasloco”.

Game Boy Advance SP con Pokémon Rosso Fuoco e Verde Foglia

Un’ossessione da cui non riesco a liberarmi, tanto è che mi porto dietro anche un quadretto di una scena memorabile dei primi titoli della saga.

Sebbene conosca a memoria questa perla videoludica, puntualmente risale in me la voglia di iniziare una nuova partita, formando nuovi team e cambiando il nome del personaggio.

Un oggetto che mi aiuta a mantenere la fanciullezza viva in me, una parte che custodisco e curo, poiché mi aiuta a sognare e mi riporta agli anni in cui il problema più grande era aver perso un Charizard al livello 100 durante uno scambio con amici.

Ho rilasciato anche una canzone su YouTube durante la pandemia, Game Boy. Parla dell’amore per la mia infanzia e di come a volte la vita da adulti sia una rottura di palle, concetto che ritorna anche in un’altra mia canzone, a cui sono molto affezionato, Torno subito.

Telecamera a mano Panasonic

Una telecamera che comprai in passato, quasi 10 anni fa, quando suonavo nei Violacida, la mia precedente band.

La comprai per documentare le registrazioni del disco a Ferrara, da Fusaroli.

Fa schifo, non registra nemmeno in HD, ma è sempre stata un oggetto importante per me, che sono tendenzialmente un tipo timido e introverso. È di grande aiuto perché mi permette di rompere le palle alle persone e creare un pretesto per chiacchierare (il più delle volte aiutato da un modesto livello di sbronza).

È così che ho stretto gran parte dei legami a Roma, città in cui ero totalmente da solo e facevo fatica a costruire rapporti. Alcuni mi mandavano a cagare, ma la maggior parte di loro mi vogliono bene e rivedere quei momenti magici è emozionante.

Action Figures

Voglio ancora credere che di notte, quando vado a dormire, i giocattoli prendano vita e parlino tra di loro, come accade in Toy Story, il primo film d’animazione che entrò nella mia vita e mi folgorò totalmente.

Me ne porto sempre dietro alcuni e attualmente la squadra è composta da:

  • il sempre presente Woody (del film sopracitato), anche attore del videoclip di Oceano, secondo singolo estratto del mio primo disco
  • Yoshi, il dinosauro di Super Mario (sto in fissa con i dinosauri, in passato ci scrissi pure una canzone )
  • Stan, il mio personaggio preferito di South Park, cartone animato per adulti che ha formato il mio senso critico nei confronti della società
  • Squirtle, questa è una new entry che mi è stata regalata qualche mese fa, avrei preferito Charmander ma non diteglielo che altrimenti ci resta male. Comunque anche Squirtle è figo eh

Le città invisibili di Italo Calvino

Libri, libri, libri.

Vabbè, un po’ scontato, ma non potevo non inserire almeno un libro negli oggetti che mi porto dietro.

Ogni volta faccio fatica a scegliere quale libro portare e quale lasciare nella libreria a casa dei miei e Le città invisibili è uno di quei titoli che ho sempre avuto con me, perché nasconde tante storie che possono essere lette da tanti punti di vista.

Un’opera eterna che, secondo me, risulta nuova a ogni lettura.

Le mie chitarre

Come ultimo oggetto avrei potuto inserire il quaderno dei disegni con varie penne, matite, gomme ecc ma mi sembra più doveroso omaggiare le uniche due chitarre che mi accompagnano più di 15 anni.

Una è una chitarra classica marcissima da 20€ su cui ho appiccicato con la colla vinilica frammenti di vecchi cd frantumati: con questa ho scritto la quasi totalità delle mie canzoni.

L’altra è l’unica chitarra elettrica che ho mai avuto, acquistata nel 2009 (che è anche il titolo di una mia canzone): una fender Telecaster messicana. Non sono un tipo materialista, ma se dovesse succedere qualcosa a questa chitarra perderei una parte importante di me. Non la lascio mai incustodita quando vado in giro a suonare.

Bonus: il pianoforte

Dai, concedetemi un sesto oggetto.

Per me è un simbolo importante perché mi aiuta a ricordarmi che il tempo è una fregatura e non esistono “momenti giusti e momenti sbagliati” per fare le cose.

Già a 19 anni volevo imparare a suonare il pianoforte ma il tempo passava e mi ripetevo che ormai era troppo tardi.

All’età di 23 anni un anziano signore (un cliente, ai tempi lavoravo come imbianchino nella ditta di mio padre) si mise a ridere quando gli raccontai questo mio pensiero, prendendomi in giro poiché trovava sciocco pensare che fosse troppo tardi.

Il suo modo ironico di dirmi una tale realtà cambiò radicalmente la mia vita: quella sera stessa cercai sul web un’insegnante di pianoforte e la mattina dopo iniziai la prima lezione, percorso durato più di 3 anni (poi mi trasferii a Milano).

Iniziai anche l’università e dissi a mio padre che non volevo fare l’imbianchino, ma che i miei sogni erano altri.

L’unico oggetto che rimane in casa dei miei genitori (perché, ovviamente, non posso portarmi dietro), e che mi ricorda che posso fare quello che mi pare.

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Comunicato stampa Indie Pop

“Canzonetta” di FAZIO è la hit inaspettata del giorno

“Canzonetta” è il nuovo singolo di FAZIO, uscito martedì 1 aprile 2025. Come si scrive un pezzo pop impeccabile? Lungi da noi elencare delle ipotetiche top ten rules for success in stile Lou Pearlman, ma siamo pronti a scommettere che se esistono delle caratteristiche universali il brano in questione ne contiene in quantità elevata. Non è un caso che sia nato di getto, figlio di un bisogno viscerale di esprimersi; spesso le grandi canzoni fioriscono istintivamente dalla più pura spontaneità. È contro gli intellettualismi, ma tratta temi attuali, potremmo dire quasi impegnati; si forgia quindi sui contrasti e si sa che dove c’è conflitto c’è arte. La melodia è meravigliosamente catchy, rimane in testa al primo ascolto. Ma soprattutto è un brano pregno di ironia, peculiarità degli autori che amano cambiare prospettiva e affrontare le situazioni in modo innovativo. Sono solo canzonette, diceva qualcuno, ma mica tanto in fondo.

Foto: Alessandra Tagliavia

Queste le parole con le quali l’artista presenta la traccia:
«“Canzonetta” è una canzonetta, appunto, che vuole dimostrare come la musica pop e scanzonata possa anche avere qualcosa di impegnato da dire, senza la pretesa di dover essere necessariamente degli intellettuali.
È nata mentre ero nervosissimo perché non riuscivo a trovare una copisteria che facesse le fotocopie nel centro di Torino e stavo camminando a vuoto da circa tre quarti d’ora. A un certo punto mi sono fermato e ho realizzato che, preso dal mio nervoso, era la quarta volta che passavo davanti a un manipolo di una decina di esponenti di Fratelli d’Italia, tutti con i loro pullover grigio topo o blu notte, da cui spuntavano dei timidi colletti di camicie dai toni spenti. A coronare tutto ciò, quattro camionette della polizia a godersi il sole di novembre. C’erano quindi più agenti dei manifestanti, intenti a parlare delle proprie cose, nell’eventualità che dovessero intervenire a sventare chissà quale minaccia.
Davanti a quella visione, l’insofferenza accumulatasi nell’arco della giornata è esplosa di getto, e dal nulla mi è venuto il ritornello in testa. Dopo un paio d’ore ero a casa a concludere la stesura del pezzo, che è sicuramente il brano che ho scritto in meno tempo in tutta la mia vita.
È una canzone a cui ho imparato a voler bene, perché appena scritta la odiavo letteralmente. Mi imbarazzava e volevo venderla a qualcuno. Ne riconoscevo il potenziale ma mi infastidiva riconoscerci me. Poi il mio Yoda personale mi ha detto una frase illuminante: “finché non accetterai il fatto che tu sei anche questo, non potrai mai essere felice”.
E quindi eccola qui: Canzonetta. Il mio tentativo di cantare la mia preoccupazione per il futuro e per il mondo in cui viviamo, dove ognuno guarda a se stesso senza aver un’idea di collettività, dove l’odio dilaga senza freni e il bene sembra non avere altrettanta energia per contrastarlo in maniera efficace, dove i problemi anziché essere risolti vengono coperti con distrazioni effimere, e dove anziché alla cura di sé si pensa solo a trovare una cura.
Dovessi riassumerla in una frase sarebbe sicuramente la celebre citazione di Boris: “questa è l’Italia del futuro: un paese di musichette mentre fuori c’è la morte”.»

Puoi ascoltare il brano qui:

BIO
FAZIO è un cantautore senza un posto fisso nel mondo, in qualunque senso lo si voglia intendere. Abita al nord, è cresciuto al centro, ma viene dal sud. La sua dimensione ideale è sicuramente il sovrappensiero, universo fatto di suoni sognanti, riverberi leggeri e melodie dolci e delicate. Insomma, ogni scusa è buona per evadere dalla realtà, mettendo tutto in dubbio e, soprattutto, senza prendere niente e nessuno troppo sul serio.

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Fonte: Costello’s Agency

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Pop

Cosa c’è nella camera di Wladimiro D’Arco

É disponibile da venerdì 21 febbraio 2025 su tutte le piattaforme digitali “Vieni con me” (e in distribuzione digitale Believe Music Italy), il nuovo singolo di Wladimiro D’Arco, scritto per i ragazzi della associazione ANFFASS. Ragazzi con disabilità. Nello specifico, in questo caso, Wladimiro immagina un ragazzo che non è in grado di parlare con il padre per motivi di salute e che vorrebbe dirgli tutte quelle cose. Il ragazzo dice: “…la vita e il futuro sono incerti per tutti, dove ti porterà non lo posso sapere, ma se vuoi, posso accompagnarti“.

In questi giorni di sovraesposizione musicale, Wladimiro D’Arco ci regala timidamente un brano di cantautorato  rock commuovente e incredibilmente sentito dall’autore: un messaggio importante da assorbire sotto la pelle, lasciandosi trasportare dalle note catartiche di “Vieni con me“. 

Per conoscerlo meglio, abbiamo deciso di farci invitare a casa sua, e ci siamo fatti raccontare la storia di qualche suo oggetto.

Scarpe da Tennis. Lo sport mi ha sempre accompagnato nella vita, ne ho fatti tanti, dall’atletica alle medie, passando per il calcio prima e calcetto poi. Addirittura anche Rugby, ma quello poco, perché cominciando a 28 anni, la rottura delle ossa era facile, non essendo abituato. Lo sport che ho fatto ed amo di più però, è la pallavolo, tanto da aver preso anche il brevetto da allenatore. E le scarpe da Tennis, sono state una cosatante nella mia vita. Anche come simbolo di viaggio, interiore e non. Come simbolo di passi da dover fare e cercare. Spero di camminare ancora tanto e di raggiungere posti meravigliosi. 





Questa è la parete delle foto di mia nipote. Una foto per ogni anno della sua vita. Ho comiciato ad appenderle dieci anni fa. Spero di vederla crescere forte e con una mente libera e piena di curiosità. Che metta in dubbio ogni dogma al quale la vogliono soggiogare. Politico, religioso o sociale che sia. E che possa sempre scegliere il giusto. Per se e per gli altri. Che si innamori della musica, come dello sport e delle belle parole.
Della poesia e del mare. In mezzo a quelle foto, ce n’è una con una ragazza che abbraccia mio fratello, allora adolescente.

Lei è Letizia. Una amica che non c’è più, ma che starà sempre e per sempre lì.
Tra le persone che contano nella mia vita. 



Questa è una di quelle palline in vetro con la neve dentro. Quelle che se le agiti sembra che arrivi una bufera, poi una nevicata dolce ed alla fine il sereno con un bel tappeto di neve. Ero affascinato da ragazzo da queste palline e mi chiedevo come le facessero. E la mia ragazza di allora, la mia prima fidanzata a dire il vero. Quello che è il primo amore. Eravamo diciottenni, forti, belli e senza paure. 
Me la regalò, sentendo questa cosa, del fatto che mi piacessero e mi affascinassero. Ed è qui. Dopo trent’anni circa, è qui. Ogni tanto la agito e mi ci incanto ancora.



Il cappello di Jeans. Liso. Consumato. Strappato. Però il mio cappello di Jeans. Una specie di talismano. Se cercate il video della mia canzone E ADESSO, mi vedrete indossarlo. Non so quanto tempo è che ce l’ho e nonostante sia da rattoppare. Da cambiare il velcro, perchè ormai consumato e non fa più la sua funzione. Nonostante tutto, lo tengo con me. Lo comprai a parigi in uno di quei mercati giganteschi che sono quasi fuori città. Credo fosse il duemilasei o giù di lì. Legato a tanti ricordi e a tante serate. Ora, non lo porto più, perchè ho paura di finire di distruggerlo e poi doverlo buttare. Allora lo lascio lì, sulla chitarra, come a coprire e conservare le note che verranno e quando suono lo sposto e poi ce lo rimetto.




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Pop

Le 5 cose preferite di Gio UI

Fuori dal 28 marzo “Ceiling”, il nuovo singolo di Gio Ui. Primo brano in inglese per la musicista della Lombardia dove esplora il desiderio di cambiare e la ricerca di un nuovo equilibrio.

Ceiling” si muove su un sound alternative rock. Le strofe sono particolarmente introspettive e malinconiche, mentre il ritornello esplode di energia. Una melodia che esalta la voce profonda e avvolgente di Gio Ui. Il risultato è un brano accattivante ma che lascia spazio alla riflessione.

Sound evocativo e testo introspettivo. Attraverso un’atmosfera malinconica. La protagonista della canzone, rappresentata in copertina con il colore giallo, simboleggia la volontà di cambiamento che è in ognuno di noi dopo situazioni difficili. Le persone sono invitate ad entrare piano piano e scoprire se stesse.

Noi volevamo conoscerla meglio, e gli abbiamo chiesto quali fossero le sue cinque cose preferite.

  1. Suonare

    Amo passare il mio tempo in sala prove a suonare, tutto il mondo scompare, i problemi, i pensieri, tutto il tempo sembra fermarsi, amo tutto questo della musica.

2) Alternative rock

 amo la musica alternative rock anni 90 / 2000 dai testi bittersweet. Come in quell’epoca, tutto era libero sfogo alle emozioni ed ai pensieri più neri, che venivano trasformati in forza ed energia liberatoria tramite la musica di chi la faceva e di chi l’ascoltava.

3) Viaggiare

Amo viaggiare, scoprire nuove lingue e culture, le lingue sono una mia grande passione, parlo inglese, tedesco, spagnolo ed italiano e mi sono sempre challanged nell’impresa di imparare nuove lingue. Viaggiare è arricchente e lascia un bagaglio di esperienze e momenti preziosi, che difficilmente altre situazioni ti danno.

4) La chitarra

 Amo la mia chitarra, che mi da forza in ogni momento, è un mezzo potente d’espressione e mi accompagna con le sue note. Mi culla, mi tende la mano, mi salva sempre.

5)  Caffè

l caffè, non potrei vivere senza. Fin da piccolina, mi inebriava l’odore, forse per quello che son cresciuta nervosa, hehe, è sempre stata una passione, come del resto il cappuccino, una filosofia di vita. Si beve ad ogni ora, contro chi dice il contrario! 🤣